Ritardo e diritto al risarcimento del danno

1. Una particolare fattispecie di responsabilità della P.A. è quella del c.d. danno da ritardo; a tale categoria concettuale – che trova oggi un aggancio normativo nell’art 2 bis della legge n. 241 del 1990 – sono riconducibili tre distinte ipotesi:
a) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il privato interessato;
b) l’adozione di un provvedimento favorevole ma tardivo;
c) la mera inerzia e cioè la mancata adozione del provvedimento.
2. La fattispecie di responsabilità aquiliana dell’Ente locale ex art. 2043 c.c. è riscontrabile in presenza di: a) condotta antigiuridica della P.A., risultante dal comportamento illecito (ritardo ingiustificato nell’adozione di un provvedimento favorevole), oltre che dall’adozione di un illegittimo atto soprassessorio (sull’illegittimità della sospensione sine die del procedimento amministrativo la giurisprudenza amministrativa è pacifica); b) evento dannoso (danno ingiusto) ovvero la lesione dell’interesse legittimo pretensivo del privato. Il rilascio tardivo del provvedimento richiesto dimostra ex se la spettanza del bene della vita, dispensando il giudice del compito di effettuare il giudizio prognostico; c) nesso di causalità tra la condotta antigiuridica dell’amministrazione e l’evento dannoso; d) elemento soggettivo, essendo il danno riferibile ad una condotta colposa della. P.A. Secondo consolidato orientamento al privato, il quale assuma di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo o dall’inerzia della P.A., non è richiesto un particolare impegno per dimostrare la colpa della stessa, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto o lo spirare del termine di conclusione del procedimento e per il resto farsi applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c.; di conseguenza a quel punto spetta all’Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, il quale è configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, d’influenza determinante di comportamenti di altri soggetti o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione d’incostituzionalità della norma applicata.
2. L’art 30, comma 3, c.p.a. (“Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”) pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, c.c., afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.
3. Il c.d. avviso di danno costituisce un comportamento non eccedente la soglia del sacrificio significativo, esigibile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del principio di auto-responsabilità, del canone di buona fede di cui all’art. 1175 c.c. e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.. La scelta di non inviare uno specifico e tempestivo avviso di danno, di differire più volte le udienze camerali e di rinunciare alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale – apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa ad ottenere il risarcimento di un danno, quello da ritardo, che l’attivazione dei suddetti rimedi avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato o mitigato – integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento dei danni evitabili.

Avv. Giovanni Dato

N. 00549/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00601/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 601 del 2010, proposto da:
Giuseppe Lisi, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Misserini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Agnese Caprioli in Lecce, Via Luigi Scarambone, 56;
contro
Comune di Taranto, rappresentato e difeso dagli avv. Gianluigi Pignatelli, Maddalena Cotimbo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Tommaso Fazio in Lecce, piazzetta Montale,2;
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Anna Bucci, domiciliata presso Regione Puglia Ufficio Regionale Contenzioso in Lecce, viale Aldo Moro;
Azienda Sanitaria Locale Taranto;
per l’annullamento
della nota prot. n. 31550 datata 25.2.2010 e pervenuta l’1.3.2010, con cui il Responsabile della Struttura Unica Attività Produttive del Comune di Taranto sospendeva sine die i termini del procedimento in merito alla pratica edilizia prot. n. 356/06 di cui all’istanza, presentata dal ricorrente, in data 7.6.2006, finalizzata all’ottenimento delle autorizzazioni per la realizzazione di una stazione di servizio di vendita di carburanti;
nonchè, ove necessario e per quanto di interesse, dei verbali della Conferenza di servizi svoltasi in data 9/2/2010 presso l’assessorato Assetto del Territorio della Regione Puglia nonchè della nota di indizione della stessa Conferenza di Servizi mai conosciuti e/o notificati;
dei verbali della Conferenza di servizi svoltasi in data 30/6/2009 presso lo Sportello Unico delle Attività Produttive del Comune di Taranto nonchè della nota di indizione della stessa Conferenza di Servizi;della nota n. 2869 del 12 marzo 2008 della Direzione Urbanistica ed Edilizia del Comune di Taranto e dell’ivi allegata Relazione Tecnica del 7.3.2008;
della nota n. 6241 del 20.6.08, della Direzione Urbanistica ed Edilizia del Comune di Taranto mai conosciuta e/o notificata;
di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;
per la condanna del Comune di Taranto al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria nonché di quelli derivanti dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Taranto e della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2016 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori avv. A. F.sco Viola, in sostituzione dell’avv. G. Misserini, per il ricorrente e avv. T. Fazio, in sostituzione degli avv.ti Gl. Pignatelli e M. Cotimbo, per la P.A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
In data 7 giugno 2006 il ricorrente, proprietario di alcuni terreni siti nel Comune di Taranto con destinazione “Verde di rispetto stradale” o “Strada di PRG”, volendo realizzarvi un impianto di distribuzione carburanti con annesso punto di ristoro, presentava domanda di rilascio del permesso di costruire alla Direzione Edilizia ed Urbanistica del Comune di Taranto, già corredata dai pareri favorevoli dell’Agenzia delle Dogane, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, della ASL e dal Certificato di assenza di vincolo idrogeologico rilasciato dalla Regione Puglia.
In data 12 settembre 2006 il Comune di Taranto comunicava al sig. Lisi, ai sensi dell’art. 10 bis, L. n. 241/90, alcune circostanze ritenute ostative all’accoglimento dell’istanza.
L’odierno ricorrente, in data 5 ottobre 2006, presentava le proprie osservazioni fornendo i chiarimenti e le integrazioni richieste nonchè replicando ai rilievi formulati dall’Ente Locale.
Il procedimento entrava in una sorta di fase di quiescenza, sino a quando, con missiva del 3 marzo 2008, il ricorrente diffidava il Comune di Taranto ad adottare il provvedimento conclusivo del procedimento.
A seguito di tale diffida il Comune di Taranto, apprezzate favorevolmente le osservazioni svolte dal richiedente in esito al preavviso di rigetto, dava corso al procedimento e trasmetteva la pratica (copia elaborati progettuali e relazioni e relazione dell’Ufficio Tecnico) al S.U.A.P., di recente istituzione ed attivazione, “per gli adempimenti di cui all’art. 5 del D.P.R. 447/98”.
In data 2 aprile 2008 il ricorrente stipulava con altra impresa già operante nel settore un contratto preliminare di affitto d’azienda, per un corrispettivo annuo di € 60.000,00 (€ 5.000,00 mensili) e una durata di anni sei, con l’obbligo di stipulare il contratto definitivo entro un anno dalla sottoscrizione del preliminare.
In data 18 marzo 2009 il ricorrente otteneva dalla Provincia di Taranto anche il parere favorevole ai fini della Valutazione di Incidenza Ambientale.
In data 3 giugno 2009 veniva indetta un’apposita Conferenza dei Servizi in seno alla quale il Responsabile del S.U.A.P. rilevava che “la pratica in oggetto, datata anno 2006 è stata inviata al SUAP con l’indicazione della conformità del progetto per gli adempimento di cui all’art. 5 del D.P.R. n.-447/98, coerente con tutti gli allegati richiesti” e con i necessari pareri.
Il SUAP, a causa del lungo tempo trascorso dall’avvio del procedimento, riteneva tuttavia necessario richiedere nuovamente i pareri già acquisiti al procedimento, ai fini di un loro aggiornamento.
Gli enti che avevano partecipato alla Conferenza dei Servizi, tenuto conto del tempo trascorso, si riservavano, rispettivamente, di provvedere all’eventuale riconferma del parere già espresso ovvero al rilascio di un nuovo parere (S.I.S.P.); di presentare apposita dichiarazione ovvero dichiarazione integrativa e/o sostitutiva (Dip. Prev.); di istruire la pratica “in coerenza con la nuova variante (viaria Taranto – Avetrana) approvata” (Dir. Urb. e Ed.).
Il sig. Lisi – pur avendo in data 30 aprile 2008 già depositato agli atti del procedimento una perizia giurata, a firma dell’ingegner Ricci, dalla quale risultava che la realizzazione del distributore di carburante non era in contrasto con l’opera viaria medio tempore approvata – si faceva parte diligente e reiterava la richiesta di pareri ai competenti Enti e alla Provincia di Taranto in relazione al progetto della direttrice viaria Taranto – Avetrana.
La AUSL TA/1 Servizio I.S.P. rilasciava nuovo parere favorevole, mentre la Provincia di Taranto sollecitava il progettista della variante viaria alla trasmissione del progetto, al fine di poter adottare il parere richiesto dal sig. Lisi.
Con nota del 25 febbraio 2010 il Comune di Taranto comunicava al ricorrente la sospensione dei termini del procedimento autorizzatorio in attesa di conoscere le determinazioni regionali circa la necessità della variante urbanistica.
A quel punto il sig. Lisi proponeva il ricorso introduttivo del presente giudizio, con il quale stigmatizzava il ritardo del Comune di Taranto nella conclusione del procedimento e impugnava il provvedimento soprassessorio del 25 febbraio 2010, ritenendolo affetto da violazione di legge ed eccesso di potere.
In data 25 aprile 2010 ovvero circa un mese prima della camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, proposta in via incidentale dal ricorrente, il Comune di Taranto “riattivava “il procedimento, convocando l’istante a una riunione tematica da svolgersi presso il SUAP.
Alla camera di consiglio del 27 aprile 2010 il ricorrente presentava istanza di rinvio dell’udienza camerale che veniva nuovamente fissata per la data del 29 luglio 2010.
In data 7 giugno 2010 si teneva la predetta riunione tematica nella quale il sig. Lisi ribadiva la conformità del progetto a tutte le norme regolamenti vigenti e la estraneità dell’intervento al nuovo progetto di variante della direttrice viaria Avetrana-Taranto.
In data 27 luglio 2010 il Comune di Taranto comunicava al ricorrente di aver fissato per il 5 agosto 2010 una nuova Conferenza di Servizi.
Alla camera di consiglio del 29 luglio 2010 il ricorrente chiedeva un nuovo rinvio della trattazione della domanda cautelare, che veniva differita al 21 ottobre 2010.
In data 5 agosto 2010 si teneva, presso il Comune di Taranto, una Conferenza di Servizi in cui il Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale esprimeva parere favorevole ancorché condizionato all’integrazione e alla verifica di apposita planimetria riguardante la nuova classificazione urbanistica dell’area oggetto del progetto di variante viaria.
Alla Camera di Consiglio del 21 ottobre 2010 il ricorrente rinunciava alla domanda cautelare.
Con la proposta di deliberazione del 18 aprile 2011, il Responsabile SUAP del Comune di Taranto non rilasciava il titolo autorizzatorio richiesto, ma inviava alla Commissione Assetto del Territorio, il progetto in questione ai sensi dell’art. 5 del d.p.t. 447/98. Nella riunione del 5 maggio 2011, la suddetta Commissione formulava parere negativo in considerazione del mancato adeguamento, da parte del Comune di Taranto, dei propri regolamenti a quanto disposto dal d.lgs. n. 32/98, con conseguente impossibilità “a rilasciare autorizzazioni in deroga allo strumento urbanistico”.
Il sig. Lisi, diffidava l’Ente a ritirare il predetto parere ritenuto illegittimo ribadendo che, nella specie, non era necessario adottare alcuna variante allo strumento urbanistico vigente.
Il comune di Taranto, ritirato il parere sfavorevole, con provvedimento SUAP prot. n. 1692 del 17 luglio 2011, rilasciava finalmente il provvedimento autorizzatorio richiesto dal ricorrente.
Con ricorso avviato per la notifica in data 1 febbraio 2012 il ricorrente chiedeva la condanna del comune di Taranto al risarcimento dei danni, quantificati in € 370.400, derivanti dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria nonché di quelli derivanti dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
La domanda risarcitoria era avversata dall’Ente Locale che ne chiedeva il rigetto nel merito, deducendo l’assenza di colpa.
DIRITTO
L’azione di annullamento va dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, avendo l’istante conseguito, sia pur con notevole ritardo, il bene della vita cui aspirava.
La domanda con cui il ricorrente chiede il risarcimento del danno derivante dall’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento merita parziale accoglimento.
Com’è noto una particolare fattispecie di responsabilità della P.A. è quella del cd. danno da ritardo. A tale categoria concettuale – che trova oggi un aggancio normativo nell’art 2 bis della legge n. 241 del 1990 – sono riconducibili tre distinte ipotesi:
a) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il privato interessato;
b) l’adozione di un provvedimento favorevole ma tardivo;
c) la mera inerzia e cioè la mancata adozione del provvedimento.
La fattispecie per cui è causa è riconducibile all’ipotesi sub b) – danno da ritardato conseguimento del bene della vita – venendo in considerazione l’adozione di un provvedimento favorevole ma tardivo. Il ricorrente ha, infatti, conseguito il bene della vita cui aspirava (autorizzazione all’apertura del distributore di carburante), ma con notevole ritardo rispetto ai tempi normativamente prefissati (art. 2 L. n. 241/90 e regolamenti attuativi; art. 4, comma 7, DPR n. 447/1998), avendo il Comune di Taranto rilasciato il titolo abilitativo richiesto a distanza di oltre cinque anni dall’avvio del procedimento.
Il danno non è stato, dunque, causato direttamente dal provvedimento, che anzi risulta legittimo, ma dalla mancata conclusione del procedimento nel termine previsto: il pregiudizio lamentato dal ricorrente è quello subìto per aver ottenuto in ritardo il bene della vita cui aveva titolo.
Sussistono tutti i presupposti per affermare la responsabilità aquiliana dell’Ente Locale ex art. 2043 c.c. In particolare nella fattispecie è riscontrabile:
a) la condotta antigiuridica della P.A., risultante dal comportamento illecito (ritardo ingiustificato nell’adozione di un provvedimento favorevole), oltre che dall’adozione di un illegittimo atto soprassessorio (sull’illegittimità della sospensione sine die del procedimento amministrativo la giurisprudenza amministrativa è pacifica);
b) l’evento dannoso (danno ingiusto) ovvero la lesione dell’interesse legittimo pretensivo del privato. Il rilascio tardivo del provvedimento richiesto dimostra ex se la spettanza del bene della vita, dispensando il giudice del compito di effettuare il giudizio prognostico;
c) il nesso di causalità tra la condotta antigiuridica dell’amministrazione e l’evento dannoso;
d) l’elemento soggettivo, essendo il danno riferibile ad una condotta colposa della. P.A. Al riguardo il Collegio ritiene di dover fare applicazione del consolidato orientamento secondo cui al privato, il quale assuma di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo o dall’inerzia della P.A., non è richiesto un particolare impegno per dimostrare la colpa della stessa, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto o lo spirare del termine di conclusione del procedimento e per il resto farsi applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c.; di conseguenza a quel punto spetta all’Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, il quale è configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, d’influenza determinante di comportamenti di altri soggetti o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione d’incostituzionalità della norma applicata (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, V, 12 febbraio 2013, n. 798; id., V, 19 novembre 2012, n. 5846; id., IV, 31 gennaio 2012, n. 482).
Nel caso di specie l’odierno ricorrente ha assolto all’onere di allegazione dell’illegittimità dell’atto e/o del ritardo della P.A. nella conclusione del procedimento, forieri del pregiudizio patrimoniale.
L’amministrazione, ad avviso del Collegio, non ha viceversa fornito un’adeguata prova in ordine alla scusabilità dell’errore che ha determinato la tardiva adozione del provvedimento favorevole, risultando dagli atti che il provvedimento favorevole è stato rilasciato, a cinque anni di distanza dall’avvio del procedimento, sulla scorta dei pareri già allegati dall’istante nel 2006, meramente “confermati” o “aggiornati” nel corso del procedimento, nonché senza alcun ricorso alla procedura di variante urbanistica di cui all’art. 5, D.P.R. 447/98, ritenuta in definitiva non necessaria dal Comune, come sostenuto sin dall’inizio dal ricorrente.
Per tali ragioni, il Collegio è dell’avviso che la domanda di risarcimento del danno patrimoniale avanzata dal ricorrente sia meritevole di ammissione a risarcimento (an debeatur).
Il danno-conseguenza (quantum debeatur) non può tuttavia essere liquidato, come richiesto dall’interessato, in misura pari ad € 370.400 per le ragioni di seguito indicate.
Il contratto preliminare di affitto d’azienda, stipulato dal ricorrente il 2 aprile 2008 con altra impresa già operante nel settore, per un corrispettivo annuo di € 60.000,00 (€ 5.000,00 mensili) e una durata di anni sei, prevedeva l’obbligo di stipulare il contratto definitivo entro un anno dalla sottoscrizione del preliminare.
Ciò posto, è verosimile ritenere che le parti non avrebbero stipulato il contratto definitivo di affitto azienda prima della scadenza dell’anno (1° aprile 2009), tenuto conto che il titolo abilitativo non era stato ancora rilasciato; l’operazione economica presentava profili di complessità; la funzione del preliminare è proprio quella di consentire ai contraenti il controllo delle sopravvenienze prima della stipulazione definitiva; l’affittuario d’azienda, utilizzando la diligenza propria dell’operatore economico avveduto (homo eiusdem condicionis et professionis), non avrebbe stipulato il definitivo senza prima aver svolto le opportune verifiche in ordine al rilascio del titolo abilitativo; non risulta dagli atti (manca un’allegazione sul punto) che fossero iniziati i lavori di adeguamento delle aree interessate – destinate a “Verde di rispetto stradale” o “Strada di PRG” – alla diversa utilizzazione dei suoli né che il concedente o l’affittuario disponessero già, al momento del preliminare, delle attrezzature necessarie per adibire le aree in questione a distributore di carburante, con annesso punto di ristorazione.
E’ pertanto verosimile ritenere che il contratto definitivo di affitto d’azienda sarebbe stato stipulato alla scadenza del termine annuale, sicchè il ricorrente avrebbe potuto percepire i canoni (€ 5000 mensili) solo a far data dal 1° aprile 2009. Considerato che il provvedimento favorevole è stato rilasciato il 17 luglio 2011, il ricorrente avrebbe ipoteticamente diritto a conseguire a titolo di risarcimento del danno la somma di € 137.500 (€ 5000 x 27,5 mesi: 1°aprile 2009-17 luglio 2011), pari ai canoni mensili non percepiti a causa del colpevole ritardo della P.A. nell’adozione del provvedimento favorevole.
Detto importo deve, tuttavia, essere decurtato di una somma pari a circa la metà, risultando dagli atti che il ricorrente – pur avendo stigmatizzato nel corpo del ricorso introduttivo la condotta soprassessoria della P.A. e il ritardo nella conclusione del procedimento – ha dapprima chiesto un duplice rinvio dell’udienza camerale fissata per la decisione dell’istanza cautelare e poi definitivamente rinunciato alla tutela cautelare medesima (si vedano i verbali delle udienze camerali del 27 maggio 2010, 29 luglio 2010, 21 ottobre 2010).
Tale contegno ha aggravato il danno ed è dunque rilevante ex art 30, comma 3, c.p.a. (“Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”): la disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St. Ad Pl. n. 3/2011).
Nel caso di specie è plausibile ritenere, sulla base di un giudizio di prognosi postuma fondato sulla stessa giurisprudenza di questo T.a.r. citata dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, che, ove l’istante avesse insistito sull’istanza cautelare o comunque chiesto l’adozione di una misura cautelare atipica che compulsasse il Comune a concludere il procedimento in itinere, ormai avviato da circa quattro anni, il Collegio avrebbe accolto l’istanza medesima.
Nessun danno può dirsi risarcibile per il periodo anteriore all’aprile 2009, mancando una prova certa del pregiudizio patito e non avendo la parte ricorrente inviato al Comune uno specifico e tempestivo “avviso di danno” (dagli atti risulta solo una generica diffida a concludere il procedimento nei termini, dd. 3 marzo 2008, scevra di qualsiasi riferimento all’esistenza di danni attuali o potenziali): anche tale contegno omissivo appare rilevante nella prospettiva degli artt. 30, co. 3, c.p.a. e 1227, co. 2., c.c., costituendo il cd. avviso di danno un comportamento non eccedente la soglia del sacrificio significativo, esigibile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del principio di auto-responsabilità, del canone di buona fede di cui all’art. 1175 e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost..
La scelta della parte ricorrente di non inviare al Comune uno specifico e tempestivo avviso di danno, di differire più volte le udienze camerali e di rinunciare alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale – apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa ad ottenere il risarcimento di un danno, quello da ritardo, che l’attivazione dei suddetti rimedi avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato o mitigato – integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento dei danni evitabili (arg. in base a Cons. St. Ad Pl. n. 3/2011).
Alla luce delle suesposte considerazioni, il Collegio, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 del codice civile, valutata l’incidenza sul piano della causalità giuridica del comportamento omissivo del danneggiato (artt. 30 c.p.a. e 1227, co. 2, c.c.), reputa congruo liquidare in via equitativa il danno patrimoniale subito dal ricorrente in misura pari a € 70.000 (euro settantamila/00).
Sulla somma in tal modo determinata, che costituisce debito di valore, dovranno essere corrisposti la rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi sulla somma via via rivalutata con utilizzo del cd. metodo a scalare, secondo i modi e nei limiti precisati dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 1712/1995.
Il Comune di Taranto va altresì condannato a rifondere al ricorrente le spese di lite, liquidate come da dispositivo. Spese compensate nei rapporti con le altre parti del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio e, in parziale accoglimento della successiva domanda risarcitoria, condanna il Comune di Taranto a corrispondere al ricorrente la somma di € 70.000 (euro settantamila/00), oltre accessori.
Condanna il Comune di Taranto a rifondere al ricorrente le spese di lite, liquidate forfetariamente in € 3000 (euro tremila/00), oltre accessori di legge.
Spese compensate nei rapporti con le altre parti del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Marco Rinaldi, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)