di Danilo Granata e Martina Russo

1.Premessa – 2. Il concetto di disconnessione – 3. Lo stato dell’arte in Italia – 4. Le altre realtà europee – 5. Considerazioni conclusive.

  1. Premessa

La recente esperienza del Covid-19 ha imposto un ripensamento degli schemi e dei ritmi lavorativi, favorendo lo smart working (o lavoro agile) e incentivando, di conseguenza, l’impiego di tutti gli strumenti che la tecnologia, oggi, mette a nostra disposizione (internet, posta elettronica, webinar etc.).

Tuttavia, come si suol dire “non tutto ciò che viene dopo è progresso”, o per meglio dire non sempre la tecnologia porta esclusivamente vantaggi, soprattutto quando la legge non prevede efficaci strumenti di bilanciamento degli interessi in gioco, in relazione alla diverse sfaccettature della realtà materiale.

Ed invero, risulta essere sempre più concreto lo spettro del cd. fenomeno dell’always on, da intendersi comeuna connessione permanente del lavoratore con il datore di lavoro; problema in riferimento al quale la legge è silente, o comunque, poco chiara.

 La Legge n. 81/2017, dedicata al lavoro agile, non prevede una definizione di disconnessione[1], né la qualifica espressamente come un diritto del lavoratore. Si pone, dunque, un problema di tipo esegetico del disposto normativo che spinge a riflettere sull’effettività della tutela giuslavoristica in materia e su una rivalutazione della posizione del lavoratore nell’Era di Internet e dello smart working.

L’evoluzione tecnologica è ormai entrata prepotentemente all’interno dell’organizzazione del lavoro[2], subendo una brusca accelerazione in questo particolare momento storico, caratterizzato dalla diffusione pandemica Covid-19.

Attraverso l’uso di smartphone, cellulari, e-mail, webinar, chat in tempo reale e altri strumenti per adempiere alle proprie mansioni in smart working, si rischia che il lavoratore non abbia più la possibilità di fruire del proprio tempo libero, restando di fatto sempre connesso con il proprio datore di lavoro. In altri termini, il lavoratore risulta esposto, più del passato, a quello che è stato definito in dottrina come “stato permanente di allerta reattiva” rispetto al soddisfacimento delle richieste datoriali (cd. always on)[3].

Ed infatti, se, da un lato, i vantaggi del lavoro agile risultano evidenti (accesso ai dati da remoto, reperibilità, maggiore autonomia nella gestione del proprio tempo), dall’altro lato, l’eccesso di reperibilità da parte del lavoratore che tale sistema sembra implicare e il numero di ore trascorse davanti al PC potrebbe frustrare gli spazi di vita privata e familiare (art. 8 CEDU e art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell’UE) nonché indurre ad uno stato di affaticamento mentale tale da ledere il diritto alla salute ex art. 32 Cost. (tanto da arrivare a parlare, in alcuni casi, di sindrome di burnout).

Il presente contributo si propone di approfondire il tema della esigibilità della prestazione e della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro nell’epoca dello smart working.

  • Il concetto di disconnessione

Il presupposto di partenza della ricerca deve essere quello di comprendere se la normativa esistente in materia esponga o meno il lavoratore, quanto alla sua posizione soggettiva, ad un pericoloso stato di incertezza in termini di tutela, in considerazione del galoppante progresso delle dinamiche lavorative in chiave tecnologica e dei molteplici cambiamenti sociali che ne derivano. Pertanto, si tratta di comprendere se lo standard di tutela attualmente garantito allo spazio di irreperibilità del lavoratore al di fuori degli orari di lavoro sia sufficiente o meno.

All’uopo, si consideri che l’unica norma del nostro ordinamento che fa riferimento al concetto di “disconnessione” del lavoratore  è l’art. 19, comma 1, della Legge n. 81/2017 (dedicata al lavoro agile), rubricato “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, il quale si limita sic et simpliciter a disporre che l’accordo tra datore e lavoratore sullo smart working debba contenere, oltre ai tempi di riposo del secondo, anche «le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro»

La questione, dunque, è principalmente di natura ermeneutica: il Legislatore ha deciso di non definire la disconnessione né, tantomeno, di inquadrarla come un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore, delegandone di fatto la regolamentazione alla contrattazione individuale.

Ciò non può non avere delle implicazioni in termini di effettività di tutela giuslavoristica, sulle quali non si mancherà di indagare.

Secondariamente, si pone un problema di tipo pratico – applicativo, dal momento che il Legislatore non indica l’iter attuativo volto a conferire effettività al disposto normativo, né vengono previste eventuali conseguenze in caso di sua inosservanza.

Inoltre, l’indagine non può non riflettere sull’opportunità di interpretare estensivamente la norma de qua anche per coloro che non lavorano in smart working, ma sono comunque costretti a essere reperibili a ogni ora.

Ebbene, si è inteso concepire il diritto alla disconnessione al pari di una “scatola vuota”, da riempire all’occorrenza dai soggetti interessati attraverso trattative che tengano conto sia del sistema aziendale di riferimento sia delle esigenze delle parti. Si ripone, pertanto, massima fiducia nella regolamentazione privata delle situazioni soggettive riconosciute dall’ordinamento, nonostante non sia facile immaginare fino a che punto possa spingersi l’abuso della libertà contrattuale, soprattutto quando una delle parti – in tal caso il datore di lavoro – ricopre un ruolo di vantaggio rispetto all’altra e può agevolmente imporre le proprie condizioni, condannando di fatto la ratio del diritto. Naturalmente una regolamentazione più dettagliata da parte del Legislatore consentirebbe di circoscrivere molteplici tentativi di evasione.[4]
Certo è che, dalla Relazione al d.d.l. S-2229, poi assorbito dal d.d.l. S-2233 e confluito nel disegno di legge che ha dato vita  alla l. 81/2017 si legge: «Obiettivo di questo disegno  di legge non  è dunque quello di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una nuova tipologia contrattuale, connessa alla utilizzazione nei contesti produttivi e di lavoro di tecnologie di nuova generazione, e tanto meno quello di introdurre correttivi alle regole, molte delle quali peraltro di matrice comunitaria, che hanno sino a oggi limitato la diffusione di forme flessibili di lavoro da remoto anche in chiave di (sola) conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne. Lo stesso tema della conciliazione resta centrale ma, a ben vedere, riguarda oggi tutte le persone, in tutte le fasi della vita, e si estende ai temi del benessere, della salute, della previdenza e dell’apprendimento continuo sollecitando la costruzione di un nuovo welfare della persona che risponda alla domanda, sempre più centrale, di garantire la sostenibilità a tutte le persone e in tutte le dimensioni»[5].
Questa sommaria analisi ci permette, in via primordiale, di dipingere il diritto alla connessione come uno dei diritti figli dell’era digitale e, pertanto, rappresentativo degli aspetti della trasformazione epocale dei modi e dei luoghi di lavoro, per il quale necessitano serie garanzie dei lavoratori e affidabili regole di condotta.

  • Lo stato dell’arte in Italia
    La Legge n. 81/2017 non è la sola fonte normativa del nostro ordinamento a disciplinare il diritto alla disconnessione. Difatti, molto più minuziosa e dettagliata appare la disciplina prevista nel provvedimento n. 289/2017 del Direttore Generale dell’Università degli Studi dell’Insubria[6].
    In primis, tale provvedimento definisce il diritto alla disconnessione come «il diritto di non rispondere a telefonate, e-mail  e messaggi d’ufficio e il dovere di non telefonare, di non inviare e-mail e messaggi di qualunque tipo al di fuori dell’orario di lavoro». Si tratta di una precisazione interessante e che non lascia nulla al caso. Invero, essa valuta il diritto alla disconnessione come qualcosa che va al di là al “don’t disturb” al di fuori dell’orario di lavoro, concetto che può essere invece facilmente frainteso a seconda dei diversi mezzi di comunicazione con cui il lavoratore può essere ritracciato.
    Fondamentale è citare tutti i media che il lavoratore è legittimato ad ignorare, dunque non solo le telefonate, bensì anche le e-mail, i più tradizionali sms o i più recenti sistemi di messaggistica istantanea quali Whatsapp o Telegram[7].

In secondo luogo, tale provvedimento va a tratteggiare l’altra faccia della medaglia del diritto alla disconnessione, ossia il vero e proprio dovere del datore di lavoro di non mettersi a contatto con il lavoratore durante il periodo di efficacia del “tempo della disconnessione”. Chiaramente, ci si riferisce al rapporto verticale datore di lavoro-lavoratore, ma se si vuole salvaguardare la dimensione del “privato” e del tempo “libero”, va da sé che anche le chiamate e i messaggi di colleghi possono risultare invadenti tanto quanto i tentativi di “connessione” dei superiori.
In un impianto di contiguità rispetto alle prescrizioni appena delineate si pone, poi, l’iniziativa attuata dalla Università degli Studi dell’Insubria denominata “Giorno dell’indipendenza dall’e-mail”, che fa divieto di utilizzare i sistemi di posta elettronica forniti dall’Ateneo al fine di favorire la comunicazione face to face. Il progetto si fonda sull’idea che tali strumenti possano a lungo andare pregiudicare la sfera personale del lavoratore, in quanto il “tempo  dedicato  alle  mail  è  proporzionale  alla  riduzione  del  tempo  per  pensare,  per  agire  più consapevolmente,  per  curare  le  relazioni,  per  ascoltare  i  colleghi  in  un  dialogo  interpersonale  e interprofessionale proficuo[8].
Seppur circoscritto nell’ambito dell’Ateneo dell’Insubria, di certo tale programma  fornisce uno spunto di riflessione circa il fondamento ultimo, di natura costituzionale, degli strumenti in questione.

Benché la legge 81/2017 non spicchi per chiarezza e ampiezza dei contenuti, occorre tuttavia riconoscere che il tentativo di cristallizzare il lavoro agile è stata una manna del cielo se si considera che quasi la metà del lavoro è svolto attualmente da remoto, a causa dell’emergenza sanitaria ancora in atto.
Del resto, nonostante la disciplina adottata sia molo più riduttiva rispetto all’originario disegno di legge, bisogna altresì riconoscere che essa abbia avuto origine da migliori ed encomiabili intenzioni, effettivamente mai mutate.
Lo dimostra lo  stesso  art.  18,  comma  1, affermando che la disciplina del lavoro agile è dettata «allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». Pertanto, tale regolamentazione è stata pensata allo scopo di aumentare la produttività, basandosi sull’assunto che vede l’equilibrio tra vita privata e vita professionale come elemento cardine della operatività del lavoratore[9].
Non poteva immaginarsi, di certo, che dall’emanazione della L. 81/2017 il lavoratore sarebbe stato costretto – per ragioni di salute pubblica – a fondere gli spazi della vita privata con quelli del proprio lavoro, a condividere la familiarità con la professionalità.
È chiaro che in un contesto come quello in cui – tuttora – siamo immersi, dove il punto d’arrivo è ad ogni costola tutela della salute, la garanzia del diritto alla disconnessione si sia pian piano affievolita, lasciando il passo a preoccupazioni ben più pregnanti.
Ma tale delicato periodo non deve considerarsi una scappatoia per raggirare il fondamento costituzionale del diritto alla disconnessione[10].
Mentre,  infatti,  i  tempi  di  riposo  del  lavoratore  (giornaliero,  settimanale  e  feriale)  trovano  palese riconoscimento nell’art. 36, commi 2 e 3, Cost., gli interessi ad essi sottesi possono agevolmente essere individuati[11].
Oltre a considerare il riposo come elemento funzionale allo sviluppo delle piene capacità del lavoratore, esso è fondamentale per il recupero delle energie e per conservare la dimensione relazionale tale da garantire all’uomo quella “esistenza libera e dignitosa” di cui all’art. 36,comma 1, Cost[12]. Si fa strada, insomma, una nozione di «tempo libero» che va al di là del mero dato dell’astensione lavorativa,  per  riempirsi  di  contenuti  costituzionalmente  gravidi e propedeutici al  pieno  sviluppo  della persona  nelle  molteplici  declinazioni del  suo  essere  e  del  suo  interagire  con  i  consociati[13].

Giova sottolineare che, concependo la disconnessione come strumento volto alla tutela della salute e della vita personale del lavoratore, è fondamentale concordare una certa collaborazione da parte del lavoratore medesimo, al pari degli accorgimenti richiesti in tema di sicurezza sul lavoro[14]. Certo è che obtorto collo possono essere poste a carico del datore di lavoro quelle conseguenze, pregiudizievoli per il lavoratore, che il primo non abbia avuto modo di evitare, per il semplice fatto che le stesse possano derivare da un abuso delle strumentazioni tecnologiche da parte del lavoratore nelle fasce orarie della disconnessione.
In presenza, insomma, di un riconoscimento del diritto alla disconnessione da parte del datore di lavoro, il rischio che si configuri l’iperconnessione sembra gravare in capo al lavoratore, che rifiuta di disconnettersi anche nel tempo libero.

Ci si chiede, quindi, in che termini si possa parlare di risarcibilità del danno per violazione del diritto alla disconnessione.
Laddove il datore di lavoro non rispettasse gli spazi e i tempi di riposo del proprio dipendente, è possibile invocare la tutela dell’art. 2087 c.c. nella parte in cui prevede l’obbligo del datore di lavoro “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, fondando la fattispecie del danno lavorativo[15]. Poiché il diritto alla disconnessione si configura come una più aggiornata modalità di fruizione del tempo libero, in violazione di fasce orarie, giornaliere e feriali il datore di lavoro sarà costretto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale del lavoratore a seguito del comportamento subito. Il danno non patrimoniale ricomprende non solo la mancata della fruizione dello spazio privato in sé, ma anche lo stress e le patologie derivanti dalla iperconnessione.
Differente è il caso in cui la negazione del tempo libero derivi dall’atteggiamento morboso dei colleghi. In primo luogo, non si può non menzionare una culpa in vigilando da parte del datore di lavoro che, essendo nelle condizioni di poterlo evitare, non pone in essere alcuna azione per evitare il configurarsi del fatto lesivo, in virtù del combinato disposto degli artt. 2087 e 2049 c.c. In  particolare si attribuisce una responsabilità contrattuale in capo al datore di lavoro ed una extra-contrattuale in capo ai colleghi ex artt. 2043 e 2059 c.c., per lesione di interessi giuridicamente rilevanti e dotati di certa garanzia costituzionale[16].

  • Le altre realtà europee

Esaminando il “diritto alla disconnessione” nel nostro ordinamento occorre operare un parallelismo con  la tutela del medesimo diritto in realtà diverse dalla nostra, ma allo stesso tempo affini.
Nell’ordinamento francese, il «droit  à  la  déconnexion» introdotto  dal  legislatore  nel  2016,  come anticipato dalla dottrina e come emerso dal dibattito che ha preceduto l’entrata in vigore della Loi El Khomri, ritrova il suo principale caposaldo nel dovere dell’impresa di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, garantendo i tempi di riposo dall’attività lavorativa, anche in quelle forme di lavoro, come il  telelavoro  o  il  lavoro  itinerante,  che  offrono  al  dipendente  una  forte  autonomia  organizzativa  con riguardo all’aspetto temporale della prestazione di lavoro[17].
Dunque, il legislatore chiarisce che il diritto alla disconnessione, così come la regolazione dell’uso di meccanismi digitali, ha come obiettivo «d’assurer le respect des temps de repos et de congé ainsi que de la vie personnelle et familiale»[18]. Vale la pena chiarire certamente l’ambito di applicazione della disciplina del diritto alla disconnessione L’ordinamento francese si caratterizza, invero, per l’introduzione di una scienza che, seppur rivolta principalmente ad imprese al di sopra di una certa soglia dimensionale (almeno cinquanta dipendenti), può benissimo trovare applicazione generale a prescindere dalle concrete modalità di lavoro. A questa disciplina si accompagna una conforme previsione che opera, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, al fine di regolare una precisa modalità di lavoro stabilita nell’ordinamento francese, e cioè quella dei forfait en jours (art. 8 Loi Travail)[19].
Facilmente intuibile l’importanza che assume nell’ordinamento francese l’adeguamento del diritto del lavoro all’era digitale[20].
Per i francesi, dunque, la reale disconnessione dalla attività lavorativa sarà possibile solo nel momento in cui il determinarsi del carico di lavoro sia compatibile con ritmi sostenibili che rispettino i tempi necessari di relax[21].

Anche la Germania accoglie a braccia aperte la sacralità del tempo libero, tant’è che con un unico termine – “Feierabendi tedeschi si riferiscono sia alla fine della giornata lavorativa che all’atto di staccare completamente la spina da ogni tipo di attività. Invero, quando nel 2003 l’Unione Europea ha deciso di regolamentare i tempi di lavoro e di riposo obbligatori, la normativa di recepimento adottata dal Parlamento tedesco è stata quella che ha riscontrato il minor numero di eccezioni[22].
Tuttavia, in Germania non esiste ancora una vera e propria legge specifica che preveda la tutela del diritto alla disconnessione, anche se alcune importanti aziende affermate in tutto il mondo hanno imposto volontariamente delle restrizioni sui tempi di contatto da parte dei manager fuori dall’orario di lavoro[23]. Così, anche il Ministero del Lavoro tedesco ha incoraggiato molteplici datori di lavoro a seguire l’esempio, vietando ai propri funzionari di sovra-caricare i lavoratori di lavoro extra da svolgere al di fuori del contesto lavorativo, nonché impedendo ai dirigenti di intraprendere azioni disciplinari sui sottoposti che scelgono di spegne il cellulare per godere del proprio tempo libero[24].

Il Parlamento Europeo, specie di recente, si è reso conto di come non sia chiaro il confine – che appare sottile ma che in relatà non lo è – tra lo smart working e il rispetto della vita privata.
Il diritto alla disconnessione al momento non è definito da una legge europea, tuttavia il 21 gennaio 2021 il Parlamento Europeo ha chiesto alla Commissione Europea di proporre una legge che consenta ai lavoratori di disconnettersi al di fuori dell’orario lavorativo senza conseguenze e che stabilisca degli standard di base da rispettare per il lavoro da remoto. Il Parlamento ha avuto premura di evidenziare che le ostruzioni al tempo di riposo e l’estensione delle ore lavorative rischiano di provocare straordinari non pagati e un impatto negativo sulla salute, sul life-balance tra vita privata e professionale e sul riposo. Ha quindi chiesto che i datori di lavoro non possano chiedere ai propri dipendenti di essere disponibili al di fuori del loro orario lavorativo e che i collaboratori evitino di contattare i colleghi per motivi di lavoro quando non sono disponibili. Altra esigenza fatta presente dal Parlamento è stata quella secondo cui gli Stati membri assicurino ai lavoratori la possibilità di invocare il diritto alla disconnessione con la massima protezione e la difesa da ripercussioni negative, oltre a mettere in campo dei meccanismi per il reclamo e le violazioni al diritto alla disconnessione. L’apprendimento da remoto e la formazione dovrebbero essere considerati come attività lavorative e non dovrebbero essere svolti nell’orario di riposo o nei giorni liberi senza una compensazione adeguata[25].

  • Considerazioni conclusive

La tematica della disconnessione nel diritto del lavoro venne definita da Jean-Emmanuel Ray come «une veille nouvelle question, qui ne se limite plus aux cadres en forfait jours, et déborde largement le droit du travail»[26].

La riflessione sulla necessità di un diritto alla disconnessione precede, quindi, la più recente ondata di innovazione tecnologica (cd. digitalizzazione del lavoro). Ma è solo con quest’ultima, tuttavia, che si creano le basi per il suo primo riconoscimento giuridico: dapprima nel cd. diritto delle relazioni industriali[27] e, poi, tra le disposizioni di legge francesi ed italiane, seppur, come si è visto, con ambiti applicativi differenti tra i due ordinamenti giuridici.

Oltre che sul piano giuridico, la sfida per il riconoscimento del diritto de quo riguarda il campo sociale, in quanto risulta necessario ideare specifici percorsi di formazione per i lavoratori onde consentirgli di acquisire  competenze per gestire una vita interconnessa.

Volendo definire la natura giuridica del diritto in questione, proprio in riferimento ai due modelli esaminati (Francia e Italia), si può validamente affermare che la disconnessione più che mero divieto imposto ai datori di lavoro sembra essere un diritto soggettivo dei lavoratori. Tanto nel contesto francese quanto in quello italiano, invero, alle parti è rimessa la definizione delle concrete modalità di attuazione del diritto alla disconnessione che devono essere definite all’interno di accordi collettivi (Francia) o individuali (Italia), o, limitatamente al caso francese, in casi eccezionali rimessi alla determinazione unilaterale del datore di lavoro. In effetti, la rimessione alle parti della determinazione delle modalità attuative del diritto dimostra che la disconnessione non configura un mero divieto ma implica una condotta attiva  e quindi una obbligazione di tipo positivo che si sostanzia nella ricerca delle migliori soluzioni per assicurare la disconnessione. In particolare, si tratterebbe di una obbligazione di tipo organizzativo e gestionale rientrante nel più largo genus degli obblighi esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro[28] che il datore è tenuto a rispettare.

E, dunque, il diritto alla disconnessione, nella genericità delle previsioni normative, mostra le potenzialità per configurarsi come un diritto di nuova generazione, ma potrà effettivamente configurarsi tale soltanto a seguito di un intervento normativo “meno timido”, che sia in grado di definire con auspicabile previsioni le circostanze di tempo, di carico di lavoro e di luogo di lavoro, restringendo quindi il campo di discrezionalità, allo stato, posto in capo alle parti; discrezionalità che spesso si traduce in abuso in ragione del fisiologico disequilibrio di forza contrattuale delle parti, datore e lavoratore.


[1] M. RUSSO, Esiste il diritto alla disconnessione? Qualche spunto di riflessione alla ricerca di un equilibrio tra tecnologia, lavoro e vita privata, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.3, 1 settembre 2020, p. 682

[2] M. LAI, Innovazione tecnologica e riposo minimo giornaliero , in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc.3, 1 settembre 2020, p. 662.

[3] M. TIRABOSCHI, Persona e lavoro tra tutele e mercato. Per una nuova ontologia del lavoro nel discorso giuslavoristico, ADAPT University Press, 2019, p. 133

[4] R. PERRONE, Il diritto alla disconnessione quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, in Federalismi.it, n. 24/2017, p.9.

[5] D. POLETTI, Il cd. diritto alla disconnessione nel contesto dei “diritti digitali”, in Resp. Civ. e prev., 2014, pp. 13-14.

[6] R. PERRONE, Il diritto alla disconnessione quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, cit., p. 11.

[7] Ibidem, p. 10.

[8] Il “Giorno dell’indipendenza dall’e-mail” era stato già proposto nel 2016, con il D.D.G. 983/2016 al fine di favorire strumenti alternativi di comunicazione.

[9] D. POLETTI, Il cd. diritto alla disconnessione, cit., p. 16.

[10] In R. DEL PUNTA, I diritti sociali fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, in G. VETTORI (a cura di), Carta europea e diritti dei privati, Padova, 2002, p. 192 si legge: «Non è per solidarietà che il datore di lavoro non può far lavorare qualcuno  per  18  ore  al  giorno  o  non  può  licenziarlo  senza  giustificato  motivo:  è  per  rispettare,  anche  dentro l’impresa, la sua libertà e dignità di lavoratore, ergo di cittadino».

[11] A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur. Treccani, XII, Roma, 1989, pp. 16-17.

[12] M. LUCIANI, Articoli  35-47,  in G.  NEPPI  MODONA(a  cura  di) Stato  della Costituzione, Milano, 1995, p. 151.

[13] A.OCCHINO, Il Tempo libero nel diritto del lavoro, Torino, 2010, p. 21 ss.

[14] R. PERRONE, Il diritto alla disconnessione quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, cit., p. 14 ss.

[15] S. APRILE, Art. 2087, in G. AMOROSO –V. DI CERBO – A. MARESCA (a cura di), Diritto del lavoro, I, Milano, 2017, pp. 762-763.

[16] Cass. Civ. Sez. Lav., sent. n. 118093 del 25 luglio 2013. Cfr. anche V. CICCARELLI, Il risarcimento del danno non patrimoniale nel mobbing cd. orizzontale: attenuante soggettiva del lavoratore e responsabilità datoriale, in Riv. It. med. leg. e dir. In campo sanitario, 2014, p. 726 ss.

[17] G. LOISEU, L a déconnexion, bservations sur la régulation du travail dans le nouvel espace-temps des enterprises connectées in Droit social, 2017, p. 467.

[18] Art. L2242-8, n. 7, del Code du Travail.

[19] R. PERRONE, Il diritto alla disconnessione quale strumento di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, cit., p. 7 ss.

[20]  Per un approfondimento, si veda L. MOREL, Le droit à la déconnexion en droit français. La question de l’effectivité du droit au repos à l’ère du numérique, in LLI, 2017, n. 2, p. 3.

[21] E. DAGNINO, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc. 4, 2017, p. 1024.

[22] G. PACINO, Il diritto alla disconnessione, la Germania valuta il dietrofront, in Cambiamento organizzativo, Marzo 2020, reperubile online su www.paroledimanagement.it

[23] S. PISANO, Il diritto alla disconnessione, in Risorse Umane HR, Gennaio 2017, reperibile online su www.risorseumanehr.com

[24] EUROPEA, Gli europei non hanno il diritto di disconnettersi dal lavoro, in Linkiesta, Luglio 2020, reperibile online su www.linkiesta.it

[25] Il Parlamento Europeo vuole garantire il diritto alla disconnessione, in Attualità Parlamento Europeo – Società, Gennaio 2021, reperibile online su www.europarl.europa.eu

[26] J.-E. RAY, Grande accélération et droit à la déconnexion, in DS, 2016, n. 11, p. 912.

[27] E. DAGNINO, Il Rapport Mettling sulla trasformazione digitale del lavoro: spunti di riflessione e di metodo, in L. Casano, G. Imperatori, C. Tourres (a cura di), Loi travail: prima analisi e lettura. Una tappa verso lo “Statuto dei lavori” di Marco Biagi?, ADAPT University Press, 2016, pp. 91-94.

[28] Secondo J.-E. RAY, Grande accélération et droit à la déconnexion, cit., 914, «avant d’être une question juridique de santé-sécurité […] est d’abord un problème de qualité de vie au travail et de qualité du travail tout court».