Accertamenti previdenziali e imprese agricole

di Simone Caponetti

 

È legittimo il sistema di contribuzione previdenziale delle imprese agricole previsto dall’art. 8, c. 3°, del decreto legislativo 11/08/1993, n. 375, come sostituito dall’art. 9-ter, c. 3°, quinto periodo, del decreto-legge 01/10/1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28/11/1996, n. 608. La Corte costituzionale, infatti, nega il denunciato contrasto con gli articoli  3, 38, 76 e 77 della Costituzione, a seguito dell’ordinanza della Corte d’appello di Roma, sezione lavoro e previdenza, nella parte in cui tale sistema prevede che, in caso di mancata individuazione dei lavoratori occupati e delle relative giornate di occupazione, l’Inps proceda all’imposizione di contributi sulla base di una stima tecnica, effettuata a mezzo ispezione, per determinare il numero delle giornate di lavoro occorrenti in relazione ad una serie specifica di parametri, se questa conduca a risultati significativamente superiori a quelli dichiarati dall’azienda.

In particolare, la Consulta per la questione relativa all’art. 3 cost. ha statuito che il giudice a quo, nel lamentare che il criterio accertativo di cui al denunciato art. 8, comma 3, «conduce al risultato di imporre pesi disuguali a soggetti che si trovano in condizioni di parità o pesi uguali a soggetti che non sono in uguali condizioni», in sostanza, riprendendo letteralmente il passaggio della sentenza della Corte cost. n. 65 del 1962. In tale inciso la Corte sviluppò la motivazione circa il contrasto con l’art. 3 Cost. dell’accertamento dei contributi agricoli fondato sul criterio presuntivo cosiddetto dell’ettaro-coltura. A proposito di tale pronuncia, però, va rilevato che la violazione, sia dell’art. 76 Cost. (per contrasto con il principio che i contributi dovevano essere stabiliti «sulla base dell’impiego di mano d’opera per ogni azienda agricola»), sia dell’art. 3 Cost. era stata affermata dalla Consulta in ragione del fatto che il criterio dell’ettaro-coltura, applicandosi «rispetto alle zone», non era idoneo ad accertare l’impiego di manodopera «rispetto alle singole aziende, considerate nella loro peculiare struttura e organizzazione» (punto 8. del Considerato in diritto). L’accertamento previdenziale disciplinato dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 si fonda invece, sull’utilizzazione degli esiti della stima tecnica prevista dal comma 2 dello stesso articolo. Con essa l’INPS, sulla base di quanto rilevato «a mezzo visita ispettiva» dell’azienda, ne determina il fabbisogno di manodopera in relazione a elementi distintivi, quali sono l’ordinamento colturale dei terreni, il bestiame allevato, i sistemi di lavorazione praticati da ciascuna azienda, anche sulla scorta di consuetudini locali. Pertanto, diversamente dall’accertamento in base al criterio c.d. dell’ettaro-coltura oggetto della sentenza n. 65 del 1962, l’accertamento previdenziale di cui all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 ha riguardo al fabbisogno di giornate lavorative di ciascuna singola specifica azienda agricola, considerata nella sua peculiare struttura e nell’organizzazione che la caratterizza. Ciò esclude, in tutta evidenza, che dall’applicazione di tale accertamento possa discendere la lamentata conseguenza di imporre una contribuzione diversa a datori di lavoro che si trovano nella stessa condizione o una contribuzione uguale a datori di lavoro che si trovano in condizioni diverse. Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità si è di recente espressa nel senso che la questione dell’imputazione soggettiva dei contributi non rileva nel rapporto contributivo tra datore di lavoro agricolo e INPS (Corte di cassazione, sezione sesta-lavoro, ordinanza 7 novembre 2018, n. 28312). Questa affermazione trova ragionevole giustificazione nelle obiettive difficoltà di accertamento dei rapporti di lavoro in agricoltura e dei relativi contributi, poiché il settore agricolo è «caratterizzato dall’essere l’attività lavorativa spesso discontinua e prestata in favore di una pluralità di datori di lavoro nel corso dell’anno» (Corte Cost., sentenza n. 192 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto). Da queste considerazioni emerge la ragionevolezza di una disposizione che appare chiaramente diretta a evitare l’evasione contributiva nel settore agricolo. Peraltro, l’imposizione di contributi previdenziali in assenza della previa individuazione dei lavoratori utilizzati, secondo quanto previsto dal denunciato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 375 del 1993 non converte di fatto l’obbligazione contributiva né in una sanzione, come asserito dal rimettente, né in un tributo, come sostenuto, in via alternativa, dalla parte costituita.

Sulla questione inerente l’art. 38 cost., l’imposizione al datore di lavoro, prevista dal denunciato art. 8, comma 3, dei contributi per il maggior numero di giornate determinate mediante la stima tecnica di cui al comma 2 dello stesso articolo (e sulla base delle retribuzioni medie per l’anno) è pienamente compatibile con la garanzia della tutela previdenziale assicurata dal parametro costituzionale. Tale imposizione, infatti, si traduce in un incremento dell’apporto finanziario al sistema previdenziale e dunque non pregiudica la tutela dei lavoratori, ma comporta un rafforzamento della copertura che gli enti previdenziali possono assicurare agli stessi.

Per le questioni sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., invece, la Consulta rileva che il parametro dell’art. 77 Cost. è inconferente (con la conseguente non fondatezza della relativa questione; ex multis, Corte cost. sentenze n. 127 del 2017 e n. 250 del 2016). Altresì, con riguardo al parametro dell’art. 76 Cost., si deve osservare che il comma 3 dell’art. 8 del d.lgs. n. 375 del 1993 è censurato dal rimettente non nel suo testo originario, adottato dal Governo nell’esercizio della delega a esso conferita dall’art. 3, comma 1, lettera aa), della legge n. 421 del 1992, ma nel testo (interamente) sostituito dall’art. 9-ter, comma 3, quinto periodo, del d.l. n. 510 del 1996.

Sentenza n. 121 anno 2019 PDF