di Elena Brunetto
L’ACQUISIZIONE SANANTE: EVOLUZIONE E PROBLEMI DI RIPARTO DI GIURISDIZIONE 1
1.1 L’ordinamento euro-unitario e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. 4
1.2. L’approdo all’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001. 5
1.3 I dubbi comunitari e l’intervento della Corte costituzionale. 6
1.4 L’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001. 7
1.5 I problemi applicativi dell’art. 42 bis T.U.Espr. 10
2. La tutela giurisdizionale in materia espropriativa. 11
1. Dall’occupazione appropriativa all’acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001
Acquisizione sanante e riparto di giurisdizione integrano i termini di un binomio a tutt’oggi controverso.
Fino all’introduzione dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001, le soluzioni volte a porre rimedio al problema di offrire una tutela risarcitoria al privato colpito dalle conseguenze dell’occupazione illegittima di un bene immobile da parte della P.A., che lo avesse usato sine titulo per la realizzazione di un’opera pubblica, sono state di origine pretoria.
L’espropriazione per pubblica utilità, consistendo nella possibilità di auferre rem privati, costituisce la limitazione più incisiva che la proprietà privata conosca, consentendo la prevalenza dell’interesse generale rispetto al diritto dominicale del singolo[1].
Il fondamento dell’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità è stato individuato nella funzione sociale della proprietà: “l’interesse pubblico che presiede il fenomeno espropriativo non opera come mero limite esterno del diritto di proprietà ma arriva a costituire parte rilevante del suo contenuto”[2].
Con l’avvento della Costituzione il diritto di proprietà ha assunto rango costituzionale all’art. 42 Cost. che, ai commi 2 e 3, recita: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.
Dall’ordinamento costituzionale si evincono pertanto due principi fondamentali dell’istituto dell’espropriazione: la riserva di legge[3] e l’obbligo di indennizzo.
Non è da escludere che il collocamento della disposizione costituzionale nel Titolo III della Parte I, nell’ambito dei rapporti economici[4], abbia influenzato l’orientamento manifestato in seguito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di occupazione appropriativa.
L’occupazione appropriativa, o accessione invertita[5], è stata configurata come nuova e autonoma modalità di acquisto della proprietà nella pronuncia della Suprema Corte n. 1464 del 1983[6]. La proprietà del suolo accede alla proprietà dell’opera pubblica su di esso realizzata, quale conseguenza dell’irreversibile trasformazione del fondo, comportando l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo alla Pubblica Amministrazione[7].
L’opera pubblica costituisce, pertanto, un nuovo bene immobile che utilizza e incorpora un preesistente bene privato, attraendolo nella sua disciplina giuridica, facendogli perdere la sua connotazione originaria e imprimendogli la qualificazione pubblica che pertiene all’opera. L’eventuale decreto di espropriazione che dovesse intervenire dopo sarebbe inutiliter datum, in quanto l’acquisto è già intervenuto per altra causa.
L’interesse alla salvaguardia dell’opera prevale sull’interesse del proprietario, che si ritiene adeguatamente indennizzato applicando la tutela risarcitoria di cui all’art. 2043 c.c.[8].
Tale orientamento ha riscosso molteplici adesioni da parte della successiva giurisprudenza nonché la ratifica della Corte costituzionale, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 c.c. in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., chiarendo che l’effetto traslativo della proprietà deriva non tanto dal fatto illecito dell’apprensione reale, bensì dalla totale alterazione dei connotati del bene e dalla sua sopravvenuta inservibilità per il privato[9].
Il nuovo istituto, così come coniato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha, però, suscitato numerose perplessità.
In particolare, sono sorti dubbi sul richiamo alla normativa civilistica per la sostanziale istituzione di un nuovo modo d’acquisto della proprietà privata: infatti gli artt. 934-938 c.c. sono disposizioni eccezionali, deputate a regolamentare i rapporti tra privati, estranei a qualsivoglia implicazione pubblicistica[10].
Un altro profilo di criticità ha investito la compatibilità con l’art. 42, comma 3, Cost., che consente il fenomeno ablatorio nei soli casi preveduti dalla legge. Secondo parte della dottrina, l’occupazione appropriativa contrasta, pertanto, con il principio di legalità, violando altresì i principi di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza dell’agere publicum, consacrati dalla legge sul procedimento e cristallizzati nell’obbligo di motivazione dei provvedimenti, nella limitazione temporale del procedimento e nelle forme di partecipazione dei privati[11].
Ancora, la giurisprudenza ha escluso dall’ambito applicativo dell’occupazione appropriativa le ipotesi di mancanza ab initio o di annullamento successivo con efficacia ex tunc della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera[12].
Sul punto, chiarificatrice è la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per cui “la preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera è “la guarentigia prima e fondamentale del cittadino e la pietra angolare su cui deve poggiare, per legge, l’espropriazione per pubblico interesse” (S.U. 2435-84): e come, in sua presenza, la successiva costruzione dell’opera, pur non assistita da un titolo ablatorio, dà luogo per un verso all’occupazione acquisitiva e per altro verso ad un illecito istantaneo, giacché l’accennato vincolo di scopo rende giuridicamente irreversibile (al di là della irreversibilità insita nella materiale manipolazione) la trasformazione del fondo e nel contempo esclude che vi sia una antigiuridicità da far cessare, come è carattere essenziale dell’illecito permanente, esistendo, al contrario, il diritto-dovere dell’amministrazione di mantenere l’opera dichiarata di pubblica utilità (sent. 6425-84); 3243-79); così, in assenza di quella previa e fondamentale dichiarazione, non si produrrà il fenomeno dell’occupazione acquisitiva (S.U. 4477-92) né potrà negarsi il carattere permanente dell’illecito (S.U. 3963-89; 6954-88), con evidenti implicazioni sia in punto di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal protrarsi dell’illecita occupazione (S.U. 3963-89), sia in punto di esperibilità delle azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà (sent. ult. cit., nonché S.U. 2435-84; 4477-92)”[13].
Pertanto, nell’occupazione acquisitiva veniva richiesto quale elemento costitutivo la dichiarazione di pubblica utilità, a fronte della quale, in presenza degli altri presupposti previsti dalla giurisprudenza, si configurava la perdita del diritto del privato con configurazione di un illecito istantaneo[14]. Nell’occupazione usurpativa, al contrario, mancando il collegamento tra la dichiarazione di pubblica utilità e la realizzazione dell’opera pubblica, la condotta della P.A. si traduce in attività meramente lesiva del diritto dominicale integrando l’ipotesi di illecito extracontrattuale permanente con dirette conseguenze in ordine al termine prescrizionale[15].
Secondo un consistente indirizzo giurisprudenziale l’acquisizione del bene alla mano pubblica non consegue automaticamente alla sua irreversibile trasformazione, ma a una scelta del proprietario usurpato che, rinunciando implicitamente al diritto dominicale, opta per una tutela integralmente risarcitoria in luogo della possibile tutela restitutoria[16].
Il saggio si propone di vagliare gli antichi problemi, anche nell’ottica di innovative soluzioni, che, promuovendo il principio di effettività e prevedibilità delle tutele, contemperino il pubblico interesse con le mai trascurabili ragioni dei privati.
1.1 L’ordinamento euro-unitario e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo
Nell’attuale sistema ordinamentale multilivello, con la costituzionalizzazione dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex art. 117 Cost., l’ordinamento italiano ha subito un forte condizionamento dal diritto unionale e dalle sentenze della CEDU[17].
La Carta di Nizza del 7 dicembre del 2000 colloca il diritto di proprietà nell’ambito dei diritti fondamentali dell’uomo nel capitolo dedicato alle libertà[18].
Inoltre, l’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali recita: “1. Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
2. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
In questo scenario, nell’esigenza di tutelare le posizioni del privato che subisca forme di espropriazione indiretta, la Corte EDU ha richiamato i giudici nazionali al rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e in particolare dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla predetta Convenzione.
Segnatamente, nelle sentenze “Belvedere Albergheria S.r.l. c. Italia”[19] e “Carbonara e Ventura c. Italia”[20] si afferma l’incompatibilità dell’occupazione appropriativa con il principio di legalità, in quanto “le principe de légalité signifie l’existence de normes de droit interne suffisamment accessibles, précises et prévisibles (arrêt Hentrich c. France du 22 septembre 1994, série A no 296-A, pp. 19-20, § 42, et arrêt Lithgow et autres c. Royaume-Uni du 8 juillet 1986, série A no 102, p. 47, § 110).
58. A ce propos, la Cour observe que la jurisprudence en matière d’expropriation indirecte a connu une évolution qui a conduit à des applications contradictoires (paragraphes 22-36 ci-dessus), ce qui pourrait aboutir à un résultat imprévisible ou arbitraire et priver les intéressés d’une protection efficace de leurs droits et, par conséquent, serait incompatible avec le principe de légalité”[21].
1.2. L’approdo all’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001
Per rispondere all’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alle obiezioni della Corte europea dei diritti dell’uomo è stato adottato il d.P.R. n. 327 del 2001 che ha inserito l’istituto dell’acquisizione sanante[22] all’art. 43, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”[23].
Questo articolo disciplinava l’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, consentendo all’autorità che lo avesse utilizzato, in assenza di un valido ed efficace provvedimento dichiarativo di pubblica utilità o di esproprio, di disporre l’acquisizione della res al proprio patrimonio indisponibile, con l’obbligo di risarcire il danno al proprietario. La disposizione prevedeva, altresì, la facoltà della pubblica amministrazione di chiedere al giudice amministrativo la condanna al risarcimento del danno con l’esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo[24].
Stante l’incidenza dell’espropriazione sul diritto di proprietà, nell’atto di acquisizione doveva emergere la natura eccezionale del potere acquisitivo mediante una motivazione esauriente. Quest’ultima non è solo necessaria ma deve essere, altresì, adeguata e sufficiente al fine di consentire al privato di conoscere le ragioni sottese al procedimento espropriativo e al terzo eventualmente leso di poter impugnare il provvedimento[25].
Nella redazione del T.U. Espr. il disposto del suddetto articolo riceveva, altresì, l’approvazione dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato che, con il parere n. 4/2001, dava atto del fatto che “per i casi in cui l’opera è realizzata in assenza di un valido decreto di esproprio, e al fine di adeguare l’ordinamento italiano alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’art. 43 attribuisce all’amministrazione il potere di acquisire l’area al proprio patrimonio indisponibile e all’espropriato il diritto di conseguire il risarcimento del danno, salvo il sindacato in sede giurisdizionale del provvedimento di acquisizione. Si introduce così nel sistema un istituto che consente all’Amministrazione di acquisire, mediante un titolo giuridico, l’opera pubblica in un primo tempo realizzata in assenza del valido decreto di esproprio: l’illecito aquiliano (che si ha nel caso di occupazione senza titolo) viene meno al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione” [26].
1.3 I dubbi comunitari e l’intervento della Corte costituzionale
Nonostante il disposto dell’art. 43 T.U. Espr. sia stato adottato per adeguare l’ordinamento interno ai principi del diritto euro-unitario, non si sono fatte attendere le perplessità sull’ammissibilità di questo istituto a livello sovranazionale in quanto, secondo i giudici di Strasburgo, la mera previsione legislativa non elide la sostanziale illegalità di un meccanismo di acquisizione della proprietà sulla base di un fatto illecito[27].
Inoltre, la Corte Edu ha censurato i criteri di liquidazione delle indennità riparatorie riconosciute a favore delle vittime dell’espropriazione per pubblica utilità dai giudici nazionali in misura ritenuta insufficiente[28].
La sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010[29] ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, d.P.R. n. 327 del 2001 con riferimento all’art. 76 Cost. per il superamento dei limiti della legge delega n. 50 del 1999, recante “Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”[30].
Invero, l’art. 7, comma 1, legge delega n. 50 del 1999 aveva conferito al legislatore delegato il potere di provvedere al mero coordinamento formale delle norme legislative e regolamentari vigenti nelle materie elencate[31].
La Consulta ha, dunque, preferito accogliere il profilo formale dell’incostituzionalità per eccesso di delega piuttosto che pronunciarsi sulle corpose censure di incostituzionalità mosse alla norma in esame, non mancando però di osservare come l’articolo in oggetto avesse assimilato le figure dell’occupazione appropriativa e usurpativa, con conseguente incompatibilità con i principi contenuti nella CEDU e segnatamente con il principio di legalità di cui al Primo Protocollo Addizionale CEDU, con riferimento all’art. 117 Cost.[32]
1.4 L’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001
Nel tentativo di conformarsi alle posizioni espresse della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché per sfuggire alle censure di illegittimità costituzionale che hanno colpito l’art. 43, il legislatore ha introdotto con l’art. 34 d.l. n. 98 del 2011, convertito in l. 111 del 2011, nel corpo del d.P.R. n. 327 del 2001 l’art. 42 bis[33], rubricato allo stesso modo dell’abrogato art. 43 “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”.
All’identica rubrica si accompagna anche l’identità di funzione, ossia la disciplina dei beni modificati in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità che siano utilizzati “per scopi di interesse pubblico” oppure “per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata” oppure destinati a essere attribuiti “per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati”[34].
In queste ipotesi è consentito all’autorità utilizzatrice ovvero a quella che ha occupato il terreno di disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al proprio patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale forfettariamente liquidato nella misura del 10 per cento (comma 1) o del 20 per cento del valore venale del bene (comma 2).
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che il nuovo disposto dell’art. 42 bis fosse conforme alle disposizioni della CEDU e ai dictat della Corte di Strasburgo, in quanto “Il medesimo Comitato dei Ministri ha manifestato il proprio “welcoming” per le disposizioni contenute nell’art. 43, col compiacimento in sede europea per l’elaborazione di un istituto che (come ha già rilevato questo Consiglio) ha consentito una “legale via d’uscita”, nei casi in cui fosse riscontrabile un’opera pubblica in assenza del valido ed efficace decreto di esproprio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentt. n. 5830 del 2007; n. 1552 del 2008).
Per di più, il provvedimento ora disciplinato dall’art. 42 bis (che pure consente la “legale via d’uscita con l’esercizio di un potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto) comporta la spettanza – al soggetto che perde il diritto di proprietà – di un importo a titolo di indennizzo, nella misura superiore del 10% rispetto a quanto avrebbe avuto diritto ad ottenere a titolo di risarcimento del danno (sia sulla base della prassi nazionale rivelatasi in contrasto con la Cedu, sia nel caso di applicazione dell’art. 43, poi dichiarato incostituzionale per eccesso di delega)”[35].
In definitiva, la nuova legale via d’uscita alle occupazioni sine titulo individuata dal Consiglio di Stato consiste nel pieno ristoro, anche in termini economici, per il soggetto espropriato.
Sul nuovo disposto si è pronunciata successivamente la Corte costituzionale, dichiarando che la novellata disposizione dell’art. 42 bis si distingue dal previgente art. 43 sotto molteplici aspetti che la rendono compatibile non solo con gli artt. 3, 24, 97, 113 Cost., nonché con gli artt. 42 e 111 Cost., ma anche con l’art. 6 Cedu e con l’art. 1 del Primo Protocollo Cedu, conformemente all’art. 117 Cost.[36].
In particolare, la Consulta si è soffermata sulla necessità di uno specifico obbligo motivazionale, da intendersi nel senso che “l’adozione dell’atto è consentita – una volta escluse, all’esito di un’effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita – solo quando non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà”[37].
A seguito della pronuncia della Corte costituzionale, si è espresso il Consiglio di Stato, consolidando l’orientamento secondo il quale il nuovo istituto disciplinato dall’art. 42 bis ha eliminato la “defaillance structurelle” lamentata dalla Corte EDU[38].
1.5 I problemi applicativi dell’art. 42 bis T.U.Espr.
La costante e complessa ricerca di un punto di equilibrio tra le ragioni del pubblico e quelle del privato ha subito un’accelerazione in virtù delle rilevanti influenze sovranazionali[39].
L’incertezza dell’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità, sia per quanto riguarda la determinazione del quantum indennitario, sia per quanto attiene alle modalità di esecuzione, è determinata dal dettato della nostra Carta costituzionale, che lascia ampio margine di intervento al legislatore per limitare il diritto di proprietà al fine di garantirne la funzione sociale. Pertanto, il fenomeno delle occupazioni senza titolo ha raggiunto nella prassi una dimensione preoccupante. L’utilizzo delle occupazioni d’urgenza in materia sproporzionata rispetto alla ratio emergenziale dell’istituto da parte delle amministrazioni esproprianti lascia vivo il timore che l’art. 42 bis si trasformi in una “facile via d’uscita per le amministrazioni negligenti, frustrando le legittime aspirazioni dei privati alla restituzione del bene senza delle idonee sottostanti ragioni di interesse pubblico”[40].
Le pubbliche amministrazioni dovrebbero astenersi dall’utilizzare lo strumento di cui all’art. 42 bis T.U. Espr. oltre i casi di straordinaria eccezionalità previsti dalla legge, anche al fine di evitare ulteriori condanne da parte della Corte di Strasburgo.
2. La tutela giurisdizionale in materia espropriativa
La distinzione tra occupazione appropriativa e occupazione usurpativa aveva implicazioni anche in ordine all’individuazione dell’autorità dotata di giurisdizione.
Invero, la presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, quantunque viziata, consentiva di ricondurre il comportamento materiale dell’amministrazione all’esercizio di un potere amministrativo e la relativa controversia ricadeva nella giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 34 D.lgs. n. 80 del 1998[41].
Al contrario, in caso di occupazione usurpativa, la lesione del diritto di proprietà era considerata conseguenza di un mero comportamento della Pubblica Amministrazione avulso dall’esercizio di poteri pubblici e, quindi, ricadente nella giurisdizione del giudice ordinario[42].
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3267 del 2004, aveva sottolineato che “In sintesi, esiste un rapporto di necessaria implicazione tra una efficace dichiarazione di pubblica utilità e la configurabilità di un’opera pubblica. Non può aversi quest’ultima se manca la prima. Pertanto, in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in ragione della quale è stata disposta l’occupazione di un fondo, non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un fatto illecito generatore di danno, che esula dalla previsione dell’art. 34 del L.vo n. 80 del 1998, onde non è ravvisabile la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ivi contemplata. E non è ravvisabile neppure la giurisdizione generale di legittimità dello stesso giudice, in quanto nell’occupazione usurpativa non sono configurabili situazioni giuridiche aventi consistenza di interessi legittimi, bensì di diritto soggettivo (quando si tratti di azioni restitutorie o risarcitorie correlate al diritto di proprietà), oppure situazioni possessorie la cui tutela è demandata al giudice ordinario in assenza di norme che ne affidino la cognizione ad altro giudice”[43].
Secondo tale assetto, veniva traferita la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in ragione di blocchi di materie, senza che assumesse rilievo la posizione di interesse legittimo o di diritto soggettivo, ad eccezione delle ipotesi di mere attività materiali[44].
Incertezze sono emerse in ipotesi “di confine”: non solo in ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità già adottata e successivamente annullata dal giudice amministrativo o dall’Amministrazione stessa in via di autotutela[45]; ma anche in caso di mancata indicazione dei termini finali dell’espropriazione e dei lavori nelle dichiarazioni di pubblica utilità o in ipotesi di cd. sconfinamento[46].
Come è noto, la Consulta è intervenuta nel 2004 per dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, D.lgs. n. 80 del 1998, così come sostituito dall’art. 7, lett. b), della l. n. 205 del 2000, nella parte in cui prevedeva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi per oggetto “gli atti, i provvedimenti e i comportamenti”, anziché “gli atti e i provvedimenti”[47]. Senonché, dopo l’annullamento del predetto art. 34 D.lgs. n. 80 del 1998, rimaneva in vigore l’art. 53, comma 1, T.U.Espr., del tutto sovrapponibile al disposto censurato, per cui “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico”.
È nuovamente intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza n. 191 del 2006, ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 53 “nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle p.a. e dei soggetti ad esse equiparati” non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente, all’esercizio di un pubblico potere”[48].
In tale statuizione, la Corte rafforza l’idea che la giurisdizione ordinaria ha perso una larga fetta di contenzioso in materia espropriativa, in quanto “nelle ipotesi in cui i comportamenti causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell’opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione”[49].
Le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito che “rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto dà luogo ad una controversia riconducibile in parte direttamente e in parte mediatamente ad un provvedimento amministrativo, la domanda di risarcimento per i danni che si pretendono conseguiti ad una occupazione iniziata, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d’urgenza e proseguita anche dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità”[50].
In materia di occupazione usurpativa, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto quanto segue: “L’occupazione di aree al di là dei confini segnati dal decreto di esproprio (c.d. sconfinamento) rappresenta non esercizio di pubblico potere, ma attività di puro fatto (c.d. occupazione usurpativa) posta in essere in carenza assoluta di potere, che integra un illecito comune a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo e non diverso da quello che potrebbe venire commesso da un privato che leda diritti dei terzi, onde l’azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario”[51].
Alla luce del disposto dell’art. 42 bis[52], una parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto superata la distinzione tra occupazione acquisitiva e usurpativa in materia di riparto di giurisdizione, in quanto entrambe le fattispecie possono essere fatte ricadere nella figura dell’atto illecito ascrivibile in capo alla Pubblica Amministrazione espropriante e consistente nell’occupazione di un bene immobile sine titulo[53]. Tale superamento è giustificato, altresì, alla luce dello ius superveniens rappresentato dall’art. 53, d.P.R. n. 327 del 2001, per cui “1. La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo.
2. Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”[54].
La norma rinvia quindi all’art. 133, comma 1, lett. f) e g), D.lgs. n. 104 del 2010, per cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “f) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa;
g) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”[55].
All’indomani dell’entrata in vigore della nuova disposizione, è intervenuto il TAR Sicilia prevedendo che “delle due l’una, o si ritiene che il legislatore abbia utilizzato l’espressione “indennizzo” del tutto impropriamente, ovvero, se si ritiene che non sia così e che detta espressione sia collegata all’esistenza di una attività della p.a. non più illecita, ma lecita, la giurisdizione per le controversie aventi ad oggetto l’indennizzo, sembrerebbe pertanto ricadere in quella del g.o. ai sensi dell’art. 53, c. 2, d.p.r. n. 327/2001 e dell’art. 133,c. 1, lett. g), ult. parte, c.p.a., che devolvono al giudice ordinario la giurisdizione per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. Con ciò ponendosi, al contrario, la necessità di riqualificare la controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per il periodo di occupazione senza titolo, come una controversia “indennitaria” per non scindere – per il vero del tutto inspiegabilmente – le due domande, ciò che confliggerebbe con le esigenze di concentrazione e di effettività della tutela”[56].
Il Tribunale Amministrativo si sofferma inoltre sulla disciplina da applicare in punto di giurisdizione sulle controversie già pendenti al momento della data di entrata in vigore della norma. Secondo il collegio giudicante per le controversie “indennitarie” sorte a seguito dell’utilizzo di un bene immobile sine titulo prima del 6 luglio 2011 andrebbe riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo; al contrario, andrebbe riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in materia “indennitaria” sorte successivamente a tale data[57].
Un orientamento giurisprudenziale, ormai superato, riteneva che la giurisdizione del giudice amministrativo si estendesse anche alle controversie concernenti la quantificazione dell’indennità dovuta, nonostante il dettato di cui all’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., stante la natura risarcitoria del ristoro[58]. Al contrario, la giurisprudenza ormai consolidata ha stabilito che eventuali controversie in ordine alla quantificazione e congruità dell’indennizzo andranno sollevate dinanzi al giudice ordinario[59], avendo tale ristoro natura indennitaria e non risarcitoria.
Rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria anche le controversie aventi per oggetto l’interesse del cinque per cento del valore venale del bene, dovuto ex art. 42 bis, comma 3, T.U.Espr. a titolo di “risarcimento del danno”, giacché dal tenore letterale della norma si evince che esso costituisce solo una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale[60].
Inizialmente, è stato ritenuto che nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione non adotti il provvedimento di acquisizione sanante, sussistendo dunque il diritto del privato sia alla restituzione del bene sia al risarcimento del danno, la tutela fosse affidata al giudice ordinario in caso di occupazione usurpativa, al giudice amministrativo in caso di occupazione acquisitiva[61].
In seguito, la tutela giurisdizionale riconosciuta al privato espropriato è stata oggetto di messe a punto compiute da parte del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione.
In un primo momento, la sentenza n. 71 del 2015 della Corte costituzionale ha individuato, tra le molteplici soluzioni di elaborazione giurisprudenziale per reagire all’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito, la possibilità per il giudice amministrativo di imporre un termine alla pubblica amministrazione per scegliere tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e la restituzione dell’immobile[62]. Dopo il consolidamento del predetto orientamento, con la pronuncia n. 2 del 2016 il Consiglio di Stato ha riconosciuto la possibilità per il commissario ad acta, nominato dal giudice amministrativo in sede di ottemperanza, di emanare il provvedimento di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, statuendo che “non esiste la possibilità, tranne si versi in un situazione processuale patologica, che il giudice condanni direttamente in sede di cognizione l’amministrazione a emanare tout court il provvedimento in questione: vi si oppongono, da un lato, il principio fondamentale di separazione dei poteri (e della riserva di amministrazione) su cui è costruito il sistema costituzionale della Giustizia Amministrativa, dall’altro uno dei suoi più importanti corollari processuali consistente nella tassatività ed eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a. fra i quali non si rinviene tale tipologia di contenzioso”[63].
La predetta pronuncia ha, altresì, richiamato l’orientamento della Cassazione per cui tra le cause di estinzione dell’illecito permanente ex art. 2043 c.c., costituito dalla condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà del fondo, vi è la rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno a fronte della irreversibile trasformazione del fondo[64].
L’ultimo tassello della ricostruzione dell’acquisizione sanante è stato delineato da tre pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[65] che hanno evidenziato come in nessun caso la proposizione da parte del privato di un’azione di risarcimento del danno può integrare una rinuncia abdicativa al diritto di proprietà sul bene, posto che la scelta tra l’acquisizione del bene o la sua restituzione è effettuata esclusivamente dall’ente espropriante (o dal commissario ad acta nominato dal giudice ai sensi dell’art 34[66] o 114[67] c.p.a.), non essendo consentito né al giudice né al privato di sostituirsi in tale valutazione.
Ad avviso dell’Adunanza plenaria la rigorosa applicazione del principio di legalità, affermato dall’art. 42 Cost. e rimarcato dalla Corte EDU, impone una base legale certa affinché si determini l’effetto dell’acquisto della proprietà in capo all’espropriante.
Dopo aver escluso dal novero dei rimedi esperibili dal privato la rinuncia abdicativa, i giudici di Palazzo Spada hanno disegnato l’attuale sistema di tutela offerto al proprietario espropriato, imperniato sull’azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a.[68]
In conclusione, il problema della tutela del proprietario di fronte al potere ablatorio della P.A. non è tutt’ora risolto[69].
L’esigenza di garantire una tutela effettiva per il privato espropriato, nonché una maggiore prevedibilità dei rimedi esperibili, in conformità con i principi espressi nella nostra Costituzione e nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, fa auspicare un intervento chiaro e preciso del legislatore, volto a concentrare le tutele in capo a un unico giudice e a ridurre i tempi necessari al ristoro del privato espropriato.
[1] La disciplina dell’istituto è stata influenzata dai rapporti tra autorità pubblica e proprietà privata, per cui “i rapporti fra lo Stato e la proprietà costituiscono, insieme con quello della libertà dell’individuo, il problema cardine della vita organizzata socialmente; e l’espropriazione per pubblica utilità costituisce il punto di incontro più drammatico tra l’autorità dello stato e l’autonomia privata”. U. Nicolini, Espropriazione per pubblica utilità, Enc. Dir., Milano, 1966, XV, 802.
[2] F. Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo. Parte Generale e Parte Speciale, Roma, 2021, 14 Ed., 805.
[3] La Corte costituzionale ha sancito la natura relativa della riserva di legge di cui all’art. 42 Cost., consentendo così al legislatore “di attribuire alla p.a. il potere di incidere sulla concreta disciplina del godimento degli immobili, qualora nella legge ordinaria siano contenuti elementi e criteri idonei a delimitare chiaramente la discrezionalità”. (Corte cost., 4 luglio 1974, n. 202).
[4] Rilevano notevoli differenze tra il diritto di proprietà così come espresso dall’art. 42 Cost. e il diritto di proprietà garantito a livello europeo, ove non si menziona la funzione sociale e tale diritto è ispirato a una concezione individualista. Emerge, così, un diritto pieno di proprietà, comprimibile solo per “pubblico interesse” a fronte del pagamento di una “giusta” indennità corrisposta in tempo “utile”. L. Maccari, La nuova disciplina dell’acquisizione sanante. Il commento, in Urb. app., 2011, 10, 1143.
[5] Tale istituto opera in senso inverso rispetto al principio quidquid inaedificatur solo cedit, proprio della comune accessione ai sensi degli artt. 934-938 c.c..
[6] “Nelle ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un’opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini i relazione ai quali l’occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell’opera pubblica, comporta l’estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all’ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indicati, la condanna dell’ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva in quel momento, con la rivalutazione per l’eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione, con l’ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità, intervenuto successivamente a tale momento, deve considerarsi del tutto privo di rilevanza, sia ai fini dell’assetto proprietario, sia ai fini della responsabilità da illecito”. (Cass. civ., SS.UU., 26 febbraio 1983, n. 1464).
[7] Perché si verifichi “l’irreversibile trasformazione del fondo” è necessario che l’opera, se pur non ultimata, emerga con le sue caratteristiche proprie della destinazione ad opera pubblica, così da evidenziare la non ripristinabilità dello stato originario. N. Centofanti, L’espropriazione per pubblica utilità, Milano, 2006, 3 Ed., 617.
[8] Trasferitasi la proprietà del bene, il privato è sfornito di una tutela reipersecutoria, potendo esercitare solamente un’azione risarcitoria per equivalente di tipo aquiliano ex art. 2042 c.c. G. De Sanctis, La c.d. accessione invertita: una panoramica sull’origine, l’evoluzione e l’attuale rilevanza giuridica di un controverso istituto, in Corriere Merito, 2013, 10, 1017.
[9] Al punto 4.2. della sentenza n. 188 del 1995 della Corte cost. si afferma che “ciò che si esclude è, segnatamente, siffatta traslazione di un idem, ricostruendosi, invece, la vicenda in termini di manipolazione-distruzione di un quid e parallela acquisizione di un aliud, residuale a quella manipolazione.
Si trova infatti, più volte ed a chiare lettere, ribadito nella richiamata giurisprudenza (ed, in particolare, nelle pronunzie delle Sezioni unite) che l’elemento qualificante della fattispecie è <l’azzeramento del contenuto sostanziale del diritto e la nullificazione del bene che ne costituisce oggetto>; <la vanificazione>, cioè, <della individualità pratico-giuridica> dell’area occupata, in conseguenza della <materiale manipolazione dell’immobile nella sua fisicità>, che ne comporta una < trasformazione così totale da provocare la perdita dei caratteri e della destinazione propria del fondo, il quale in estrema sintesi non è più quello di prima>.
Ed appunto questa <perdita> è l’evento che, in quella ricostruzione, si pone in rapporto di causalità diretta con l’illecito della pubblica amministrazione. Mentre l’acquisto, in capo alla medesima, del nuovo bene risultante dalla trasformazione del precedente, si configura invece come una conseguenza ulteriore, eziologicamente dipendente non dall’illecito ma dalla situazione di fatto-realizzazione dell’opera pubblica con conseguente non restituibilità del suolo in essa incorporato-che trova il suo antecedente storico nell’illecita occupazione e nella illecita destinazione del fondo alla costruzione dell’opera stessa”.
[10] Già con sentenza n. 3940 del 1988, la Suprema Corte ha chiarito che mentre sono tassativi i modi di acquisto della proprietà, non lo sono quelli relativi alla perdita della stessa “tra i quali deve annoverarsi in primo luogo la perdita del diritto causata dal venir meno del suo oggetto, e cioè del bene di cui l’ordinamento riconosce e protegge l’appartenenza soggettiva in ragione dell’interesse economico-sociale che la sua utilizzazione può soddisfare”.
[11] G. De Marzo, Acquisizione sanante, parametri costituzionali e CEDU, in Corriere Giur., 2011, 11, 1552 ss.
[12] Cass. civ., SS.UU., 19 febbraio 2007, n. 3723; Cass civ., sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814. Altra parte della giurisprudenza ha considerato rientrante nell’istituto dell’occupazione usurpativa l’ipotesi di occupazione del fondo e trasformazione dello stesso successivamente alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per scadenza dei termini per il compimento dei lavori e delle espropriazioni. (Cass. civ., SS.UU., 16 luglio 2008, n. 19501).
[13] Cass. civ., SS.UU., 4 marzo 1997, n. 1907.
[14] N. Cardullo, L’occupazione acquisitiva: origine ed evoluzione dell’istituto nella giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, Napoli, 2016, 86.
[15] M. S. Bonomi, La motivazione dell’atto amministrativo: dalla disciplina generale alle regole speciali, Roma, 2020, 231. Si veda, altresì, Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2008, n. 14050.
[16] “L’acquisizione del bene alla mano pubblica resta estranea alla fattispecie, e dipendendo da una scelta del proprietario usurpato, è inquadrabile in una vicenda logicamente e temporalmente successiva alla definitiva trasformazione del fondo, e se può ipotizzarsi un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, esso non ha carattere accessivo (art. 934 c.c.), ma semmai occupatorio in relazione ad un bene che è un novum nella realtà giuridica (in analogia all’art. 942 c.c.), ove non rileva la destinazione a soddisfare una pubblica utilità giacché qui neppure può porsi questione di bilanciamento di interessi” (Cass. civ., SS.UU., 6 maggio 2003, n. 6853; ex plurimis Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2020, n. 28297; Cass. civ., sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814).
[17] I principi espressi nella Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo hanno rilevanza nell’ordinamento interno ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., per cui “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Inoltre, il Trattato sull’Unione Europea, come modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 prevede all’art. 6 che “L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
[18] L’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recita “1. Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale.
2. La proprietà intellettuale è protetta”.
[19] Corte Edu, 30 maggio 2000, n. 31524/96/2000, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia.
[20] Corte Edu, 30 maggio 2000, n. 24638/94/2000, Carbonara e Ventura c. Italia.
[21] Corte Edu, cit., Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia.
[22] Il nuovo istituto “venne denominato acquisizione sanante con il preciso intento di enfatizzarne le diversità formali e strutturali con la precedente figura dell’occupazione acquisitiva”. G. Ramaccioni, La tutela multilivello del diritto di proprietà. Profili strutturali e funzionali nella vicenda dell’occupazione acquisitiva, Torino, 2013, 141.
[23] Art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001: “1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.
2. L’atto di acquisizione:
a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio;
b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;
c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l’eventuale azione già proposta;
d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
f) è trascritto senza indugio presso l’ufficio dei registri immobiliari;
g) è trasmesso all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.
3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l’amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.
4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l’autorità che ha disposto l’occupazione dell’area emana l’atto di acquisizione, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.
5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.
6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno è determinato:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;
b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.
6-bis. Ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° agosto 2002, n. 166, l’autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia”.
[24] G. Grisi, Acquisizione sanante: l’epilogo mancato di una storia infinita, Europa e diritto privato, Milano, 2/2015, 358 ss.
[25] Cons. St., sez. IV, 19 febbraio 2010, n. 997; Cons. St., Ad. Plen., 29 aprile 2005, n. 2.
[26] In particolare, al punto 29.4 si afferma che “L’articolo 43 mira ad eliminare la figura, sorta nella prassi giurisprudenziale, della occupazione appropriativa o espropriazione sostanziale (c.d. accessione invertita), nonché quella della occupazione usurpativa (alla quale per la più recente giurisprudenza non si applicano le vigenti disposizioni dell’art. 5 bis della L. n. 259 del 1992, sulla riduzione del quantum dovuto a titolo di risarcimento del danno)”. (Cons. St., Ad. Plen., 29 marzo 2001, n. 4).
[27] In varie occasioni la Corte, sebbene non occupatasi direttamente dell’art. 43, ha rivolto critiche all’istituto. Si veda C. Edu, sez. V, 22 giugno 2006, n. 213/04, Ucci c. Italia; C. Edu, Grande Chambre, 29 marzo 2006, n. 36813/97, Scordino c. Italia; C. Edu, sez. III, 2 febbraio 2006, n. 9119/03, Genovese c. Italia; C. Edu, sez. III, 12 gennaio 2006, n. 14793/02, Sciarrotta c. Italia.
[28] Si veda C. Edu, Grande Chambre, 29 marzo 2006, n. 36813/97, Scordino c. Italia.
[29] Al punto 8.5 del “Considerato in diritto” statuiva che la Corte di Strasburgo ha precisa che “l’espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all’amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «azioni illegali», e ciò sia allorché essa costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge – con espresso riferimento all’articolo 43 del t.u. qui censurato –, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo «buona e debita forma» (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia – Terza Sezione – sentenza 12 gennaio 2006 – ricorso n. 14793/02)”. Per tale ragione, “Anche considerando la giurisprudenza di Strasburgo, pertanto, non è affatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave vulnus al principio di legalità”. (Corte cost., 8 ottobre 2010, n. 293).
[30] S. Mirate, L’acquisizione sanante è incostituzionale: la Consulta censura l’eccesso di delega, in Urb. app., 11, 60 ss.
[31] Art. 7, comma 1, legge 8 marzo 1999, n. 50: “Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta, secondo gli indirizzi previamente definiti entro il 30 giugno 1999 dalle Camere sulla base di una relazione presentata dal Governo, il programma di riordino delle norme legislative e regolamentari che disciplinano le fattispecie previste e le materie elencate:
a) nell’articolo 4, comma 4, e nell’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni;
b) nelle leggi annuali di semplificazione;
c) nell’allegato 3 della presente legge;
d) nell’articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale, in riferimento all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
e) nel codice civile, in riferimento all’abrogazione dell’articolo 17 del medesimo codice;
f) nel codice civile, in riferimento alla soppressione del bollettino ufficiale della società per azioni e a responsabilità limitata e del bollettino ufficiale delle società cooperative, disposta dall’articolo 29 della legge 7 agosto 1997, n. 266”.
[32] G. Francesco Romano, Illegittimità del procedimento di esproprio e obbligo di restituzione del bene, in Riv. giur. edilizia, 2/2012, 376 ss.
[33] Art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001: “1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.
4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.
5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
7. L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo né dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.”
[34] R. Conti, L’acquisizione sanante resuscitata: l’art. 42 bis T.U.Espropriazione, in Urb. App., 2012, 7, 733.
[35] Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438.
[36] Tali differenze sono la “previsione espressa che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione, impedendo in tal modo che l’istituto possa essere applicato in presenza di un giudicato, che abbia disposto la restituzione del bene al privato. Il secondo elemento di discontinuità è stato individuato nella previsione di uno specifico onere motivazionale rafforzato in capo all’amministrazione procedente, che deve indicare le “attuali ed eccezionali” ragioni di interesse pubblico che giustificano l’emanazione dell’atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, evidenziando altresì l’assenza di ragionevoli alternative all’acquisizione coattiva. Il terzo elemento di discontinuità rispetto all’art. 43 t.u.espr. è stato riscontrato nella previsione normativa espressa di un indennizzo nel cui computo rientri non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene, imponendo in tal modo un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata secondo la precedente disciplina, oltretutto subordinando l’efficacia dell’acquisizione coattiva alla condizione sospensiva del previo pagamento dell’indennizzo, entro un termine di trenta giorni. Ulteriore elemento di differenza tra l’art. 42 bis e l’art. 43 t.u. espr. è stato individuato nella mancata riproposizione della cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, eliminando la previsione che in precedenza consentiva al giudice amministrativo di disporre in giudizio l’acquisizione coattiva dell’immobile, paralizzando l’azione redibitoria proposta dal privato. È stata altresì ritenuta di non secondaria rilevanza la previsione che ha introdotto l’obbligo per l’autorità che emana l’atto di acquisizione coattiva di inviarne copia alla Corte dei Conti, per il controllo di competenza”. C. Vivani, Art. 42 bis, in R. Ferrara, G.F. Ferrari, Commentario breve alle leggi in materia di urbanistica ed edilizia, Padova, 2019, 3 Ed., 681 ss.
[37] Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71. La norma andrebbe applicata, pertanto, come extrema ratio, escludendo che essa possa costituire una semplice alternativa ad una procedura espropriativa condotta con debita forma. N. Cardullo, L’occupazione acquisitiva: origine ed evoluzione dell’istituto nella giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, Napoli, 2016, 168.
[38] “La norma – a parere dei giudici costituzionali – non attribuisce un trattamento privilegiato alla P.A. rispetto a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento che abbia commesso un fatto illecito, poiché con l’acquisizione “non retroattiva” la stessa P.A. riprende a muoversi nell’ambito della legalità amministrativa, “esercitando una funzione amministrativa meritevole di tutela privilegiata”, salvo il ristoro del pregiudizio patito dal privato, nel periodo di tempo intercorrente tra la data dell’occupazione del fondo e la data del provvedimento di acquisizione sanante. Tale indennità ricomprende tanto il pregiudizio patrimoniale che quello non patrimoniale, non delineando quindi uno statuto deteriore ma ulteriore rispetto all’indennità spettante in caso di espropriazione ordinaria. Ed ancora, neanche l’asserita esposizione in perpetuo del privato al potere di acquisizione sanante viola il principio di uguaglianza, posto che la giurisprudenza amministrativa ha elaborato molteplici soluzioni per reagire all’inerzia della P.A. (ad es.: onere del privato di esperire procedimento di messa in mora della P.A. per poi impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto). Né è irragionevole l’aver mutato il precedente regime risarcitorio ex art. 43 T.U. Espropriazioni in un indennizzo derivante da fatto lecito, avente natura di debito di valuta, poiché è comunque corrisposto un indennizzo corrispondente al valore venale del bene calcolato al momento del trasferimento della proprietà stessa” (Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 2015, n. 4777).
[39] Per quanto riguarda il valore delle norme CEDU nel nostro ordinamento, vanno ricordate le sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007, nelle quali la Corte Costituzionale ha statuito che “alla luce del quadro complessivo delle norme costituzionali e degli orientamenti di questa Corte, che il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., ha colmato una lacuna e che, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al quadro dei princìpi che espressamente già garantivano a livello primario l’osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato.
Ciò non significa, beninteso, che con l’art. 117, primo comma, Cost., si possa attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com’è il caso delle norme della CEDU. Il parametro costituzionale in esame comporta, infatti, l’obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli “obblighi internazionali” di cui all’art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale. Con l’art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta”; e che è soggetta a sua volta, come si dirà in seguito, ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione.
Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale ‘interposta’, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma, come correttamente è stato fatto dai rimettenti in questa occasione”.
[40] L. Salva, Un «legale rimedio» per acquisire la proprietà dei beni illegittimamente occupati dalla P.A.: l’acquisizione sanate supera il vaglio della Corte Costituzionale, in A.I.C., 2/2015.
[41] Il legislatore del 1998 attribuiva la giurisdizione esclusiva sulle controversie in materia urbanistica al giudice amministrativo per la sua maggiore conoscenza delle esigenze della p.a. e quindi per la sua maggiore sensibilità nel valutare le scelte pubbliche sull’uso del territorio. S. Licciardello, Espropriazioni e giurisdizione, Torino, 2007, 30. In questo senso Cass.civ., SS.UU., 12 gennaio 2011, n. 509; Cass. civ., SS.UU., 23 dicembre 2008, n. 30254; Cass. civ., SS.UU., 16 luglio 2008, n. 19500; Cass. civ. SS.UU., 23 aprile 2008, n. 10444.
[42] In questo senso Cons. St., sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2842, Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2011, n. 6261. Tuttavia non sono mancate decisioni del giudice amministrativo in materia di occupazioni usurpative. Ex multis Cons. St., sez. IV, 17 settembre 2004, n. 6184; Cons. St., sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3267; Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2004, n. 950; Cons. St., sez. V, 18 maggio 2002, n. 1561; Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169.
[43] Cons. St., sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3267. Questo orientamento veniva confermato da Cass. civ., SS.UU., 6 giugno 2003, n. 9139, per cui “non tutti i comportamenti implicanti un uso del territorio sono riconducibili alla materia urbanistica. La dottrina già da tempo ha posto in luce la differenza tra comportamenti meramente materiali (come tali non riconducibili all’esercizio di un potere amministrativo) e comportamenti che risultino “espressione di una volontà provvedimentale”. Nell’urbanistica (o nell’edilizia), quindi, anche un comportamento tenuto dalla P.A. (o da soggetto a questa equiparato) può assumere rilevanza giuridica come espressione di un potere amministrativo, purché però sia collegabile ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato.
In difetto di ciò non si è in presenza di un comportamento della P.A. “in materia urbanistica ed edilizia”, ma soltanto di un comportamento materiale che, qualora sia lesivo di situazioni giuridiche di altri soggetti, integra un fatto illecito generatore di danno, esulante dall’ambito applicativo del citato art. 34. Il risultato ermeneutico così ottenuto è coerente con `orientamento della giurisprudenza ormai consolidato nel settore interessato più da vicino ai problemi in questione, cioè nella materia delle occupazioni cd. acquisitive.
Al riguardo si è affermato che l’acquisto a favore della P.A. di un bene immobile, occupato ed irreversibilmente trasformato a seguito dell’esecuzione di un’opera pubblica (in mancanza del decreto di esproprio), si determina soltanto qualora l’opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica, e ciò avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, produca tale effetto (c. d. occupazione appropriativa).
Restano invece esclusi dall’ambito di applicazione dell’occupazione appropriativa comportamenti della P.A. non collegati ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata, o per mancanza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa è venuta meno in seguito ad annullamento dell’atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini (tra le altre, Cass., 28 marzo 2001, n. 4451; 30 gennaio 2001, n. 1266; 18 febbraio 2000, n. 1814; 10 luglio 1999, n. 7268; 10 gennaio 1998, n. 148; 26 agosto 1997, n. 7998; Cass., sez. un., 4 marzo 1997, n. 1907)”.
[44] Già il Consiglio di Stato, con sentenza n. 30 del 1998, aveva ritenuto che il D.lgs. n. 80 del 1998 avesse portato un “cambiamento di rilievo storico dell’ordinamento”, ampliando le ipotesi di giurisdizione esclusiva del g.a., rendendo così residuale il tradizionale riparto, basato su diritti soggettivi e interessi legittimi.
[45] Ipotesi denominata dalla giurisprudenza “occupazione usurpativa spuria”. (Cass. civ., SS.UU., 28 gennaio 2010, n. 1787; Cons. St., Ad. Plen., 22 ottobre 2007, n. 12; Cass. civ., SS.UU., 9 giugno 2006, n. 13431).
[46] “La fattispecie, qualificabile come “occupazione usurpativa”, ovvero come manipolazione del fondo di proprietà privata in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, è costituita, invero, da un comportamento di fatto dell’amministrazione, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, che è ravvisabile anche per i terreni nei quali si sia verificato uno “sconfinamento”, nel corso dell’esecuzione dell’opera pubblica, da aree legittimamente occupate. Tale forma di occupazione costituisce un illecito permanente in alcun modo ricollegabile all’esercizio di poteri amministrativi, onde l’azione risarcitoria del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario”. (Cass. civ., SS.UU., 14 ottobre 2020, n. 22193; ex plurimis Cass. civ., SS.UU., 8 luglio 2019, n. 18272; Cass. civ., SS.UU., 7 dicembre 2016, n. 25044; Cass. civ., SS.UU., 19 febbraio 2007, n. 3723).
[47] Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204.
[48] Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191.
[49] R. Conti, Comportamenti buoni e cattivi: dopo Corte cost. 191/2006 ognuno per la sua strada (ma quale?), in Urb. App., 2006, 7, 805 ss.
[50] Cass. civ., SS.UU., 27 maggio 2015, n. 10879; ex plurimis Cass. civ., SS.UU., 29 gennaio 2018, n. 2145.
[51] Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1425.
[52] A differenza dell’art. 43 che prevedeva expressis verbis la giurisdizione del giudice amministrativo per le questioni risarcitorie, l’art 42 bis non prevede alcuna speciale giurisdizione, sicchè per individuare il giudice dotato di giurisdizione deve farsi riferimento alle norme di carattere generale. G. Cerisano, La procedura di espropriazione per pubblica utilità, Padova, 2013, 2 Ed., 520.
[53] Si veda Cons. St., sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 914.
[54] Articolo così modificato dall’art. 3 D.lgs. n. 104 del 2010.
[55] Art. 133, comma 1, c.p.a.
[56] T.A.R. Sicilia, sez. III, 12 luglio 2011, n. 1536
[57] Il principio espresso nella sentenza in esame ricalca il principio generale della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c. M. Borgo e M. Morelli, L’acquisizione e l’utilizzo di immobili da parte della P.A. Espropriazione per pubblica utilità e strumenti alternativi, Milano, 2012, 324.
[58] Cons. St., sez. IV, 3 marzo 2014, n. 993, per cui “il risarcimento del danno rientra a pieno titolo nell’ambito della giurisdizione amministrativa, sia esso derivante dalla lesione di interessi legittimi, sia esso derivante dalla lesione di diritti soggettivi ove la relativa tutela rientri nelle materie di giurisdizione esclusiva”.
[59] “In tema di espropriazione per pubblica utilità, la controversia relativa alla determinazione e alla corresponsione dell’indennizzo, globalmente inteso, previsto per la c.d. acquisizione sanante di cui al D.P.R. n. 327 del 2001. Art. 42 bis, è devoluta, in unico grado, alla Corte di appello, secondo una regola generale dell’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità dovute, nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o compressione del diritto dominicale dell’espropriato, dovendosi in via estensiva il D.lgs. n. 150 del 2011, art. 29, tanto più che tale norma non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto – quale quello della acquisizione sanante – introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva” (Cons. St., sez. II, 24 luglio 2020, n. 4731; ex plurimis Cass. civ., SS.UU., 26 febbraio 2019, n. 5643; Cass. civ., SS.UU., 12 giugno 2018, n. 15343).
[60] Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2018, n. 6272; Cass. civ., SS.UU., 9 maggio 2018, n. 11180; Cass. civ., SS.UU., 25 luglio 2016, n. 15283.
[61] D. Ponte, Il tentativo di semplificazione risarcitoria in tema di occupazione acquisitiva, in Urb. App., 17, 664 ss.
[62] Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71.
[63] Cons. St., Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2.
[64] Ex plurimis Cass. civ., SS.UU., 19 gennaio 2015, n. 735; Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. civ., sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1814.
[65] Cons. St., Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 2; Cons. St., Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 3; Cons. St., Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 4.
[66] Art. 34, comma 1, c.p.a.: “In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda:
a) annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato;
b) ordina all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;
c) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile; L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’articolo 31, comma 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio;
d) nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato;
e) dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto della scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza”.
[67] Art. 117, comma 3, c.p.a.: “Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata”.
[68] L’ordinamento offre al privato espropriato l’ulteriore tutela di cui all’art. 34, comma 1, lett. b), c.p.a., con eventuale contestuale nomina di un commissario ad acta in caso di persistente inottemperanza all’ordine di provvedere ex art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. M. Bellin, Rinuncia abdicativa e acquisizione sanante, in Azienditalia, 2020, 6, 1017 ss.
[69] Al proprietario illegittimamente spogliato dalla pubblica amministrazione l’ordinamento offre una tutela attenuata rispetto alla tutela concessa al proprietario spogliato da soggetto diverso dall’amministrazione pubblica, in quanto la tutela restitutoria non consegue a una libera scelta del privato espropriato, bensì al mancato esercizio di poteri discrezionali della stessa Autorità che ha agito sine titulo. E. Amante, L’adunanza plenaria espunge la rinuncia abdicativa implicita dell’acquisizione sanante, in Urb. App., 2020, 3, 361 ss.