di Stefano Carabetta

(professore a.c. di Diritto dell’Unione Europea nell’Università di Messina)

Sommario: 1. Premessa. – 2. I profili dell’obbligo informativo dell’avvocato: il tempo dell’informa-zione – 3. (segue) il contenuto dell’informazione – 4. (segue) le modalità dell’informazione – 5. Ratio dell’obbligo di informazione – 6. Sulla congruenza del rimedio previsto in caso di violazione dell’obbligo informativo.

1. Premessa.

Nelle mire del legislatore europeo e di quello nazionale il sistema della definizione alternativa delle controversie è divenuto di strategica importanza nella prospettiva del corretto funzionamento del mercato interno e della fiducia dei consumatori nel mercato1.

La possibilità che i protagonisti di tale mercato, imprenditori da un lato e consumatori dall’altro, risolvano le eventuali controversie in maniera semplice, rapida ed economica consente di assicurare un livello elevato di protezione delle situazioni giuridiche e l’effettività della tutela dei diritti, al contempo sgravando la macchina processuale pubblica da un carico eccessivo del ruolo del contenzioso giudiziario.

Già nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 il Consiglio europeo invitava gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali e alternative al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia. E nel 2002 la Commissione presentava un libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, prendendo in esame la situazione circa i metodi alternativi di risoluzione delle controversie nell’Unione europea e intraprendendo consultazioni ad ampio raggio con gli Stati membri e le parti interessate sulle possibili misure per promuovere l’utilizzo della mediazione.

In tale contesto il considerando 25 e art. 9 della direttiva 2008/52/CE stabiliscono che gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la divulgazione al pubblico di informazioni su come contattare mediatori e organizzazioni che forniscono servizi di mediazione e, inoltre, dovrebbero incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti delle possibilità di mediazione.

Si comprende, pertanto, come una delle preoccupazioni maggiormente avvertita nella predisposizione della normativa in materia sia stata quella relativa all’informazione sui metodi di ADR.

Il terzo comma dell’art. 4 del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 ha introdotto, a carico dell’avvocato che riceve un mandato professionale, l’obbligo di comunicare al proprio assistito, mediante informazione che deve essere fornita chiaramente e per iscritto: a) la possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal medesimo decreto; b) le agevolazioni fiscali previste dagli articoli 17 e 20 a beneficio di chi sceglie di mediare; c) i casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale2.

Così facendo, il legislatore delegato ha dato attuazione al principio e criterio direttivo contenuto nella lett. n), comma 3 dell’art. 60 della legge delega n. 69 del 18 giugno 2009, laddove si stabiliva che il Governo dovesse prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione3.

L’obbligo di informazione sulla mediazione posto in capo all’avvocato si inquadra nell’ambito di quelle forme di pubblicità predisposte al fine di dare idonea divulgazione al pubblico circa la possibilità di definire le controversie attraverso il sistema conciliativo4. La scelta del difensore quale destinatario dell’obbligazione informativa si giustifica in ragione del ruolo strategico svolto dallo stesso nella dinamica delle liti civili5. L’avvocato – come lascia chiaramente intendere l’etimologia del termine – è il primo professionista del diritto “chiamato” dal cliente per lo svolgimento di una prestazione di rappresentanza, assistenza o difesa che può essere giudiziale o extragiudiziale. Per tale motivo rappresenta il migliore volano dell’informazione inerente alla possibilità di risolvere la controversia senza necessariamente aderire all’opzione giudiziaria.

Non si tratta di una novità normativa assoluta. Già l’art. 40 del codice deontologico forense dispone che «l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico, delle caratteristiche e della importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili» della controversia6. L’informativa a carico dell’avvocato nell’ambito della mediazione, però, si qualifica quale obbligo specifico in ragione della diversa portata, del contenuto speciale nonché dei peculiari rimedi che lo connotano.

2. I profili dell’obbligo informativo dell’avvocato: il tempo dell’informazione.

Il legislatore delegato ha fissato il tempo in cui insorge l’obbligo di informativa a carico dell’avvocato con riferimento al momento in cui questi riceve il mandato professionale, utilizzando l’espressione «all’atto del conferimento dell’incarico»7.

Siffatta scelta è stata criticata da coloro che hanno posto in evidenza che nel momento del conferimento dell’incarico al legale il cliente ha già maturato l’idea di agire (o ricorrere) in giudizio di modo che l’efficacia dissuasiva dell’informazione sulla possibilità di evitare il processo civile e di mediare sarebbe fortemente compromessa8.

L’opzione legislativa, per quanto formalmente rispettosa della lettera della legge9, rischia di rivelarsi scarsamente in linea con la ratio della disciplina. Se il senso ultimo della mediazione è quello di conseguire una maggiore efficienza del sistema processuale civile, deflazionando il rito ordinario del processo ed incentivando il ricorso ai sistemi ADR che utilizzano una logica cooperativa opposta a quella tipicamente antagonista che stimola le parti nella vicenda processuale, allora, sarebbe stata più aderente allo spirito della direttiva ed alla ratio dell’istituto la collocazione logica e cronologica dell’obbligo di informativa sulla mediazione in un momento anteriore al conferimento dell’incarico all’avvocato, magari in sede di primo colloquio come era nella prima versione del progetto di legge invece che in limine litis come è sostanzialmente nella versione attuale della norma.

3. Segue: il contenuto dell’informazione.

L’art. 4, comma 3 del d.lgs. 28 del 2010 individua il contenuto dell’obbligo di informazione gravante sull’avvocato in relazione: 1) alla possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; 2) alle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 del decreto; 3) ai casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale10.

L’estensione dell’obbligo informativo si spiega in ragione della necessità di fornire al cliente che si accinge all’intrapresa giudiziaria tutti quegli elementi valutativi che lo potrebbero indurre a preferire per ragioni di opportunità (la possibilità della mediazione, nei casi in cui essa è solo opzionale, connessa ai vantaggi fiscali che ne derivano) ovvero per necessità imposta (laddove l’esperimento del tentativo di conciliazione sia condizione di procedibilità dell’azione), di percorrere una via alternativa al processo civile di risoluzione della controversia.

In tale ottica, però, la previsione normativa risulta carente. Alla luce della promozionale necessità di dare forte impulso ed incentivo alla mediazione, un quadro completo dei vantaggi di cui può beneficiare la parte che opta per tale sistema di ADR non dovrebbe prescindere anche dalla indispensabile rappresentazione di tutti quegli ulteriori correlativi aspetti di convenienza che possono derivare dalla conciliazione. In tale novero si iscrivono indubbiamente anche i benefici economici (ad esempio in termini di risparmio delle spese di giustizia e degli onorari dell’avvocato) nonché di tempo (in ragione dell’obbligo di chiudere il procedimento di mediazione nell’arco massimo di quattro mesi come stabilito dall’art. 6, primo comma del d.lgs. 28/2010). Senza trascurare ancora che ogni mediazione reca in sé, per propria vocazione istituzionale, il vantaggio di aumentare le probabilità di addivenire ad una soluzione modulabile e più accomodante della controversia, maggiormente satisfattiva degli interessi delle parti11.

Affinché l’informazione non sia sintetica e non si sostanzi in un mero adempimento burocratico, inoltre, l’avvocato dovrebbe del pari e per converso informare ex ante il proprio assistito anche delle conseguenze negative (quale l’improcedibilità dell’azione) disposte nel caso del mancato esperimento del tentativo di media-conciliazione, laddove lo stesso sia previsto come obbligatorio nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 del d.lgs. 28/2010. Ancora, i canoni della chiarezza e della completezza dell’informazione, da un lato, e l’esigenza di massimo incoraggiamento della mediazione e della conciliazione, dall’altro, dovrebbero indurre l’avvocato a rendere, altresì, adeguatamente edotto il proprio assistito delle incombenze in caso di adesione alla procedura di mediazione nonché delle sanzioni collegate alla mancata accettazione della proposta di accordo formulata dal mediatore (a titolo esemplificativo quelle ex art. 13 d.lgs. 28/2010). Siffatto obbligo informativo sussisterebbe in ogni caso laddove l’avvocato riceva l’incarico di assistere il proprio cliente durante la mediazione. In tal caso, invero, la configurazione di un obbligo informativo di questo tipo si ricaverebbe per altra via e cioè sia attraverso una lettura teleologicamente e sistematicamente orientata della disposizione normativa de qua – la quale calata nel contesto di riferimento e finalizzata al perseguimento dell’obiettivo di decongestione del contenzioso civile – impone di estendere nel senso indicato l’informazione – sia interpretando la norma in chiave sistematica in combinazione con l’art. 40 del codice deontologico, con l’art. 13 del d.lgs. 28/2010 e l’art. 96 c.p.c.

4. Segue: le modalità dell’informazione.

L’art 4, comma 3 del d.lgs. 28/2010 detta indicazioni anche in ordine al quomodo dell’informazione, disponendo – con formule normative che evocano le modalità informative stabilite anche per altre tipologie contrattuali tra professionisti e consumatori – che essa deve essere fornita «chiaramente e per iscritto»e che «il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio».

La previsione dell’allegazione lascerebbe intendere, interpretando alla lettera la disposizione in commento, che il documento comprovante l’adempimento dell’obbligo informativo dovrebbe essere materialmente unito all’atto difensivo. Il problema non si porrebbe per il ricorso, bensì per la citazione che è notificata prima del suo deposito negli uffici giudiziari.

Il documento contenente la prova dell’informazione può essere tanto autonomo e distinto quanto contenuto all’interno dell’atto giudiziario (ad es. in calce) se non anche nell’ambito della procura alle liti come suggerito anche dal Consiglio Nazionale Forense nel modello di informativa predisposto dallo stesso. Una informazione fornita in tal modo, però, rischia di contravvenire al precetto di chiarezza, potendo non essere sufficientemente attenzionata e compresa dall’assistito12.

È stato osservato che l’obbligo dell’avvocato sussiste tanto nei confronti dell’attore quanto nei confronti del convenuto13. L’avallo di tale lettura si trarrebbe anche dal modello di informativa predisposto dal Consiglio Nazionale Forense nonché dalle raccomandazioni che lo stesso Consiglio, con circolare n. 11 del 15 marzo 2010, ha divulgato con riferimento alla necessità (opportunità) che l’informativa sia fornita anche al convenuto. Tuttavia un’interpretazione alla lettera dell’art. 4, stabilendo che il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio, sembrerebbe gravare dell’obbligo di informativa solo l’avvocato dell’attore o del ricorrente 14.

Seppure la lettera della norma individua nel difensore del soggetto che introduce il giudizio il destinatario dell’obbligo, sembra più aderente alla ratio legis una interpretazione estensiva e al contempo sistematica e finalisticamente orientata della norma che investa dell’incombente informativo anche l’avvocato del convenuto o del resistente. Diversamente opinando, le possibilità di mediare potrebbero essere notevolmente frustrate. Tale ampliamento soggettivo, d’altronde, si pone in linea pure con le istanze di massima diffusione e “incoraggiamento” della cultura della mediazione ribadite dalla direttiva. Tanto l’avvocato dell’attore quanto quello del convenuto entrano in un rapporto giuridicamente qualificato con i potenziali litiganti e, per tale motivo, devono informare i loro clienti della possibilità e dell’obbligo di mediare nonché dei benefici fiscali possibili. L’obiettivo della deflazione del processo civile, infatti, può dirsi ugualmente soddisfatto, sia pure in misura più contenuta, anche nel caso in cui, sebbene il processo sia già stato iniziato, per impulso del convenuto (o del resistente a seconda del rito) si dia spazio alla parentesi mediatoria. Il che si pone in linea anche con la previsione normativa di cui all’art. 5, comma 2 del decreto in esame, che attribuisce al giudice il potere di sollecitare la mediazione anche nel giudizio d’appello.

5. Ratio dell’obbligo di informazione.

Nell’impianto codicistico l’informazione presenta una «funzione ancillare rispetto al processo di formazione della volontà»15, ed una considerazione normativamente limitata a due sole norme16.

È nel panorama della legislazione di matrice europea che l’informazione assume un rilievo fondamentale17. Essa è funzionale a fornire il necessario corredo di dati che consentono con maggiore consapevolezza di comparare le offerte disponibili (selezionando la più conveniente), di ponderare meglio l’affare, di valutarne la convenienza, di decidere se concludere o no il contratto nonché di negoziare con maggiore potere contrattuale i termini del futuro accordo18. Lo sbilanciamento del patrimonio informativo a vantaggio di una parte contrattuale ed a discapito dell’altra produce inevitabilmente tanto uno squilibrio sul piano del potere negoziale quanto una inefficienza sul piano degli scambi. Il moltiplicatore degli effetti distorsivi della disinformazione sarebbe di proporzioni tali da interessare l’intero mercato europeo.

Da qui l’esigenza fortemente avvertita dagli organismi dell’Unione di arginare il problema delle cc.dd. asimmetrie informative19 attraverso l’introduzione di una diffusa serie di obblighi informativi di ampia portata applicativa che mirano a ristabilire un minimum di equilibrio tra la parte debole e quella forte del contratto20 nonché a garantire un esercizio efficiente dell’autonomia contrattuale idoneo, cioè, a costruire assetti regolamentari congrui e adeguati rispetto agli interessi perseguiti21.

Anche l’obbligo informativo posto in capo all’avvocato a norma dell’art. 4 del d.lgs. 28/2010 risponde alle suddette esigenze. Oltre a rappresentare la possibilità o l’obbligo di esperire la procedura conciliativa in alternativa al rito civile (unitamente ai benefici fiscali che derivano da siffatta opzione), l’avvocato rende, altresì, edotto il proprio cliente della non indefettibilità della causa ordinaria nonché della non necessità del patrocinio legale (nei casi di mediazione facoltativa). Di tale guisa viene fornito alla parte un complesso di informazioni che gli consentono di esercitare con un più elevato grado di cognizione ed in modo efficiente la propria autonomia contrattuale. Non solo decidendo in primis se stipulare o no il contratto di patrocinio con il proprio rappresentante legale di fiducia22, ma, altresì, autodeterminandosi cognita causa sulle regole pattizie e sul contenuto di esso23.

6. Sulla congruenza del rimedio previsto in caso di violazione dell’obbligo informativo.

La direttiva n. 2008/52/CE non prevedeva espressamente alcun rimedio in caso di violazione dell’obbligo informativo. Essa si limitava a stabilire che gli Stati membri avrebbero dovuto «incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti della possibilità di mediazione». Così, anche la legge delega, sulla scorta della direttiva, disponeva che il decreto delegato avrebbe dovuto prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione senza prescrivere alcun rimedio in caso di violazione dell’obbligo de quo24.

Tuttavia, al fine di garantire una tutela effettiva all’assistito, il decreto legislativo ha inserito la previsione normativa di un rimedio specifico in caso di inadempimento dell’obbligo informativo optando per l’annullabilità del contratto stipulato tra il professionista e il proprio cliente. Nella originaria formulazione del decreto legislativo, invero, l’informazione era prevista «a pena di nullità del contratto concluso con l’assistito». Anche su tale punto – come per l’individuazione del momento in cui deve essere fornita l’informazione25 – il legislatore non è rimasto insensibile ai suggerimenti del mondo dell’avvocatura, che, dopo, la pubblicazione dello schema di decreto, ha proposto di modificare la previsione relativa alla patologia del contratto tra avvocato reticente e cliente non informato, sostituendo la nullità con la patologia meno grave dell’annullabilità 26.

La previsione dell’annullabilità del contratto è stata criticata da chi ha evidenziato che sarebbe stato preferibile limitare la sanzione dell’inadempimento informativo dell’avvocato al solo piano disciplinare, inquadrando la relativa responsabilità in una prospettiva deontologica invece che nel prisma dei rimedi contrattuali 27. L’osservazione, però, è stata apertamente affrontata dal legislatore già in sede normativa, ritenendo di non accogliere l’emendamento proposto dalla Commissione Giustizia della Camera e del Senato per un duplice ordine di motivi: intanto, perché una simile previsione sarebbe stata ultronea rispetto a quanto già previsto dall’art. 40 del codice deontologico; in secondo luogo perché sarebbe stato riduttivo un presidio limitato esclusivamente ad una sanzione disciplinare idonea ad investire unicamente i profili deontologici che ineriscono la condotta del professionista28.

I dubbi sulla adeguatezza dell’opzione normativa, nonostante i chiarimenti della Commissione, permangono. Come per ogni altra soluzione legislativa, occorre, infatti, interrogarsi sulla congruenza del rimedio posto a presidio dell’obbligo informativo. La teorica dell’efficacia giuridica, elaborando il «principio di convenienza dell’effetto al fatto», ha chiarito che «come la soluzione deve rispondere al problema, così l’effetto deve convenire al fatto» privilegiando «l’effetto migliore, cioè più conveniente alla soluzione pratica del problema». In altri termini, affinché l’effetto giuridico – che costituisce la risposta che l’ordinamento appresta al problema di interessi enunciato dal fatto – sia congruo, ossia adeguato e rispondente alla tutela degli interessi, è necessario che il dover essere (Sollen, Ought) sia pienamente satisfattivo dell’essere (Sein)29.

Se si ragiona nella prospettiva dicotomica del codice civile (nullità/annullabilità), si è portati a ritenere che la scelta dell’annullabilità quale presidio posto a salvaguardia dell’informazione del cliente sia adatta ed appropriata30. Tanto la nullità quanto la annullabilità costituiscono forme di patologia dell’atto negoziale, ossia species diverse del genus invalidità; entrambe le figure costituiscono rimedi di fattispecie31. L’annullabilità consegue ad un vizio del consenso che ha inficiato il processo di formazione della volontà e, quindi, la regolare predisposizione del contenuto del negozio. La nullità, viceversa, deriva da un deficit strutturale (l’assenza di un elemento essenziale del contratto) ovvero da una situazione di illiceità o dal contrasto con una norma imperativa. Entrambe le figure svolgono una funzione demolitoria32.

Non può disconoscersi che le regole relative all’annullabilità del contratto rispondano meglio alla tutela dell’assistito. Segnatamente, la legittimazione attiva alla domanda di annullamento del contratto – spettante esclusivamente alla parte nel cui interesse è stabilita dalla legge (art. 1441 c.c.) – lascia allo stesso cliente non informato la scelta in ordine all’azionamento del rimedio sulla base anche di una valutazione personale dei costi/benefici conseguenti all’annullamento medesimo33. Del pari, anche le regole sulla possibilità di convalidare il contratto (rimessa anch’essa esclusivamente al cliente) e sulla prescrizione quinquennale dell’azione appaiono coerenti rispettivamente con la tutela dell’assistito e l’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici. Ancora, l’efficacia precaria e la cessazione degli effetti ex nunc del negozio annullabile si pongono in linea con l’esigenza di conservazione degli effetti prodotti di guisa che il cliente possa evitare di subire le conseguenze negative della declaratoria di annullamento del contratto34. Ove il legislatore avesse, viceversa, optato per la nullità, la stessa avrebbe potuto essere fatta valere da ogni interessato ed essere rilevata d’ufficio dal giudice35, la relativa azione sarebbe stata imprescrittibile, il negozio non avrebbe potuto essere sanato, l’inefficacia avrebbe operato ex tunc36.

Deve, in ogni caso, porsi nel debito rilievo che il legislatore, sanzionando con l’annullabilità la violazione di una regola di comportamento – quale è quella relativa all’obbligo di fornire l’informazione – ha introdotto una nuova, esplicita, eccezione al principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento, ribadito dalla Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 2672537. L’annullabilità in esame si presenta inoltre, come sui generis alla luce sia della rilevabilità d’ufficio della improcedibilità dell’azione, nel caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione laddove questa sia prevista come obbligatoria, sia del potere del giudice che verifica la mancata allegazione del documento ex art. 4, comma 3 di informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Peculiarità che accosterebbero l’invalidità de qua alla figura della nullità piuttosto che a quella dell’annullabilità.

A ben vedere, però, si sarebbe potuta percorrere la terza via. Di norma, il legislatore italiano in sede di trasposizione del diritto europeo non è rimasto costretto nelle classiche categorie codicistiche della nullità e dell’annullabilità, coniando la nullità di protezione, qualenuova figura di invalidità che è «irriducibile ai caratteri e alle regole codificate»38. Non è un caso che già nello schema del decreto legislativo si fosse optato per la nullità di protezione. Le peculiarità operative della nuova nullità unitamente ai presupposti di fondo che ne giustificano la previsione ben si sarebbero commisurate alle esigenze di tutela del cliente nei rapporti con il proprio difensore nonché ai parametri di congruenza della violazione dell’obbligo informativo39.

Si tratta, infatti, di una nullità conformativa del regolamento contrattuale che modella l’assetto pattizio definito dai contraenti, espungendo dal contratto solo quelle regole inefficienti ed ingiuste e lasciando intatto il resto del contenuto contrattuale40. Essa non è più necessariamente posta a tutela esclusiva dell’interesse fondamentale dell’ordinamento. Nel codice civile, mentre l’annullabilità è un rimedio apprestato per la tutela dell’interesse particolare di una delle parti, la nullità è posta a tutela dell’interesse «complessivo negoziale e della sua funzionalità oggettiva»41 nonché dei valori generali ed indisponibili della collettività (valori fondamentali del sistema)42. Nell’ambito delle nuove nullità, invece, vi è un intimo quanto indissolubile nesso di tutela tra l’interesse particolare di uno dei soggetti del rapporto e quello generale dell’ordinamento. Anzi, la salvaguardia della posizione del singolo è funzionale rispetto alla protezione dell’interesse generale. Così, a titolo, esemplificativo, le nullità di protezione che colpiscono i contratti del consumatore mirano a proteggere, da un lato, l’interesse del singolo facente capo al consumatore che ha posto in essere lo scambio, dall’altro lato ed ad un tempo, l’interesse generale al corretto funzionamento del mercato.

L’opzione per la nullità di protezione pare a fortiori corroborata dal carattere imperativo dell’art. 4 del d.lgs. 28/2010. La norma precettiva dell’obbligo di informazione a carico dell’avvocato – al pari delle norme che prevedono un obbligo di informare – si presenta come norma imperativa43 ed inderogabile poiché alla base vi è, da un lato, la tutela del singolo ad ottenere un regolamento efficiente (rispondente cioè ai propri interessi) non disgiunta dall’istanza di risolvere la controversia in modo più rapido, efficace ed economico; dall’altro lato, la protezione di un interesse generale44 quale è quello al corretto e migliore funzionamento del sistema processuale civile45. Proprio la presenza di un articolato assiologico multilivello ha probabilmente spinto il legislatore, pur optando per l’annullabilità del contratto di patrocinio, ad introdurre regole correttive (quali la rilevabilità d’ufficio della mancata mediazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 e il potere ex officio di informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione), che pongono il rimedio in un rapporto di prossimità operativa e funzionale rispetto alla nullità di protezione.

1 Cfr. E. Autorino, Le ADR: profili generali, in P. Stanzione (a cura di), Comparazione e diritto civile. Annali 2010-2011, vol. I., Torino, 2012, pp. 377-396.

2 Per un commento alla norma vedi, oltre la bibliografia citata in seguito,E. Autorino, D. Noviello, C. Troisi, Mediazione e conciliazione nelle controversie civili e commerciali, Santarcangelo di Romagna, 2013; P. Porreca, La mediazione e il processo civile: complementarietà e coordinamento, in Le società, 5, 2010, pp. 632 ss.; A. Greco, La via italiana alla mediazione alla luce del d.lgs. 4.3.2010, n. 28 e del d.m. 18.10.2010, n. 180, in Obbligazioni e contratti, 5, 2011, p. 366.

3 Di tale guisa il legislatore italiano ha dato attuazione alla Direttiva 2008/52/CE che nella seconda parte del 25° considerando stabiliva (gli Stati membri) dovrebbero inoltre incoraggiare i professionisti del diritto a informare i loro clienti delle possibilità di mediazione.

4 Costituisce questa una forma di “pubblicità” che si affianca alle altre forme di pubblicità volute dal legislatore. In particolare quella ex art. 21 d.lgs. 28 del 2010, a norma del quale “Il Ministero della giustizia, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo”. L’art. 9 della direttiva sotto la rubrica Informazioni al pubblico disponeva: «Gli Stati membri incoraggiano, in qualsiasi modo ritengano appropriato, la divulgazione al pubblico, in particolare via Internet, di informazioni sulle modalità per contattare i mediatori e le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione».

5 Nella direttiva l’obbligo era esteso con formula generica ed onnicomprensiva a tutti «i professionisti del diritto». Opzione che il legislatore interno avrebbe potuto mutuare alla lettera in considerazione della possibilità riconosciuta anche ai praticanti avvocati di prestare assistenza legale nelle cause civili innanzi al Tribunale in composizione monocratica e al Giudice di pace nei limiti fissati dalla legge.

6 Il Consiglio Nazionale Forense è intervenuto più volte a chiarire la portata degli obblighi in parola affermando che all’atto dell’assunzione dell’incarico l’avvocato deve informare chiaramente il proprio assistito (anche se non vi è stata una specifica richiesta in tal senso) dei vari elementi che riguardano la lite: le caratteristiche e l’importanza della controversia, le attività da espletare, le iniziative da assumere, le possibili soluzioni (v. C.N.F. 20.1.1996, n. 77). L’obbligo di informare il proprio cliente deve essere letto anche con riferimento al dovere di competenza (art. 12 c.d.f.), a norma del quale «il professionista deve tenere informato il cliente non solo dell’evoluzione processuale e dell’ipotesi di soluzione del processo, ma anche delle proprie scelte tecniche, rinunciando eventualmente al mandato, ove fosse in disaccordo con il cliente sulle soluzioni da adottare» (C.N.F. 24.5.1996, n. 77). Vedi A. Leonardi, Responsabilità civile dell’avvocato: lavori in corso, in Responsabilità civile e previdenza, 2011, 6, pp. 1239 ss.

7 La disposizione vigente rappresenta il risultato di una modifica fortemente voluta dall’avvocatura, la quale, attraverso la Commissione per lo studio e le riforme del codice di procedura civile istituita presso il Consiglio Nazionale Forense, all’indomani della pubblicazione dello schema di decreto, approvava un documento con cui suggeriva di emendare in parte qua lo schema di decreto legislativo che inizialmente fissava l’obbligo di informativa al momento del primo incontro con l’avvocato. Cfr. A. Liguori, L’obbligo di informativa sulla mediazione da parte dell’avvocato, Castellamare di Stabia 2011, p. 6.

8 E. Fabiani, M. Leo, Prime riflessioni sulla «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali» di cui al d.lgs. n. 28/2010, in Riv. Notariato 2010, 04, pp. 893 e ss., mettono in evidenza come l’opzione legislativa di fissare l’obbligo informativo nel momento del conferimento dell’incarico presta il fianco a critiche. Invero, la bozza originaria del decreto prevedeva l’insorgere dell’obbligo informativo sin dal “primo colloquio con l’assistito”, formula che sarebbe stata anche più fedele alla ratio dell’istituto nonché allo spirito del principio e criterio direttivo della legge delega, la quale al riguardo individua il momento dell’informazione “prima dell’instaurazione del giudizio”. Contra R. Santagata, Sull’obbligo di informativa dell’avvocato sull’accesso alla mediazione (primi appunti), in Giustizia civile 2011, 12, p. 549 e ss., il quale ritiene che la scelta di fissare l’obbligo al primo colloquio sarebbe stata inadeguata per il carattere interlocutorio del primo incontro. Sulla stessa linea P. Gianniti, R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., Torino 2012, p. 228, i quali evidenziano che il primo contatto con l’avvocato è di regola funzionale all’acquisizione di un parere che può anche far decidere per la rinuncia all’azione giudiziaria anche per motivi personali del cliente.

9 Nel fissare i principi e i criteri direttivi, l’art. 60, comma 3, lett. n) così stabilisce «[…] prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione».

10 La legge delega n. 69/2009 all’art. 60, comma 3 lett. n) si limitava a indicare che il decreto delegato dovesse prevedere la «possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione». Cfr. P. Gianniti, R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., cit., p. 229: l’indicazione della mediazione come condizione di procedibilità non era prevista nello schema iniziale del decreto.

11 Costituisce una peculiarità connaturata alla conciliazione il contemperamento delle contrapposte istanze delle parti con l’ovvio corollario che non esistono né vincitori né soccombenti. Cfr. P. Gianniti, R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., cit., p. 215.

12 Il Tribunale di Varese, con ordinanza del 6 maggio 2011ha stabilito che l’obbligo informativo dell’avvocato non è soddisfatto allorquando si ricorra alla clausola generica e di stile contenuta nella procura alle liti, con cui la parte dichiara di essere stata informata della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione; le prescrizioni di forma previste dall’art. 4 del d.lgs. 28/2010 impongono che l’informativa debba essere resa per iscritto e sia chiara, esplicita e contenuta in un atto separato.

13 Vedi R. Santagata, Sull’obbligo di informativa dell’avvocato sull’accesso alla mediazione (primi appunti), in Giustizia civile 2011, 12, p. 549 e ss.; F. Cuomo Ulloa, Accesso alla mediazione (commento all’art. 4 d.lgs. 28/2010), in A. Bandini e N. Soldati, (a cura di), La nuova disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali. Commentario al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, Milano 2010, p. 69.

14 In tal senso F. Cuomo Ulloa, Accesso alla mediazione (commento all’art. 4 d.lgs. 28/2010), cit., p. 69. Analoga posizione assumono P. Gianniti, R. Piccione, La mediazione professionale nel sistema degli A.D.R., p. 231.

15 L’espressione è di F. Rende, Le regole di informazione nel diritto europeo dei contratti, in Rivista di diritto civile, 2012, 2, p. 185 ss. L’Autore svolge una ricostruzione sistematica del ruolo dell’informazione e dei correlativi obblighi e rimedi nel nuovo diritto contrattuale europeo.

16 Le uniche due norme che prevedono un obbligo di informazione sono quelle contenute negli artt. 1338 e 1337 c.c. L’attribuzione anche alla clausola di buona fede intesa in senso cooperativo e solidaristico del ruolo di fonte di obblighi informativi è opera del formante dottrinale e giurisprudenziale E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni,1, Milano 1953, passim e in particolare p. 93 e ss.; U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato di diritto civile e commerciale, (diretto da) Cicu – Messineo, Milano 1974, passim, specialmente pp. 26 e ss.; L. B. Geri, L’interpretazione del contratto, Milano 1994; dello stesso Autore, Buona fede nel diritto civile, in Digesto delle discipline privatistiche, Torino 1972, p. 172; A. Gentili, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Rivista di diritto privato, 2004, p. 561.

17 Ai sensi dell’art. 2 del codice del consumo (d.lgs. 206/2005) l’informazione adeguata costituisce uno dei diritti fondamentali del consumatore e dell’utente. V. Roppo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 757, qualifica l’informazione come «una delle caratteristiche più importanti del diritto contrattuale dell’Unione Europea»; R. Clarizia, I doveri di informazione, in C. Castronovo-S. Mazzamuto (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, Milano 2007, vol. II, p. 391, sostiene che il diritto all’informazione abbia un rilievo costituzionale in virtù dell’art. 169, paragrafo 1, TFUE, ai sensi del quale «al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi». Oggi il rilievo dell’informazione è vieppiù ampliato dopo la normativa sulle pratiche commerciali scorrette disciplinate dalla Direttiva 2005/29/CE attuata con d.lgs. 146/07.

18 Secondo A. Gentili, Informazione contrattuale e regole dello scambio, cit., p. 561, «l’informazione incide sulla forza contrattuale».

19 Cfr. M. De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova 2002; G. Vettori, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Rivista di diritto privato, 2003; S. Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, in Europa e diritto privato, 2001, pp. 277 ss. rileva il carattere strutturale delle asimmetrie informative.

20 Sul punto vedi S. Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, cit., 2001, p. 257 ss., secondo il quale un patrimonio informativo forte consente di assumere posizioni poziori nella fase delle trattative e di raggiungere livelli maggiori di equità negli scambi. Analogamente R. Senigaglia, Informazione contrattuale nella net econcomy e trasparenza del mercato, in Europa e diritto privato, 2002, p. 232, evidenzia come l’informazione sia funzionale a «riequilibrare la disparità tra le forze economiche».

21 Conia il concetto di “autonomia privata efficiente” V. Scalisi, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 283 ss., ora in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano 2005, p. 59, il quale concepisce tale nuovo tipo di autonomia come in grado «non soltanto di adempiere a finalità solidaristiche ma soprattutto di dar vita a regole adeguate all’operazione contrattuale perseguita, nonché ispirate a principi di equità negli scambi».

22 Proprio tale riflessione induce a leggere in chiave critica l’individuazione del momento in cui il legislatore delegato, cedendo alle istanze della classe forense, ha fissato l’insorgere dell’obbligo informativo a carico dell’avvocato. Vedi amplius supra pag. 2 e note 7 e 8.

23 Anche, ma non solo, ad esempio sull’entità del compenso da versare al professionista.

24 Vedi V. Vigoriti, Nodo dell’organizzazione e limature tecniche ma l’istituto resta un’opportunità per i legali, in Guida al diritto, 2010, 17, p. 25. Per tale motivo non è mancato chi ha denunciato un vizio di eccesso di delega. Cfr. G. Scarselli, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in http://www.judicium.it/admin/saggi/46/scarselli.pdf, pp. 2 e 3.

25 Vedi supra pag. 2 e nota 6.

26 La Commissione per lo studio e le riforme del codice di procedura civile istituita presso il Consiglio nazionale forense ha evidenziato sul punto che la nullità del contratto concluso tra avvocato e cliente, da un lato, non sarebbe stata in linea con le norme codicistiche che disciplinano tale patologia del contratto, dall’altro, avrebbe costituito un eccesso rispetto sia alla legge delega sia alla direttiva che nessuna indicazione prevedono in merito alla sorte del contratto nel caso di omessa informazione. Il documento approvato dalla suddetta Commissione di studio è consultabile sul sito internet del CNF. R. Santagata, Sull’obbligo di informativa dell’avvocato sull’accesso alla «mediazione» (primi appunti), in Giust. civ. 2011, 12, 549 giudica poco consono alle categorie civilistiche generali l’opzione della nullità come rimedio alla mancata informazione (rimedio previsto in sede di primo progetto di legge). Il rischio di censura di eccesso rispetto alla legge delega è denunciato anche da G. Scarselli, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit., pp. 2 e 3.

27 Il riferimento è a F. Cuomo Ulloa, Accesso alla mediazione (commento all’art. 4 d.lgs. 28/2010), cit., p. 69, che giudica più aderente alle finalità promozionali della mediazione «la prospettiva deontologica, piuttosto che quella formalistica dell’imposizione normativa», Sulla stessa linea a L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel D. Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.iudicium.it, p. 10. Meno condivisibile la critica di G. Scarselli, La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, cit., pp. 3 e 7, il quale individua nella previsione de qua un limite all’applicazione dei principi di autonomia e di indipendenza dell’avvocato.

28 La relazione illustrativa è disponibile su http://nuovo.camera.it/_dati/leg16/lavori/elenchipdl/apritesto.asp?

file=150&Internet=1.

29 Così A. Falzea, Efficacia giuridica (voce), in Enciclopedia del diritto, XIV, Milano 1965, p. 456.

30 Sull’annullabilità, cfr., fra gli altri, U. Majello, La patologia discreta del contratto annullabile, in Riv. dir. civ., 2003, I. p. 339 ss.; M. Franzoni, Dell’annullabilità del contratto, in Il codice civile. Commentario diretto da F. Busnelli, Milano 2005.

31 Cfr. V. Scalisi, Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo: quadro di sintesi, in Il contratto in trasformazione, Milano 2011, pp. 427 e 423; R. Tommasini, E. La Rosa, Dell’azione di annullamento, in Il codice civile. Commentario, diretto da F. Busnelli, Milano 2009, p. 8.

32 V. Scalisi, Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ. 2003, pp. 201 ss.; ora in Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Milano 2011, pp. 123 ss.

33 Il Tribunale di Varese, in una ordinanza del 2010, ha sancito che la sanzione dell’annullabilità del contratto di patrocinio comporta l’applicazione dell’art. 1441, comma 1 c.c., a norma del quale «l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse é stabilito dalla legge». Ne deriva che la violazione dell’obbligo informativo può essere eccepita esclusivamente dall’assistito e non anche dalla controparte processuale, in quanto solo la parte nel cui interesse é stabilita può far valere l’annullabilità del contratto, che afferisce al solo rapporto avvocato – cliente. Per cui nessun vantaggio può trarre controparte processuale dal fatto che il suo “avversario” non sia stato avvisato dal proprio legale della possibilità di avvalersi della mediazione.

34 Sull’argomento vedi V. Scalisi, L’inefficacia, (voce) in Enciclopedia del diritto, vol. XXI, Milano, 1971, pp. 322 e ss., e in Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano 1998, pp. 349 e ss.,ora in Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Milano 2011, pp. 5 ss.

35 In tale direzione si pone l’analisi di F. Cuomo Ulloa, Accesso alla mediazione (commento all’art. 4 d.lgs. 28/2010), cit., p. 71, a parere della quale la scelta del rimedio dell’annullabilità è preferibile perché non è rilevabile d’ufficio, è subordinata all’iniziativa di parte, è suscettibile di convalida e consentirebbe al difensore, in virtù dell’applicazione dell’art. 2041 c.c., di ottenere un compenso per le prestazioni svolte. L’Autrice ritiene che equipara dal punto di vista degli effetti sostanziali l’annullabilità all’esercizio del diritto di recesso del cliente, «recesso che non richiederebbe comunque alcuna giustificazione stante la natura fiduciaria del rapporto». Tuttavia – continua l’Autrice – in caso di recesso il cliente deve pagare il compenso per l’opera ricevuta mentre nel caso di annullamento il difensore potrebbe chiedere solo un indennizzo ex art. 2041 cc; è esclusa un’applicazione diretta della tariffa professionale che può essere utilizzata solo come parametro di valutazione e come limite massimo della liquidazione (Cass. n. 21292 del 2007, in Foro it., Rep. 2007, voce arricchimento senza causa, n. 22). Occorre osservare, in ogni caso, che l’analogia tra i due rimedi deve arrestarsi al piano degli effetti sostanziali se si pensa che il recesso opera sul piano degli effetti mentre l’annullabilità opera prima ancora sul piano della validità dell’atto. Per una ricostruzione dogmatica originale quanto convincente dello ius poenitendi di matrice europea vedi F. Rende, Il recesso comunitario dopo l’ultima pronuncia della Corte di Giustizia, in Riv. dir. civ., 2009, I, pp. 525 ss.

36 La relazione illustrativa ha chiarito che l’annullabilità in esame, in ogni caso, investe esclusivamente il contratto di patrocinio senza riverberarsi sulla validità della procura. Siffatto meccanismo rispetta gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio la cui invalidità non toglie quindi al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura (Così, Cass. n. 8388/1997 in Foro italiano rep., 1997, voce Procedimento civile, n. 114, nonché Cass. n. 13963/2006 in Foro italiano rep., 2006, voce Avvocato, n. 101. Al riguardo già la Cass. con le sentenze n. 10454/2002 e n. 13963/2006 ha chiarito che «in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura “ad litem” costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (cosiddetto contratto di patrocinio) con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura “ad litem”, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma».

37 In Giust. civ., 2008, 5, pp. 1189 ss., con nota di G. Nappi, Le sezioni unite su regole di validità, regole di comportamento e doveri informativi; nella medesima rivista, 12, pp. 2785 ss. con nota di T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite; in Corr. giur., 2008, pp. 223 ss., con nota adesiva di V. Mariconda, L’insegnamento delle sezioni unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di comportamento e norme di validità.

38 Così V. Scalisi, Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo: quadro di sintesi, cit., pp. 422 e 423.

39 La nullità di protezione è il rimedio usualmente previsto dal legislatore nel caso di mancata informazione. Per una rassegna dei rimedi previsti nel caso di violazione degli obblighi informativi vedi L. Di Donna, Obblighi informativi precontrattuali. 1. La tutela del consumatore, Milano 2008, p. 135 ss.

40 Evidenzia tali trasformazioni V. Scalisi, Autonomia privata e regole di validità: le nullità conformative, in Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Milano 2011, pp. 375 ss.; dello stesso Autore vedi pure: Dal controllo dell’atto al governo del regolamento, in Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Milano 2011, pp. 153 ss. già in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano 2005, pp. 671 e ss. con il titolo Equilibrio e giustizia contrattuale (dal controllo dell’atto al controllo del regolamento).

41 In questi termini R. Tommasini, E. La Rosa, Dell’azione di annullamento, cit., p. 13.

42 Cfr. ancora R. Tommasini, E. La Rosa, Dell’azione di annullamento, cit., pp. 13 e 14; V. Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv. (a cura di Iudica e Zatti), Milano, 2001, p. 754. Secondo L. Puccini, Studi sulla nullità relativa, Milano 1967, p. 92, nella nullità vi è una interferenza tra interesse statuale e autonomia privata mentre altri Autori invocano il concetto di interesse pubblico (P. Trimarchi, Appunti sulla invalidità del negozio giuridico, in Temi 1955, p. 201; F. Messineo, Annullabilità e annullamento (diritto privato), (voce) in Enciclopedia del diritto, vol. II, Milano 1958, p. 470) statuale (S. Romano, Autonomia privata (Appunti), Milano 1957, p. 116) o sociale (F. Lucarelli, Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Milano 1964, p. 197).

43 Sul carattere imperativo delle norme che prescrivono obblighi informativi vedi S. Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, cit., 2001, pp. 278 ss.

44 In tal senso F. Rende, Le regole di informazione nel diritto europeo dei contratti, in Rivista di diritto civile, 2012, 2, p. 196. ss., «l’imperatività della regola è sicura in quanto l’obbligo di informazione travalica gli angusti confini della salvaguardia di posizioni individuali, per divenire anche fondamentale strumento di garanzia del corretto andamento del mercato».

45 Vedi supra pp. 10 e 11.