Di Vincenzo Santoro

 

  1. Il caso concreto. Con la sentenza n. 49975 dell’01 dicembre 2009 (depositata il 30 dicembre dello stesso anno) la prima sezione della Corte di cassazione si è occupata del problema se sia o no ammissibile il tentativo del reato di collusione in frode alla finanza.

La fattispecie concreta concerneva il fatto di un militare della guardia di finanza il quale, dopo che un imprenditore edile aveva eseguito dei lavori di ristrutturazione nell’alloggio di suo (del finanziere) padre, lo aveva contattato e gli aveva proposto, senza esito positivo, di fatturare soltanto una parte della somma richiesta in pagamento, in modo da risparmiare sul pagamento dell’Iva.

Secondo l’accusa tale comportamento configurava gli estremi del tentativo di collusione, in quanto la proposta mirava ad un accordo che, ove realizzato, avrebbe consentito all’imprenditore di non assolvere gli obblighi fiscali in relazione alla parte di prezzo non fatturato e quindi di perseguire una finalità in frode all’imposta sul valore aggiunto e sul reddito.

Il primo giudice aveva condiviso l’impostazione accusatoria ed aveva affermato la penale responsabilità del militare della G.d.F. per il reato di tentata collusione.

In senso opposto si era orientato il giudice di appello, sostenendo che il reato contestato presuppone che la condotta collusiva sia svolta dal militare della Guardia di Finanza nell’esercizio delle funzioni o del servizio e non si configuri quando il militare agisce come semplice cittadino ed ancorchè coltivi il proposito di frodare il fisco.

La decisione del giudice di appello era stata impugnata dal Procuratore generale militare, con motivi intesi a rilevare che la legge n. 1383 del 1941, art. 3, non richiede che la condotta sia posta in essere in esecuzione di un’attività di servizio propria del finanziere e che nel caso di specie si era pacificamente accertato che lo scopo della proposta di una fatturazione parziale era quello di dividere in parti uguali il risparmio fiscale, cioè la quota illegittimamente sottratta all’erario.

Con la sentenza in commento il giudice di legittimità ha confermato la statuizione assolutoria ritenendo, con percorso argomentativo diverso da quello fatto proprio dal giudice di appello, che dovesse escludersi, in quanto non ammissibile, il tentativo del reato di collusione.

Questi i punti essenziali del ragionamento della Corte:

  1. a) la fattispecie della collusione si perfezione in virtù del semplice accordo, sorretto dal dolo specifico di frodare la finanza, tra il militare della Guardia di Finanza ed un estraneo al corpo;
  2. b) il reato in esame costituisce un’eccezione alla regola della non punibilità dell’accordo criminoso infruttifero, regola fissata dall’art. 115 c.p., comma 1, secondo la quale “salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell’accordo”.
  3. c) in assenza dell’espressa punibilità dell’istigazione non accolta, la proposta di commettere un reato-accordo non è punibile ai sensi dell’articolo 115 c.p. ed essa integra un “tentativo di accordo criminoso” e non il delitto tentato di collusione;
  4. d) la non punibilità dell’istigazione infruttuosa si impone altresì in considerazione della sua natura di “atto preparatorio”, inidoneo in quanto tale a dar vita al tentativo, giacché l’arretramento della soglia di punibilità al mero accordo non consente un suo ulteriore frazionamento.

2. Il reato di collusione in frode alla finanza. Per comprendere appieno i termini della questione sono necessarie alcune osservazioni preliminari sulla fattispecie di reato in questione.

L’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, configura tre figure delittuose aventi come soggetto attivo il militare della guardia di finanza: 1) la commissione di una violazione delle leggi finanziarie costituente delitto; 2) la collusione con estranei per frodare la finanza; 3) l’appropriazione, o comunque, la distrazione, a profitto proprio o altrui, di valori o di generi di cui il finanziere abbia, per ragione del suo ufficio o servizio, l’amministrazione o la custodia o su cui eserciti la sorveglianza.

Tutti gli indicati illeciti vengono sanzionati con le pene (reclusione da due a dieci anni e degradazione o rimozione dal grado) stabilite dagli articoli 215 e 219 del codice penale militare di pace – ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali – e la loro cognizione è espressamente attribuita ai tribunali militari.

Ad un primo sguardo emerge subito come le tre ipotesi delittuose abbiano qualcosa in comune, di diverso ed ulteriore rispetto all’ovvia soggettività attiva ed alla statuita soggezione alla <<cognizione>> dei Tribunali militari. Tutte, infatti, costituiscono delle varianti di altre fattispecie criminose[1], prevedendo e sanzionando condotte già provviste, in tutto o in parte, di rilevanza penale e sottoponendole ad un autonomo e più severo trattamento sanzionatorio.

La prima (violazione costituente delitto) incorpora in modo pressoché integrale l’elemento oggettivo delle tante norme che configurano i delitti lesivi dell’interesse finanziario-fiscale dello Stato. L’ultima (peculato) costituisce un’ampia sintesi delle tradizionali e pregresse versioni del peculato e della malversazione, disinteressandosi del requisito di una particolare qualifica (sufficienza dello status di militare della guardia di finanza e irrilevanza dell’ulteriore status di incaricato di funzioni amministrative o di comando) ed introducendo delle modifiche nell’astratta conformazione del rapporto possessorio, che viene a ricomprendere situazioni ulteriori rispetto a quelle che connotano il tradizionale peculato (custodia e sorveglianza) e va ad incidere su una più ristretta tipologia di beni (non qualsiasi cosa mobile, ma solo <<generi e valori>>).

La collusione, invece, quasi a preconizzare l’infinita tensione interpretativa che ne sarebbe conseguita, rinvia ad una più evanescente realtà normativa, facendo immediatamente pensare alla corruzione e nel contempo complicandone, mediante l’irrilevanza dell’eventuale contropartita, il fisiologico rapporto di continenza.[2]

La descrizione della condotta tipica è tutta racchiusa nella scarna formula del <<militare della guardia di finanza che collude con estranei per frodare la finanza>> (articolo 3 della legge 1383/41).

Secondo l’opinione qualificata da largo e risalente consenso, ai fini dell’integrazione del reato è sufficiente che tra il militare della guardia di finanza (intraneus) ed una persona che non faccia parte del suddetto Corpo militare (extraneus) intervenga un accordo allo scopo di frodare la finanza.[3] Si sottolinea che non è necessario che all’accordo consegua il verificarsi di altra attività criminosa o di effettiva frode in danno dell’amministrazione finanziaria ed in coerenza con tali premesse si precisa e ribadisce che la collusione configura un delitto a consumazione anticipata[4], per il cui perfezionamento non è richiesto che alla condotta criminosa consegua il risultato sperato, essendo appunto sufficiente che tra le parti intervenga l’accordo sorretto da quel particolare dolo specifico.

Più in dettaglio, si afferma che la condotta di collusione sta a significare il fatto di “intendersela con altri” e consiste nel comportamento di chi si accorda segretamente con altri per compiere un’azione lesiva di diritti di terzi o comunque illecita, indipendentemente dal risultato dell’accordo criminoso.[5]

L’elevato valore della posta in gioco renderebbe ragione dell’anticipazione di tutela e della configurazione in termini di grave delitto di un fatto che appare profilarsi come il primo passo verso l’effettiva lesione del bene tutelato e che presenta note di affinità con le “intelligenze criminose”, di cui sono tipica espressione i delitti previsti dagli articoli 243 e 245 del codice penale.[6]

La maggior parte dei contributi dedicati all’argomento si sono infine soffermati anche sull’intrinseca natura del reato in questione e, con approccio fortemente condizionato dalla clausola sulla giurisdizione, hanno ritenuto che esso abbia natura di reato militare, ravvisandone l’essenza qualificante nella lesione ai fondamentali beni del servizio e della disciplina del Corpo della Guardia di Finanza.

  1. Le posizioni della dottrina e della giurisprudenza circa l’oggetto giuridico.

Secondo alcuni[7], il reato di collusione tutela l’interesse dell’organizzazione militare circa la disciplina dei membri e del servizio della Guardia di finanza.

Altra dottrina, in esito al rilievo che non può dirsi soddisfacente una tesi che identifichi l’oggetto giuridico in ciò che costituisce la norma di condotta tipica dei militari e la principale forza coesiva dell’istituzione militare[8], manifesta il convincimento che la norma incriminatrice stia a presidiare l’interesse dello Stato alla riscossione dei tributi ed alla regolarità del gettito fiscale finanziario[9].

Una terza opinione, infine, dopo aver rimarcato come la peculiare qualifica del soggetto attivo non possa essere disgiunta da quelle che sono le fondamentali attribuzioni del Corpo di appartenenza, (prevenire, ricercare e denunziare le evasioni e le violazioni finanziaria), giunge alla conclusione che in questo specifico reato sia riscontrabile una duplice oggettività giuridica, da identificare nella disciplina del Corpo e nell’interesse dello Stato alle entrate fiscali.[10]

Quest’ultima tesi, che ha trovato riscontro in una sentenza della Corte Costituzionale[11], si è progressivamente consolidata, sia pure con approcci non sempre univoci, nella giurisprudenza di legittimità, ormai costante nell’escludere che l’oggetto giuridico della collusione possa identificarsi nella sola violazione dell’obbligo di fedeltà verso lo Stato. Ciò <<sia per la necessità di ancorare la punibilità alla tutela dei beni-fine e non dei beni-mezzo (come, appunto, la fedeltà) – in caso contrario rischiandosi di far assumere al diritto penale una valenza prevalentemente moralistica – sia perché altrimenti tale reato non si sottrarrebbe a sospetti di illegittimità costituzionale, derivandone un trattamento discutibilmente deteriore per i soli appartenenti al corpo della Guardia di finanza. Ne consegue che l’oggetto giuridico del reato di collusione s’identifica nella tutela del bene-fine, costituito dalla necessità di proteggere più intensamente l’interesse connesso alle entrate finanziarie dello Stato; interesse affidato alla tutela dei militari della Guardia di Finanza e che deve essere protetto dal rischio di intese collusive tra i predetti militari e soggetti estranei. Non rientrano, perciò, nell’ambito della fattispecie di reato in parola, per un verso, quelle collusioni intercorse esclusivamente tra i militari del corpo anche se finalizzate a frodi fiscali e, per un altro verso, quegli accordi volti alla consumazione di reati diversi dai reati finanziari>>[12].

  1. La condotta costitutiva. Ogni riflessione sulla condotta costitutiva del reato in esame muove dal significato che il termine colludere ha nel linguaggio corrente ed attesta che con esso si designa il contegno di <<intendersela con altri>>, cioè il comportamento di chi si accorda segretamente con altri per compiere un’azione diretta contro diritti dei terzi o comunque illecita[13].

Su tali premesse concettuali, la dottrina ha avuto modo di precisare che la collusione rileva come attività plurisoggettiva, che si estrinseca in un’intesa segreta e fraudolenta[14] e che si caratterizza per una duplice connotazione di lesività: in primo luogo essa lede lo specifico vincolo di fedeltà che intercorre tra il militare della Guardia di Finanza e il fondamentale interesse di tutelare gli interessi erariali;[15] in secondo luogo si profila come offensiva della disciplina militare in senso ampio e degli obblighi ad essa inerenti[16].

Sicchè se ne è coerentemente arguito che la condotta tipica del delitto in esame consiste <<nell’adesione del militare della Guardia di finanza, soggetto attivo del reato proprio, ad un accordo>>, con la duplice precisazione che <<l’altro soggetto dell’intesa deve essere un individuo estraneo al corpo>> e che l’obiettivo dell’accordo-intesa deve consistere nello <<scopo di frodare gli interessi pubblici finanziari>>. [17].

Buona parte della giurisprudenza ha recepito la sostanza delle prevalenti indicazioni dottrinarie e da sempre esprime l’opinione che il reato in questione consista in un accordo tra il militare e l’estraneo, cementato dal comune obiettivo di “frodare la finanza”.

L’accordo integra la materialità del reato e l’eventuale realizzazione dello scopo fraudolento non ha alcuna attitudine a rimuovere o diversamente qualificare quanto già definitivamente compiuto. Il reato, cioè e come già rilevato, sussiste a prescindere dal successivo comportamento dei soggetti ed è destinato a concorrere con quelli in ipotesi integrati dal fruttuoso epilogo dell’accordo [18].

Lo scenario ermeneutico non è però del tutto uniforme e negli ultimi tempi si sono registrati punti di vista di maggiore problematicità.

Accanto ad opinioni che hanno reputato indifferente il fatto che il militare abbia ostentato la propria qualità di appartenente al Corpo della guardia di finanza o l’abbia fraudolentemente usata per eludere i controlli[19], sono, infatti, comparse prese di posizioni più articolate, che hanno sottolineato il carattere eccezionale della previsione ed affermato che possono integrare la fattispecie solo quelle intese che abbiano un contenuto specifico, concreto e determinato o eventualmente determinabile, e non quelle che abbiano un contenuto generico, incerto e legato ad evenienze future non controllabili dalle parti[20].

  1. Il fine di frodare la finanza. Per comprendere meglio la peculiarità della condotta delittuosa è necessario soffermarsi sulla finalità che deve sorreggerla: l’intesa clandestina o segreta che costituisce il corpo materiale del reato di collusione deve, come già rilevato, essere animata dal fine specifico di frodare la finanza.

Per una risalente dottrina, cui non è estranea la preoccupazione di dare una ragionevole e concreta dimensione lesiva all’illecito in esame, la <<collusione non costituisce reato se il fine è quello di commettere una contravvenzione finanziaria, e non già un delitto. Nella stessa locuzione frodare, e nelle richiamate pene degli articoli 215 e 219 del c.p.m.p., – si sostiene – è già contenuta l’idea delittuosa.[21].

La tesi sopra esposta non ha avuto eccessivo seguito. La giurisprudenza si è, infatti, orientata verso una direzione del tutto opposto ed ha affermato che la collusione <<può avere ad oggetto qualunque frode alla pubblica finanza, anche non costituente reato>>, sicchè <<non si può correttamente affermare che essa costituisca nient’altro che l’accordo preparatorio del detto contrabbando>>.[22]

Lo scopo dell’accordo, pertanto, è ritenuto comprensivo di qualunque infrazione fiscale, sia essa punita con sanzione criminale, sia essa sottoposta alla diversa sanzione amministrativa.[23].

  1. Rapporti con altre norme incriminatrici. L’unanime giurisprudenza della Corte di cassazione è inoltre dell’idea che vi sia concorso formale tra il reato di collusione e quello di corruzione, in considerazione della diversa oggettività giuridica dei predetti: il primo è preordinato alla tutela della regolarità del gettito fiscale e finanziario, oltre che dell’interesse alla disciplina del corpo della guardia di finanza; il secondo provvede invece alla tutela del distinto interesse all’imparzialità amministrativa e si preoccupa di evitare che gli atti dei pubblici ufficiali siano oggetto di mercimonio.

Si osserva, inoltre, che il reato di collusione si perfeziona col semplice accordo fraudolento tra finanziere e privato, sicchè in esso non può ritenersi compresa ed assorbita l’ulteriore attività criminosa commessa dal finanziere e consistente nell’accettazione della dazione o promessa di denaro o di altra utilità al fine di ritardare o omettere atti di ufficio, che avrà una propria autonomia ed integrerà distinti reati.[24]

Ad analoghe conclusioni si perviene anche con riferimento al reato di concussione, con riguardo alla peculiare ipotesi in cui il finanziere abbia indotto il privato ad un accordo in frode alla finanza. In questo caso il concorso è giustificato, oltre che considerazione sulla diversa oggettività giuridica, dal fatto che le due fattispecie si distinguono per la condotta, <<che è solo eventualmente e parzialmente coincidente, poiché in un caso è sufficiente il mero accordo, comunque raggiunto, mentre nell’altro occorre un’attività di costrizione o induzione, esercitata da un soggetto in danno dell’altro ed il conseguimento correlativo di un’indebita dazione, o promessa, di denaro o altra utilità>>.[25]

Di parere opposto la maggior parte della dottrina, che esclude il concorso formale con il reato di corruzione e ritiene, in applicazione del principio di specialità, che debba darsi rilievo assorbente al solo reato di collusione.[26]

Non mancano però le voci dissonanti, per le quali l’arretramento della soglia di punibilità al solo accordo impedisce di ravvisare un rapporto di continenza tra le due norme incriminatrici. Di conseguenza, si sostiene “che il reato di corruzione non <<copre>> la pregressa fase dell’accordo; al contempo l’incriminazione per il solo reato di collusione, in quanto volto a punire il comportamento prodromico rispetto alla realizzazione del reato-scopo (o rispetto all’eventuale commissione d’illeciti aventi valenza meramente amministrativa), non permette di tener conto, ai fini sanzionatori, del compimento da parte del militare della Guardia di Finanza, sulla base del pregresso accordo, di atti contrari ai doveri di ufficio, e della ricezione, in contropartita, di denaro o di altre utilità; sembra pertanto doversi ritenere che il reato di corruzione conservi la propria autonomia anche quando risulti collegato a quello di collusione, giacchè solo il concorso di questi due reati può esaurire l’intero disvalore della vicenda criminosa”.[27]

Quanto al rapporto tra collusione ed i reati di contrabbando (da intendere in senso ampio come reati attuativi dell’intento di frode fiscale), la giurisprudenza prevalente è attestata sull’assunto del concorso formale dei reati. [28]

  1. Qualche ulteriore osservazione sulla condotta di collusione. Si è già rilevato che secondo la giurisprudenza dominante la condotta di collusione costituisce una deroga al fondamentale principio espresso dall’articolo 115 del codice penale ed assolve alla funzione di anticipare la soglia di punibilità di determinati fatti.

Il reato, quindi, si perfeziona con la conclusione di un semplice accordo[29], in cui si esprime la prevalente carica offensiva del fatto.

E’ vero che l’accordo deve essere sorretto da una particolare finalità fraudolenta, ma è altrettanto vero che quest’ulteriore sviluppo non attiene alla condotta materiale, costituendo lo scopo verso cui tende la volontà dei soggetti che stringono l’illecito patto. Dalla fusione dei due estremi, che ruotano in ambiti differenti, scaturisce un risultato che in ogni caso ridimensiona la collusione e la trasforma nella generica ed asettica realtà di un semplice accordo.

In sé considerata la costruzione ha indubbia plausibilità formale. Resta da vedere se corrisponda al puntuale tenore della fattispecie incriminatrice ed alle peculiari note che la contraddistinguono.

In tale prospettiva balzano subito in evidenza due elementi: l’ampia finalità del dolo specifico di “frode alla finanza”; ed il fatto che la norma incriminatrice preveda la sola punibilità del finanziere e non contempli in alcun modo l’assoggettamento a sanzione del privato.

In relazione al primo aspetto (dolo di frodare la finanza) va subito sottolineato come la punibilità dell’accordo collusivo configuri e rappresenti qualcosa di più di una deroga alla fondamentale disposizione dell’articolo 115 del codice penale. Nella misura in cui si ritiene che lo scopo del patto collusivo possa abbracciare anche fatti penalmente irrilevanti, purché illeciti fiscali o finanziari, si assiste alla realtà di un accordo che costituisce reato anche quando persegua l’obiettivo di non violare la legge penale. E questo, comunque si opini ed anche tenendo fermo l’assunto che il reato si consumi con il solo accordo, sta fuori da qualsiasi deroga al citato art. 115, posto che in tale disposizione si parla solo e soltanto della tendenziale irrilevanza penale degli accordi intesi alla commissione di un reato e non seguiti dalla realizzazione del medesimo.

In relazione al secondo aspetto (non punibilità dell’estraneo), occorre evidenziare come sollevi qualche perplessità l’ipotesi che l’iniziativa collusiva del finanziere si risolva in un fatto penalmente rilevante nel caso in cui il privato non presti la sua adesione. E le perplessità derivano dalla circostanza che, nella fisiologica prospettiva della norma incriminatrice, il finanziere è l’unico soggetto sottoposto a pena; e questo si spiega unicamente con il rilievo che l’intero disvalore del fatto risiede nel ruolo svolto dal finanziere, che con il suo comportamento tradisce la fiducia riposta in lui dallo Stato e si offre per intese collusive in danno degli interessi fiscali e finanziari che ha l’istituzionale dovere di tutelare e proteggere.

Allora la questione che si pone è la seguente. Ammesso che la collusione consista in un accordo tra finanziere e privato, in che modo si giustifica l’irrilevanza penale della condotta con la quale il finanziere istighi il privato all’accordo collusivo? E’ del tutto evidente che in una fattispecie del genere il finanziere ha irreversibilmente leso il vincolo fiduciario e si è messo a disposizione dell’interesse del privato, in funzione della sua illegittima tutela e protezione. Ed è altresì evidente che il reato non si è consumato per il rifiuto del privato.

Nel linguaggio della norma incriminatrice la vicenda sopra descritta può sintetizzarsi nel modo che segue.

Il soggetto punibile ha esaurito la frazione di condotta che è richiesta ai fini della perfezione del reato, posto che ha proposto al privato un accordo in frode alla finanza.

Il soggetto non punibile, in luogo di aderire all’istigazione del finanziere e così dare vita al patto collusivo, rifiuta la proposta di quest’ultimo ed impedisce alla sua manifestazione di infedeltà di trasformarsi in un fatto di compiuto pregiudizio dell’interesse protetto.

Sta di fatto, però, che la manifestazione di infedeltà si è verificata e solo il sussulto di onestà del privato ha impedito che quell’infedeltà, compiutamente realizzata e rivelata, si configurasse nei termini del reato consumato di collusione.

Ad ipotizzare che la collusione consista in un mero accordo, si assiste quindi alla stranezza di una vicenda in cui l’onestà del privato neutralizza l’atto di infedeltà del finanziere e stende su di esso una pietra tombale. Indubbiamente una conclusione singolare, che certo stride all’interno di una norma incriminatrice che configura la collusione come reato solo per il finanziere e che non assoggetta ad alcuna pena il privato che si limiti ad aderire all’illecita proposta del predetto. Una norma, quindi, che radica l’offensività del reato nella sola condotta del finanziere e che, tendenzialmente, configura tale condotta nei termini di una proposta di accordo. La residuale frazione di reato dipende dal comportamento del destinatario della proposta, che, ove accetti, determina la consumazione di un reato-accordo per il quale detto privato non è punibile.

Sicchè appare davvero singolare, nella prospettiva della collusione-accordo, che non assuma rilevanza penale il comportamento del finanziere che ha dato fondo a quanto è necessario per la consumazione del reato e che si è scontrato con il rifiuto del privato.

  1. La collusione come reato monosoggettivo. Occorre quindi rimeditare sulle premesse concettuali che si sono assunte per pacifiche e chiedersi se realmente il reato di collusione in frode della finanza si perfezioni in virtù del semplice accordo oppure richieda il compimento di un atto che esprima, nella sua materialità, la violazione dei doveri istituzionali del finanziere di prevenire e reprimere le violazioni finanziarie e fiscali.

Gli elementi da assumere ad essenziale riferimento sono i seguenti: da un lato, una non meglio specificata condotta di collusione inserita in un contesto che non contempla l’espressa punibilità dell’estraneo e che non assume rilevanza nel caso in cui abbia come controparte un altro militare della guardia di finanza; dall’altro, un dolo specifico espresso con l’ampia proposizione <<al fine di frodare la finanza>>, privo di qualsivoglia ulteriore connotazione restrittiva o comunque in grado di delimitarne il contenuto.

Diventa quindi necessario soffermarsi ad esaminare il fine specifico di <<frodare>> la finanza.

Nella norma incriminatrice non figura alcunchè che consenta di interpretare questa formula nel senso di farne coincidere gli estremi con il particolare proposito di commettere un reato finanziario o, a maggior ragione, un delitto d’identica indole.

Ciò che ha un’indubbia oggettiva realtà è qualcosa di sensibilmente diverso, di diverso e di più ampio. Esistono, in altre parole, molte norme che tutelano l’interesse dello Stato alla riscossione dei tributi ed il generale interesse dello Stato a non subire lesioni nei suoi tipici e variegati attributi di carattere finanziario; norme che non prevedono solo reati finanziari, ma anche – ed oggi soprattutto – illeciti finanziari di diversa specie.

Emerge con chiarezza, quindi, come la condotta di collusione trovi il suo determinante contraltare nello scopo di commettere qualcosa di diverso, e più ampio, dal semplice reato finanziario: per il decisivo condizionamento che subisce dalla struttura e dall’oggetto del dolo specifico, la condotta di collusione assume rilievo anche in relazione all’ipotesi che a sorreggerla sia la finalità di commettere fatti in “frode alla finanza” che non abbiamo connotati criminosi; e sempre per la medesima ragione non vi è nulla che impedisca di ricondurre alla finalità di “frode alla finanza” tutte quelle condotte intese a coprire o alterare fatti pregressi, che abbiano violato l’interesse erariale a percepire tributi variamente denominati e sui quali, mediante le acconce condotte omissive o di falsificazione, viene stesa una lastra di impunità.

Fermiamoci per un attimo e proponiamo una lettura della fattispecie, in parte radicata sulla tradizione, in parte conseguente a ciò che si è fin qui esposto.

In primo luogo, commette il reato di collusione il militare che si accorda con estranei allo scopo di commettere illeciti finanziari, anche non costituenti reato. Quest’astratta eventualità, sebbene non esaustiva di tutte le possibili finalità, preclude qualsiasi costruzione che faccia della collusione una puntuale deroga al principio di non punibilità dell’accordo[30] e richiede uno sforzo ulteriore, nel cui ambito la collusione, fermo restando l’indubbia rilevanza del coinvolgimento del privato, venga ad accreditarsi per il fatto di tradurre in attività concreta l’intima essenza d’infedeltà che connota il rapporto con il privato e per tale ragione assuma una oggettiva ed autonoma configurazione.

In secondo luogo, e con riserva di successive precisazioni, il fine di <<frodare la finanza>> non coincide con il solo scopo di commettere un illecito finanziario, bensì abbraccia ogni e qualsiasi obiettivo che si proponga la lesione dell’interesse fiscale. Non è solo l’indispensabile supporto psicologico di un qualsivoglia illecito fiscale; è qualcosa di più ampio, in cui trova collocazione qualsiasi intento di impedire allo Stato di realizzare il suo essenziale interesse alla riscossione dei tributi: intento che può manifestarsi sia sotto forma di concorso alla commissione dei fatti di diretta lesione dell’interesse fiscale (illeciti finanziari), sia attraverso la realizzazione di diversi fatti omissivi o commissivi, il cui scopo specifico sia quello di agevolare e favorire gli autori di pregressi illeciti fiscali e finanziari, garantendone l’impunità e proteggendone gli ingiusti profitti.

Il dolo fraudolento che anima la collusione non deve, quindi, necessariamente precedere gli illeciti finanziari e/o essere preordinato alla loro commissione. Ben può radicarsi su illeciti già realizzati e proporsi, attraverso l’omessa rilevazione e denuncia, di garantirne l’impunità ai rispettivi autori, oltre che di rendere definitivi gli ingiusti profitti ed impedire che l’erario ottenga ciò che gli compete[31].

Da una parte sta il chiaro obiettivo, dall’altra la condotta che ne funge da adeguata premessa e che assume la fisionomia della collusione con estranei. Quest’ultima, altro non è se non una condotta in danno dell’erario, che presenta il qualificante connotato di coinvolgere soggetti estranei alla Guardia di Finanza ed inserirli all’interno di un’attività che ha l’obiettivo di impedire all’erario di riscuotere ciò che gli è dovuto e di riscuoterlo, soprattutto, anche nel caso in cui l’attività che quel diritto abbia pregiudicato sia già stata interamente realizzata.

  1. Segue: la materialità della condotta di collusione. Se le cose stanno in questi termini, solleva più di qualche perplessità la tesi che, ai fini dell’integrazione della condotta collusiva, si accontenta di un puro e semplice accordo, ancorchè qualificato dallo scopo di frode.

In realtà il baricentro dell’illiceità penale risiede esclusivamente nel contegno del finanziere e la norma è in sostanza indifferente al ruolo del privato, sempre che questi si sia limitato ad accogliere l’illecito mercanteggiamento del militare e non abbia fatto nulla per istigarlo o agevolarlo.

A ben vedere, siffatta ricostruzione svela una sostanza notevolmente diversa da quanto comunemente si ritiene. Pur essendo la collusione accreditata come un accordo, è evidente come l’intero disvalore risieda nell’iniziativa del militare della Guardia di finanza.

S’impone pertanto una rettifica. Bisogna togliere il contegno collusivo dalle secche del puro e semplice accordo e trasformarlo in un’entità dotata di connotati più pregnanti e tali da rivelare, sul piano dell’oggettività comportamentale e quindi non nell’esclusiva dimensione dei fenomeni psichici o delle intelligenze criminose, la sua natura di un atto di incisiva e peculiare offesa all’obbligo di tutelare, in un qualsiasi contesto di innesco dei doveri istituzionali, gli interessi finanziari dello Stato.

Il disegno riacquista un minimo di coerenza se si muove dal diverso presupposto che la collusione, pur contemplando il diretto e personale coinvolgimento di un estraneo, non si esaurisce tutta in tale patto ma richiede il compimento d’atti di per sé idonei a rivelare la circostanza che il servitore dello Stato è venuto meno al suo obbligo di tutelarne gli interessi finanziari, ha tradito la fiducia di cui era stato investito e si è schierato, in circostanze in cui era chiamato all’adempimento dei suoi doveri istituzionali di prevenire e reprimere gli illeciti fiscali e tributari, a favore di interessi contrastanti con quelli facenti capo all’Erario e posti sotto la sua qualificante tutela.

E’ collusione, quindi, l’atto che esprima una scelta di campo opposta a quella istituzionale, nello specifico settore di propria competenza, coinvolgendo direttamente persone estranee al Corpo di appartenenza ed intesa alla lesione di quegli interessi finanziari e fiscali che il finanziere aveva il precipuo dovere istituzionale di prevenire e reprimere.

Quindi, ferma restando la necessità di un coinvolgimento di un soggetto estraneo, la collusione matura quando viene posto in essere un atto che esprime, nella sua concretezza ed univocità, la violazione di uno qualsiasi degli specifici doveri istituzionali del militare della guardia di finanza.

Diventa a questo punto evidente che il contegno di collusione può consistere in una varietà di tipologie di condotte e che il più delle volte queste integreranno la materialità di diverse fattispecie criminose: abuso di ufficio, omissione di atti di ufficio, violata consegna, rivelazione di segreti di ufficio ed altre di analoga natura.

Cioè a dire, reati in cui si materializza il contegno di infedeltà e di violazione dei doveri di ufficio, i quali perdono la loro specifica individualità e diventano parte costitutiva della più ampia e specifica fattispecie delittuosa della collusione; fattispecie diversa e nuova, rispetto alla quale la posizione dell’estraneo varia in ragione del suo concreto comportamento. Se questi si è limitato ad aderire all’accordo prospettatogli dal militare della Guardia di finanza, egli non risponderà di concorso nel più grave reato di collusione integrato dagli atti di violazione dei doveri istituzionali. Se, al contrario, l’estraneo ha preso l’iniziativa ed istigato il militare a venire meno al suo vincolo di fedeltà all’interesse fiscale, allora concorre nella collusione eventualmente realizzata, in applicazione della fondamentale norma di cui all’articolo 110 del codice penale.

In questa prospettiva, dunque, gli unici reati che rifluiscono nel delitto di collusione, e rispetto ai quali si profila un concorso apparente di norme, sono soltanto quei reati in cui ha trovato puntuale realizzazione la condotta di violazione o dolosa elusione degli obblighi istituzionali; mentre non vi è alcuna ragione per farvi confluire anche gli eventuali, e del tutto distinti, fatti di corruzione propria, connotati da un profilo di lesività ulteriore rispetto a quello che qualifica la collusione-violazione di doveri di ufficio e per tale ragione idonei ad innescare ulteriori risposte sanzionatorie.

Tirando le fila di quanto siamo venuti esponendo e componendo il tutto secondo coordinate non estranee al sistema, che configura il reato come offesa di un bene e ripudia l’opzione che ne ravvisa il disvalore in un atteggiamento interiore, appare chiaro che la collusione è cosa ben diversa da un semplice accordo e si presenta come una variante specifica della violazione di precisi doveri istituzionali. Violazione che assume un più pregnante contenuto lesivo in ragione del fatto che viene a maturare e realizzarsi in un contesto che coinvolge il privato, il quale si profila, nella complessiva trama degli atti di offesa ai doveri istituzionali, come il consapevole beneficiario del contegno di infedeltà posto in essere dal militare della guardia di finanza[32]. Il punto di arrivo è quindi una violazione dei doveri istituzionali posta in essere con coinvolgimento di estranei al corpo e da parte di colui che è investito della delicata, ed antitetica, missione di <<impedire, reprimere e denunziare>> qualsiasi illecito finanziario.

  1. La collusione e la violazione dei doveri istituzionali. Così configurato il contegno di collusione diventa ineludibile radicarne le concrete manifestazione solo in relazioni a vicende in cui venga in gioco l’adempimento dei doveri istituzionali di reprimere e prevenire gli illeciti fiscali e finanziari.

Chiariamo bene questo aspetto. Non si vuole dire che ai fini del reato sia necessario che il finanziere si trovi nel concreto adempimento del proprio servizio istituzionale. Quello che preme evidenziare è il fatto che la sua condotta si configuri in violazione dei doveri istituzionali e persegua lo scopo di tutelare e proteggere, in frode alla finanza, l’illegittimo interesse dell’estraneo al corpo. In altri termini egli “sposa” l’interesse antagonista che fa capo all’estraneo e, a mezzo della violazione di doveri di ufficio, stringe un patto fraudolento con questo ultimo.

Di conseguenza non vi è alcun dubbio che si profilerà il reato di collusione nel caso in cui il finanziere, fuori servizio, contatti il privato e gli riveli che è imminente una verifica fiscale presso la sua azienda. In tali ipotesi non svolge alcun peso il fatto che l’iniziativa sia stata presa fuori servizio. Essa si concreta in una violazione del dovere di segretezza e riservatezza ed è preordinata, in frode alla finanza, a stringere un patto collusione con il privato titolare dell’interesse antagonista.

Per contro non vi sarà collusione nell’ipotesi in cui il finanziere abbia commesso, nel suo personale interesse, in concorso con un estraneo e senza alcuna violazione di obblighi strumentali, un illecito finanziario non costituente delitto; nel caso in cui, cioè, abbia leso l’interesse fiscale finale in un contesto del tutto staccato dall’adempimento dei doveri istituzionali e per il tramite di un comportamento tenuto uti privatus (per esempio, mancato pagamento di una qualsiasi imposta, cui personalmente era tenuto, con la collaborazione di terzi estranei al Corpo).

Sostenere il contrario significa incorrere in una palese violazione della lettera della fattispecie incriminatrice e dimenticare che ai fini del reato si richiede che la collusione avvenga a favore dell’estraneo e per la tutela di un suo illecito interesse.

Inoltre, ad opinare diversamente e quindi a dare rilevanza anche alle ipotesi in cui il finanziere commetta un fatto in frode al fisco per l’illegittima tutela di un suo personale interesse, si creano le premesse per il delinearsi di conseguenze davvero irragionevoli. E per rendersene conto basti considerare che, nella prospettiva criticata, dovrebbe ravvisarsi un fatto di collusione, punito con la reclusione militare da due a dieci anni, anche nell’ipotesi in cui il finanziere chiedesse al titolare di un ristorante di non fare la ricevuta fiscale e fargli pagare meno il pasto consumato. Il che sembra palesemente assurdo, perché in siffatte evenienze non si è creata alcuna premessa per l’adempimento dei doveri istituzionali e parimenti non vi è stata alcuna violazione dei doveri istituzionali. Il contesto di commissione dell’illecito non ha alcun rapporto con i predetti doveri e non vi è stata alcuna scelta di campo a favore degli antagonisti interessi dell’estraneo al Corpo. Il finanziere, in altri termini, ha illegittimamente tutelato un suo personale interesse, senza violare alcun peculiare ed istituzionale dovere di ufficio ed in un contesto in cui agiva come semplice e privato cittadino. Sicchè il suo atto di disonestà in nulla si distingue da quello posto in essere da un qualsiasi membro della comunità in circostanze analoghe.

Infine la tesi avversata appare in contrasto anche con l’ulteriore fattispecie criminosa contemplata dalla medesima norma che prevede il reato di collusione; e cioè il reato speciale di violazione di legge finanziaria costituente delitto.

La suddetta previsione, che trasforma in illecito speciale il fatto del finanziere che commetta una violazione finanziaria costituente delitto (ad esempio renda una fraudolenta dichiarazione dei redditi con superamento della soglia di rilevanza penale), è circoscritta solo all’ipotesi della commissione di un delitto finanziario. Il che vuol dire che nelle residue ipotesi il finanziere che commetta un meno grave illecito fiscale o finanziario in nulla si distinguerà dagli ordinari cittadini e quindi sarà assoggettato alle ordinarie sanzioni, per solito amministrative, previste per il fatto illecito realizzato.

Certo prevediamo la possibile obiezione. Quid iuris nelle ipotesi in cui il finanziere, sia pure per il tramite di un atto di tutela di un suo personale ed illegittimo interesse, crei le premesse per la contestuale violazione di un obbligo tributario da parte dell’estraneo? E questo di certo accade nell’ipotesi considerata, in quanto il pagamento a prezzo ridotto di un pasto non fatturato comporta la commissione di un illecito fiscale anche da parte del titolare del ristorante.

La questione è indubbiamente delicato e si pone anche in relazione al caso esaminato dalla sentenza della Corte di Cassazione in commento, dove il finanziere, per tutelare l’interesse del padre a pagare meno le opere di ristrutturazione, ha chiesto all’imprenditore di non fatturarle.

A nostro avviso ciò che nel caso di specie impedisce di ravvisare il reato di collusione è la determinante mancanza della violazione di un dovere istituzionale. Non vi erano i presupposti per l’attivazione dei doveri istituzionali ed il finanziare ha agito come privato cittadino, perseguendo un suo illegittimo interesse ed operando in un contesto in cui non si è affatto schierato, in violazione dei doveri istituzionali, a tutela dell’interesse dell’estraneo ed allo scopo di frodare la finanza.

                                                                          Dott. Vincenzo Santoro

                                                                               Magistrato militare

[1] Si vedrà in seguito come il rilevo valga anche per il reato di collusione.

[2] Sul punto, G. Ciardi, I reati speciali per i militari della Guardia di finanza, in Rivista della Guardia di finanza,  1958, 163 –184; Antonioni, <<Collusione>>, in Enc. dir. VII, Milano, 1960, 452; Longo, L’art. 3 della l. 9-12-1941, n. 1383: questioni di politica legislativa e di costituzionalità, in Rass. giust. mil. 1976, 285; Melchionda, interesse protetto e ratio di tutela nella <<collusione>> del finanziere, in Giust. pen. 1985, II, 230; Zanotti, Profili problematici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985; Martini, Collusione,  in Dig. disc. pen., II, Utet, 1988, 290 e ss.; Santoro, Peculato e malversazione militare, in Digesto, IV edizione, vol. IX Penale, Utet, 1995; Santoro, Il reato di collusione. Rapporti con le altre violazioni finanziarie, in Rivisita della Guardia di finanza, 1998, 941 ss.; Santoro, i reati speciali del Militare della Guardia di Finanza, in Rassegna della Giustizia militare, Gennaio-Giugno 2002, p. 1 e ss. Rivello P.P., L’incriminazione del militare della Guardia di Finanza responsabile dei reati di cui all’art. 3 L. 9 dicembre 1941, n. 1383, in Cass. pen. 1999, 3294 e ss..

[3] Per la problematica in generale si rinvia agli autori citati nella nota n.2. In giurisprudenza è ricorrente l’affermazione secondo cui il delitto di collusione è un reato formale che si realizza con il semplice accordo ed è punibile, in deroga all’art. 115 C.p., indipendentemente dall’effettiva attuazione di una frode o di un suo tentativo. Si aggiunge che si tratta di reato istantaneo e non permanente e si puntualizza che esso si perfeziona in virtù del solo accordo, dato che l’intervenuto incontro tra le due volontà ha già comportato, di per sé, la definitiva e non più riparabile rottura del rapporto di fiducia tra il militare della Guardie di Finanza e la pubblica amministrazione e, quindi, la lesione del particolare interesse protetto dalla norma; Cass., sez. III, 1° giugno 1987; Cass., sez. III, 5 febbraio 1991, massime riportate in G. Scandurra, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, Giuffrè, 2002, cit., p. 58, 59, 63, m. 5, 7, 11, 29.

[4] Cass. Sez. VI, 2 dicembre 1982, in Giust. pen. 1983, II, 273; Cass. Sez. VI, 29 settembre 1988, in C.E.D. Cass., rv. 179272; Cass. Sez. VI, 5 maggio 1992, C.E.D. Cass., rv. 190774; Cass. Sez. I, 2 marzo 1999, sentenza n. 44392/1998; Cass. Sez. I, sentenza n. 15019 del 15 dicembre 2005, depositata il 2 maggio 2006.

[5] Cass., sez. VI, sentenza del 29 ottobre 1992, in C.E.D. Cass., RV 192092

[6] Cass. Pen. sez. VI, 17 – 6 – 1982, in Giust. pen. 1982, III, 677

[7] FRASSINI, Osservazioni sulla collusione del finanziere col contribuente: legittimità costituzionale e concorso dell’estraneo, in Dir. prat. trib., 1976, II, 1138; Cass., sez. un. 17 gennaio 1953, in Giust. pen. 1953, III, 474, 406; Cass., sez. VI, 17 maggio 1971, in Giust. pen. 1972, II, 552, 908;

[8] In tal senso l’autorevole insegnamento di BACHELET, Il Corpo della Guardia di finanza, in Riv. G.d.F., 1974, N. 6, pagg. 14 e seguenti..

[9] CODAGNONE, I delitti di corruzione e di collusione in contrabbando, nota a Cass., sez. III, 15 ottobre 1963, in Giust. pen., 1965, II, 18. Cass., sez. VI, 7 febbraio 1992, in G. Scandurra, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 64, m. 32.

[10] MULLIRI, Ammissibilità del concorso formale tra la corruzione (art. 319 c.p.) e la collusione, in Cass. Pen. mass. ann., 1975, 1309 e ss.. Nel senso della plurioffensività anche Rivello, l’incriminazione, cit., in Cass. pen. 1999, p. 3295 e ss., il quale osserva che “la norma, oltre a tutelare il gettito fiscale, mira a garantire la correttezza dei rapporti intercorrenti tra <<controllori>> e <<controllati>>, onde evitare che i primi vengano meno ai loro doveri, accordandosi illecitamente con i secondi.”; Cass., 5 febbraio 1991, in G. Scandurra, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 63, m. 28.

[11] Sentenza n. 70 del 1976, in Giust. pen. 1976, I, 135.

[12] Cass. Sez. VI, sentenza 05307 del 5 maggio 1992. In senso critico il Melchionda, op. cit. 236, il quale sottolinea come alla tesi in esame si arrivi sulla base di una <<interpretazione tesa a privilegiare il risvolto soggettivo della fattispecie>> e segnala le necessità di un approccio più sensibile alla Carta costituzionale ed attento a riscontrare l’oggettività giuridica del reato in fatti materiali e non in atteggiamenti interiori.

[13] A. Martini, voce Collusione, op. cit., 291.

[14] MANZINI, Trattato, cit., 686; Sechi, diritto penale e processuale finanziario, Milano, 1960, 92; CIARDI, I reati speciali, cit. 171;, Mulliri, Ammissibilità del concorso, cit., 1313;

[15] A. Dus, Guardia di Finanza, in Enc. del dir., vol. XIX, Giuffrè, 1970, 804 ss.

[16] A. MELCHIONDA, Interesse protetto e << ratio >> di tutela nella <<collusione >> del finanziere, cit., 237.

[17] A. Martini, voce Collusione, cit., p. 291.

[18] Sul punto si veda, anche per la copiosa giurisprudenza citata e per le acute riflessioni critiche, MELCHIONDA, Interesse protetto, cit., in particolare pag. 246, nota 95. Cass. 9 ottobre 1990, in Foro it. 1992, II, 296; Cass. 29 ottobre 1992, in Giust. pen. 1993, II, 408. Per una recente riaffermazione della tesi dell’irrilevanza dell’eventuale commissione della frode, si veda anche Cass., sez. III, 7 maggio 1971;

Cass. Sez. I, 6 giugno 2007, sentenza n. 25819, C.E.D. RV. 236894.

[19] Cass. Sez. 1, sentenza n. 07614 del 7 luglio 1995, in C.E.D.; da ultimo, Cass. Sez. 2, sentenza n. 7600 del 9 febbraio 2006, depositata il 2 marzo 2006, ove si è ribadito che ai fini della configurabilità del reato di collusione << non è necessario che il finanziere eserciti, con attualità, un determinato servizio di istituto, funzionale alla frode fiscale che forma oggetto dell’accordo criminoso, ma è sufficiente che l’agente rivesta la qualità di militare della Guardia di Finanza, perché è solo ad essa che fa riferimento l’obiettività giuridica della norma incriminatrice>>. (Fattispecie in cui si è ravvisato il reato, sia pure nell’ambito e per le finalità di un provvedimento cautelare, nel fatto di un finanziare che aveva dato all’amministratore di alcune società consigli e suggerimenti al fine di eludere gli obblighi nei confronti dell’Erario). Sul punto merita infine di essere segnalata Cass. Sez. 6, Sentenza n. 2326 del 17/12/1997 Ud. (dep. 23/02/1998 ) Rv. 209961, in cui si è affermato L’ufficiale della Guardia di Finanza in congedo illimitato, ancorché in ausiliaria, quale ufficiale escluso dal servizio alle armi, non può rendersi soggetto attivo del reato di collusione. (Nell’affermare il principio di cui in massima la corte ha escluso la responsabilità per il delitto di collusione contestato ad un ufficiale della Guardia di Finanza collocato in ausiliaria che ricopriva l’ufficio di ispettore del S.E.C.I.T.).

 

[20] Cass. Sez. 6, sentenza n. 05307 del 5 maggio 1992, in C.E.D.

[21] Ciardi, I reati speciali, cit. 172-173.

[22] In tal senso, Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, in Giustizia penale, 1991, II, 285.

[23] Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990, in Giustizia penale, cit., 1991, II, 285.

[24] Tra le tante Sez. Un. 12 aprile 1980, in Giust. pen. 1980, III, 451; Cass., sez. III, 28 marzo 1984 e Cass., 14 marzo 1889, entrambe in G. Scandurra, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 58 e 60, m. 7 e 16; Cass., 29 ottobre 1992, in Giust. pen. 1993, II, 408; Cass., 13 maggio 1991, in Giust. pen., 1991, II, 724; da ultimo, Cass. Sez. 6, sentenza n. 1319 del 28 novembre 1997, depositata il 5 dicembre 1998; nonché Cass., 4 febbraio 1998, CED 210443; Cass. sez. VI, 10 giugno 1998, in Giust. pen. 2000, II, 97; Per altri riferimenti si veda A Sabino, in Codici penali militari: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Brunelli e Mazzi, Giuffrè, 2001, p. 839 e ss.

[25] Cfr. Cass. 2 marzo 1999, Dir. pen. e proc., 1999, 1277, con nota critica di A. Dawan., nonché, Cass. Sez. I, sentenza n. 28544 del 16 giugno 2004, depositata il 24 giugno 2004, ove, ribadendosi la possibilità di configurare una compatibilità tra la condotta del reato di collusione e concussione, si sottolinea che la condotta tipica del reato di collusione <<non richiede che l’accordo sia libero ma è sufficiente un qualsiasi tipo di intesa, anche forzata, poiché l’elemento determinante è il fine di frodare la finanza>>. Si aggiunge altresì che nel concetto di collusione rientra qualunque accordo diretto a compiere un’azione illecita, indipendentemente dal risultato raggiunto, e che la condotta del reato <<non si differenzia da quella della concussione, ad esempio mediante induzione, dove si raggiunge una forma di accordo sia pure viziato. Tra le due fattispecie può quindi parlarsi di concorso formale, in quanto le condotte non sono tra loro incompatibili e il bene giuridico protetto è diverso.>>. Nel medesimo senso, infine, Cass. Sez. II, Sentenza n. 7600 del 9 febbraio 2006, deposito il 2 marzo 2006. E’ appena il caso di rilevare che l’orientamento in esame va coordinato con le modifiche introdotte dalla legge n. 190 del 2012, che ha riscritto il reato di concussione, imperniandolo sulla condotta di costrizione, e introdotto la fattispecie della “indebita induzione” (art. 319 quater c.o..

[26] Mulliri, Ammissibilità del concorso formale.., op. cit, 1313; A. Martini, Osservazione sul rapporto strutturale tra collusione e corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1981, 381; Brunelli-Mazzi, Diritto penale militare, Giuffrè, 1999, 514; A Melchionda, Interesse protetto, cit., 252; E. Fiorino, Osservazioni sul contenuto offensivo del delitto di collusione del finanziere e sui suoi rapporti con il delitto di corruzione, in Rass. giust. mil. 1993, 300 ss.

[27] Così, P.P. Rivello, L’incriminazione, cit., 3298; in senso conforme Donadio, Il reato di collusione, legittimità costituzionale: principio di specialità nei confronti dei reati di corruzione, malversazione, contrabbando doganale, in Rass. Avv. Stato, I, 1973, 771; Codagnone, I delitti di corruzione (art. 319-321) e di collusione in contrabbando (art. 3, l. 9-12-1941, n. 1383) in Giust. pen., 1965, II, 17; M. Del Gaudio, Corruzione, in Dig. disc. pen., Aggiornamento, 2000, Utet, pag. 179- 182.

[28] Cass., sez. VI, 9 ottobre 1990 e 13 maggio 1991, entrambe in G. Scandurra, Il diritto penale militare nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione, cit., p. 62 e 63, m. 22 e 31; Cass. Sez. 6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992; Cass., sez. I, sentenza 07710 del 23 luglio 1991, per la quale il concorso tra il delitto di collusione e quello di contrabbando militare (tipica violazione di legge finanziaria costituente delitto) è conseguenza del carattere già delittuoso dell’accordo collusivo, eccezione alla regola dell’art. 115 c.p., e della distinta materialità della diversa, non necessaria né inevitabile, violazione finanziaria; Cass. Sez. I, sentenza n. 04820 del 30 aprile 1991, ove si afferma espressamente il concorso tra i reati di collusione, contrabbando, corruzione e falso ideologico; Cass. Sez, III, 7 maggio 1971, in Massimario della Giurisprudenza del Tribunale supremo militare, cit., 155.

[29] Per la Suprema Corte, si tratta di un reato formale a consumazione anticipata ovvero di pericolo astratto, che si perfeziona per il solo fatto del raggiunto accordo per frodare la finanza. In tal senso, tra le tante, Cass., sez.6, sentenza n. 10350 del 29 ottobre 1992, C.E.D.; Cass., 22 aprile 1989, in Cass. pen. 1991, I, 125; di recente, Cass., 2 marzo 1999, Dir. pen. proc. 1999, 1277;

[30] Non appartiene, infatti, al sistema – ed ancora meno al disegno costituzionale – l’ipotesi che un grave reato possa essere integrato e completamente esaurirsi nel solo fatto di accordarsi per commettere fatti non costituenti reato, senza che rilevi l’eventuale commissione di questi ultimi. O si rinviene una condotta che è qualcosa di più di un accordo, oppure l’ipotesi è condannata a non avere alcun plausibile sviluppo.

[31] In questo senso, sebbene nella tradizionale prospettiva, si esprime Cass., sez. VI, 24 maggio 1988, in Giust. pen., 1989, II, 602, che ha cura di precisare, in coerente svolgimento delle ritenute premesse, che il finanziere risponderà di collusione e degli ulteriori reati riscontrabili nella sua condotta di omesso accertamento, ma non di concorso nell’illecito finanziario.

[32] Nella prospettiva che si traccia, infatti, soltanto le violazioni maturate nel contesto del coinvolgimento dell’estraneo costituiscono collusione; quelle che il militare decida e realizzi unilateralmente, senza alcun patto di infedeltà, manterranno l’usuale e comune rilevanza di fatti di abuso di ufficio o violazione di doveri di ufficio.