01. – Premesse. 02- . Produzione di materiale pedopornografico ad esclusiva opera del minore. 03. – Produzione di materiale pedopornografico con il consenso del minore. 04. – In particolare sui casi di esclusione della condotta di “utilizzazione del minore” secondo le sezioni unite. 05 -. Cosa legittima il consenso del minore? 06 – . Quid della divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico realizzato “senza l’utilizzazione di minori”? (Autoproduzione e consenso del minore).  07 -. La tesi del collegamento tra il reato di produzione di materiale di pornografia minorile e quelli di sua divulgazione e detenzione. 08. – La tesi della autonomia della condotte di divulgazione e detenzione di materiale di pornografia minorile. 09. – La specifica soluzione fornita dalla recente decisione delle sezioni unite. 10 -. Qualche ulteriore rilievo. 11 -. Se il reato di detenzione di materiale pedopornografico sia ipotizzabile anche quando la realizzazione del materiale non configuri il reato di cui all’articolo 600 ter primo comma c.p.. 12 -. Il possibile discrimine della libertà di autodeterminazione sessuale del minore. 13 -. Riepilogo su quando esternazione e detenzione assumono rilevanza penale. 14 -. La tendenziale inapplicabilità del reato di “diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti” (articolo 612 ter c.p.). 15 -. Il tempo del fatto ed il tempo dell’immagine. 16 -. Possibile rilevanza del reato di diffusione di immagini sessualmente esplicite (612 ter c.p.). 

01. – Premesse. Nel primo comma dell’articolo 600 ter del codice penale si contempla e sanziona il fatto di chiunque produca materiale pornografico utilizzando minori degli anni diciotto.

La attuale condotta di “utilizzazione” ha preso il posto della originaria condotta di sfruttamento, ritenuta eccessivamente sbilanciata sul versante dello sfruttamento economico e pertanto fonte di perplessità nelle ipotesi in cui, pur coinvolgendo un minore, i fatti non manifestassero nessuna finalità di profitto.

La modifica normativa, se di certo ha dissipato quei dubbi correlati alla pregressa condotta di sfruttamento, non ha comunque dilatato l’ambito della fattispecie sino a ricomprendervi ogni ipotesi di consapevole creazione di materiale che coinvolga un minore in forme e modi integrativi del concetto di pornografia minorile.

Rimane quindi un’area “franca”, in cui può realizzarsi un fatto di oggettiva produzione di materiale pedopornografico e nel contempo non esservi la condotta di utilizzazione del minore.

Può anche darsi che si tratti di un inconveniente non previsto; oppure compensato dal rigore geometrico di una possibile, ma non scontata, esegesi delle fattispecie successive, che si innestano sul materiale pornografico prodotto e sanzionano le condotte di sua divulgazione, cessione e detenzione.

Certo è che siffatta area esiste e di conseguenza si pone la duplice questione: di cosa occorra affinché la produzione di materiale pornografico non integri la fattispecie di cui al primo comma n. 1 dell’articolo 600 ter; quale sia il rapporto tra il reato di realizzazione di tale materiale e le variegate fattispecie di sua esternazione e detenzione, tutte preordinate a sanzionare l’immissione di materiale pedopornografico nei circuiti relazionali, specie quelli dei social network[1].

02- . Produzione di materiale pedopornografico ad esclusiva opera del minore. L’area di riferimento del reato di realizzazione di materiale pedopornografico coincide con la intera area della minore età. E quindi copre anche la cospicua area presidiata, come desumibile dalla previsione di cui all’articolo 609 quater c.p., dalla libertà di autodeterminazione sessuale del minore che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, con la sola eccezione di quei contesti in cui, per i peculiari rapporti intersoggettivi o per le modalità che contrassegnano la genesi dell’atto sessuale (atti sessuali con minore in cambio di denaro e altra utilità), l’ambito dell’autodeterminazione del minore si restringe o si annulla del tutto.

Da ciò l’interrogativo se ed in che misura la libertà di autodeterminazione sessuale attestata nella previsione di cui all’articolo 609 quater possa espandersi oltre i confini di questa specifica fattispecie e proiettare i suoi effetti anche nelle figure criminose le quali, incardinate su una condotta che incide sull’indifferenziata area delle minore età, apparentemente non dicono nulla in merito alla possibilità che il consenso del minore ne escluda la sussistenza.

Tale connotato si riscontra proprio nella fattispecie di realizzazione di materiale pornografico di cui al primo comma dell’articolo 600 ter del codice penale, la quale, configurata in modo da abbracciare fatti di coinvolgimento di un minore di anni diciotto, è radicata su una condotta di “utilizzazione del minore” e non contiene alcuna previsione in grado di dare rilievo al progressivo accostarsi del minore alla maggiore età.

Si comprende subito, però, come l’indifferenziato riferimento alla minore età trovi un fattore di specificazione selettiva nella particolare struttura della condotta tipica, che è tale solo se la produzione del materiale pedopornografico avvenga “utilizzando minori di anni diciotto”,

Tale specificazione, che individua la precisa modalità della condotta, definisce la puntuale misura della tutela penale e pone implicitamente in rilievo come possano darsi ipotesi in cui la oggettiva produzione di materiale di pornografia minorile avvenga in un contesto in cui non si ravvisi l’estremo della sua “utilizzazione”.

A tacere, per il momento, di altro, siffatto congegno descrittivo implica infatti come la condotta tipica del reato richieda la ineludibile presenza di almeno due soggetti: il minore rappresentato e il soggetto che, nei variegati e possibili modi, lo “utilizza” per la confezione di materiale pornografico.

La necessaria alterità dell’agente rispetto al minore genera quindi una rilevante scrematura. In particolare essa destina alla irrilevanza penale, almeno nel contesto del reato di cui al primo comma dell’articolo 600 ter c.p., tutte le ipotesi in cui a produrre il materiale pornografico sia, in piena autonomia e capacità, lo stesso minore che vi è raffigurato[2].

Tale alterità, però, non dice nulla di definitivo quanto al residuo arsenale di norme incriminatrici, perché queste ultime, contemplando la variegata circolazione del materiale pedopornografico, ben potrebbero, per struttura e ragion d’essere, essere indifferenti rispetto alla genesi del materiale ed accontentarsi del mero fatto della sua esistenza.

03. – Produzione di materiale pedopornografico con il consenso del minore. Il dato di partenza si risolve nel verificare quando possa escludersi il reato di produzione di materiale pornografico nella ipotesi in cui, pur sussistendo la necessaria alterità, il soggetto agente abbia realizzato il materiale con il consenso del minore che è in esso raffigurato.

E qui si impone una fondamentale delimitazione, quale prima fase di un più accurato e completo scrutinio: il consenso deve ineludibilmente provenire da un minore che abbia compiuto i quattordici anni di età e si collochi in un contesto relazionale in cui tale età sia sufficiente per disporre della libertà di determinazione in materia sessuale.

In tale ottica viene in rilievo l’intera previsione incriminatrice di cui al reato di atti sessuali con minori (art. 609 quater c.p.), in cui sono ben delineati i casi in cui il consenso si nutre del compimento del quattordicesimo anno ed i casi in cui occorra una maggiore maturità anagrafica (16 anni)[3].

Indi si impone una seconda e decisiva verifica, da condurre alla luce della specifica norma incriminatrice ed il cui scopo è quello di stabilire se, in ragione del contenuto e della oggettività giuridica della medesima, residui realmente uno spazio di efficacia per il consenso del minore, che abbia la idoneità a generare la irrilevanza penale del fatto.

In questa più ampia prospettiva occorre prendere atto di come vi siano fattispecie in cui il consenso del minore è lo sfondo su cui si innesta il fatto tipico da esse contemplato, che è tale, cioè, solo se vi sia il consenso del minore e nonostante il consenso del minore.

In tale area rientrano di certo i reati di prostituzione minorile, sia quelli che mettono realmente capo a fatti di prostituzione (primo comma articolo 600 bis c.p.) sia quelli che, per la coincidenza tra soggetto che paga e soggetto che fruisce delle prestazioni sessuali del minore, fuoriescono dalla nozione di “prostituzione”[4].

In ciascuna delle suddette fattispecie il consenso del minore, o meglio la sua non opposizione, è essenziale perché si delinei la integrazione della condotta tipica in esse, e solo in esse, contemplata, posto che ove tale consenso difettasse e l’agente impiegasse atti coercitivi per indurre il minore alla prostituzione o comunque per compiere o far compiere atti sessuali verrebbero in rilievo altre norme incriminatrici, in concorso o al posto di quelle sopra indicate[5].

Si comprende agevolmente come nell’ambito delle predette fattispecie delittuose  l’irrilevanza del consenso del minore discende dalla circostanza che per il legislatore il bene da proteggere, pur correlato alla personalità del minore, trascende la specificità delle persone concretamente coinvolte e si profila come proiezione di un bene di più vasta portata, correlato all’interesse pubblico ad impedire che soggetti ancora immaturi vengano coinvolti in attività che appartengono al mondo degli adulti e che, quando non punite, vengono a mala pena tollerate. 

Dai rilievi di cui sopra si desume pertanto come possano esservi altre norme incriminatrici in cui la protezione del minore non è assoluta e granitica ma è circoscritta e filtrata da una particolare condotta tipica, che in ipotesi può essere esclusa dal consenso libero, consapevole e valido del minore.

Ed è proprio questo che si riscontra nel reato di produzione di materiale pedopornografico, in cui la sanzione penale non riguarda ogni fatto che produca materiale di pornografia minorile ma solo quei fatti che realizzino tale obiettivo “utilizzando” minori di anni diciotto.

Qui è opportuna una chiosa, che potrebbe anche essere ovvia. In tanto ipotizziamo lo scenario di una condotta tipica permeabile al consenso del minore in quanto diamo per scontato che il concetto di utilizzazione non sia sinonimo di mero impiego ma implica una qualche dose di strumentale manipolazione del minore. Perché se così non fosse, e si reputasse che quella utilizzazione altro non indica se non la necessità che il materiale pornografico coinvolga un minore, allora avremmo arricchito l’area dei reati di cui al punto precedente, in cui il legislatore punisce il fatto che alcune attività coinvolgano minori e dando per assolutamente irrilevante il loro consenso.

In realtà le cose non stanno in questi termini e a testimoniarlo è intervenuta una recente sentenza delle sezioni unite[6], nella quale si è ammessa la eventualità che il reato non sussista nelle ipotesi in cui sia intervenuto il consenso del minore di anni quattordici e  le concrete circostanze di formazione ed espressione del consenso si profilino come indice inequivoco della assenza di una condotta di utilizzazione: quindi come una circostanza che esclude la tipicità della condotta, per la esistenza della quale, di conseguenza, non è sufficiente il coinvolgimento del minore ma occorre una attività di strumentalizzazione, reificazione, asservimento del minore per un vantaggio altrui.

04. – In particolare sui casi di esclusione della condotta di “utilizzazione del minore” secondo le sezioni unite. L’intervento delle sezioni unite è stato richiesto dalla terza sezione della Corte di cassazione con ordinanza del 22 aprile 2021, nella quale si sottolinea come la risoluzione della questione imponga di interrogarsi – se non altro sotto il profilo della non completezza – sul obiter dictum della pregressa decisione delle Sezioni Unite n. 51815 del 2018, ai sensi del quale “non sussiste l’utilizzazione del minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 ter, comma 1, cod. pen., nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale, nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, sicché la stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato[7].

In particolare si assume che il predetto obiter dictum ometta di soffermarsi sulla evidente differenza che intercorre tra una relazione interpersonale paritaria tra soggetti minori di età, in grado di manifestare il proprio consenso all’attività sessuale, e la relazione interpersonale tra un minore ed un adulto. E ciò in quanto la suddetta relazione, pur potendo non implicare concreti atti di supremazia, è comunque non paritaria.

Si ritiene, infatti, con approccio che mette in conto le anomalie della ipotizzata differenza di età, che il minore di diciotto anni non potrebbe validamente consentire alla produzione del materiale pedopornografico riproducente lo svolgimento della sua attività sessuale (pur dallo stesso consentita), in quanto non in grado di discernere le possibili ripercussioni future sulla sua sfera psichica connesse ai rischi di diffusione, con conseguente pericolo per la sua reputazione ed immagine e possibili sofferenze psichiche derivanti da tale diffusione.

Infine si sottolinea che l’obiter dictum delle Sezioni Unite 2018 appare privo di indicazioni in ordine alle possibili ricadute della elaborazione della categoria della “pornografia domestica”, posto che, ove realmente definibili nei termini accreditati dalle sezioni unite del 2018, si imporrebbe necessariamente una coerente interpretazione dei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 600 ter c.p., che fanno riferimento al materiale di cui al primo comma e che, ove ineludibilmente correlati alla sussistenza del reato ivi previsto, potrebbe generare vuoti di tutela, proprio con riguardo alle ipotesi di successiva cessione o diffusione del materiale realizzato a soggetti estranei alla loro produzione[8].

Con la citata sentenza del 2021 le sezioni unite, in linea di continuità con quanto già affermato da Sez. U, n. 51318 del 31/5/2018, rilevano che dalla sfera applicativa della previsione del primo comma dell’art. 600-ter, cod. pen. fuoriesce la produzione di materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il suo valido ed efficace consenso, ineludibilmente correlato al raggiungimento dell’età che, ai sensi della fondamentale previsione di cui all’articolo 609 quater c.p., consente il tendenziale esplicarsi della capacità di disporre del proprio corpo nell’ambito delle esperienze di sessualità[9].

Si precisa, per delimitarne l’ambito di specifica irrilevanza penale, come il termine “utilizzazione” stia ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento.

Indi, sempre riprendendo le indicazioni offerte dalla sentenza n. 51815 del 2018, si indicano una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” del minore e se ne fa consistere l’essenza: nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale.

In merito si evidenzia altresì che “l’utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l’agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale (ad esempio scattando fotografie dal contenuto erotico) ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore[10], facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo[11].

Altresì si sottolinea, sviluppando le indicazione contenute nella fattispecie di atti sessuali con minori, che l’esegesi della nozione di “utilizzazione” non può prescindere da una specifica riflessione sulla maturità del minore, dandosi rilievo alla distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne, correlata all’indubbia gradualità del suo sviluppo psico-fisico e puntualmente riscontrata nei reati di pornografia e di prostituzione minorile[12].

05 -. Cosa legittima il consenso del minore? Ancorché si tratti di un percorso irto di ostacoli è comunque possibile che si pervenga a ritenere che difetti la condotta di utilizzazione in presenza, tendenzialmente, di un valido ed autonomo consenso del minore cha abbia compiuto quattordici anni.

Sul punto le sezioni unite non sembrano avere dubbi, in quanto, dopo aver asserito che il consenso del minore all’atto sessuale non include di per sé anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica, sottolineano che tale attività, pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore, rappresenta un quid che si aggiunge all’atto sessuale e per la quale è necessario che il minore esprima il proprio consenso, consapevole, libero e scevro da influenze da parte dell’adulto derivanti da abuso o approfittamento delle condizioni del minore stesso.

Altresì si puntualizza, così delineando un argine rispetto a possibili eventi del futuro, che il consenso del minore deve necessariamente avere riguardo anche alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate nell’ambito della relazione o del rapporto. In caso contrario il fatto assume autonoma rilevanza penale in primo luogo ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 2003 n. 196[13].

Posta la premessa di una possibile rilevanza del fatto ai sensi della normativa sulla protezione dei dati personali, le sezioni unite rilevano che il mancato accordo del minore alla conservazione delle immagini si ripercuote anche sulla valutazione in ordine alla “utilizzazione” del medesimo. In particolare, esso inficia l’iniziale consenso di quest’ultimo alle riprese, in quanto subordinato ad una sua qualificante condizione, intesa a neutralizzare il rischio, insito nella conservazione delle immagini, di una loro successiva diffusione.

06 – . Quid della divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico realizzato “senza l’utilizzazione di minori”? (Autoproduzione e consenso del minore).

L’approdo delle sezioni unite rende necessario chiarire quali siano i rapporti tra il reato di produzione di materiale pedopornografico ed i residui reati, contenuti negli articoli 600 ter e 600 quater, in cui sono contemplate condotte di diffusione, cessione e detenzione del materiale indicato, con diverse formulazioni, nella norma che prevede proprio il reato di sua produzione e realizzazione.

Inutile girarci attorno: si tratta di capire se i suddetti reati si realizzino per la messa in circolazione o detenzione di materiale “contaminato” dalla sua genesi (utilizzazione di minori) oppure per il sol fatto del suo contenuto (pedopornografico)[14]. Ed è evidente come la seconda opzione introduca un elemento di asimmetria nel complessivo dispositivo di tutela, in quanto isola la fattispecie di cui al primo comma dalle residue fattispecie e rende queste ultime del tutto indipendenti dalla sua avvenuta integrazione, così da renderle in sostanza equipollenti a figure criminose che contemplano e puniscono, puramente e semplicemente, la messa in circolazione e la detenzione di materiale che abbia contenuto pedopornografico.

Si comprende, quindi, come la soluzione non possa che dipendere dal modo in cui sono costruite le pertinenti norme incriminatrice, con specifico riguardo ai connotati che debbono contrassegnare l’oggetto delle vietate divulgazioni e detenzioni.

Il quadro normativo è così congegnato:

  1.  Vi è una prima fattispecie incriminatrice che, come già osservato, contempla, per quanto di specifico interesse, la realizzazione di materiale pornografico “utilizzando minori di anni diciotto” (primo comma, articolo 600 ter c.p.).
  2. Indi seguono previsioni incriminatrici che contemplano e sanzionano le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, offerta e cessione del “materiale pornografico di cui al primo comma” (commi 2 e 3 dell’articolo 600 ter).
  3. Infine vi è la previsione (600 quater) che contempla e sanziona le condotte di chi consapevolmente si procuri e detenga “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto” (comma 1) e di chi, attraverso percorsi telematici o con altro “mezzo di comunicazione” acceda intenzionalmente e senza giustificato motivo a “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto (terzo comma).

07 -. La tesi del collegamento tra il reato di produzione di materiale di pornografia minorile e quelli di sua divulgazione e detenzione. A fronte di tale contesto normativo vi è una prima tesi, specificamente formulata con riguardo alle ipotesi di autoproduzione del materiale pornografico da parte del minore e secondo cui vi è una essenziale correlazione tra la fattispecie del primo comma dell’articolo 600 ter e quelle contemplate dai commi successivi.

L’argomentazione ha cadenze indubbiamente lineari e muove dalla premessa, condivisa da unanime dottrina e giurisprudenza, secondo la quale, affinché la produzione del materiale di pornografia minorile sia punibile, è necessario che la produzione di materiale porno debba avvenire ad opera di un soggetto diverso rispetto al minore “utilizzato” e “rappresentato”.

Su tale premessa si innesta l’affermazione che se viene a mancare questa condizione di “alterità”, come nel caso in cui “il materiale sia realizzato dallo stesso minore – in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto –, non sussisterà, in primo luogo e per difetto di un essenziale elemento costitutivo, il reato di cui al primo comma dell’articolo 600-ter c.p..

Per la medesima ragione, ed alla luce dell’espresso rinvio al materiale pornografico di cui al comma 1, non potranno delinearsi, si conclude, le fattispecie di divulgazione e cessione di cui ai successivi commi 2 e 3 del medesimo articolo 600-ter. Il rinvio contenuto nei commi 2 e seguenti dell’art. 600-ter al “materiale pornografico di cui al comma 1”, starebbe infatti a designare la necessità che l’oggetto materiale di tutte le fattispecie descritte della norma consista in documentazioni ed immagini pedopornografiche realizzati da un soggetto diverso dal minore coinvolto e rappresentato. Il che, proiettato in più ampio ambito, sta a significare che analoga conclusione si impone nel caso in cui, pur sussistendo il requisito della alterità, manchi la condotta di utilizzazione del minore.

In una non recente sentenza[15] la corte di cassazione ha fornito proprio la interpretazione sopra indicata, disattendendo la diversa ricostruzione proposta dai motivi di appello della pubblica accusa, la quale, confutando quanto attestato dal giudice di merito, rilevava come il presupposto dell’utilizzazione del minore sarebbe necessario solo nella fattispecie del primo comma dell’articolo 600-ter c.p., mentre l’oggetto materiale delle ulteriori  fattispecie descritte dall’art. 600-ter sarebbe sic et simpliciter materiale pornografico riproducente minori. E del pari basterebbe la detenzione di tale materiale ad integrare il diverso e residuale reato di cui all’articolo 600-quater c.p..

Per la cassazione, per contro, l’intero dispositivo di repressione penale della pedopornografia presuppone sempre la sussistenza di due persone, l’autore e la vittima, nel senso che “l’utilizzazione” a monte del minore costituisce il presupposto necessario di tutte le sotto-fattispecie che concernono i fatti di divulgazione-cessione e detenzione, che costituisce la norma di chiusura del quadro di tutela predisposto dal legislatore e che, in quanto tale, trova il proprio fondamento in materiale ottenuto mediante la “utilizzazione” del minore di cui al primo comma del citato articolo 600-ter codice penale[16].

Tali conclusioni, secondo i giudici di legittimità, trovano il loro avallo anche nella interpretazione teleologica delle norme in esame, posto che l’obiettivo del legislatore, dichiarato nell’art. 1 della Legge n. 269 del 1998, è quello di tutelare i fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, punendo anche le attività prodromiche e strumentali alla pratica della pedofilia[17]

Di conseguenza l’utilizzo di queste fattispecie incriminatrici per punire la produzione e diffusione di materiale auto-prodotto, scevro da qualsiasi forma di strumentalizzazione del minore a monte, non risponderebbe agli obiettivi che il legislatore si era prefissato.

08. – La tesi della autonomia della condotte di divulgazione e detenzione di materiale di pornografia minorile. In diversa impostazione, fatta propria in dottrina e inizialmente nella giurisprudenza di merito, si è rilevato che la interpretazione logica delle norme di cui agli articoli sopra indicati richiede di operare una “scissione” fra il primo comma dell’art. 600-ter c.p. e le condotte disciplinate dai commi successivi del medesimo articolo e dall’articolo 600 quater del codice penale, così da ascrivere solo al reato di cui al primo comma dell’articolo 600-ter la necessità che il materiale pornografico sia prodotto da un soggetto diverso dal minore rappresentato e “utilizzando” quest’ultimo.

Tale necessità non sussisterebbe, per contro, con riguardo alle altre ipotesi criminose (fare commercio, distribuzione, diffusione, offerta, cessione, detenzione) in cui assumono esclusivo rilievo le caratteristiche delle immagini e la tipicità delle condotte. Con la conseguenza che le fattispecie di reato si realizzeranno per il sol fatto che la condotta abbia ad oggetto materiale pedopornografico e senza che svolga alcun ruolo la circostanza se l’immagine e la foto siano state realizzate direttamente dal minore rappresentato e da altri per effetto del suo valido ed efficace consenso.

A sostegno di tale interpretazione si è osservato come essa: sia maggiormente conforme alla ratio della tutela predisposta dal legislatore, ossia la necessità di garantire una protezione “onnicomprensiva” del minore, attraverso l’incriminazione di qualsiasi condotta connessa ad immagini pedopornografiche; abbia anche un fondamento logico, poiché le condotte disciplinate dal secondo comma (e seguenti) dell’art. 600-ter c.p. e quella dell’articolo 600-quater sono, temporalmente e materialmente, lontane dal primo fatto di produzione del materiale.

La tesi ha trovato riscontro in alcune recenti decisioni del giudice di legittimità[18], ove si è affermato che il secondo, terzo e quarto comma dell’art. 600-ter cod. pen., nel riferirsi al materiale pornografico di cui al primo comma, non richiamano l’intera condotta delittuosa del primo comma, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del soggetto attivo: id est, il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico.

09. – La specifica soluzione fornita dalla recente decisione delle sezioni unite. Possiamo sin da ora rilevare come la tesi che esige la ineludibile diversità tra minore rappresentato nel documento pornografico e soggetto che, utilizzando il minore, realizza tale documento presenti degli inconvenienti.

Se da un lato è vero che in tal modo si evita di riscontrare un grave reato nel fatto di chi  riceva e custodisca nel telefonino la foto porno realizzata ed inviata da un minorenne, dall’altro lato rimane privo di adeguata risposta penale[19] il comportamento del soggetto, magari con i capelli bianchi e carico di anni, che, ricevuta la foto, non importa se dall’autore del selfie o dai precedenti destinatari di tale foto, la faccia circolare ed inneschi un circuito di ulteriori divulgazioni, molto distanti da quello, apparentemente innocuo, in cui è stata realizzata. 

Si spiega quindi la riluttanza a condividere tale recente approccio giurisprudenziale ed il conseguente tentativo di operare una distinzione tra i diversi reati di pornografia minorile, richiedendosi la alterità tra minore ed autore solo per il reato di produzione di pornografia minorile ed ipotizzandosi che già il reato del comma 2 (commercio) si appaghi del fatto oggettivo che si tratti di materiale pedopornografico (si pensi al tizio che, ricevuto il selfie ed constatane l’elevato valore per gli utenti di tale squallido settore, lo metta in vendita).

La questione sopra delineata ha trovato posto, proiettata in più ampio contesto e non più correlata alla esclusiva ipotesi dell’autoproduzione di materiale pedopornografico, nella già citata recente sentenza delle sezioni unite, in cui si è esaminato l’interrogativo se e in che misura possa assumere ulteriore rilievo, nel quadro delle figure criminose di cui agli articoli 600 ter, commi 2, 3 e 4,  c.p., il fatto che il minore abbia espresso il proprio consenso alla realizzazione del materiale pornografico contenente sue immagini e tale consenso abbia escluso la tipicità del reato di cui al primo comma del predetto articolo.

Ed in tale prospettiva si evidenzia, con approccio che in qualche modo preannuncia la soluzione, che il riferimento contenuto in ciascuno dei citati commi al “materiale di cui al primo comma” potrebbe lasciare intendere che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica” e, più in generale, nell’ambito in cui non si ravvisi il reato di realizzazione di materiale di pornografia minorile.

Posti tale coordinate, le sezioni unite affermano chiaramente come la suddetta esegesi non possa condividersi.

Si richiamano, in primo luogo, sia l’art. 5 della Direttiva 2011/92/UE che, nel prevedere il divieto di circolazione, fa riferimento unicamente al materiale pornografico prescindendo dalle modalità della sua realizzazione sia l’art. 612-ter cod. pen. – introdotto dalla legge 19 luglio 2019 n. 69 – che, per la cessione a terzi di immagini o video sessualmente espliciti, prescinde anch’esso dalle modalità di realizzazione.

Indi si afferma come sia indubbio: a) che la tipologia del materiale cui si intende fare riferimento nei commi 2, 3 e 4 consista in quella definita dal comma 7 dell’art. 600-ter cod. pen.; b) e che concetto di “pornografia domestica”  richieda che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto.

Ne deriva che tale materiale “non può mai, dunque, essere posto in circolazione”.

L’asserzione viene sviluppato rilevando che, se tale ultima condizione si avvera, il minore, ancorché non “utilizzato” nella fase iniziale, deve essere ritenuto strumentalizzato, come evidenziato anche in dottrina, successivamente, e, cioè, nella fase di cessione o diffusione delle immagini. E, dunque, il materiale realizzato, se posto, in circolazione, deve essere ritenuto – indipendentemente dal momento della realizzazione e da chi ne procuri la diffusione – prodotto attraverso la “utilizzazione” del minore.

Da ciò la ulteriore esplicitazione, intesa a stabilire le connessioni tra messa in circolazione del materiale e i distinti reati di cui all’articolo 600 ter. In particolare si afferma che “Questa ricostruzione comporta che, se la circuitazione del materiale abusivamente prodotto è contestuale o, comunque, anche se successiva, sin dall’inizio voluta da chi lo ha realizzato, ricorre senz’altro la fattispecie del comma primo dell’art. 600-ter cod. pen. Se, invece, la circolazione del materiale è frutto di successiva determinazione di chi lo ha creato, dovranno trovare applicazione i commi seguenti dell’art. 600-ter cod. pen.  E ciò in quanto va escluso che possa rivivere la disposizione del comma primo, in quanto si tratterebbe di restituire tipicità ad una condotta che tipica non era al momento della realizzazione del materiale.

Per le sezioni unite, in particolare, l’art. 600-ter cod. pen. è articolato su una pluralità di fattispecie incriminatrici indipendenti l’una dall’altra ed ordinate secondo una scala di disvalore decrescente, nel senso che l’incriminazione di una condotta è subordinata alla circostanza che essa non integri già di per sé reato in base alle fattispecie previste nei commi precedenti. Lo stesso meccanismo regola la norma di “chiusura” dell’art. 600-quater cod. pen[20] rispetto all’art. 600-ter cod. penale.

La circostanza che colui che realizza il materiale non debba rispondere del reato del comma primo implica quindi l’imputazione di responsabilità per i commi successivi, in quanto la clausola di esclusione dell’incipit dei commi terzo e quarto “al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma” vale solo nel caso in cui il produttore sia concretamente punibile”.

Diversamente argomentando, infatti, verrebbe completamente frustrata la finalità di fondo del sistema articolato sugli artt. 600-ter e quater cod. pen., che persegue la tutela del minore attraverso un meccanismo che condensa l’intero spettro delle condotte punibili, che vanno dalla produzione alla detenzione del materiale realizzato, senza vuoti di tutela, ed è basato sull’assorbimento delle ipotesi meno gravi in quelle di maggiore gravità[21].

Di conseguenza, sottolineano le sezioni unite, se il minore mette in circolazione il materiale realizzato, da lui o con il suo consenso, egli sarà responsabile dei pertinenti reati, posto che l’art. 600-ter cod. pen., per tutte le ipotesi regolate ai commi terzo e quarto, fa indistintamente riferimento a “chiunque” e non consente, dunque, di operare distinzioni tra minore ed adulto.

Non rileva, quindi ed infine, la eventualità che la richiesta di divulgazione del materiale provenga o sia comunque assentita dal minore, il quale, proprio perché non dispone di quel livello di maturità che gli consenta una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del suo corpo, non può mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato,  anche in considerazione del fatto che la circolazione stessa potrebbe essere ritardata nel tempo rispetto al momento della realizzazione delle immagini o dei video[22].

10 -. Qualche ulteriore rilievo. Rileviamo in prima battuta che non pare che le sezioni unite abbiano approfondito la questione se si realizzi, sempre ed ineludibilmente, il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico anche nel caso in cui, al di fuori di qualsiasi contesto di indiretta “utilizzazione” del minore, a realizzare ed inviare il materiale pornografico sia lo stesso minore che vi è rappresentato, che ipotizziamo idoneo ad esprimere un valido consenso agli atti sessuali ed altresì in possesso della capacità di intendere e volere fonte di imputabilità ex articolo 98 c.p..

E del pari non pare che si siano puntualmente soffermate, proprio nella prospettiva dei rapporti con il reato di realizzazione di materiale porno con utilizzo di minori, sulla non perfetta coincidenza tra l’oggetto materiale delle variegate fattispecie di divulgazione e cessione di materiale pedopornografico (art. 600 ter commi 3 e 4) e quello della residuale fattispecie di detenzione del suddetto materiale (600 quater).

Si è già segnalata le differenza che intercorre tra i reati di cui sopra: nel primo gruppo si sanzionano le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, offerta e cessione del “materiale pornografico di cui al primo comma” (commi 2 e 3 dell’articolo 600 ter); nella fattispecie residuale si contempla e sanziona la condotta di chi consapevolmente si procura e detiene “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto” (comma 1) e di chi, attraverso percorsi telematici o con altro “mezzo di comunicazione” acceda intenzionalmente e senza giustificato motivo a “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto”(terzo comma).

Alla luce di tale diversità di formulazione potrebbe sembrare difficilmente contestabile che almeno la previsione del 600 quater trovi il proprio presupposto di configurabilità nella realizzazione del reato di cui al primo comma dell’articolo 600 ter; e che non possa quindi delinearsi nella ipotesi in cui manchi siffatta utilizzazione: e cioè, ed in primo luogo, quando la detenzione del materiale pedopornografico trovi il proprio antecedente causale in un fatto di autoproduzione del medesimo, in contesto privo di qualsiasi altrui strumentalizzazione e generato dalla iniziativa, ribadiamo, di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e che sia culminata nella cessione, sempre ad opera del minore coinvolto, a soggetti rispetto ai quali, per assenza delle situazioni di rapporto qualificato indicate nella previsione dell’articolo 609 quater, non si ponga alcun problema di diretta o indiretta sua manipolazione.

Stando alla decisione delle sezioni unite, i variegati reati di esternazione del materiale pedopornografico, di cui ai commi 2, 3 o 4 dell’articolo 600 ter assumono rilevanza a prescindere dalla esistenza del reato di realizzazione del suddetto materiale ed anche nella ipotesi in cui vi abbia provveduto il minore che abbia validamente consentito alla realizzazione, ad opera di un terzo, del materiale che lo raffigura.

E ciò sulla base del rilievo che in nessun modo il minore possa consentire alla messa in circolazione del materiale pedopornografico; o provvedervi autonomamente. Ciò in quanto siffatto consenso, se può delinearsi con validità ed efficacia rispetto alla concretezza della singola e circoscritta vicenda di atti sessuali e sua eventuale riproduzione, non è però in grado di proiettarsi nel futuro della esperienza di vita del minore e di radicarsi quindi sulla consapevole e matura valutazione di tutte le sue possibili varianti.

Per la sua età e la personalità ancora in formazione, il minore, non più fanciullo ma ancora non adulto, va quindi tutelato contro il rischio che in tale delicata ed essenziale fase del suo percorso di crescita si realizzino eventi che, per la loro conformazione e la idoneità a raggiungere aree vastissime di soggetti, ne possano pregiudicare l’armonico e sano sviluppo.

Si assiste quindi al realizzarsi di un ampliamento della fattispecie in cui il consenso del minore non assume rilevanza impeditiva del reato, al punto che gli si ascrive, incriminando la cessione da lui realizzata, la responsabilità penale per un fatto che, in quanto denso di implicazioni negative non adeguatamente ponderabili alla sua età, è in grado di pregiudicarne l’interesse alla sana e armonica crescita. Parrebbe, quindi, che il minore venga tutelato anche da se stesso: tutelato al punto da renderlo penalmente responsabile di un fatto che è reato perché pregiudica un suo specifico interesse.

In realtà le cose stanno in termini diversi. Si coglie, infatti, in tale argomentazione, ancorché non puntualmente sottolineato, un più ampio dimensionamento dell’oggettività giuridica dei reati di esternazione, i quali, proprio perché riscontrabili anche nella iniziativa del minore coinvolto nella immagine pornografica, proiettano la loro efficacia di tutela su interessi che vanno oltre quello del singolo minore ed abbracciano la indistinta platea dei minori di età, tutti offesi da un fatto di divulgazione di immagini in grado di alimentare il mercato della pedofilia e quindi risolversi in una spada di Damocle su ciascuno di essi.

Al fondo di tali norme incriminatrici viene quindi riscontrata una necessità di tutela di un interesse in cui campeggiano connotati di rilevanza pubblicistica, talmente intensi da profilarsi come indisponibili ad opera del minore, contrariamente a quanto accade nella fase di realizzazione del materiale pornografico e di sua gestione all’interno del circoscritto ambito di sua produzione.

Se poi questo differenziato e ampio interesse tutelato sia da ascrivere alla sospetta categoria della moralità pubblica o ad un interesse di prospettica tutela della personalità e sana crescita dei minori, è questione che, pur potendo delinearsi, ha natura prevalentemente qualificatoria, che nulla toglie alla sostanza di cui tale interesse è intessuto e al suo profilarsi nei termini di presidio di protezione dei minori, di tutti i minori, dal rischio di essere coinvolti nel famelico circuito della pedofilia.

E quindi, coerentemente al lessico impiegato dalle fattispecie in raffronto, si viene a delineare un quarto riassuntivo in cui:

  1. Il reato di realizzazione di materiale pedopornografico può essere escluso dal consenso del minore, in quanto può accadere che questi sia in grado di partecipare con consapevolezza ad esperienze di intimità affettiva e consentire di lasciarne traccia su supporti adeguati a tale obiettivo, generando il venir meno della tipicità del reato.
  2.  L’irrilevanza penale si giustifica perché il contesto in cui l’atto si realizza è chiuso, o comunque circoscritto, e si correla alla esplicazione della propria libertà di autodeterminazione sessuale, autonomamente determinatasi ed in difetto di qualsiasi pressione o lusinga. Si giustifica ed in esse trova il proprio limite, che quindi è superato quando il fatto si proietta oltre la dimensione in cui si è realizzato.
  3. Gli altri reati (divulgazione, distribuzione cessione, etc.) non sono esclusi dal consenso del minore e si inverano nel fatto di chiunque, “al di fuori delle ipotesi di cui al primo comma” (e cioè al di fuori della utilizzazione di minori) consenta ad altri, in vari gradi di intensità e misura, di disporre del “materiale pornografico di cui al primo comma”. E qui il “chiunque”, se non può essere colui che ha, utilizzando il minore, realizzato il reato di cui al primo comma (post fatto non punibile), di certo può identificarsi in coloro che quel materiale abbiano realizzato (adulto e minore validamente consenziente) pur senza integrare gli estremi del pertinente reato;
  4. La condotta tipica dei reati di esternazione è autonoma rispetto al reato di realizzazione di materiale pedopornografico, è radicata sull’obiettivo contenuto pedopornografico del materiale ed è impermeabile alla scriminante del consenso dell’avente diritto: in parte perché l’interesse tutelato ha plurimi titolari; in parte residua perché uno dei titolari (il minore raffigurato) non ha la maturità che è necessaria per poterlo validamente esprimere.

11 -. Se il reato di detenzione di materiale pedopornografico sia ipotizzabile anche quando la realizzazione del materiale non configuri il reato di cui all’articolo 600 ter primo comma c.p.

Evidente, però, come tale costruzione debba fare i conti con la previsione di cui all’articolo 600 quater, che prevede come reato la detenzione di materiale realizzato “utilizzando minori” e che non ci sembra coprire l’ipotesi in cui:

  1.  Sia il minore ad avere, dopo il valido consenso alla realizzazione, diffuso ad altri soggetti, anche indirettamente e per il tramite del soggetto “altro”, ciò che è stato realizzato. In tal caso non vi è alcuna utilizzazione del minore, che altro non fa che “utilizzare se stesso”.
  2. Sia il minore ad avere autonomamente realizzato e inviato ad altri il materiale. Anche in questo caso non vi è alcuna utilizzazione di minori.

Indubbiamente si pone un problema, perché è ben diversa la situazione che si delinea quando il materiale, prodotto con il consenso del minore o autonomamente realizzato dal minore, sia arbitrariamente messo in ulteriore circolazione da altri soggetti, che possono essere sia coloro con i quali il minore lo ha condiviso, sia coloro che, benché in un contesto non penalmente rilevante, lo abbiano realizzato; ed in ipotesi approdi al detentore finale, che chiude la catena e si limita a detenere.

Solo in tali casi, infatti, il rapporto di detenzione concerne un oggetto che costituisce la materia dei pregressi ed indubbi reati di esternazione del materiale pedopornografico, il quale, ancorché realizzato in un contesto privo di rilevanza penale, si è strada facendo arricchito di componenti che ne hanno determinato la sua successiva rilevanza, per il tramite di una condotta di divulgazione delle immagini che nella sostanza si è risolta in una arbitraria utilizzazione del minore.

12 -. Il possibile discrimine della libertà di autodeterminazione sessuale del minore. Pur in tale variegato scenario è comunque possibile isolare le situazioni in cui vi sia solo ed unicamente un rapporto tra il minore, unico o consensuale concorrente “fattore” del materiale e unico soggetto in esso raffigurato, ed un soggetto scelto dal minore e esclusivo destinatario del frammento di esperienza intima raffigurata nell’immagine[23].

Insomma si sceglie qualcuno, lo si ritiene importante e di fiducia e se ne condivide l’intima vita di relazione, sia in contesti reali, dove il consenso può funzionare ed escludere reati, sia nel contesto virtuale, dove il medesimo consenso sorregge la scelta delle modalità in cui tale esperienza relazionale si proietta oltre la sua dimensione reale e pervenga, raffigurata e custodita nel supporto prescelto, al soggetto con cui tale esperienza è stata fisicamente condivisa o al soggetto, anche altro e fatta salva la rilevanza penale di tale eventualmente arbitraria rivelazione[24], con il quale si intende viverla in tale peculiare forma e modalità[25].

Si è quindi in presenza di una scenario in cui trova attuazione il principio ricavabile della previsione dell’articolo 609 quater c.p., per effetto del quale in capo al soggetto che abbia compiuto il quattordicesimo anno di età sussiste un vero e proprio diritto, salvo i più volte segnalati limiti desumibili sempre da tale previsione, al compimento di atti sessuali, le cui modalità di realizzazione possono ampliarsi sino a comprendere anche la ipotesi di condivisione di immagini sessualmente esplicite.

Il diritto alla libera esplicazione delle proprie esperienze di intimità sessuale può, cioè, esercitarsi anche nelle forme consentite dagli strumenti di comunicazione e condivisione a distanza, in cui l’interazione avvenga senza la contestuale presenza fisica del partner e sia comunque una delle forme in cui si può declinare ed attuare la sessualità.

Ci sembra infatti poco congruo ritenere che si vada oltre tale ambito di legittimo esercizio della propria sessualità nella ipotesi in cui le esperienze di autoerotismo vengano immortalate su supporti variegati e condivisi tra coloro che vivono la esperienza di intimità relazionale, sia per averla condivisa nelle realtà, sia quale forma di sua autonoma realizzazione e condivisione virtuale, che ben può riguardare un nuovo partner ed a condizione che sia tale.

In tale prospettiva, che si radica sul principio di legittima autodeterminazione sessuale, viene in rilievo, ci sembra, anche la previsione di cui al quinto comma dell’articolo 609 quater c.p., ai sensi della quale “non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 609 bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni”.

Quale che sia la qualificazione dogmatica di tale fattispecie, è comunque pacifico che in tali casi si attesti la legittimità di una esperienza sessuale che coinvolga anche un minore che abbia compiuto tredici anni, a condizione che tale esperienza si realizzi con un soggetto che non abbia più di diciassette anni[26].

Ci sembra quindi che anche in tale circoscritta evenienza venga in rilievo il principio di autodeterminazione sessuale, per effetto del quale non assumono rilevanza penale gli atti di corporea sessualità e, direi a maggior ragione, gli atti di interazione sessuale a distanza, che possono realizzarsi confezionando immagini sessualmente esplicite e inviandole al soggetto con cui si intrattiene la relazione intima.

Sicché il confine rispetto al penalmente rilevante[27] viene ad essere rappresentato proprio dall’esercizio della libertà di autodeterminazione sessuale, nel cui ambito produzione e “gestione” del materiale che raffigura e in qualche modo perpetua la esperienza intima divengono parte di quella esperienza e ne replica gli aspetti di legittimità, con la conseguenza che non assume rilevanza penale la condotta del partner che quel materiale invia e del partner che lo riceva e si limiti a ricevere e custodire.

13 -. Riepilogo su quando esternazione e detenzione assumono rilevanza penale. Qui entra in gioco la ipotesi esegetica accreditata dalle sezioni unite, che dilata il concetto di utilizzazione del minore, lo estrapola dal chiuso della previsione incriminatrice del primo comma e lo rende immanente in ogni ipotesi, stando alla versione minimale, in cui quel materiale venga messo in circolazione al di fuori del contesto di legittimo esercizio della esperienza di sessualità.

L’utilizzazione che si delinea in tali ipotesi, pur non essendo in alcun modo riconducibile al medesimo concetto che figura nella fattispecie di realizzazione di materiale pornografico, rivela comunque una medesima ragione d’essere e realizza, pur con diversi antecedenti causali, la stessa offesa che si sarebbe realizzata nel caso in cui quel materiale fosse stato prodotto con lo strumentale impiego del minore.

La puntuale geografia delle fattispecie contemplate dell’intero articolo 600 ter sembra consentire tale approdo: le varie tipologie di “esternazione” del materiale pedopornografico (commi 3 e 4)  configurano fattispecie residuali rispetto a quelle previste dai due commi precedenti, come esplicitato dalla clausola di esclusione posta all’inizio della previsione del comma 3, per effetto della quale sono da espungere dal novero dei soggetti attivi dei reati di divulgazione e cessione i produttori e i commercianti del materiale pedopornografico[28].

Viene in rilievo in tale prospettiva la già sottolineata complessità del bene protetto dalle specifiche norme incriminatrici, che sono preordinate alla tutela dello “sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale” dei minori e che comprendono anche l’intangibilità e la libertà sessuale dei minori[29].

In ogni caso si mette l’accento sulla indistinta categoria dei “minori” e con ciò si evita di incentrare l’offensività delle condotte sul concreto e specifico minore che ne risulta coinvolto.

E qui precisiamo o, per essere più chiari, sveliamo un dato più volte accennato: nei reati di variegata distribuzione, cessione e detenzione rileva, ove si fuoriesca dal legittimo ambito di esercizio della autodeterminazione sessuale, solo la oggettiva conformazione del materiale (pedopornografico).

In tale prospettiva svolge un ruolo del tutto coerente la previsione incriminatrice della pornografia virtuale, in cui, sfumato il requisito della “utilizzazione di minori”[30], si contemplano e sanzionano anche le condotte che abbiano ad oggetto materiale pornografico costituito tanto da immagini reali di soggetti che “sembrano” essere minorenni (ancorché effettivamente non lo siano), che da immagini “virtuali” e cioè immagini realistiche di minori inesistenti.

Nelle evenienze sopra indicate, del tutto estranee al concetto di “pornografia domestica”,  l’eventuale consenso del minore non scrimina. E l’irrilevanza del consenso, pare a chi scrive, non ha nulla a che vedere con la incapacità del minore di valutarne pienamente gli effetti e le ripercussioni sulle sue prospettiva di vita, bensì risiede nell’interesse tutelato dalle specifiche norme incriminatrici, che trascende il minore concretamente coinvolto nella vicenda e fa capo a tutti i minori, proponendosi di evitare che divengano preda di famelici e innaturali istinti di predazione sessuale.

E così si delinea ed emerge il dato che tiene insieme tutte le previsioni incriminatrici di cui agli articoli 600 ter, quater e quater1, il quale: a)  risulta correlato alla condivisibile preoccupazione che la crescente diffusione, in specie attraverso le reti informatiche, di materiale a carattere pedopornografico possa, da un lato, contribuire ad incrementarne la domanda e dall’altro favorire l’adescamento di minori destinati ad essere sfruttati a fini sessuali; b) spiega il perché di un intervento repressivo spinto sino al punto di reprimere   comportamenti che, pur avendo ad oggetto immagini solo virtuali di minori, incontrano il favore di coloro che coltivano la pedofilia e sono pertanto idonei a alimentarne la diffusione.

In conclusione: l’interesse giuridico tutelato dalle fattispecie di variegata “esternazione” di materiale pedopornografico,  pur correlato all’intangibilità e libertà sessuale dei minori ed alla salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, ha una consistenza più corposa e consiste nella necessità di evitare la circolazione di materiale pedopornografico, perché tale materiale, per il suo contenuto, soddisfa, alimenta ed accresce interessi nocivi al libero e sano sviluppo della personalità e sessualità dei minori.

Il che ha il senso di dire che l’ordinamento, quale si specchia nella norma di diritto positivo, ritiene che il percorso di formazione e maturazione degli adolescenti verso l’età adulta debba essere sgomberato da quegli ostacoli che rischiano di comprometterne il condiviso obiettivo di una sana e armoniosa crescita. Sicché diviene possibile che tra gli ostacoli da eliminare vi sia anche quello che tragga origine da iniziative dello stesso adolescente, talvolta, per gli accidenti della vita, cresciuto oltre quanto attestato dal dato anagrafico. E diviene possibile questa sorta di paternalismo penale perché il presidio di tutela riguarda tutti i minori, da proteggere contro il pericolo di un prospettico sfruttamento sessuale certamente dagli adulti ma altresì da coloro che, pur non essendo adulti, di fatto e nella tangibile evidenza di ciò che producono, si comportano come adulti[31].

14 -. La tendenziale inapplicabilità del reato di “diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti” (articolo 612 ter c.p.). I rilievi di cui sopra rendono evidente come non possa venire in rilievo, tendenzialmente, il reato previsto dall’articolo 612 ter del codice penale, preordinato a sanzionare l’arbitraria esternazione di immagini a contenuto sessuale.

Tale reato, infatti, oltre a non contenere alcun riferimento ad immagini che coinvolgano minori, è inteso a tutelare esclusivamente il soggetto raffigurato nelle immagini, il quale pertanto dispone della possibilità di assentire alla divulgazione e quindi precludere la sua integrazione.

Nel caso di immagini concernenti minori si è invece rilevato come il divieto di circolazione miri alla tutela di un interesse più ampio di quello che fa capo al minore rappresentato, con la conseguenza che non è ammissibile che la volontà di costui possa rendere legittima ogni e qualsiasi esternazione delle immagini che lo riguardano.

In altri termini, il fatto che il minore, per avere raggiunto l’età del legittimo consenso agli atti sessuali, possa assentire alle realizzazione di immagini che lo ritraggono in atteggiamenti sessualmente espliciti non lo rende equiparabile all’adulto che, nel contesto della fattispecie di cui all’articolo 612 ter, dispone altresì della possibilità di mettere legittimamente in circolazione le immagini a contenuto sessuale che lo riguardino e del correlativo potere di attivare il procedimento penale per l’ipotesi che tale circolazione avvenga senza il suo consenso[32].

15 -. Il tempo del fatto ed il tempo dell’immagine.  Pare quindi pacifico che la oggettività giuridica dei variegati reati di proiezione esterna del materiale oggettivamente pedopornografico coinvolga un interesse più ampio di quello che fa capo al minore rappresentato e comporta di conseguenza la eventualità che i predetti reati si delineino anche nella ipotesi in cui ad integrarne la materialità sia lo stesso minore che vi è rappresentato.

A spingere verso tale esegesi concorre, come si è rilevato, anche la previsione sulla pornografia virtuale, per effetto della quale ben può accadere che il minore rappresentato non esista o non sia comunque riconoscibile.

Sembra altresì doverosa la conclusione che i reati predetti si realizzino anche nella evenienza in cui il minore rappresentato nella immagine, variamente configurata, abbia cessato di essere tale[33].

E ciò per la risolutiva ragione che anche in tal caso viene in rilievo la oggettiva esistenza di una immagine a contenuto pedopornografico, idonea a pregiudicare l’articolato interesse presidiato dalle norme incriminatrici, che, come visto, trascende quello del singolo minore rappresentato e coinvolge la generalizzata categoria dei minori.

In particolare sembra da escludere che in tali casi possa venire in rilievo solo il reato di cui all’articolo 612 ter del codice penale e quindi una fattispecie procedibile a querela.

Tale rilievo, però, impone di chiedersi se ed eventualmente a che condizioni possa comunque delinearsi la applicabilità anche del reato sopra indicato, posto che la premessa da cui si muove sembra far irrompere anche una addizionale necessità di tutela, correlata all’individuale riserbo in materia di sessualità della persona la cui immagine sia stata arbitrariamente diffusa.

Tale necessità di ulteriore tutela, inoltre, potrebbe delinearsi anche nelle ipotesi in cui l’immagine, realizzata dal minore o con il suo consenso, venga arbitrariamente divulgata quando il minore, che ha realizzato tale immagine o ad essa assentito per effetto di valido consenso, sia ancora tale.

16 -. Possibile rilevanza del reato di diffusione di immagini sessualmente esplicite (612 ter c.p.).  Si è visto in precedenza come esista uno spazio in cui la circolazione di materiale riproducente minori in atti sessuali è parte costitutiva della sfera di garantita e libera esplicazione della libertà sessuale e presidiata dal medesimo statuto di irrilevanza penale che contraddistingue, ai sensi delle previsioni dell’articolo 609 quater, l’esercizio di siffatta libertà.

E si è visto come la realtà dell’esperienza sessuale segni i limiti di proiezione della sua, per così dire, documentazione: il tutto deve rimanere nell’ambito dei soggetti coinvolti nell’esperienza di intimità relazionale.

Riprendiamo, per concludere, l’interrogativo di cosa accada se uno dei soggetti valichi quei confini e divulghi il materiale a contenuto sessuale negli ambiti e con le modalità contemplati dalle fattispecie incriminatrici di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 600 ter.

L’alternativa è se ricorrano soltanto i reati, confezionati ad hoc a tutela di tutti i minori, previsti dai più volte citati commi 3 e 4 del 600 ter e 600 quater; oppure possa delinearsi uno spazio per la concorrente applicazione del reato di diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (articolo 612 ter c.p.), radicato sulla mancanza di consenso a tale diffusione da parte del soggetto rappresentato.

Di certo il dispositivo di tutela del 612 ter non può interferire nel predetto ambito e generarne la liceità per effetto del consenso del minore rispetto ai fatti di diffusione e cessione per così dire a largo spettro, al di fuori di concrete e personali esperienze di intimità sessuale e quindi in un contesto che non reca alcuna traccia di ciò che configura e definisce la “pornografia domestica”.

Ciò premesso, è comunque indubbio che la mancanza del predetto consenso, siccome attinente ad immagini a contenuto sessuale, che coinvolgono un minore sessualmente capace, fa venire in rilievo una necessità di tutela ulteriore, che, come già accennato, riguarda soltanto il soggetto che è raffigurato nella immagine.

Viene quindi in rilievo una componente ibrida del consenso del minore sessualmente capace: tale consenso non può rendere lecita la circolazione del materiale che lo riguarda al di fuori del contesto di domestica esperienza di sessualità che ne ha contrassegnato la realizzazione o situazioni ad esso equipollenti; detto consenso, però, proprio perché proveniente da un soggetto che si assume titolare di autodeterminazione sessuale, può ben inibire la realizzazione del reato di cui all’articolo 612 ter del codice penale.

Da ciò la conseguenza che sussisterà anche il predetto reato nella ipotesi in cui il materiale venga posto in circolazione arbitrariamente: senza cioè quel consenso che, ai sensi della citata fattispecie ex 612 ter c.p., genera la irrilevanza penale del fatto in essa contemplato.

Siffatta conclusione ci sembra un coerente corollario del principio della autodeterminazione sessuale, per effetto del quale il consenso di colui che ne è titolare, così come può rendere legittimi gli atti sessuali che lo coinvolgono, alla stesso modo può delinearsi come elemento impeditivo del reato posto ad esclusiva tutela del suo interesse al riserbo e alla riservatezza dei predetti atti.


[1] Comprensivo anche del fatto di consapevole accesso, con veicoli telematici e non solo, a “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto 600 quater (comma 3, aggiunto dalla legge 23 dicembre 2021, n. 238.).

[2] Nel contesto della “autoproduzione” la tematica in esame si correla al c.d. fenomeno del “Sexting” (dall’inglese “sex” – sesso – e “texting” – inviare messaggi -), ossia la pratica di inviare immagini sessualmente allusive attraverso il cellulare o Internet. In tale ambito viene operata la distinzione tra: “sexting primario”, che identifica le ipotesi, solitamente consensuali, in cui è lo stesso protagonista dell’’immagine ad inviarla ad un altro soggetto nell’ambito di un rapporto privato; e sexting secondario” che descrive il caso in cui il primo destinatario dell’immagine, o altri, la metta in circolazione portandola alla vista di ulteriori soggetti.

[3] Vedremo in seguito la rilevanza in tale prospettiva anche della previsione di non punibilità contenuta in tale norma e riferita agli atti sessuali compiuti da un minore che abbia compiuto gli anni tredici (articolo 609 quater, comma 4, c.p.).

[4] Con sentenza n. 16207 del 2014 le sezioni unite, risolvendo in contrasto di giurisprudenza, hanno affermato il seguente principio di diritto: La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, non configura il reato di induzione alla prostituzione di cui al primo comma dell’articolo 600 bis codice penale ed integra, ove ne sussistano gli estremi oggettivi, la fattispecie di cui al secondo comma del predetto articolo 600 bis (rapporti sessuali dietro compenso).

Le sezioni unite hanno disegnato con esattezza i confini tra le due norme incriminatrici, sottolineando che:

Il più grave reato di induzione alla prostituzione è destinato a punire coloro che avviano i minori all’attività di prostituzione, li trattengono in tale attività e ne traggono vantaggio;

La condotta di induzione alla prostituzione minorile, per essere penalmente rilevante, deve essere sganciata dall’occasione nella quale l’agente è parte del rapporto sessuale e oggettivamente rivolta ad operare sulla prostituzione esercitata nei confronti di terzi;

L’induzione del minore alla prostituzione, in particolare, prescinde dall’effettuazione diretta dell’atto sessuale con l’induttore e può riguardare soltanto chi determina, persuade o convince il soggetto passivo a concedere il proprio corpo per pratiche sessuali da tenere non esclusivamente con il persuasore ma con terzi, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione però che questa non si identifichi nell’induttore.

Ciò non comporta la irrilevanza penale dei rapporti sessuali a pagamento, in quanto a completare la tutela della personalità dei minori viene in rilievo la fattispecie di cui al comma 2 dell’articolo 600 bis, che svolge un ruolo di chiusura e sussidiario ed ai sensi della quale è punito con la reclusione da uno a sei anni il fatto di chiunque compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni in cambio di corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi.

[5] Sez. 3, Sentenza n. 21181 del 19/03/2009 Ud.  (dep. 20/05/2009 ) Rv. 243622 – 01- L’esercizio della violenza o della minaccia nei confronti della vittima non è evento necessario all’integrazione del reato di induzione alla prostituzione minorile che può essere commesso, a differenza del reato di violenza sessuale, anche solo con un’attività di persuasione ad acconsentire agli atti sessuali.

Sez. 3 – , Sentenza n. 40383 del 29/05/2019 Ud.  (dep. 02/10/2019 ) Rv. 277273 – 01 – Il reato di prostituzione minorile, che punisce le condotte di induzione, favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione del minore degli anni diciotto, concorre con quello di atti sessuali con minorenne, compiuti nell’ambito delle attività di prostituzione di quest’ultimo, sia per la differente oggettività giuridica che per la diversità degli elementi costitutivi. (In motivazione, la Corte ha osservato che l’elemento aggiuntivo e dominante del mercimonio del corpo rende la fattispecie di cui all’art. 600-bis, comma primo, cod. pen. ontologicamente diversa da quella di cui all’art. 609-quater cod. pen.).

[6] Cass., Sez. un., sent. 28 ottobre 2021 (dep. 10 febbraio 2022), n. 4616,

[7] Sez. U – , Sentenza n. 51815 del 31/05/2018 Ud.  (dep. 15/11/2018 ) Rv. 274087 – 02. In motivazione, la Corte ha indicato, a titolo esemplificativo, la produzione, con il consenso del minore ritratto, di materiale del tipo indicato nell’ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni, unicamente ad uso privato delle persone coinvolte.

[8] Si precisa che non può ritenersi risolutiva in tal senso l’introduzione, nel 2019, tramite l’art. 612-ter cod. pen., della criminalizzazione del fenomeno del c.d. revenge porn, che non risulta occuparsi, nello specifico, della tutela della persona di età minore e che non appare adeguato a tale scopo sia per la procedibilità a querela che per la mancata previsione di una circostanza aggravante specifica per i casi in cui la diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessuale esplicito abbia ad oggetto le immagini di un minore.

[9] Le sezioni unite, per definire il contesto in cui può assumere rilevanza il consenso del minore, prendono in considerazione l’art. 609-quater c.p. e vi desumono il requisito anagrafico, cui assegnano valenza sistematica – che deve sussistere affinché il minore possa autodeterminarsi in relazione alla propria sfera sessuale.

La norma, infatti, individuando i casi in cui gli atti sessuali con il minorenne costituiscono reato, permette altresì di identificare le ipotesi in cui deve essere esclusa la validità del consenso eventualmente prestato dal minore alla riproduzione documentale della propria attività sessuale; di conseguenza, la condotta di utilizzazione ricorrerà: a) in tutti i casi in cui il minore non abbia compiuto quattordici anni; b) nel caso in cui il minore abbia tra i quattordici e i sedici anni, in presenza dei particolari rapporti intercorrenti tra lui e l’agente considerati dal n. 2 del c. 1 dell’articolo in questione (parentela, convivenza, tutela, affidamento per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia); c) nel caso di minore ultra sedicenne, in presenza delle condotte di abuso dei poteri connessi alla posizione dell’agente di cui all’art. 609-quater c. 2, sempre nell’ambito di rapporti di parentela, convivenza, educazione, ecc.; d) in tutti i casi in cui ricorrano le ulteriori condotte di abuso di fiducia, di autorità o influenza descritte dal nuovo comma 3 dell’articolo de quo, recentemente introdotto dalla l. 238/2021.

Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite affermano il principio di diritto secondo cui «si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso».

[10] In tal senso Sez. 3, n. 2252 del 23/10/2020, Rv. 280825-01.

[11] Rilevano le sezioni unite che sulle modalità dell’induzione, in mancanza di decisioni che abbiano esaminato specificamente la questione in relazione all’art. 600-ter cod. pen., potrà aversi riguardo, per la sovrapponibilità dei profili di interesse in questa sede, agli approdi cui si è pervenuti con riferimento all’art. 600-bis cod. pen. che, al comma l n. l, sanziona la condotta di chi “recluta o induce alla prostituzione persona di età inferiore agli anni diciotto”.

In quel contesto l’induzione è stata descritta come “quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione”, con la precisazione che “l’opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere …… e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore” (Sez. U, n. 16207 del 19/12/2013, Rv. 258757; Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, Rv. 276231 – 01 ).

[12] Indicative al riguardo sono le seguenti previsioni normative: – artt. 600-ter, quinto comma, cod. pen. che per i casi previsti dagli artt. 600-bis, primo e secondo comma, 600-ter, primo comma e 600-quinquies, cod. pen., prevede un aggravamento di pena “se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici”; – art. 602-ter, sesto comma, cod. pen. che, anche per i reati di cui agli  artt. 600-bis e 600-ter, cod. pen., detta i criteri di aggravamento della pena per situazioni omologhe a quelle indicate nell’art. 609-quater cod. pen. Si rileva, inoltre, che proprio per rafforzare la tutela del minore infrasedicenne, il legislatore, recependo le indicazioni delle Convenzioni  internazionali, ha introdotto una specifica disposizione di “sbarramento” finalizzata a prevenire iniziative rivolte al coinvolgimento del minore stesso nei contesti della pornografia e della prostituzione minorile. Si tratta dell’art. 609- undecies cod. pen. (Adescamento di minorenni) che recita: “Chiunque allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter e quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater,l, 600- quinquies, .. . adesca un minore di anni sedici, è punito … “.

[13] Art. 167 Codice della privacy.

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2 sexies e 2 octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2 septies arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni (Tale comma è stato modificato dall’art. 9, comma 1, lettera g), del D.L. 8 ottobre 2021, n. 139).

La pregressa previsione era nei seguenti termini: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trame per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione …

Al minore l’ordinamento interno ha, inoltre, da ultimo riconosciuto il diritto di cautelarsi contro il rischio di diffusione delle immagini rivolgendosi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali. L’art. 9, comma 1, lett. e) d.l. 8 ottobre 2021 n. 139, convertito dalla legge 3 dicembre 2021, richiamando il predetto Regolamento UE, ha introdotto, infatti, nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, l’art. 144-bis che al comma 1 recita:” l. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facoltà di segnalare il pericolo al Garante, il quale, nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli articoli 143 e 144 del presente codice.”.

[14] Ai sensi del comma finale dell’articolo 600 ter c.p. “per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.”.

[15] Cass. pen., Sez. III, 21.3.2016, n. 11675.

[16] Condivide tale impostazione cassazione sezione terza n. 34357 del 11/04/2017 Cc.  (dep. 13/07/2017 ) Rv. 270719 – In tema di pornografia minorile, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 600-ter, comma terzo, cod. pen., è necessario che il produttore del materiale pornografico sia persona diversa dal minore raffigurato.

[17] In tal senso si è espressa anche la importante sentenza n. 13/2000 delle Sezioni Unite della Cassazione, che la decisione del 2006 sopra indicata ha richiamato per sottolineare il ruolo sostanziale rivestito dal presupposto dello “sfruttamento” del minore (ora “utilizzazione”).

[18] Sez. 3, n. 5522 del 21.11.2019, Rv. 278091; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021, Rv. 281972 – 01.

[19] Prescindiamo per il momento dalla possibile rilevanza nel quadro della fattispecie di diffusione di immagini sessualmente esplicite (articolo 600 ter c.p.).

[20] Entra quindi in scena anche il reato di detenzione di materiale pedopornografico.

[21] La responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale resterà esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuto impedire. Il rilievo sembra dire più di quanto imposto dal coerente sviluppo delle premesse e dalla natura dolosa delle fattispecie incriminatrici che vengono in rilievo.

[22] Attraverso l’art. 600-ter cod. pen., si sottolinea,  il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare, infatti, che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione. Da tutto quanto precede deriva il seguente principio di diritto:” La diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen. e il minore non può prestare consenso ad essa”.

[23] Rimaniamo ancorati alla realtà, almeno si spera, e evitiamo di ipotizzare che queste relazioni coinvolgano minori di anni quattordici.

[24] Ad esempio, nel caso l’immagine concerna anche altri soggetti, in origine parti dell’esperienza sessuale che ha convolto il minore. In merito si veda oltre, con riguardo al reato di cui al 612 ter c.p..

[25] Ipotizziamo anche che sia davvero eccezionale, e quindi non la prendiamo in esame, la ipotesi di scaltri minori, magari prossimi alla maggiore età, che realizzino proprie immagini porno e le inseriscano, quale visibile appeal, in vari siti di sessualità a pagamento. Dove si assiste ad una situazione in qualche modo paradossale: il minore diffonde materiale pedopornografico e istiga a commettere reati che sono tali solo per gli istigati (articolo 600 bis comma 2 c.p.).

[26] O comunque abbia una differenza di età non superiore a quattro anni.

[27] Salva, come già accennato, la possibile rilevanza del fatto ai sensi del reato di diffusione di immagini sessualmente esplicita, per l’ipotesi in cui l’immagina porno condivisa rappresenti soggetti, sempre in età di consenso sessuale, ulteriori rispetto al soggetto che invia.

[28] Nella relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo Servizio Penale della Corte di cassazione in merito alle innovazioni apportate dalla legge 23 dicembre 2021, n. 238. (Relazione 20/2022 Roma del  21 marzo 2022) si sottolinea che la  punizione del detentore di materiale pornografico si giustifica non solo perché egli, fruendo del prodotto di un’attività illecita, stimola quella stessa attività, ma anche perché, a differenza del mero spettatore, colui che detiene materiale pedopornografico può divenire un autonomo centro di diffusione e così porsi a lato dell’offerta, contribuendo direttamente ad espandere il mercato della pornografia minorile, con conseguente pericolo per altre future vittime.

[29] Mantovani, Fiandaca Musco.  Anche le sezioni unite della cassazione hanno sostanzialmente aderito a tale impostazione, individuando proprio nella compromissione del libero sviluppo personale del minore, soprattutto nell’aspetto sessuale, l’oggetto della tutela predisposta dalle norme di recente conio e di quella di cui all’art. 600-ter in particolare [C s.u. 5.7.2000, p.m. in proc. c. Bove, CP 2000, 2983; C. III 21.1.2005, M., CED 230732

[30] Con la previsione di cui all’articolo 600 quater1 la rilevanza penale delle condotte contemplate nei precedenti artt. 600-ter e 600-quater viene estesa anche all’ipotesi in cui il materiale pornografico contenga “immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse”. Nel comma 2 il legislatore ha definito la nozione di “immagini virtuali”, stabilendo che tali devono considerarsi quelle “realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.

Si è al riguardo rilevato come la formula legislativa risulta oltremodo oscura e ponga il problema se si sia inteso configurare una autonoma figura criminosa oppure estendere l’ambito di applicazione dei reati previsti dai due articoli precedenti, introducendo un elemento normativo che ne definisca in maniera più ampia il relativo oggetto materiale.

Ad amplificare i dubbi interpretativi ha contribuito, poi, la previsione di una clausola sanzionatoria, apparentemente indicativa della volontà di configurare una autonoma fattispecie incriminatrice, la quale, però, determina la cornice edittale della pena in relazione a quelle indicate negli artt. 600-ter e 600-quater ed attraverso una formula (“la pena è diminuita di un terzo”) che potrebbe persino evocare l’intenzione del legislatore di prevedere una circostanza attenuante dei reati previsti nei due articoli precedenti.

L’orientamento più consolidato è nel senso che si è inteso configurare una autonoma serie di delitti, con previsione sanzionatoria ad hoc, sebbene determinato per relazione, e connotata da un oggetto materiale che non si delinea come propriamente specializzante di quello che contrassegna le altre previsioni delittuose.

[31] Nella relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo Servizio Penale della Corte di cassazione in merito alle innovazioni apportate dalla legge 23 dicembre 2021, n. 238. (Relazione 20/2022 Roma del  21 marzo 2022) si afferma, in linea con quanto recentemente affermato nelle Sezioni Unite, che l’interesse tutelato dalle disposizioni in esame non è unicamente individuale e, cioè, circoscritto ai soli minori materialmente utilizzati, ma anche collettivo e, quindi, riferibile alla tutela di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti posto che il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare che ì minori siano ridotti a mero strumento dì soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della “desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione”.

[32] In merito, volendo, Santoro, Alcune considerazioni in merito ai reati di “diffusione di rirese e registrazioni fraudolente” (art. 617 septies c.p.) e “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” – Revenge porn – (art. 612 ter c.p.) pubblicato nella rivista informatica Ratio Iuris nell’ottobre 2019.

[33] Per esempio, l’adulto invia immagini di quando era minore allo scopo di alimentare il mercato della pedofilia, cui può in ipotesi essere interessato per finalità di prospettico lucro.