Angela Marcianò
Professore associato di diritto del lavoro nell’Università di Messina
Abstract: La tematica della sicurezza del lavoro in Italia è profondamente influenzata dall’ importanza che la stessa riveste per l’Unione europea.. L’art. 137 del Trattato prevede il miglioramento dell’ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. Quest’ultima è da attuarsi mediante direttive che contengono le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. L’intensa produzione normativa comunitaria a tutela dell’ambiente di lavoro si basa su alcuni principi fondamentali che servono sia da indirizzo alla legislazione di dettaglio, sia da guida per gli organi legislativi degli Stati membri. I principi-guida, gli strumenti di tutela ed i rimedi predisposti sono spesso legati alla circostanza che l’ordinamento giuridico di un determinato Paese li ritenga storicamente in linea con l’evoluzione culturale ed economica esistente. Il presente studio è pertanto orientato ad investigare sulla tutela garantita ai lavoratori in Italia nei confronti dei rischi inerenti all’ambiente di lavoro, al fine di compararne l’adeguatezza rispetto alle prescrizioni comunitarie. Pur esistendo uno specifico sistema di assicurazioni sociali obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l’interesse per il regime della responsabilità civile del datore di lavoro conduce l’interprete ad approfondire una delle zone più impervie della disciplina giuridica relativa alla sicurezza delle condizioni di lavoro con particolare riferimento alle ipotesi di inadempimento, risarcimento e liquidazione del danno.
The issue of occupational safety in Italy is profoundly influenced by the importance it has for the European Union. Art. 137 of the Treaty provides for the improvement of the working environment to protect the safety and health of workers. The latter is to be implemented through directives which contain the minimum requirements applicable progressively, taking into account the conditions and technical regulations existing in each Member State. The intense production of Community legislation to protect the working environment is based on some fundamental principles which serve both as guidelines for detailed legislation and as a guide for the legislative bodies of the Member States. The guiding principles, the instruments of protection and the remedies provided are often linked to the fact that the legal system of a given country considers them historically in line with the existing cultural and economic evolution. The present study is therefore oriented to investigate the protection guaranteed to workers in Italy against the risks inherent in the working environment, in order to compare its adequacy with respect to the Community provisions. Although there is a specific compulsory social insurance system against accidents at work and occupational diseases, the interest in the employer’s civil liability regime leads the interpreter to delve into one of the most impervious areas of the legal framework relating to the safety of working conditions with particular reference to the hypotheses of non-fulfilment, compensation and settlement of damages.
SOMMARIO: 1. I principi comunitari in materia di salute e sicurezza sul lavoro.- 2. Le tutele dei lavoratori tra sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie e responsabilità civile. -3. Il danno risarcibile al lavoratore.- 4 . I criteri di liquidazione del danno.
1. I principi comunitari in materia di salute e sicurezza sul lavoro
La tematica della sicurezza del lavoro in Italia è profondamente influenzata dall’ importanza che la stessa riveste per l’Unione europea[1]. L’art. 137 del TCE, oggi art.153 TFUE, prevede il miglioramento dell’ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori[2].
La prevenzione dei rischi da infortuni e malattie professionali, in particolare, rientra tra gli specifici obiettivi della Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, da attuarsi mediante direttive contenenti prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro[3]. L’intensa produzione normativa comunitaria a tutela dell’ambiente di lavoro si basa, pertanto, su alcuni principi fondamentali, che servono sia da indirizzo alla legislazione di dettaglio, sia da guida per gli organi legislativi dei Paesi dell’UE [4] .
Gli strumenti di tutela ed i rimedi predisposti sono spesso legati alla circostanza che l’ordinamento giuridico di un determinato Stato li ritenga “storicamente” in linea con l’evoluzione culturale ed economica esistente[5].
La definitiva affermazione di una nozione integrale di salute, comprensiva del benessere fisico e psichico del lavoratore[6] (con considerazione anche dello stress[7], della monotonia e ripetitività del lavoro), ha innanzitutto portato alla teorizzazione, a livello comunitario, del principio dell’”adeguamento del lavoro all’uomo” [8].
Tra i metaprincipi di matrice comunitaria, il legislatore italiano ha, poi , ritenuto opportuno recepire il principio di prevenzione, ritenendolo facilmente inquadrabile nel disposto dell’art. 2087 c.c., attraverso una interpretazione più moderna ed elastica della norma, che, pur presente nel codice del 1942, era stata negletta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Non ha trovato il medesimo accoglimento il principio di precauzione, che si pone su un piano di maggiore garanzia per i lavoratori, in quanto appare idoneo a modificare significativamente il rapporto tra ambiente di lavoro e semplici fattori di rischio, anche non perfettamente conosciuti, perché ancora privi di conferme empiriche o scientifiche.
Il suddetto principio è, invero, ricollegabile alla tutela dell’ambiente in generale, più che all’ambiente di lavoro, anche perché, se l’ordinamento giuslavoristico volesse aprirsi al principio di precauzione, ciò implicherebbe concepire l’esistenza di un obbligo in virtù del quale il datore di lavoro possa conseguentemente rispondere per gli inadempimenti a lui addebitabili.
L’attuazione del principio di precauzione è, dunque, resa difficile dalla difficoltà di introdurre nella normativa di settore una regola di comportamento che sia in qualche modo esigibile dal solo datore di lavoro, con l’impossibilità di identificare in anticipo il contenuto dell’obbligo di protezione del lavoratore. Il che comporterebbe, tra l’altro, la necessità di prevedere una sanzione sul piano civile per inosservanza di un precetto che è a priori indeterminato.
In considerazione di ciò, il principio di precauzione è stato ritenuto un limite all’assolutezza dei poteri economici, in quanto eccede per sua natura e funzione proprio il necessario rapporto tra diritti e doveri tipici di ogni relazione contrattuale[9].
Nella ricostruzione della tematica, alla luce delle influenze del diritto comunitario, ha assunto invece una peculiare rilevanza la specificazione del principio della “massima sicurezza” o del “massimo tecnologico”.
Con la dir.89/391/CEE, successivamente modificata dalla dir.2007/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché integrata dalle direttive settoriali emanate nel corso degli anni, si è passati dal principio della così detta reasonable praticability[10], costruito dall’empirismo britannico, a quello che deriva dalla legislazione comunitaria[11], e più vicino al nostro ordinamento, della “massima sicurezza tecnicamente possibile”[12], riconducibile all’art.118 del Trattato CEE, e tipico dei sistemi continentali[13] .
La sicurezza non va subordinata a criteri di fattibilità economica e produttiva ed il datore di lavoro è tenuto ad allineare il proprio assetto organizzativo e produttivo ai risultati raggiunti dal progresso scientifico e tecnologico[14]. Pertanto, alla tecnica variabile destinata inevitabilmente ad evolversi, si contrappone un eccezionale principio di civiltà giuridica, che ha ispirato in misura sempre crescente la legislazione nazionale. Date queste premesse, si rovescia la precedente impostazione, nel senso che la materia della prevenzione dei rischi non è più subordinata alle scelte tecniche e organizzative datoriali, ma ne diventa parte integrante.
L’idea che bisogna utilizzare le tecniche più recenti e più moderne non può essere perseguita dal datore di lavoro, se non attraverso un aiuto concreto da parte dello Stato, che consenta di evitare quell’analisi economica necessaria alle aziende per rimuovere competitività nel mercato. Assumendo come fondamento queste indicazioni, i Paesi membri hanno dovuto riadattare, e continuano a farlo, le regole in materia. In alcuni casi ciò è stato più semplice (ad esempio, per l’Olanda, la Germania, la Gran Bretagna), in quanto gli ordinamenti giuridici interni risultano già dotati di un sistema soddisfacente, che ha consentito loro di integrare nel corso degli anni senza particolari difficoltà il proprio quadro normativo. Diventa, così, comprensibile che in questi Paesi si persegua un sistema di sicurezza solo “ragionevolmente praticabile”. Altri, invece, (come Spagna, Grecia, Italia) hanno avvertito l’impatto innovativo in maniera più traumatica ed hanno dovuto rivisitare completamente il sistema previgente.
In Italia l’adeguamento è avvenuto con gradualità attraverso l’introduzione di tutele sempre più incisive. Il legislatore, quindi, ha cercato di accantonare parzialmente il vecchio orientamento punitivo per affermare una nuova cultura orientata verso la prevenzione nel sistema della sicurezza, basata sul principio della cooperazione tra le parti[15] e su una costante ed adeguata formazione del personale in azienda[16]. Le novità più significative non sono intervenute in relazione al contenuto stesso dell’obbligo di sicurezza, ma in relazione alle modalità di gestione dello stesso. È stata realizzata una procedimentalizzazione dell’obbligo, per fare in modo che i lavoratori e i datori di lavoro possano essere informati circa le procedure per una efficiente realizzazione delle misure prevenzionistiche, lasciando un sempre crescente spazio alla tematica concernente gli effetti della violazione del precetto, oggi in concreto prevalente.
In particolare, l’art. 11 del D.lgs.n.104/2022 ha stabilito che, laddove il datore sia obbligato in forza di legge, contratto collettivo od individuale ad erogare “formazione obbligatoria”, questa vada garantita, gratuitamente, al personale ed sia considerata orario di lavoro e, ove possibile, debba svolgersi durante lo stesso. Tale obbligo non riguarda la formazione necessaria al dipendente per mantenere o rinnovare una qualifica professionale, a meno che ciò non sia dettato da norme legali o contrattuali. Da ultimo, il Decreto legge 4 maggio 2023, n.48 “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”, ha apportato ulteriori modifiche al D.Lgs.n.81/2008, mostrando un’ evidente e rinnovata attenzione alla formazione per la sicurezza.
2. Le tutele dei lavoratori tra sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie e responsabilità civile
A tutela dei lavoratori nei confronti dei rischi inerenti all’ambiente di lavoro è finalizzato il sistema delle assicurazioni sociali obbligatorie contro gli infortuni e le malattie professionali, sviluppatosi in tutti i moderni ordinamenti del lavoro e attualmente gestito dall’INAIL.
La normativa si applica ai lavoratori addetti a particolari lavorazioni, indicate come potenzialmente pericolose, e tende ad assicurarli da eventi dannosi connessi allo svolgimento del lavoro, verificatosi anche indipendentemente dalla colpa del datore di lavoro[17].
Il modello assicurativo, tuttavia , pur garantendo al lavoratore un ristoro dei pregiudizi patrimoniali conseguenti ad infortuni sul lavoro o ad una malattia professionale, non ha mai sostituito del tutto quello della responsabilità civile.
Quest’ultimo è destinato a rivivere tanto a beneficio del lavoratore per i danni differenziali eventualmente rivendicabili, quanto a beneficio dell’Inail, a titolo di regresso nelle ipotesi di responsabilità penale dell’imprenditore o di un semplice dipendente di questi.
In tale quadro, assume rilevante importanza la nozione di danno differenziale[18], in quanto identifica il danno risarcibile al lavoratore[19], ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per infortunio o per malattia professionale e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno in sede civilistica.
Le prestazioni erogate dall’assicuratore sociale sono dovute in ragione del verificarsi dell’infortunio[20], mentre il risarcimento del danno presuppone non solo il verificarsi dell’evento dannoso, ma anche la sua configurabilità come illecito, in quanto prodotto a seguito di un comportamento colposo del datore di lavoro o di un terzo. Il danno differenziale[21] spetta anche a colui il quale, pur percependo una rendita Inail, dimostri di avere subito un danno ulteriore rispetto a quello riconosciuto dall’ente previdenziale[22].Di tal che, rilievo assume l’istituto dell’azione di regresso[23], che consente all’Inail di ottenere dal datore di lavoro, responsabile dell’evento infortunistico, il rimborso delle prestazioni erogate all’infortunato: si tratta di un’azione diretta e autonoma, che l’istituto previdenziale esercita iure proprio.
La materia della responsabilità civile ha condotto l’interprete ad investigare una delle zone più impervie della disciplina giuridica relativa alla sicurezza delle condizioni di lavoro.
La complessità dell’indagine deriva dal fatto che, in quest’ambito, si misurano appieno i condizionamenti di una materia che interessa anche i settori penale e previdenziale dell’ordinamento giuridico[24].
L’incidenza in sede civile di disposizioni di stampo penale, contenute nella normativa antinfortunistica, è dovuta alla peculiare fattispecie disciplinata dall’art. 2087 c.c[25].
Tale norma, nella sua ampia formulazione, ha consentito che le disposizioni di diritto pubblico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro assumessero rilevanza anche nel rapporto obbligatorio, dando origine a dei veri e propri obblighi di natura contrattuale a carico del datore di lavoro[26].
Considerato che l’accertamento dell’eventuale inadempimento della parte datoriale richiede che sia preventivamente ben definito il contenuto dell’obbligo di protezione posto dall’art. 2087 c.c., la giurisprudenza ha chiarito che questo obbligo va parametrato alle regole di comportamento (cosiddette “positivizzate”) imposte per la tutela della salute dei lavoratori da norme di legge e, per altro verso, anche a quelle (cosiddette “innominate”) suggerite dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento in cui si è verificato l’evento dannoso[27].
L’eventuale integrazione degli obblighi di protezione posti in capo al datore di lavoro, mediante l’utilizzo diligente dell’esperienza e della tecnica, non può che essere, dunque, subordinata alla riscontrata esistenza di un “sapere scientifico” seriamente accreditato tra gli studiosi, adeguatamente vagliato e corroborato, e che, in ragione della sua oggettiva consistenza, sia idoneo a giustificare la prevedibile necessità di una specifica misura di sicurezza. Fermo restando che le regole c.d. “innominate” , eventualmente individuate, devono poi, essere applicate «in relazione alle caratteristiche dell’attività, alle mansioni del lavoratore, alle condizioni dell’ambiente esterno e di quello di lavoro e apparire idonee ad evitare eventi prevedibili»[28].
3. Il danno risarcibile al lavoratore
In caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, il danno risarcibile ha coinciso per lungo tempo con il solo danno patrimoniale, legato alla perdita della capacità lavorativa (oltre all’eventuale danno morale ex art.2059 c.c.).
Più tardi la giurisprudenza è giunta a riconoscere l’esistenza ( e la risarcibilità) del c.d. danno biologico, inteso come « menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata».
Si è altresì sostenuto che questa ipotesi di danno nell’ambito del rapporto di lavoro[29] e la conseguente richiesta di risarcimento consegua non solo in caso di lesione del diritto alla salute per infortunio[30] o a malattia professionale del lavoratore, ma anche a comportamenti illegittimi del datore di lavoro o al distorto esercizio dei suoi poteri[31].
L’azione risarcitoria, finalizzata alla riparazione del danno biologico, si basa per lo più sull’accertamento di un illecito civile dell’imprenditore, sotto forma di inadempimento dell’obbligazione di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure fornite dalla scienza e dalla tecnica, per evitare la lesione dell’integrità fisica e psichica e della personalità morale del dipendente[32]. La fattispecie non configura comunque un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità datoriale va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento, imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento. Incombe, pertanto, sul lavoratore la prova dell’esistenza del danno, della nocività dell’ambiente di lavoro e del nesso di causalità tra l’uno e l’altra[33].
Le varie opzioni, adottate dalla dottrina civilistica per espungere il danno biologico dai limiti del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.[34] e quindi inserirlo nell’alveo della tutela fornita dalla clausola generale del neminem laedere di cui al 2043 c.c., sono sempre risultate per la gran parte dei giuslavoristi come ridondanti[35]. Non è apparso mai necessario procedere ad una rivisitazione costituzionale (alla luce dell’art. 32 Cost.) dell’art. 2043 c.c., in quanto è stato sempre sufficiente applicare correttamente l’art. 2087 c.c., come norma anticipatrice dei valori costituzionali. Tale impostazione ha portato la dottrina giuslavorista a contrastare le teorie volte a trovare un diverso fondamento al diritto al risarcimento del danno biologico del lavoratore[36] . Posto che il danno sofferto in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa determina una responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., muta altresì l’angolo prospettico, cioè dal neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., alla responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in stretta connessione con gli artt. 1223 e 1226 c.c., che riguardano rispettivamente il risarcimento del danno e la sua liquidazione equitativa.
In questo senso numerose pronunce ribadiscono che il mancato adempimento dell’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’ integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è fonte di una responsabilità che trae origine dal solo contratto di lavoro.
Sul versante giurisprudenziale, come in quello dottrinale, si è così consolidato l’indirizzo che, in materia di risarcibilità di danno biologico, qualifica la relativa responsabilità datoriale come contrattuale . Ciò vale non solo per i casi di infortuni e malattie professionali, contratte durante l’esecuzione della prestazione lavorativa, e quando il datore di lavoro non provvede, ad esempio, ad adeguare l’organico carente dell’azienda, permettendo che si verifichi un danno alla salute c.d. da super lavoro[37] . La configurazione della responsabilità ex art. 2087 c.c. come responsabilità contrattuale, secondo i criteri previsti ex art. 1218 c.c., comporta che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare di avere ottemperato agli obblighi protezionistici e sul lavoratore, invece, di dare prova sia dell’esistenza della lesione all’integrità psicofisica, sia del nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’esecuzione della prestazione lavorativa [38]. Quindi, la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte, poiché ai sensi dell’art. 1218 c.c. è il debitore del rapporto di lavoro che deve provare come l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione, e di conseguenza il pregiudizio subito dalla controparte, derivino da causa a lui non imputabile[39].
Altra giurisprudenza minoritaria ha sostenuto che, accanto alla responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., possa configurarsi anche una responsabilità di tipo extracontrattuale ex art. 2043 c.c.[40]. Tale orientamento è dettato dall’intrecciarsi confuso tra la storica giustificazione del danno biologico che nasce dall’area della responsabilità aquiliana e dalla necessità di ricostruire la categoria del danno biologico in un diverso ambiente, che è quello contrattuale.
Si è sostenuto che il concorso tra responsabilità aquiliana e contrattuale si ritrovi, ad esempio, nei casi di condotte plurioffensive del datore di lavoro, laddove dalla medesima violazione sia derivata anche la lesione di diritti che spettano alla persona del lavoratore, indipendentemente dal rapporto di lavoro, nei confronti di chiunque svolga un’attività lavorativa suscettibile di valutazione economica.
Con riferimento alle differenze tra i due regimi di responsabilità, un aspetto interessante attiene al tema della risarcibilità del danno non prevedibile. Il mancato richiamo dell’art. 1225 c.c., secondo cui l’inadempimento non colposo obbliga al solo risarcimento del danno prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione, in materia di responsabilità aquiliana, ha portato infatti a supporre che in talune ipotesi di lesione dell’integrità psicofisica, per infortuni o malattie professionali non prevedibili, il sistema aquiliano appaia più idoneo a tutelare la parte che subisce il danno[41].
È allora evidente il notevole allargamento delle maglie della tutela risarcitoria e degli obblighi di protezione incombenti sul datore di lavoro, posto che diverse sono le ipotesi lesive suscettibili di risarcimento riconducibili all’art. 2087 c.c.[42].
Al di là del danno biologico, incidente sulla salute del prestatore, si pongono poi tutta una serie di ulteriori pregiudizi alla persona. Si tratta di lesione della dignità personale, più che della salute del dipendente, connesse ad eventi diversi, quali demansionamento , soppressione del riposo settimanale, molestie sessuali, vessazioni e persecuzioni psicologiche sul luogo di lavoro, meglio conosciute come mobbing. In quest’ambito i giudici di legittimità hanno riconosciuto la responsabilità datoriale “nell’ipotesi di suicidio del lavoratore causato da malattia psichica contratta sul lavoro[43] e in quella di aggravamento della malattia in seguito ad abuso di controlli domiciliari sulla base proprio dell’obbligo dell’imprenditore ex art. 2087 c.c., che impone l’adozione di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione dell’integrità psicofisica nell’ambiente o in costanza di lavoro, in relazione all’attività di varia natura pur se allo stesso non collegate direttamente”. Diverse, quindi, possono essere le ipotesi lesive suscettibili di risarcimento scaturenti dalla “rivitalizzazione” dell’art. 2087 c.c. nel nostro ordinamento, al fine della tutela di beni ulteriori rispetto all’integrità fisiopsichica della persona lavoratore, quali dignità, libertà, personalità e professionalità del prestatore di lavoro, strettamente legate alla salvaguardia dell’ambiente lavorativo complessivamente considerato[44].
4. I Criteri di liquidazione del danno
Con riferimento alla liquidazione del danno alla salute, è insegnamento costante della giurisprudenza e della dottrina che la liquidazione dello stesso non possa essere effettuata che facendo ricorso al criterio equitativo, poiché esso è il solo a permettere di personalizzare il risarcimento[45]. Particolarmente complesso si presenta l’accertamento del danno risarcibile quando vengono presi in considerazione le offese arrecate direttamente alla persona fisica.
A tal proposito occorre distinguere fra danni patrimoniali, che riguardano le conseguenze dannose sul piano economico derivanti al dipendente dal comportamento del datore di lavoro, e danni non patrimoniali, detti anche morali (per esempio, le sofferenze, il dolore fisico e psichico che si può provare in conseguenza di una ferita, di una malattia, di una molestia sessuale)[46].
Il risarcimento del danno non patrimoniale dà luogo a notevoli difficoltà applicative perché non consente, per definizione, alcuna misurazione obbiettiva e precisa e nemmeno un autentico risarcimento[47]. Nella giurisprudenza è chiara la tendenza ad abbandonare la concezione eventistica del danno e ad accogliere una più attenta utilizzazione dei principi in materia di onere della prova[48], quale logica conseguenza di una fondamentale esigenza di personalizzazione del danno, che diviene irrinunciabile in relazione all’offesa alla persona del lavoratore[49] . La Consulta affidava alla responsabilità civile la funzione di procedere ad una risarcibilità senza limitazioni dei pregiudizi, che ostacolano le attività realizzatrici della persona, ed avallava la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c., introducendo ad un tempo la distinzione tra danno evento e danno conseguenza[50], al fine di trovarvi la giustificazione per la risarcibilità del danno identificato con la lesione di diritti fondamentali della persona[51] .
Sul piano del quantum debeatur, la giurisprudenza dimostra una certa indecisione nella scelta dei criteri di liquidazione poiché, di fronte ad un medesimo fatto, vi può essere una reazione ed una sensibilità diversa, con le ovvie conseguenze in merito al risarcimento[52].
Tale orientamento non riguarda tanto il danno biologico, ormai ricondotto ad un criterio di tabellazione[53], quanto il danno esistenziale[54]. Le decisioni gemelle del 2008 hanno valorizzato l’adeguamento soggettivo del risarcimento del danno biologico, ritenendolo risarcibile anche in base a semplice presunzione o prova testimoniale, senza fare necessariamente ricorso alla CTU [55]. La personalizzazione non è mai preclusa dalla liquidazione sulla base del valore tabellare differenziato di punto . Vi è un implicito invito a non “delegare” la quantificazione ai consulenti tecnici, ma di far propri, ove necessari, gli strumenti tecnici e di adattarli al caso di specie.
Con riferimento al danno morale, invece, l’orientamento prevalente tende a ricondurre la quantificazione di tale voce nell’ambito di una percentuale del danno biologico. Tale criterio, però, finisce per comportare una sostanziale dipendenza del danno morale dal danno biologico, forse non del tutto auspicabile, in considerazione della diversa natura del danno[56].
Per la liquidazione del danno esistenziale si è utilizzato un criterio equitativo puro, che, pur presentando il vantaggio di lasciare ampia discrezionalità al giudice di adeguare il quantum del risarcimento alle concrete esigenze emerse nella fattispecie da decidere, di contro si presta a forti divergenze nella determinazione.
I sistemi astrattamente utilizzabili per il risarcimento del danno esistenziale possono comunque essere diversi. La dottrina ha ipotizzato quattro differenti modalità di risarcimento: il ricorso a tabelle settoriali, il ricorso ad un sistema di tabellazione universale, l’equità o il riferimento alle altre voci di danno non patrimoniale. Seguendo l’ interpretazione del decisum del 2008 , il danno non patrimoniale andrebbe risarcito in un’unica posta soggettivizzata.
In sostanza, si ammetterebbe solo ai fini descrittivi l’esistenza di singole voci di danno, da computarsi singolarmente, ma da presentare poi come unica voce liquidatoria di danno non patrimoniale complessivamente considerato[57]. Più di recente la Cassazione ha confermato il carattere unitario del danno non patrimoniale, fermo restando “l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi” di tale danno nel singolo caso, “tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione”[58].
La pronuncia delle Sezioni Unite del 2008, animata dall’intento meritorio di fare chiarezza nel panorama dei danni non patrimoniali risarcibili, non ha convinto pienamente la giurisprudenza successiva che, sebbene si sia mostrata concorde sull’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie, attribuendo nomina diversi a pregiudizi identici, non ha reputato necessario, per raggiungere tale risultato, effettuare una reductio ad unum del suddetto danno. Non a caso negli ultimi anni si sono susseguite diverse pronunce, come la c.d. ordinanza «decalogo»[59] che, riconoscendo dignità autonoma al danno morale, hanno tentato di superare l’approdo delle Sezioni Unite attraverso una tecnica di «nomofilachia dal basso».
La Suprema Corte, nel 2018, nella “seconda stagione” di San Martino, ha affermato espressamente che il danno morale è una posta risarcitoria diversa da quello biologico: il primo ha ad oggetto pregiudizi che comportano una sofferenza interiore, come ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione, mentre il secondo ha ad oggetto pregiudizi psico-fisici, suscettibili di determinazione medico-legale[60].
In altri termini, l’ontologica differenza esistente tra danno morale, inteso come sofferenza interiore, e danno biologico, consistente in un pregiudizio psico-fisico idoneo a produrre un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita, non consente una loro piena sovrapposizione, atteso che il secondo richiama la «proiezione esterna» della persona, mentre il primo tutto ciò che attiene «all’intimo sentire»[61].
[1]G.ARRIGO, La tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nell’ordinamento comunitario, in M.RUSCIANO-G.NATULLO (a cura di), Diritto del lavoro. Commentario, VIII, Ambiente e sicurezza del lavoro, diretto da F. Carinci, Torino, 2007, 5 ss.;L. ANGELINI, La sicurezza del lavoro nell’ordinamento europeo, Working Papers-Olympus,Università degli Studi di Urbino Carlo Bo,2013,n.29.
[2] L’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU_OSHA) ha presentato il 15 maggio 2023 la sua relazione su Sicurezza e salute sul lavoro in Europa: situazioni e tendenze 2023, in occasione del vertice 2023 sulla sicurezza e la salute sul lavoro (SSL), tenutosi a Stoccolma. Viene fornita un’analisi completa della situazione e degli sviluppi contestuali della SSL nell’Unione europea negli ultimi anni, accompagnata da indicazioni sulle tendenze emergenti.
[3] B. CARUSO, L’Europa, il diritto alla salute e l’ambiente di lavoro, in AA.VV., Ambiente, salute e sicurezza, in L.MONTUSCHI (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Torino, 1997, 1 ss.); M. MAZZIOTTI, L’evoluzione del diritto sociale europeo a tutela della salute dei lavoratori, in Riv. giur. lav., 2001, I, 597 ss.
[4] G. NATULLO, Principi generali della Prevenzione e “confini” dell’obbligo di sicurezza, in Diritto del lavoro. Commentario, diretto da F. Carinci, VIII, Torino, 2007; E. GRAGNOLI-A. PERULLI (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004;G. BALZARINI, La tutela del contraente più debole nel diritto del lavoro, Padova, 1965, p.96 ss.;R. CORRADO, Trattato di diritto del lavoro, III, Torino, 1969, 480; G. D’EUFEMIA, Norme inderogabili e interessi legittimi nei rapporti di lavoro, in Riv. dir. lav., 1969, I, 8; M. FRANCO, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 1995, 67; G. PERA, Osservazioni sul c.d. obbligo di sicurezza, in Probl. sic. soc., 1967, 857 ss.; M. PERSIANI, Considerazioni sulla prevenzione degli infortuni nel lavoro domestico, Securitas, 1968, n. 4, 117 ss.; L. SPAGNUOLO VIGORITA, Responsabilità dell’imprenditore, in Nuovo Trattato di diritto del lavoro, diretto da Riva Sanseverino e Mazzoni, II, Padova, 1971, 418 ss.;C.SMURAGLIA, Sicurezza e igiene del lavoro. Quadro normativo, esperienze attuative e prospettive, in Riv. giur. lav., 2001, I, 465 ss.;C.ZOLI, Sicurezza del lavoro: contrattazione e partecipazione, in Riv. giur. lav., 2000, I, 613 ss.; L. MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, III ed., Milano, 1989. L’Autore ha costruito l’intera opera attorno alla de- nuncia del fallimento dell’art. 2087 c.c. come clausola generale in rapporto al sistema normativo prevenzionale. Nello stesso senso, F. BIANCHI-D’URSO, Profili giuridici della sicurezza nei luoghi di lavoro, Napoli, 1980.
[5] M.TIRABOSCHI, Nuovi modelli della organizzazione del lavoro e nuovi rischi in Diritto della sicurezza sul lavoro, Rivista dell’Osservatorio Olympus,n.1/2022,136.
[6] A.LASSANDARI, La sicurezza del lavoro, in A.VALLEBONA (a cura di), I contratti di lavoro, in E.GABRIELLI (a cura di), Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, XIII, I, Torino, 2009, 641; G.SUPPIEJ, Il diritto dei lavoratori alla salubrità dell’ambiente di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1988, I, 442 ss; M.PEDRAZZOLI, Tutela della persona e aggressioni alla sfera psichica del lavoratore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1143 ss).
[7]S.BRUN, Stress da eccesso da lavoro e incidente stradale: un nuovo passo nell’incerto cammino verso l’estensione della portata applicativa dell’art. 2087 c.c., in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 109 ss; R.NUNIN, La prevenzione dello stress lavoro-correlato. Profili normative e responsabilità del datore di lavoro, Eut,Trieste,2012; E.MENEGATTI, Stress lavoro-correlato e responsabilità risarcitoria del datore di lavoro, in ADL,2014,972. Cassazione civile, sez. lav. , 03/06/2022 , n. 17976,in Diritto & Giustizia 2022, 6 giugno (nota di: Attilio Ievolella).
[8] Si tratta di una concezione che in realtà è originata nei paesi dell’Europa scandinava e si è estesa via via fino all’Europa continentale e latina, condizionando interpretativamente le normative di quegli ordinamenti giuridici in cui l’esistenza di principi generali di tutela della salute, come ad esempio per l’Italia, pensiamo all’art. 2087 c.c. o all’art. 32 Cost., consentivano già una tale interpretazione adeguatrice della normativa di dettaglio.
[9]C. LAZZARI, Figure e poteri datoriali nel diritto della sicurezza sul lavoro, Franco Angeli, Milano,2015.
[10] Si tratta della “massima sicurezza ragionevolmente praticabile”, espressione con cui ci si riferisce alla logica del bilanciamento tra la finalità di tutela della SSL e le esigenze economico-produttive, nell’auspicio di trovare un compromesso ragionevole tra esse.
[11] Con la dir.89/391/CEE, successivamente modificata dalla dir.2007/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nonché integrata dalle direttive settoriali emanate nel corso degli anni.
[12]R.GUARINIELLO, Obblighi e responsabilità delle imprese nella giurisprudenza penale, in Riv. giur. lav., 2001, IV, 530 ss.; A. CULOTTA-M. DI LECCE-G.COSTAGNIOLA, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 1996, 154 ss.; LAI-LEBRA, La massima sicurezza tecnologicamente fattibile, in Dir. pratica lav., 1990, 1530; G.G. BALANDI, Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l’art. 9 dello Statuto, in Lav. dir., 1990,. 219 ss., e ID., Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in AA.VV., L’obbligazione di sicurezza, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1994,. 79 ss.. L’A., optando per la coesistenza del principio della massima sicurezza ragionevolmente possibile con quello della massima sicurezza ragionevolmente praticabile, individua prioritariamente nella contrattazione collettiva lo strumento di specificazione sul piano concreto del principio in questione. Cfr., in riferimento alla disciplina posta dal d.lgs. n. 81/2008, P. SOPRANI, La migliore tecnologia disponibile nel T.u. sicurezza, in ISL, 2009, 125.
[13] L. GALANTINO, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in GALANTINO (a cura di), La sicurezza del lavoro, Milano, 1996, 24-25; R. ROMEI, Il campo di applicazione del d.lgs. n. 626/1994, in L.MONTUSCHI (a cura di), Ambiente salute e sicurezza, Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, cit., 64.
[14] Si veda Cassazione civile , sez. lav. , 15/10/2021 , n. 28353, Foro it. 2021, 11, I , 3395 . “In ipotesi di mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, ad assicurare le condizioni di sicurezza del lavoro, è legittimo e non può essere sanzionato il rifiuto del lavoratore di svolgere l’attività lavorativa, opponendosi l’eccezione d’inadempimento”.
[15] Quando parliamo di dovere di collaborazione o cooperazione facciamo riferimento, anche se in via generale, a quelli che sono gli obblighi accessori del contratto; quindi principio di correttezza ex art. 1175 del c.c., principio di buona fede ex art. 1375 del c.c. Specialmente in questa materia il dovere di cooperazione è un aspetto essenziale e non un obbligo accessorio e rileva per questa ragione come un elemento essenziale del sinallagma contrattuale.
[16] (A. MARCIANO’, Obblighi di sicurezza sul lavoro e fattispecie peculiari di responsabilità datoriale. Il ruolo della formazione nel sistema prevenzionale, in Diritti fondamentali , n.2023.
[17] In generale si rinvia al testo unico D.P.R. n.1124/1965, normativa che è stata profondamente innovata dal D.lgs.n.38/2000, che ha esteso l’obbligo assicurativo ai lavoratori parasubordinati , oltre che ai lavoratori dell’area dirigenziale, agli sportivi, ai professionisti, ai lavoratori italiani operanti in Paesi extracomunitari. L’estensione della copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è estesa anche ai riders che svolgano la propria attività con contratto di lavoro autonomo, v.art.47-septies,D.lgs.n.81/2015.
[18] Da ultimo R. PESSI, Il danno differenziale tra diritto vivente e diritto vigente, in Labor, 2019,355.
[19] V.FILI’, La nuova frontiera del danno risarcibile da condotta illecita del datore di lavoro, in Resp. Civ. Prev., 2019, 3, 796.
[20] V.FILI’, Il punto sulla giurisprudenza in materia di occasione di lavoro e infortunio in itinere, in Resp. Civ. Prev., 2019, 1, 70.
[21] Con la sentenza numero 3694 del 7 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha chiarito e risolto univocamente come “la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art.13 del D.Lgs.n.38 del 2000 ed il risarcimento secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato”. Pertanto, occorre quantificare l’intero risarcimento secondo i principi civilistici generali e successivamente compararlo con l’indennizzo previsto dall’INAIL. Per le suddette ragioni, dunque, le somme garantite dall’INAIL, non debbono essere decurtate o scomputate dall’intero risarcimento, ma vanno considerate “per poste omogenee”.
[22]S.GIUBBONI, Il risarcimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro dopo la legge di bilancio 2019, in Riv.sic.soc., 2019,.183; G.CORSALINI-A.DE MATTEIS, Il concorso tra risarcimento e indennizzo dinanzi alle giurisdizioni superiori e riflessi sull’azione di rivalsa dall’INAIL, in Riv.sic.soc,2019,151; E.BELLISARIO, Il calcolo del danno differenziale: profili critici di un “bliz” legislative discutibile, in Nuova Giur.comm., 2019,283; L.DE ANGELIS, Il danno differenziale tra diritto comune, diritti speciali e schizofrenia legislative, in WP C.SDLE, “Massimo D’Antona”.IT, n.392,2019; R.RIVERSO, Il risarcimento del danno per infortunio e malattia professionali tra riforme tentate e l’incerto incedere della giurisprudenza, in Riv.Dir.sic.soc, 2020,27.
[23] M. A. GRAZIA, Danno differenziale e azione di regresso dell’I.N.A.I.L.: le regole comuni per l’accertamento delle responsabilità. Nota a sentenza Corte suprema di Cassazione civile sezione lavoro 19 giugno 2020, n. 12041 (Società per Azioni Michelin Italiana (S.A.M.I.) vs E.C., R.M.F. ed INAIL) in Il Lavoro nella giurisprudenza, 2021, fasc. 5, 509 ss).
[24] L.ZOPPOLI, Il danno biologico tra principi costituzionali, rigidità civilistiche e tutela previdenziale, in Dir. rel. ind., 2001, 389.
[25] F.NARDELLI, La tutela antinfortunistica opera anche per i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore, essendo irrilevante il concorso di colpa, in Diritto e pratica del lavoro,n.24/2022,p.1523.
[26]A.AVIO, Tutela pubblicistica e risarcimento del danno negli infortuni sul lavoro, in M. Pedrazzoli (a cura di), Danno biologico e oltre. La risarcibilità dei pregiudizi alla persona del lavoratore, Torino, 1995, 43 ss.
[27] In questi termini M.MARAZZA, L’art. 2087 c.c. nella pandemia Covid-19 (e oltre),in Riv.it.dir.lav.n.2 del 2020,p.267.
[28] Si v. Cass. n. 8911 del 2019 con riferimento all’ ipotesi di presunta violazione di misure cd. innominate.
[29] Cassazione civile , sez. III , 04/11/2020 , n. 24474, in Diritto & Giustizia 2020, 5 novembre (nota di: Paola Paleari). “In tema di danno biologico, l’erogazione effettuata dall’INAIL ai sensi delle disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è strutturata in termini di mero indennizzo che, a differenza del risarcimento civile, è svincolato dalla sussistenza di un illecito contrattuale od aquiliano e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall’elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità. Per contro nella responsabilità civile, essendo il danno risarcibile sempre conseguenza di un fatto illecito, vi è la necessità preliminare di accertare la ricorrenza del fatto illecito rispetto all’individuazione delle conseguenze pregiudizievoli da esso eventualmente scaturenti”.
[30] S.GIUBBONI, Infortunio sul lavoro e risarcimento del danno,Milano,2012.
[31]M.PEDRAZZOLI, I danni alla persona del lavoratore nella giurisprudenza, Padova, 2004.
[32]F.D.BUSNELLI, Diritto alla salute e tutela risarcitoria, in F.D.BUSNELLI-U.BRECCIA, Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978, 519 ss.;C.AMATO, Il danno non patrimoniale da contratto, in G. PONZANELLI (a cura di), Il “nuovo” danno non patrimoniale, Padova, 2004, 141 ss.
[33] Tra le molte si v.Cass,3 marzo 2022,n.7058.
[34]La Sesta Sezione – lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 6 aprile 2022 n. 11227, in https://www.rivistalabor.it/ , ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma con cui il datore di lavoro era stato condannato al risarcimento del danno, biologico e morale, per le lesioni indirettamente causate al lavoratore, nello svolgimento delle sue mansioni. La Corte di merito, infatti, aveva riconosciuto la responsabilità del datore per non aver vigilato sul rispetto delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti, in ossequio all’art. 2087 c.c. Il datore di lavoro, in particolare, non aveva vigilato che lo spostamento di pezzi pesanti di ceramica (oltre i 25 kg) venisse effettuato in coppia da due operai anziché da un solo. Nel giungere a tali conclusioni, la Suprema Corte ha condiviso il più recente orientamento giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, espresso nelle «sentenze di San Martino» del 2019 e non, come affermato dall’ordinanza in commento, quello propugnato dalle «prime San Martino» del 2008 ( il riferimento è alle sentenze dell’11 novembre 2008, nn. 26972-5, in RCP, 2009, 261 con nota di C. SCOGNAMIGLIO).
[35] R.SCOGNAMIGLIO, Responsabilità civile e danno, Torino, 2010, 11;G.ALPA, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1992.
[36] Sulla base dell’influenza della dottrina tedesca è stata prospettata l’esistenza di vincoli che, in virtù del principio della buona fede, accedono al rapporto obbligatorio in vista dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e le proprie cose dalla specifica possibilità di danno, derivante dalla particolare relazione costituitasi tra i due soggetti. È stato sostenuto si tratti dei cc. dd. “obblighi di sicurezza” ovvero “di protezione”, cui viene ricondotta anche la clausola generale di cui all’art. 2087 c.c. In tal senso, F. BENATTI, Osservazioni in tema di “doveri di protezione”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 1343 ss.; C.CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Jus, 1976, 123 ss.; G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 91 ss.; S. CICCARELLO, Dovere di protezione e valore della persona, Milano, 1988; R.DEL PUNTA , Diritto della persona e contratto di lavoro, in Dir. rel. ind., 2006, 38 ss.; A.DI MAJO, Obbligazioni in generale, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, sub artt. 1173-1176, Bologna- Roma, 1988, 123 ss.;G. GHEZZI, La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Milano, 1965, 31, nota 79;G. GIUGNI, Mansioni e qualifica del rapporto di lavoro, Napoli, 1963, 153 ss.; E. GRAGNOLI, L’obbligazione di sicurezza e la responsabilità del datore di lavoro, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, XXIV, 2, Torino, 2007, 454 ss.; M. GRANDI, voce Rapporto di lavoro, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 3489; S. MAZZAMUTO (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Napoli, 1989; M. NAPOLI, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, 204; M. Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione, Padova, 1966, 225; S.RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1967; R. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale, in Noviss. Dig. it., Torino, 1968, 676 ss; V. SPEZIALE, Mora del creditore e contratto di lavoro, Bari, 1992, 129 ss.; G. VISINTINI, Inadempimento e mora del creditore, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1987, 264 ss.; Contra C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni. Sub artt. 1218-1229, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca., IV, Bologna-Roma, 1979, 36 ss.; L. BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, in Digesto civ., II, Torino, 1988, 170 ss.; U. BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1968, 73 e 130 ss.; U. MAJELLO, Custodia e deposito, Napoli, 1958, 107 ss.; U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, I, Milano, 1974, 16 ss.; C. SMURAGLIA, La persona del prestatore nel rapporto di lavoro, Milano, 1967, 99 ss.
[37] F.PELLERITO, Superlavoro e danno alla salute: quali sbocchi per la tutela del lavoratore? in Danno e resp., 2002, 1000 ss.; G.DE FAZIO, Appunti sul risarcimento del danno da superlavoro, nota a Cass. 4 marzo 2000, n. 2455 e Cass. 5 febbraio 2000, n. 1307, in Riv. crit. priv., 2001, 1, 112-133.
[38] Da ultimo Trib., Venezia, sez. lav., 23/03/2022, n.210:” La responsabilità che l’art.2087 c.c. pone a carico del datore di lavoro ha natura contrattuale e pertanto, ai sensi dell’art.2118 c.c., spetta al datore di lavoro (debitore) provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, a tal punto che il fatto ignoto grava comunque su di lui.
[39] Sotto tale profilo una giurisprudenza diffusa prevede la responsabilità del datore al cospetto di comportamenti del lavoratore anche “gravemente imprudenti”, rinvenendo il limite della stessa nella sola “abnormità” ovvero anche in opinabilità ed imprevedibilità di questi. Si veda Sentenza Cassazione penale sezione IV,n.35058, settembre 2021 sul concetto di esorbitanza e di abnormità nel comportamento di un lavoratore infortunato .Il comportamento di un lavoratore chiamato ad utilizzare un macchinario senza essere stato preventivamente formato non può essere considerato esorbitante ai fini della individuazione delle responsabilità per un eventuale infortunio accadutogli. Cassazione civile, sez. VI, 12/02/2021, n. 3763, in Giustizia Civile Massimario 2021. In dottrina D.TARDIVO, Il concorso di colpa del lavoratore nell’infortunio : tra esigenze di tutela e dovere di cooperazione, in Adl 2020,p.1212; S.BATTISTELLI, Responsabilità e colpa nella determinazione dell’infortunio : la misura della diligenza esigile dal datore di lavoro, in ADL, 2020,p.931; G.LUDOVICO, Verso il completo superamento dell’esonero datoriale dalla responsabilità civile, in Giur.it, 2021,p.378.
[40] La sussistenza di una responsabilità contrattuale in capo al datore di lavoro non preclude la possibilità che il datore di lavoro venga chiamato a rispondere ex art. 2043 c.c. per una condotta a lui direttamente imputabile e in contrasto con il principio del neminem laedere. Significativa al riguardo una pronuncia delle Sezioni Unite in cui si precisa che, al fine di tale accertamento dell’azione proposta dal ricorrente, si deve ritenere proposta l’azione ex art. 2043 c.c., tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale, e quindi tutte le volte che il danneggiato invochi la responsabilità aquiliana, ovvero chieda genericamente il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale.
[41]A.LASSANDARI, L’alternativa fra fondamento contrattuale o aquiliano della responsabilità e le sue ripercussioni, in M.PEDRAZZOLI (a cura di), Danno biologico e oltre – La risarcibilità dei pregiudizi alla persona del lavoratore, Torino, 1995, 113 ss.
[42]P.LAMBERTUCCI, Il diritto al lavoro tra principi costituzionali e discipline di tutela in Riv. it. dir. lav., 2010, I, 91.
[43] Cass., sez. lav., 23 febbraio 2000, n. 2037, in Mass. Giust. civ., 2000, 442.
[44] P.PERLINGIERI, Dignità della persona e lavoro, in Dir. mercato lav., 2005, 517 ss.
[45] M.FRANCO, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 1995, 396 ss.
[46] A.PIZZOFERRATO, Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridiche e tecniche di tutela, Padova, 2000; A.TURSI, Il danno non patrimoniale alla persona nel rapporto di lavoro: profili sistematici, in Riv. it. dir. lav., 2003, I, 283 ss.
[47]G.DE FAZIO, Appunti sul risarcimento del danno da superlavoro, in Resp. civ e prev., 2001, 1, p.112.
[48] Cass. 1° dicembre 2004, n. 22586, in Dir. e giust., 2005, n. 6, 18, con commento di ROSSETTI.
[49] P.ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, in Commentario al codice civile, Milano, 2008, 309. L’autore sostiene che, la storica svolta impressa dalla sentenza della Corte cost. n. 184/1986 si pone, per gli esistenzialisti, alla base della nascita dogmatica del danno esistenziale.
[50] La dicotomia è criticata anche in dottrina, v. V. SCALISI, Danno e ingiustizia nella teoria della responsabilità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 811. L’autore ritiene che in presenza di un fatto illecito plurioffensivo, se danno esiste ed esso è connotato da ingiustizia, lo stesso va ammesso alla tutela aquiliana autonomamente ed indipendentemente dal rapporto con altri danni che in ipotesi potrebbero fare difetto. In questo senso anche il danno morale puro soggettivo è risarcibile in via autonoma pur in mancanza di lesione all’integrità psicofisica (danno biologico) o di danno patrimoniale. Si veda D.VITTORIA, Le voci di danno non patrimoniale e il problema delle duplicazioni risarcitorie, in Dir. giur., 2004, 255 ss.
[51] Cassazione civile, sez. lav., 17/06/2022, n. 19623, in Diritto & Giustizia, 2022, 21 giugno (nota di: Martina Tonetti). “Il danno morale costituisce un patema d’animo, ossia, una sofferenza interna che non è accertabile con metodi scientifici e che, come tutti i moti d’animo, può essere provato in modo diretto solo quando assume connotati eclatanti; diversamente, dovrà essere accertato per presunzioni. Pertanto, il lavoratore sottoposto quotidianamente al pericolo della propria incolumità subisce un’offesa della personalità morale autonoma rispetto al danno biologico che è quindi indennizzabile come posta di danno a sé, indipendentemente dalla sussistenza del danno biologico”.
[52] Da ultimo, Corte di Cassazione civile, con sentenza 17 febbraio 2023, n.5119, ha sostenuto che “La liquidazione del danno non patrimoniale da lesione della salute, effettuata secondo le Tabelle di Milano 2018, nel caso in cui sia accertata la sussistenza tanto del danno dinamico relazionale (c.d. biologico) quanto del danno morale, deve effettuarsi applicando integralmente i valori tabellari, in quanto gli stessi contemplano entrambi i profili di danno, e senza riconoscere ulteriori importi, altrimenti incorrendosi in una duplicazione risarcitoria”.
[53] Da tempo la giurisprudenza ha elaborato delle tabelle di riferimento attraverso le quali è possibile quantificare esattamente il danno subito, in virtù dei punti percentuali di lesione e dell’età della vittima. Tale criterio ha subito un’ulteriore decurtazione da parte della elaborazione legislativa dei c.d. danni microbiologici (per i casi di sinistri stradali), ricondotti ex lege ad un quantum predeterminato, si presenta in qualche modo variabile a seconda dei vari uffici giudiziari chiamati a pronunciarsi, i quali, in qualche caso, hanno adottato autonome tabelle o, invece, in altri casi, si sono adeguate a quelle degli altri tribunali.
[54] A. STEFANACHI, La quantificazione del danno esistenziale nella prassi giurisprudenziale: dal criterio equitativo puro all’equazione Liberati, in Giur. it., 2005, 50 ss.
[55] Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, in www.personaedanno.it.
[56] F. MOSCA, Immissioni del tutto intollerabili: la prova del danno esistenziale, in Riv. crit. priv., 2008, 2, 395.
[57]A.LIBERATI, Rapporto di lavoro e danno non patrimoniale, Milano, 2009. Tale impostazione appare meno rispettosa del dato letterale, ma più coerente con il sistema nel suo complesso, posto che altrimenti si avrebbero due sistemi risarcitori completamente diversi, uno ordinario ed uno lavoristico.
[58] Cass., 23 settembre 2013,n.21716; conf. Cass., 15 gennaio 2014,n.687;v.anche Cass., 15 gennaio 2016,n.583, che ammette la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purchè allegate e provate nella loro specialità, quindi non automaticamente liquidate in via cumulativa con riguardo allo stesso evento;conf.Cass.,28 aprile 2015,n.5851.
[59]Cass., 17 gennaio 2018, n. 901, in RCP, 2018, 863 con nota di Ziviz e le cc. dd. «nuove sentenze di San Martino» (tra queste v. Cass., 11 ottobre 2019, n. 28989, in RCP, 2020, 1903 con nota di Molinaro).
[60]A. DE CUPIS, Il danno, I, Giuffrè, 1979, 61.
[61]M. BONA, Importanti precisazioni per lo statuto del danno non patrimoniale: sfera morale, personalizzazioni, rischi di recidive e congiunti del sopravvissuto – I parte, in RCP, 2019, p.1724.