di Andrea Lestini 

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. Le questioni giuridiche – 4. L’amministrazione di sostegno in generale: quadro normativo e recente giurisprudenza – 5. La (unitaria) soluzione giuridica – 6. (segue). L’amministrazione di sostegno: tra dissenso del beneficiario e adeguata rete di protezione – 7. Il decisum e la massima – 8. Osservazioni conclusive – 9. Cenni bibliografici

1. Premessa 

Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione dettata in materia di amministrazione di sostegno (Cass., 11.07.2022, n. 21887), cogliendo il “rovesciamento di prospettiva” dell’istituto, deve notevolmente apprezzarsi per la capacità di affrontare la questione della tutela delle esigenze del beneficiario attraverso una valorizzazione di strumenti diversi, quali il “sistema di deleghe” o “una rete familiare” adeguati.

Con elegante chiarezza, vengono infatti sintetizzati alcuni aspetti fondamentali, alcune questioni già note e risolte, e che tuttavia assumono una diversa forza espansiva in ragione della loro trattazione unitaria e dello stile – pacato e lineare – con cui si “riepiloga” lo stato dell’arte. 

2. Il caso 

La vicenda trae origine dal provvedimento della Corte di Appello di Bologna che confermava il decreto con cui il Giudice Tutelare del Tribunale di Parma disponeva l’amministrazione di sostegno in favore di una persona che presentava una palese inadeguatezza ad occuparsi dei propri interessi e “di riflesso anche di quelli della sorella ricorrente” (la quale era chiamata a rispondere di qualsiasi vicenda di natura fiscale o tributaria, afferente al patrimonio ereditato indiviso, della gestione ordinaria e straordinaria dei beni ereditati); nonché una “inerzia” e “trascuratezza” nella gestione (non provvedendo alla manutenzione ordinaria e a quella straordinaria necessaria) dell’immobile ereditato. 

In particolare, si rilevava, pur nel difetto di visita medica, stante il rifiuto manifestato dalla beneficiaria, la presenza di alcune circostanze da cui si deduceva un “disturbo evitante della personalità” (si discorre di “fondato sospetto di una alterazione dello stato psichico formulato sia pur in via presuntiva”) pur riconoscendosi, comunque, che la stessa “era in grado di autodeterminarsi relativamente agli atti della vita quotidiana, anche afferenti alla sfera professionale di docente ed artista, ma si presentava manifestamente inadeguata sotto il profilo gestionale del patrimonio”. 

3. Le questioni giuridiche

Ebbene, è l’inidoneità dello strumento prescelto rispetto ai fini effettivamente perseguiti (vale a dire “la tutela del patrimonio ereditario non diviso, la necessità di recuperare il possesso di un bene in comproprietà”) che assume, nel conseguente giudizio di legittimità, un carattere fondamentale.

Idoneità che deve essere saggiata avuto riguardo alla funzione vicariante del coniuge o dei familiari, che possano (costantemente) supportare il soggetto negli aspetti più complessi della gestione del suo patrimonio; ovvero, anche attraverso un sistema di specifiche deleghe, di volta in volta opportune, senza ricorrere all’amministrazione di sostegno. 

4. L’amministrazione di sostegno in generale: quadro normativo e recente giurisprudenza

Come noto, l’amministrazione di sostegno (P. Cendon; G. Ferrando; C. Moretti; S. Patti; G. Bonilini, F. Tommaseo; M. Tescaro), introdotta con legge 9 gennaio 2004, n. 6, tende a proteggere le persone fragili, ovvero coloro che si trovano in difficoltà nel gestire le attività della vita quotidiana e i propri interessi, o che addirittura si trovano nell’impossibilità di farlo (Cass., 27.09.2017, n. 22602). 

In via generale, può dirsi che l’ambito di applicazione della disciplina deve essere individuato con riguardo non già al diverso e meno intenso grado di infermità o di impossibilità di attendere agli interessi del beneficiario, quanto piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto (Cass., 04.03.2020, n. 6079), in ragione delle residue capacità e all’esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Uno strumento elastico, dunque, modellato sulle esigenze del caso concreto, che non si distingue dall’interdizione sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: esso costituisce, invero, un “mezzo più pronto, flessibile e meno invasivo” (Trib. Piacenza, 01.02.2022, n. 36) che “guarda alla natura e al tipo di attività che l’incapace non è più in grado di compiere da sé” (Trib. Perugia, 25.03.2020, n. 402), onde la possibilità di farvi ricorso – alla presenza di taluni requisiti (infra, parr. 5 e 6) – anche in caso di patologie particolarmente gravi (Trib. Grosseto, 12.10.2020, n. 675). 

Il criterio di scelta tra i due istituti si impernia, del resto, sulla valutazione delle caratteristiche specifiche delle singole fattispecie e sulla considerazione delle esigenze da soddisfare di volta in volta, fermo restando, ovviamente, come subito si dirà, il carattere residuale dell’interdizione (e dell’inabilitazione), riservata a quelle ipotesi in cui una diversa misura non spiegherebbe alcuna efficacia protettiva (Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 440; Cass., 11.09.2015, n. 17962). 

L’amministrazione di sostegno deve essere preferita, infatti, proprio per la maggior salvaguardia della dignità dell’individuo che essa sottende (non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma pure su quello etico-sociale), per la sua duttilità e modulabilità sul singolo caso, anche rispetto all’inabilitazione (Trib. Torino, 13.04.2022, n. 1645). 

In ragione della dichiarata finalità (art. 1, legge n. 6/2004) di “tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia, nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”, si afferma che i mezzi volti alla incapacitazione del soggetto si presentano quali misure di protezione di carattere residuale (M. Piccinni), come tali applicabili solo una volta esclusa la possibilità di fare ricorso alla meno afflittiva misura dell’amministrazione di sostegno (Trib. Cosenza, 03.10.2021, n. 1908). 

La finalità, dell’amministrazione di sostegno è diretta, in particolare e secondo una ricorrente massima, ad offrire – a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi – uno strumento di assistenza che sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire del soggetto debole, così disegnandosi un chiaro superamento della visione custodialistica che per secoli ha improntato la disciplina della protezione degli infermi di mente (P. Rescigno).

Non si è mancato di parlare (Cass., n. 22602/2017, cit.) di una “precisa direttiva di ‘non mortificare’ la persona, da realizzare evitando o riducendo, quanto più possibile, la limitazione della capacità di agire dell’interessato così da non intaccare la dignità personale del beneficiario (art. 2 Cost.)”. 

Tale specifica funzione vale, dunque, a distinguerla dagli altri istituti – come detto, dal carattere residuale (Cass., 26.10.2011, n. 22332; Trib. Cosenza, n. 1908/2021, cit.; Trib. Teramo, 13.05.2021, n. 499) e da tempo considerati non in linea con le esigenze della contemporaneità (indicati come “forme obsolete e inadeguate di protezione giuridica”: C.M. Bianca) – previsti a tutela degli incapaci (quali l’interdizione e l’inabilitazione), nel senso che nell’istituto in discorso l’esigenza di protezione della “persona” si realizza attraverso uno strumento maggiormente sensibile ad adattarsi alla singola vicenda, essendo caratterizzato dalla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass., n. 21887/2022, cit.); strumento che, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire, “non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna” (Cass., 31.12.2020, n. 29981). 

In tale ottica, è sicuramente vero – ricorda l’ordinanza in commento – che l’amministrazione di sostegno non può essere un rimedio alternativo per la risoluzione di conflitti endofamiliari di natura patrimoniale, che possono essere risolti agendo secondo le specifiche azioni di tutela della proprietà. 

5. La (unitaria) soluzione giuridica

Tali considerazioni generali si legano, ai fini della presente analisi, con l’idoneità della disciplina introdotta dalla predetta legge n. 6/2004 a considerare attentamente il “tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato”, la “gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato” unitamente a “tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie” (Cass., n. 21887/2022, cit.).

A tal riguardo assume decisivo rilievo l’attenta ricostruzione (Cass., 03.02.2022, n. 3462) riservata alla compatibilità tra la disciplina normativa dell’amministrazione di sostegno e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità (adottata a New York il 13 dicembre 2006 e la cui ratificata è stata autorizzata con legge 3 marzo 2009, n. 18), di cui evidentemente si sottolinea la capacità di assurgere a canone ermeneutico nella individuazione di “un provvedimento congruo e commisurato alle concrete esigenze del beneficiario”. 

Il richiamo alle indicazioni della Convenzione appare fondamentale poiché, per tale via, si sostiene (Cass., n. 21887/2022, cit.) come le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongano che “l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata”; e, ciò, tanto con riferimento alle condizioni di menomazione del beneficiario quanto alla incidenza delle stesse sulla capacità del soggetto beneficiando di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali (M. Sesta). 

Si rende pertanto necessario verificare, in concreto, la possibilità che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi, quali quelli costituiti in tutto o in parte, da “un sistema di deleghe” o da “una rete familiare” (Cass., n. 21887/2022, cit.).

Altro aspetto che deve essere adeguatamente preso in considerazione concerne poi, nella medesima prospettiva, la volontà contraria all’attivazione della misura; invero, se la partecipazione attiva del beneficiario è ampiamente valorizzata, attraverso l’istanza di avvio della procedura (art. 406 c.c.), la possibilità di rivolgere “richieste” al giudice (art. 407 c.c.) e designare da sé il futuro amministratore (art. 408 c.c.), nessuna norma affronta la questione del rifiuto della misura medesima (L. Olivero). 

6. (segue). L’amministrazione di sostegno: tra dissenso del beneficiario e adeguata rete di protezione

Con riferimento a quest’ultimo profilo, si ritiene che qualora tale esigenza dovesse provenire da persona lucida, la stessa non potrebbe non essere tenuta in debita considerazione, così privilegiandosi il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata (Cass., n. 29981/2020, cit.).

L’opposizione alla nomina dell’amministratore, ove provenga da una persona pienamente lucida (come si verifica allorquando la limitazione di autonomia si colleghi ad un impedimento soltanto di natura fisica), costituisce invero espressione di autodeterminazione che, come tale, deve essere (adeguatamente) vagliata. 

Il punto di equilibrio, allora, è stato individuato in ciò, che laddove emerga, pur a fronte del riscontro di una esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità), “una rete familiare all’uopo organizzata e funzionale”, dovrà essere privilegiato il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata (Cass., n. 29981/2020, cit.). 

A tal fine, però, oltre alla ipotesi di una protezione assicurata, di fatto, in via spontanea dai familiari assume rilevanza anche il sistema di deleghe (la procura “rimane la via maestra per conferire ad un terzo di fiducia il potere di agire in proprio nome e conto qualunque sia la situazione del dominus”: M. Girolami) eventualmente attivato, in precedenza ed autonomamente, dalla persona fragile (Cass., n. 22602/2017, cit.).

Viceversa, il ricorso all’istituto potrà essere giustificato, perché altrimenti vi sarebbe il rischio di non dare una adeguata tutela agli interessi della persona (secondo alcuni commentatori “un vero potere di veto non sarebbe predicabile senza smantellare la logica paternalistica che, pur addolcita, permea le misure protettive”, onde l’opposizione dell’interessato “non può impedire alla procedura di fare il suo corso, se questo è nel suo interesse”: L. Olivero; R. Masoni), tanto nelle ipotesi in cui “non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela” (Cass., n. 29981/2020, cit.); quanto in quelle in cui il soggetto rifiuti il consenso (ovvero si opponga alla nomina dell’amministratore di sostegno) proprio a causa della patologia da cui è afflitto o, comunque, per una riluttanza che affonda le radici in un senso di orgoglio ingiustificato: ciò che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato e, per tale ragione, avverso all’ingerenza di altri nella propria quotidianità (Cass., n. 22602/2017, cit.). 

7. Il decisum e la massima 

Ebbene, nel caso di specie, emerge come il beneficiario sia stato già riconosciuto capace di svolgere autonomamente attività lavorativa e di curare gli aspetti di vita ordinaria; nessuna indagine, però, è stata svolta sulle potenzialità di una funzione vicariante del coniuge o circa la predisposizione di un sistema di deleghe che possa supportare la persona negli aspetti più complessi della gestione non ordinaria del suo patrimonio. 

Occorre dunque domandarsi, indagare e valutare – ed è ciò cui sarà chiamato il giudice del rinvio – se l’eventuale esigenza di protezione della persona, seppur in stato di fragilità, possa essere assicurata da una (adeguata) rete familiare o da altri istituti o strumenti alternativi. 

Da ultimo, prima di svolgere alcune brevissime considerazioni conclusive, giova, per maggiore chiarezza, riportare la massima della pronuncia in esame: “In tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell’istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza”.

8. Osservazioni conclusive

Il territorio in cui si muove, con grande sistematicità, l’annotata decisione è estremamente felice.

A ben vedere, il ripensamento in atto concerne non più i soli e meri confini che delimitano l’amministrazione di sostegno, più flessibile e idonea a salvaguardare gli interessi e i bisogni del beneficiario rispetto altre misure restrittive, ma l’an della misura stessa.

Ebbene, all’indomani dell’entrata in vigore dell’istituto, con il precipuo fine di rendere sempre più residuali e sussidiarie le tradizionali misure, autorevoli voci (S. Delle Monache) ritenevano che laddove fosse in gioco un patrimonio il cui maggior cespite fosse rappresentato da una casa di abitazione, il giudice tutelare, al quale fosse stata presentata la relativa istanza, avrebbe potuto e dovuto ritenere congrua la sottoposizione del soggetto all’amministrazione di sostegno, privandolo della capacità solo per quanto attiene agli atti relativi a detto cespite.

Emergeva, per la varietà e flessibilità dello strumento, un più esteso e onnicomprensivo ambito di applicazione che, a seconda dei casi, il giudice poteva utilizzare.

Allo stato, però, con maggiore forza, è in corso una ulteriore fase di quel procedimento interpretativo, che valorizza e si sofferma con estrema premura sul contesto situazionale complessivo che circonda la persona: ecco la valorizzazione della rete familiare, delle deleghe, delle procure; campo su cui verosimilmente il giurista sarà ulteriormente chiamato a confrontarsi. 

9. Cenni bibliografici 

La bibliografia sulla amministrazione di sostegno è particolarmente ampia; per un primo confronto e senza pretesa di completezza, con riferimento agli Autori citati nel testo, si veda: Bianca C.M., La norma giuridica. I soggetti, Diritto Civile, I, Milano, 2002; Bonilini G, Tommaseo F., Dell’amministrazione di sostegno, artt. 404-413, in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2018; Cendon P., L’amministrazione di sostegno va rafforzata, l’interdizione abrogata, in Giuri. It., 12/2007, pp. 2897 ss., Id., Persone fragili, diritti civili, 2021; Cendon P., Rossi P. (a cura di), L’amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Padova, 2009; Delle Monache S., Prime note sulla figura dell’amministrazione di sostegno: profili di diritto sostanziale, in La Nuova Giur. Civ. Comm., 1/2004; Ferrando G. (a cura di), L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005; Girolami M., Dalla crisi dell’amministrazione di sostegno al mandato di protezione: un bilancio de iure condendo, in Riv. Dir. civ., 5/2021, pp. 854 ss.; Masoni R., Presupposti sostanziali della protezione, in R. Masoni, L’amministrazione di sostegno, Santarcangelo di Romagna, 2009, p. 150; Moretti C., L’amministrazione di sostegno e la riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Milano, 2004; Olivero L., Amministrazione di sostegno e familiari, in Giur. It., 11/2021, pp. 2335 ss.; Patti S., L’amministrazione di sostegno, in Quaderni Familia, Milano 2005; Piccinni M., Gli adulti privi in tutto o in parte di autonomia, in C.M. Mazzoni, M. Piccinni, La persona fisica, Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2016, pp. 471 ss.; Id., Misure di protezione e principio di sussidiarietà nell’attuazione dei diritti delle persone non autonome, in Nuova Giur. Comm., 1/2016, pp. 829 ss.; Rescigno P., Introduzione, in G. Ferrando, G. Visintini (a cura di), Follia e diritto, Milano, 2003, pp. 17 ss.; Sesta M., Amministrazione di sostegno e interdizione: quale bilanciamento tra interessi patrimoniali e personali del beneficiario?, in Fam. Dir.., 2007, pp. 36 ss.; Tescaro M., Un (quasi integralmente) encomiabile esempio di interpretazione restrittiva della disciplina dell’amministrazione di sostegno, in NGCC, 3/2021, pp. 497 ss.