1. Premessa

In ogni Paese dell’UE esistono numerose minoranze linguistiche, “storiche” e “nuove”[1], la cui trattazione rientra nel novero del tema delle lingue che sono al centro di un dibattito composito, essendo le stesse sia strumenti per comunicare sia veicoli di identità.

Ancor di più nel novero di aggregati sociali che si ispirano sempre più al multilinguismo, oggi inteso come la capacità di società, istituzioni, gruppi e cittadini di relazionarsi quotidianamente in una lingua diversa dalla propria. Ciò rileva sia un aspetto esterno, ossia la promozione delle lingue per i cittadini, sia interno ed istituzionale, che si traduce nella partecipazione attiva al progetto europeo.

Tuttavia, occorre precisare che sussiste una labile differenziazione fra plurilinguismo e multilinguismo[2].

Non a caso, secondo il Consiglio d’Europa, con il termine plurilinguismo si intende la varietà di lingue che un individuo o un insieme di individui è in grado di utilizzare. Mentre il plurilinguismo include la varietà linguistica indicata come “lingua madre” o “prima lingua”, “seconda lingua” etc., il multilinguismo, invece, individua la presenza in un’area geografica, indipendentemente dalle sue dimensioni, di più varietà linguistiche.

A fronte di ciò, la questione delle lingue si è posta per l’UE fin dalla negoziazione dei Trattati, stabilendo un regime di multilinguismo[3], che si pone nel fulcro del processo giuridico e politico europeo. Un multilinguismo che, in principio, era fondato su quattro lingue ufficiali e di lavoro (francese, italiano, tedesco e olandese).

Per quanto riguarda la CEE e l’EURATOM, i due Trattati prevedevano fin dalle origini che le quattro versioni linguistiche (tedesco, francese, italiano e olandese) fanno parimente fede. Un aspetto questo che distingueva già la neonata comunità europea dalle altre organizzazioni internazionali, in quanto il regime linguistico di queste ultime non è basato sul multilinguismo, bensì su un bilinguismo funzionale, ovvero una conoscenza attiva di due lingue.

La maggior parte delle organizzazioni internazionali, infatti, utilizzano l’inglese e il francese come lingue ufficiali e di lavoro. Mentre i recenti interventi normativi di politica linguistica sono atti a favore il cosiddetto “plurilinguismo integrale” e derivano da una acuita percezione delle priorità socio-economico-politiche.

In termini generali, l’obiettivo del plurilinguismo istituzionale e societario si trova ad essere programmaticamente funzionale alla pax linguistica e alla certezza del diritto, oltre che alla mobilità sociale all’interno del libero mercato e della “società della conoscenza e dell’informazione”[4]. È infatti questo uno dei temi chiave nel dibattito attorno alle problematiche legate alla governance e alla formulazione di politiche per l’istruzione transnazionale.

In proposito, i programmi dell’UE di fine e inizio millennio sono essenzialmente contenuti in 4 documenti fondamentali:

1. il Trattato sulla UE[5];

2. la Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie del 1992;

3. la Carta Europea dei Diritti Fondamentali della UE del 2000 e

4. la Risoluzione del Consiglio sulla diversità linguistica del 14 febbraio 2002.

Già nel 1982 la Comunità Europea aveva affermato, tra i suoi princìpi ideologici-assiologici, che la diversità linguistica sui territori degli Stati membri ed il rispetto di questa è parte essenziale della cultura europea e della sua civiltà.

Nel 1992 in questa stessa materia viene conferita alla UE una maggiore competenza di azione, seppur in “sostegno” all’azione degli Stati secondo il principio di “sussidiarietà”. Ne è così conseguito, poi, a livello internazionale un rilancio attraverso la Carta Europea per le Lingue Regionali o Minoritarie (CELRM) del Consiglio d’Europa (CdE), adottata a Strasburgo il 5 novembre 1992, che rappresenta il testo guida in materia di tutela dell’identità culturale delle minoranze linguistiche.

Diversamente dai numerosi strumenti, internazionali e regionali, di protezione dei diritti umani che affrontano in maniera solo marginale le questioni collegate al diritto di esercitare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica, la Carta è l’unico strumento internazionale interamente dedicato alla “protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo”.

Tale corpus svolge un ruolo fondamentale nel suggerire e nel rilevare la c.d. best practice statale[6] connessa alla promozione delle lingue regionali o minoritarie e, a tal fine, vengono individuati sei settori cruciale ai fini della tutela della diversità culturale e linguistica, vale a dire: l’insegnamento nelle scuole e nelle Università (art 8); l’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie in ambito giudiziario (art. 9); l’utilizzo negli uffici delle amministrazioni pubbliche (art. 10); l’utilizzo nei mezzi di comunicazione di massa (art. 11); l’utilizzo nelle attività e infrastrutture di massa (art. 12) e l’utilizzo pratico nella vita economica e sociale (art.13).

La Carta, recepita solo da alcuni dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, è entrata in vigore il 1° marzo 1998. L’Italia l’ha sottoscritta il 27 giugno 2000 ma, a ventidue anni dalla firma, deve ancora provvedere alla sua ratifica[7].

2. La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie

La Carta europea per le lingue regionali o minoritarie emanata dal Consiglio d’Europa nel 1992 rappresenta un rilevante passo avanti nella percezione finora avuta in relazione alla questione delle lingue in Europa. Essa esplicita che le lingue non siano più da annoverare in maniera generica tra i diritti da riconoscere alle minoranze, ma che debbano godere di diritti specifici (all’insegnamento, alla giustizia, nei servizi pubblici, nei mezzi di comunicazione, nelle attività culturali e negli scambi transfrontalieri).

Infatti, la crescente rilevanza del riconoscimento della tutela dei diritti delle minoranze linguistiche ed etniche in Europa è stata confermata nel 1993 dai cosiddetti criteri di Copenhagen[8] definiti dal Consiglio europeo e rafforzati in sede del Consiglio europeo di Madrid nel 1995.

Non a caso per l’apertura formale dei negoziati di adesione di uno Stato è necessario che perlomeno il “criterio politico” sia rispettato, mentre gli altri sono oggetto di uno screening che condiziona la tempistica del negoziato[9].

La Carta europea per le lingue regionali o minoritarie del 1992 (ECRML) è un Trattato concluso a Strasburgo il 5 novembre 1992 nell’ambito del Consiglio d’Europa ed è entrato in vigore nel marzo del 1998. Ogni Stato membro può firmare e ratificare la presente convenzione; il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa può invitare qualsiasi Stato non membro del Consiglio d’Europa ad aderire alla presente Carta. È importante notare che la Carta deve essere non solo firmata, ma anche ratificata, per entrare in vigore. Fino al 2021, 25 dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa l’hanno ratificata, altri 9 invece l’hanno solo firmata.

La stessa nasce al fine di promuovere la salvaguardia delle lingue minoritarie come patrimonio culturale in via di estinzione, ma anche al fine di garantire alle minoranze di partecipare alla vita pubblica.

Dal suo preambolo si evince che la sua adozione è stata ispirata dalla necessità di “conservare e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa” e dal riconoscimento “del fatto che la tutela e la promozione delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d’Europa [contribuiscono] in modo considerevole a costruire un’Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell’ambito della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale”[10].

Una maggiore attenzione al problema è stata dedicata dal Parlamento europeo cui si devono, a partire dagli anni ‘80 una serie di iniziative.

Nel 1981, con l’adozione della Risoluzione Arfé viene chiesta l’adozione di una carta comunitaria che protegga le lingue e le culture regionali delle minoranze etniche. Successivamente, la Risoluzione Kuijpers (1987) riguarda l’uso delle sulle lingue e le culture delle minoranze regionali ed etniche, mentre la Risoluzione Killilea (1994) sollevava l’attenzione sulla protezione delle lingue e delle culture “meno diffuse” in Europa[11].

La necessità di procedere in direzione di una piena attuazione nel campo della “dimensione umana” in termini di diritti collettivi è stata evidenziata anche dal Documento della riunione di Copenaghen della Conferenza sulla dimensione umana della CSCE, del 29 giugno 1990.

Nel 1991 viene presentato al Consiglio d’Europa un progetto di Convenzione europea sulla protezione delle minoranze e nello specifico sulla nozione di “minoranza etnica” applicata alle minoranze autoctone, che sarà però adottato solo nel 1995.

Nello stesso periodo, il sig. Von Stauffenberg, deputato europeo, in veste di relatore del Comitato affari giuridici e diritti del cittadino, elaborava una relazione ed un progetto di risoluzione relativi alla Protezione dei diritti dei gruppi etnici[12], recante un progetto di Carta. I lavori vennero conclusi dal sig. Alber e portarono all’approvazione della risoluzione dal Parlamento Europeo in seduta plenaria.

Un intergruppo del Parlamento europeo sulle lingue minoritarie si è riunito varie volte nelle sessioni plenarie al fine di discutere i temi centrati della relazione Alber, della relazione Killilea, della Carta europea per le lingue regionali o minoritarie e di porre a disposizione stanziamenti a favore delle lingue meno diffuse.

L’elaborazione del testo della Carta fu affidata in una prima fase alla Conferenza permanente delle Autorità Locali e Regionali Europee (Conferenza permanente)[13], dando seguito a una raccomandazione dell’Assemblea Parlamentare del CdE del 1981 e a una risoluzione del Parlamento Europeo, dello stesso anno, riguardanti le problematiche riscontrate nella tutela e nella promozione delle lingue minoritarie e dei dialetti nel settore culturale ed educativo in Europa[14].

Il suo coinvolgimento si giustificava in virtù del ruolo chiave che le autorità locali e regionali erano chiamate a svolgere con riguardo alla promozione della diversità linguistica e culturale sulla base delle condizioni specifiche di ciascuna regione.

Il testo elaborato dalla Conferenza permanente[15] fu in seguito sottoposto a un Comitato inter-governativo, e, dopo alcune modifiche, venne adottato sotto forma di convenzione dal Comitato dei Ministri del CdE, il 25 giugno 1992.

Come già evidenziato, dal Preambolo emerge chiaramente che l’obiettivo fondamentale della Carta è quello della tutela e della promozione delle lingue regionali o minoritarie in quanto elementi del patrimonio culturale europeo a rischio di estinzione[16].

Pertanto, accanto agli obblighi “negativi” connessi al divieto di discriminazione, la Carta favorisce e incoraggia l’adozione di misure “positive” di supporto delle lingue regionali o minoritarie nel settore educativo, dei media, nel contesto giudiziario ed amministrativo e, più ampiamente, nell’ambito delle attività economiche, sociali e culturali.

Essa promuove e si fonda sull’idea del pluralismo culturale e nel tutelare le lingue minoritarie non si pone in contrasto con le lingue ufficiali di ogni Stato ma aspira piuttosto ad una razionale coesistenza tra loro.

Occorre precisare che ai fini di questo lavoro è possibile distinguere tre di diversi status linguistici:

• Le “lingue comunitarie”, definite come “le lingue in cui sono redatti i trattati, e le lingue ufficiali e di lavoro della Comunità”.

• Le “lingue nazionali”, definite come “le lingue considerate lingue ufficiali o lingue nazionali in ciascuno degli Stati membri”.

• Le “lingue regionali” (o minoritarie o meno diffuse), definite come “le lingue praticate tradizionalmente su di un territorio di uno Stato dei cittadini di quello Stato che costituiscono un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, e le lingue diverse dalla/e lingua/e ufficiale/i dello Stato.

Questa espressione non comprende né dialetti[17] della/e lingua/e ufficiale/i dello Stato né le lingue dei migranti”[18] (Articolo 1 della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie)[19].

Va da sé che una stessa lingua può coprire uno status diverso a seconda del contesto considerato; la lingua greca, ad esempio, è sia lingua comunitaria che lingua nazionale, ma è anche lingua regionale con riferimento alla popolazione italiana grecanica in Calabria[20].

3. Struttura e contenuto generale della Carta

Giacché strumento volto alla promozione della diversità culturale, la Carta tutela le lingue minoritarie o regionali in quanto tali e non invece (direttamente) le minoranze linguistiche.

Per questo motivo, nonostante la Carta si fondi sulla libertà di espressione delle minoranze linguistiche, l’accento è posto sulla dimensione culturale dell’utilizzo delle lingue minoritarie o regionali nei vari ambiti della vita privata e pubblica dei soggetti che le parlano[21].

In questa sede occorre rammentare come la Carta non sancisce diritti individuali o collettivi in capo ai soggetti che utilizzano le lingue, ma si limita a creare obblighi di protezione e promozione per i Paesi ratificanti.

Tenuto conto di ciò, il concetto di lingua utilizzato nella Carta è incentrato sulla sua funzione culturale e non viene, invece, definito in modo da costituire un diritto individuale di esercizio della “propria lingua”, o con riguardo a un determinato gruppo sociale o etnico[22].

Poiché l’obiettivo principale non è quello di determinare i diritti delle minoranze, la Carta si astiene dal fornire una definizione di minoranza linguistica e, compatibilmente con i principi della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, lascia tale compito agli Stati ratificanti, i quali si troveranno ad implementare la Carta “tenuto conto delle condizioni specifiche e delle tradizioni storiche proprie di ogni regione dei Paesi d’Europa”[23].

L’ambito di applicazione della Carta è determinato ai sensi dell’articolo 1, secondo il quale l’espressione “lingue regionali o minoritarie” comprende le lingue “1) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato, e, 2) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato”.

Il riferimento alla “pratica tradizionale” della lingua nel territorio è volto a escludere dall’ambito di applicazione della Carta le lingue parlate dalle popolazioni migranti insediatesi più recentemente nel territorio degli Stati parte.

I lavori preparatori della Carta confermano che l’esclusione esplicita delle lingue dei migranti ai sensi dell’articolo 1.2 è stata inserita nel testo della Carta dietro il riconoscimento delle specifiche problematiche d’integrazione che emergono in tali casi e della necessità di affrontare separatamente le relative questioni.

La Carta non si applica, inoltre, alle forme dialettali, ma la determinazione dello status di lingua piuttosto che di dialetto è demandata alle autorità di ciascuno Stato in conformità a processi decisionali democratici.

Per quanto riguarda l’espressione “lingue regionali o minoritarie”, i lavori preparatori indicano una preferenza per questa formulazione da parte del Comitato di esperti che revisioni il testo della Conferenza permanente.

I due aggettivi sono tesi ad includere nell’ambito di applicazione della Carta, sia le lingue parlate in una porzione limitata del territorio di uno Stato, in cui esse vengono peraltro utilizzate dalla maggioranza della popolazione residente (lingue regionali), sia le lingue parlate da persone non necessariamente concentrate in un contesto territoriale, oppure lingue parlate da persone concentrate in un territorio specifico ma rappresentanti comunque una minoranza rispetto alla popolazione ivi residente (lingue minoritarie)[24].

È importante notare che entrambi i criteri riguardanti le lingue regionali o minoritarie si fondano su elementi fattuali e non giuridici, permettendo così agli stati di adeguare gli impegni assunti con la ratifica della Carta alle specifiche condizioni nel proprio contesto demografico e territoriale[25].

La Carta consta di un Preambolo, di 23 articoli e cinque parti, ed è nella parte III che si occupa di indicare le misure che gli Stati devono adottare per perseguire gli obiettivi di cui sopra.

La prima parte, contenente disposizioni generali riguardanti la definizione dei concetti chiave e la compatibilità tra gli obblighi derivanti dalla Carta e obblighi preesistenti in materia di tutela delle lingue minoritarie, è seguita da due parti centrali che elencano una serie di possibili misure di protezione e di promozione.

Dopo aver definito i propri obiettivi e principi (articolo 7), la Carta enuncia una serie di misure da adottare allo scopo di garantire una maggiore diffusione delle lingue regionali o minoritarie nell’ambito della vita pubblica[26], e precisamente nell’insegnamento (articolo 8), nella giustizia (articolo 9), nell’attività della Pubblica amministrazione (articolo 10), nel campo dei media (articolo 11), più in generale nelle attività culturali (articolo 12), nella vita economica e sociale (articolo 13) e negli scambi transfrontalieri (articolo 14).

Viene, quindi, previsto un apposito meccanismo di monitoraggio dell’attuazione delle disposizioni (Parte IV, articoli 15-17), e stabilito, che all’atto della ratifica, un Paese sottoscrittore enunci esattamente a quali lingue intenda applicare tali misure (articoli 2-3).

La quarta parte introduce un meccanismo di supervisione dell’implementazione della Carta e la parte quinta contiene disposizioni sulla ratifica, e sui procedimenti per l’entrata in vigore della Carta, la formulazione di riserve, la denuncia e la revoca della stessa.

La Carta è costruita in modo tale da consentire una diversificazione della protezione offerta alle lingue in differenti settori, secondo le esigenze specifiche di ciascuno Stato.

Pertanto, la Parte II[27] della Carta è completamente obbligatoria e impegna le Parti contraenti ad applicare tutte le disposizioni ivi contenute all’insieme delle lingue regionali o minoritarie praticate in ciascuno Stato (art. 2).

In aggiunta, per ogni lingua regionale o minoritaria indicata al momento della ratifica, ciascuno Stato si impegna ad applicare un minimo di 35 paragrafi a scelta tra le disposizioni della Parte III della Carta, di cui almeno tre per quanto riguarda l’insegnamento e le attività e le attrezzature culturali e uno per i rimanenti settori – giustizia, autorità amministrative e servizi pubblici, mass media, vita economica e sociale e scambi transfrontalieri (art. 2).

Gli Stati possono, quindi, operare una scelta del livello di tutela delle lingue regionali che intendono promuovere e degli ambiti nei quali saranno adottate misure per la loro conservazione. Inoltre, in virtù dell’articolo 3.2 della Carta “Qualsiasi parte può, in qualsiasi momento successivo, notificare al Segretario Generale che essa accetta gli obblighi derivanti dalle disposizioni di qualsiasi altro paragrafo della Carta non ancora specificato nello strumento di ratifica, accettazione o approvazione, o di applicare il paragrafo 1[28] del presente articolo ad altre lingue regionali o minoritarie, o ad altre lingue ufficiali meno parlate su tutto o su parte del proprio territorio”.

Un terzo profilo di distinzione della Carta rispetto ad altri strumenti esistenti consiste da un lato nell’ampio spettro di misure promozionali delle lingue regionali e minoritarie, come sopra anticipato, e dall’altro nella predisposizione di un meccanismo di monitoraggio improntato sulla collaborazione e sull’assistenza piuttosto che sulla coercizione.

L’attuazione delle disposizioni della Carta è oggetto dal 1998 del monitoraggio da parte di esperti indipendenti del Comitato di esperti e del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

Prima di redigere i propri rapporti di valutazione degli impegni assunti dagli Stati Parti alla Carta, il Comitato di esperti effettua visite sul campo in cui privilegia i contatti di persona con chi parla lingue regionali o minoritarie e le loro organizzazioni rappresentative.

I membri del Comitato di esperti della Carta cercano quindi un equilibrio tra la promozione della lingua ufficiale del paese e la tutela delle lingue minoritarie, sfida al centro del multilateralismo. Inoltre, gli sviluppi tecnologici, in particolare la digitalizzazione, hanno creato tante nuove sfide e opportunità per le lingue minoritarie, cosa che la pandemia di Covid-19 ha ulteriormente accentuato e di cui il Comitato di esperti si sforza di tener conto[29].

Al riguardo, la Parte IV[30] prevede un apposito meccanismo di monitoraggio dell’attuazione delle disposizioni della Carta che coinvolge un Comitato di esperti[31] incaricato di esaminare i rapporti periodici triennali presentati dalle parti.

Quando uno Stato ratifica la Carta, esso esamina quali siano le “lingue regionali o minoritarie”, secondo la definizione della Carta, utilizzate nel Paese, e che quindi saranno promosse in base al trattato.

Lo Stato è, inoltre, invitato a scegliere tra gli obblighi contenuti nella Carta in diversi settori quali la scuola, la giustizia, i media, l’amministrazione, la cultura, la vita imprenditoriale e gli scambi transfrontalieri (sono tutti contenuti nella parte III della Carta).

Ad esempio, uno Stato può decidere di rendere possibile l’apprendimento di tutte o di alcune materie scolastiche utilizzando questa lingua o di insegnare la lingua minoritaria come materia scolastica. Oppure, quando si tratta di mezzi di comunicazione, uno Stato può stabilire di fornire finanziamenti per la creazione di un canale televisivo o radiofonico esclusivo in lingua minoritaria o semplicemente per fornire sostegno ai programmi.

Al fine di decidere quanto sarà fatto in un particolare campo della vita pubblica, lo Stato dovrebbe consultare i locutori della lingua minoritaria, ad esempio le loro organizzazioni non governative.

L’altra opzione di cui dispone lo Stato è quella di indicare quali lingue regionali o minoritarie saranno tutelate solo dalla parte II della Carta.

Questa parte della Carta comprende la promozione delle lingue minoritarie negli stessi settori della vita pubblica della parte III, ma con una formulazione in termini più generali, che deve essere accettata pienamente. Ad esempio, uno Stato è obbligato a prevedere l’insegnamento in/della lingua minoritaria a tutti i livelli appropriati di istruzione.

In questo caso, lo Stato, in collaborazione con i locutori della lingua minoritaria, stabilisce il modo migliore di insegnare e studiare questa lingua e a quali livelli di istruzione.

Gli Stati che aderiscono alla Carta devono riferire al Consiglio d’Europa sull’applicazione del Trattato.

Le disposizioni della Carta e le raccomandazioni formulate al termine dei cicli successivi di monitoraggio nei 25 Stati Parti alla Carta hanno portato alla costituzione di un corpus crescente di leggi nazionali che garantiscono l’insegnamento delle e nelle lingue regionali o minoritarie a tutti i livelli dell’educazione pubblica o privata, l’utilizzo di queste lingue nei contatti con le amministrazioni ed i servizi pubblici come gli ospedali, sui segnali topografici e nelle strutture partecipative che danno ai rappresentanti delle minoranze linguistiche accesso ai processi decisionali a livello nazionale, regionale o locale. Al fine di rafforzare l’impatto della Carta nella vita quotidiana di chi parla lingue regionali o minoritarie, il Consiglio d’Europa ha proceduto, nel biennio 2018-2020, alla riforma del meccanismo di monitoraggio della Carta.

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 1° luglio 2019. All’origine della riforma vi era il desiderio di alleggerire l’onere per le amministrazioni nazionali dell’obbligo di redigere, a brevi intervalli di tre anni, lunghi rapporti narrativi causa di ritardi. Questi ritardi non sono ancora interamente assorbiti, nonostante i notevoli sforzi degli Stati Parti e della Segreteria.

La pandemia da Covid-19 sta ritardando la stesura di rapporti completi la cui preparazione necessita visite sul posto e scambi diretti con i locutori.

Dall’entrata in vigore della riforma:

– gli Stati Parti devono presentare i loro rapporti periodici completi sull’attuazione di tutti gli impegni assunti ai sensi della Carta ogni cinque anni invece dei tre precedenti, e due anni e mezzo rispetto alle informazioni sull’attuazione delle raccomandazioni del Comitato di esperti per azione immediata contenute nell’ultimo rapporto di valutazione;

– tuttavia, se e malgrado i richiami scritti del Segretario della Carta, o addirittura del Comitato dei Ministri uno Stato Parte viene meno all’obbligo di fare un rapporto al Comitato della Carta entro i termini prescritti, questo può avviare sotto alcune condizioni, il processo di monitoraggio rispetto allo Stato interessato senza aver ricevuto il suo rapporto periodico;

– gli Stati Parti presenteranno ogni cinque anni un rapporto periodico sull’attuazione della Carta e due anni e mezzo dopo, informazioni sull’attuazione di un numero limitato di raccomandazioni, se necessario, ovvero solo quelle identificate dal Comitato di esperti nel suo rapporto di valutazione per azione immediata;

– dopo aver ricevuto il rapporto di valutazione per commenti, uno Stato Parte può chiedere al Comitato di esperti un dialogo riservato se considera che il rapporto contenga errori di natura fattiva;

– il Comitato di esperti è autorizzato a pubblicare i suoi rapporti di valutazione dopo aver ricevuto i commenti finali di uno Stato Parte e prima che il Comitato dei Ministri esamini il rapporto di valutazione e adotti la sua raccomandazione allo Stato interessato;

– il numero di mandati dei membri del Comitato di esperti è limitato in vista di un rinnovo periodico della sua composizione.

Il meccanismo di monitoraggio previsto nella Carta è di natura collaborativa ed è ispirato all’assistenza e alla cooperazione piuttosto che al controllo sull’applicazione degli obblighi derivanti dalla Carta, in senso stretto[32].

4. Misure atte a promuovere l’uso delle lingue regionali o minoritarie in materia di istruzione

La pandemia da COVID-19 ha esacerbato la vulnerabilità di talune minoranze e dei locutori di lingue regionali o minoritarie in vari paesi aggravando le disparità già esistenti.

Le norme del Consiglio d’Europa atte ad aiutare gli Stati membri ad affrontare situazioni di emergenza sono ben applicate come è stato dimostrato durante la pandemia. Tuttavia, in alcune istanze, l’attuazione integrale delle norme e raccomandazioni pertinenti continua a mancare.

Nel 2020, per esempio, la Segreteria della Carta ha condotto ricerche relative all’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie come stilato all’articolo 8 della Carta.

Il ruolo degli insegnanti e delle scuole è risultato nodale per garantire che gli allievi avessero accesso ad un’educazione nella loro lingua durante l’epidemia. Analogamente, le associazioni di locutori delle lingue regionali o minoritarie hanno svolto un ruolo importante nel passaggio all’insegnamento on-line di o in queste lingue durante i periodi di lockdown degli studenti[33].

La Carta si fonda su un approccio che rispetta pienamente i principi di sovranità nazionale e di integrità territoriale. Non concepisce i rapporti tra le lingue ufficiali e le lingue regionali o minoritarie in termini di concorrenza o di antagonismo. Lo sviluppo di questi ultimi non deve in effetti ostacolare la conoscenza e la promozione delle prime. Le lingue regionali o minoritarie fanno parte del patrimonio culturale dell’Europa e la loro protezione e promozione contribuiscono alla costruzione di un’Europa fondata sulla democrazia e la diversità culturale. La Carta si applica a settantanove lingue regionali o minoritarie, territoriali o non territoriali o lingue ufficiali meno diffuse.

Entrano nel suo campo di applicazione solo le lingue tradizionalmente impiegate sul territorio di uno Stato e non quelle legate a fenomeni di migrazione recenti, né i dialetti della lingua ufficiale.

Negli anni Novanta, l’UNESCO ha pubblicato il Libro rosso delle lingue in pericolo, un elenco esaustivo delle lingue a rischio di estinzione nel mondo, poi sostituito dall’Atlante delle lingue in pericolo nel mondo.

Parimenti, la stessa UNESCO ha chiesto a un gruppo internazionale di esperti ad hoc di elaborare un quadro per classificare la vitalità di una lingua. Il quadro definisce sette diversi livelli di vitalità, cinque dei quali descrivono lingue a rischio di estinzione: sicura, sicura ma minacciata, vulnerabile, certamente in pericolo, in grave pericolo, criticamente in pericolo ed estinta.

I termini comunemente utilizzati per classificare quelle lingue europee indigene che non sono riconosciute come lingua ufficiale di un determinato paese sono lingua regionale o minoritaria. Questa è la terminologia impiegata dal Consiglio d’Europa nella Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. In generale, queste lingue rientrano in quattro categorie: le lingue autoctone, che sono indigene ma non sono riconosciute come lingue ufficiali di uno Stato; le lingue autoctone e transfrontaliere, che sono indigene e sono parlate in più di un paese ma non sono riconosciute come lingue ufficiali di uno Stato; le lingue transfrontaliere, che sono riconosciute come lingua ufficiale in uno Stato e sono lingue minoritarie in un altro; e le lingue non territoriali, come il romaní.

Lo stesso gruppo ha, inoltre, stilato un elenco di nove fattori che caratterizzano la situazione complessiva di una lingua, tra cui il livello di trasmissione intergenerazionale, il numero assoluto di parlanti e le tendenze in termini di contesti comunicativi esistenti.

Nell’Unione europea le lingue riconosciute ufficialmente che sono usate come lingue di lavoro dell’Unione sono 24. Le lingue regionali e minoritarie indigene sono oltre sessanta, di cui cinque sono riconosciute come semiufficiali (il catalano, il galiziano, il basco, il gaelico scozzese e il gallese). Tutte le altre lingue sono prive di status ufficiale nell’UE[34].

L’insegnamento rappresenta lo strumento primario per la tutela e la promozione delle lingue regionali o minoritarie, non solo nei territori in cui sono parlate, ma soprattutto nelle aree monolingue.

A tal fine, gli obiettivi indicati nella Carta prevedono un’attività di sensibilizzazione sulla presenza delle lingue regionali o minoritarie all’interno del Paese, l’adozione di un modello di coesistenza in cui la diversità linguistica diventa l’argomento centrale e lo sviluppo di materiali e metodi pedagogici che aiutino ad adottare una strategia per concepire la diversità linguistica come un bene.

Esso è la condizione chiave per la realizzazione degli obiettivi della Carta e per la conservazione e la trasmissione delle lingue tra generazioni[35].

Non può, in proposito, omettersi come alcune lingue internazionali, come l’inglese o lo spagnolo, sono considerate lingue predominanti e più utili, mentre alle lingue minoritarie viene attribuito specialmente un valore identitario o emotivo, senza molta considerazione per la loro utilità.

Il sistema scolastico deve combattere questi pregiudizi e impegnarsi in un approccio inclusivo verso tutte le lingue, evidenziandone il valore e la ricchezza. L’articolo 8 è dedicato all’insegnamento e apre la Parte III della Carta suggerendo agli Stati una serie di misure opzionali di promozione e tutela, tra cui selezionare quelle più adatte in base alla situazione e al contesto specifico di ogni lingua minoritaria.

Quindi, l’articolo 8 della Carta permette alle Parti di modulare l’estensione dell’ambito di tutela operando una scelta, per un verso rispetto al livello di insegnamento in cui si intende promuovere l’utilizzo della lingua regionale o minoritaria (paragrafi da a. a f.), e per l’altro, rispetto all’intensità di utilizzo della lingua nell’ambito dei programmi di insegnamento (la numerazione da i. a iv. all’interno dei paragrafi)[36].

Così, sotto il primo profilo, gli Stati possono scegliere tra istruzione prescolare, primaria, secondaria, universitaria, insegnamento tecnico e professionale, e corsi di istruzione in età adulta o di istruzione permanente.

Sotto il secondo profilo, il più alto livello di tutela si realizza assicurando l’insegnamento totalmente nella lingua regionale o minoritaria nei rispettivi livelli scelti.

In alternativa, gli Stati possono prevedere che una parte sostanziale dell’insegnamento sia assicurata nelle lingue regionali o minoritarie[37].

La Carta prevede inoltre la possibilità per gli Stati di adottare misure: per assicurare l’insegnamento della storia e della cultura di cui la lingua regionale o minoritaria è espressione; per assicurare la formazione iniziale e permanente degli insegnanti in quanto condizione essenziale per la messa in opera degli altri paragrafi dell’articolo 8 e per istituire organi di controllo incaricati di monitorare le misure prese ed i progressi realizzati.

La protezione e la promozione del patrimonio culturale e linguistico europeo e dell’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie o in queste lingue, come stabilito nella Carta, sono al centro della missione del Comitato di esperti della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. Ad ogni ciclo di monitoraggio, il Comitato valuta l’attuazione dell’Articolo 7 in ogni Stato Parte monitorato e, se necessario, delle disposizioni scelte dell’Articolo 8 sull’insegnamento delle lingue protette ai sensi della Parte III della Carta.

La Carta è uno strumento giuridico in constante evoluzione che può orientare l’andamento futuro dell’insegnamento delle e nelle lingue regionali o minoritarie.

Nell’ambito dei suoi lavori di monitoraggio, il Comitato di esperti promuoverà vere pari opportunità nell’accesso all’educazione tramite le tecnologie dell’informazione e incoraggerà la tolleranza e la partecipazione dei vari interessati[38].

5. L’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie nel procedimento giudiziario

L’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie in ambito giudiziario rappresenta un settore tra i meno aperti all’uso di lingue diverse da quella ufficiale.

In particolare l’articolo 9 richiede alle autorità degli Stati ratificanti di prevedere che, qualora richiesto da una delle parti, le autorità giudiziarie nel processo penale, civile o amministrativo conducano il procedimento nelle lingue regionali o minoritarie; che le parti abbiano il diritto di esprimersi nella propria lingua regionale o minoritaria; che la documentazione scritta possa essere presentata in tali lingue; e che qualora sia necessario ricorrere ad un interprete, i servizi di traduzione siano resi senza costi aggiuntivi per gli interessati[39].

L’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie nel procedimento giudiziario ha, per una forte dimensione territoriale e riguarda solo «le circoscrizioni delle autorità giudiziarie in cui risiede un numero di persone che usa le lingue regionali o minoritarie tale da giustificare [queste] misure (…) e secondo la realtà di ciascuna lingua» (art. 9).

L’articolo 9 prevede altresì l’impegno per gli Stati ratificanti di:

a. non rifiutare la validità degli atti giuridici stabiliti nello Stato solo perché redatti in una lingua regionale o minoritaria;

b. non rifiutare la validità, fra le Parti, degli atti giuridici stabiliti nello Stato solo perché redatti in una lingua regionale o minoritaria e a prevedere che siano opponibili ai terzi interessati che non parlano tali lingue, a condizione che siano informati del contenuto dell’atto da colui che lo fa valere;

c. non rifiutare la validità, fra le Parti, degli atti giuridici stabiliti nello Stato solo perché redatti in una lingua regionale o minoritaria.

Infine, le Parti si impegnano a rendere accessibili, nelle lingue regionali o minoritarie, i testi legislativi nazionali più importanti e quelli che concernono in particolare gli utenti di tali lingue, a meno che tali testi non siano già disponibili altrimenti.

6. Disposizioni relative ai mass media alla luce dell’obiettivo della Carta

Un altro tema di preoccupazione è l’uso di una lingua minoritaria o regionale nei media, in cui alcune lingue sono assenti, mentre per altri la frequenza e la durata dei programmi in lingue regionali sono giudicate insufficienti per promuoverle come lingue di comunicazione e riflettere pienamente la diversità della società nei media[40].

Nella Carta, i mass media sono affrontati da tre punti vista diversi, benché strettamente collegati tra loro: (1) il ruolo dei mass media come mezzo per promuovere la tolleranza, (2) l’importanza di mantenere i mass media pertinenti come veicolo strategico di tutela della lingua, e (3) l’importanza delle comunicazioni transfrontaliere in situazioni in cui le lingue possono essere rafforzate dalla pratica in una “forma identica o simile” in due paesi limitrofi.

All’articolo 7, comma 3, che descrive gli obiettivi e i principi della Carta, le parti si impegnano a “promuovere con misure appropriate la mutua comprensione fra tutti i gruppi linguistici del loro paese, in particolare facendo in modo che il rispetto, la comprensione e la tolleranza nei confronti delle lingue regionali o minoritarie figurino tra gli obiettivi dell’istruzione e formazione date nel loro paese, e ad incoraggiare i mass-media a perseguire lo stesso obiettivo”.

I tipi di mass media che sono esplicitamente inclusi nell’articolo 11 (Mass Media) si limitano alla radio, la televisione, i giornali e la produzione audiovisiva.

Tuttavia le politiche nel settore dei mass media si estendono anche agli impegni riguardanti le attività culturali e le loro strutture in senso lato e, da questo punto di vista, gli impegni della Carta non possono limitarsi ai soli tipi di media espressamente menzionati all’articolo 11, paragrafo 1 ma deve promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie per come previsto per le attività e infrastrutture culturali.

L’articolo 12, che riguarda le attività culturali e le loro strutture, chiede alle Parti che hanno ratificato le disposizioni di quest’articolo di estendere le loro politiche a nuove forme di mass media – includendo un esplicito riferimento alle nuove forme di tecnologie – e di incoraggiare i tipi di espressioni e le iniziative, oltre all’accesso alle opere prodotte nelle lingue regionali o minoritarie.

In molti casi, questi tipi di media sono anche oggetto dell’articolo 11, sottocomma 1. f. ii (estendere i provvedimenti di assistenza finanziaria in vigore alle produzioni audiovisive nelle lingue regionali o minoritarie). Anche l’articolo 14, commi a e b, è pertinente all’argomento trattato, in quanto sancisce che le Parti si impegnano:

a) ad applicare gli accordi bilaterali e multilaterali esistenti che li vincolano con gli Stati in cui è usata la medesima lingua in modo identico o simile o a sforzarsi di concluderne, all’occorrenza, in modo da favorire i contatti tra i parlanti della stessa lingua negli Stati interessati, nei settori della cultura, dell’insegnamento, dell’informazione, della formazione professionale e dell’educazione permanente;

b) nell’interesse delle lingue regionali o minoritarie, a facilitare e/o promuovere la cooperazione transfrontaliera, in particolare fra collettività regionali o locali, sul cui territorio è usata la stessa lingua in modo identico o simile”.

Per riassumere in sede di analisi della coerenza dell’esame degli obblighi assunti ai sensi dell’articolo 11 (riquadri, conclusioni e raccomandazioni del Comitato dei Ministri) è possibile osservare che il livello di attenzione rivolto a questo settore della Carta è relativamente elevato e coerente.

Si denota tuttavia uno squilibrio a favore della presenza dei mass media in generale, e in particolare della radiodiffusione.

Appare evidente che gli Stati dovrebbero accordare maggiore attenzione ai nuovi media, all’esame delle produzioni audiovisive e sostenere la formazione di giornalisti e di altro personale per i media usando le lingue regionali o minoritarie.

7. Vita economica e sociale

La Carta mira a tutelare e promuovere le lingue regionali o minoritarie e a incoraggiarne l’uso sia nella vita privata che in quella pubblica e quindi la sopravvivenza e lo sviluppo delle lingue regionali sono assicurati attraverso un utilizzo capillare nella vita economica, commerciale e sociale[41].

In particolare, l’articolo 13, comma 1, della Carta, prevede l’obbligo di eliminare ogni disposizione legislativa “che proibisca o limiti senza ragioni giustificabili il ricorso a lingue regionali o minoritarie nei documenti relativi alla vita economica o sociale e in particolare nei contratti di lavoro e nei documenti tecnici quali le istruzioni d’uso di prodotti o attrezzature”, di vietare l’inclusone “nei regolamenti interni delle imprese e negli atti privati, di clausole che escludono o limitano l’uso delle lingue regionali o minoritarie”, e di contrastare “pratiche che tendono a scoraggiare l’uso delle lingue regionali o minoritarie nell’ambito delle attività economiche e sociali”.

Tali misure sono applicabili su tutto il territorio dello Stato, accanto all’impegno generale di facilitare e/o incoraggiare, anche con altri mezzi, l’uso delle lingue regionali o minoritarie.

L’articolo 13, comma 2, invece, trova applicazione nel territorio nel quale le lingue regionali o minoritarie sono praticate, nella misura in cui ciò è ragionevolmente possibile e laddove le autorità pubbliche abbiano competenza in materia di attività economica e sociale.

In particolare, gli Stati si impegnano a garantire e a promuovere l’uso delle lingue regionali e minoritarie nel settore finanziario e bancario (ad esempio nella documentazione, ordini di pagamento, assegni ecc.), nelle attrezzature sociali come ospedali, case di riposo, ostelli, e nella diffusione di informazioni sui diritti dei consumatori.

Per quanto riguarda la prassi applicativa dell’articolo 13, il Comitato di esperti ha chiarito che l’implementazione del primo comma, riguardante l’intero territorio dello Stato, dovrebbe avvenire principalmente attraverso modifiche alla legislazione esistente, volte a eliminare e/o correggere eventuali disposizioni che limitino l’utilizzo delle lingue regionali o minoritarie.

Il Comitato ha anche auspicato, al riguardo, un approccio “proattivo”, che comporta l’inclusione di un divieto esplicito delle clausole proibitive dell’utilizzo delle lingue minoritarie, anziché uno meramente passivo, limitato al riconoscimento dell’inesistenza di simili clausole nella legislazione.

Infine, per quanto riguarda l’obbligo generale di facilitare e promuovere l’utilizzo delle lingue regionali e minoritarie “anche con altri mezzi” (art. 13.1, lett. d), la prassi degli Stati registra una serie di misure positive, capaci di incoraggiare l’uso delle lingue minoritarie o regionali nella vita economica e sociale[42].

8. Conclusione

Le disposizioni della Carta e le raccomandazioni formulate al termine dei cicli di monitoraggio negli Stati che hanno aderito alla Carta hanno portato alla costituzione di un corpus crescente di leggi nazionali che garantiscono l’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie a tutti i livelli dell’educazione pubblica o privata, l’utilizzo di queste lingue nei contatti con le amministrazioni ed i servizi pubblici, sui segnali topografici e nelle strutture partecipative che danno ai rappresentanti delle minoranze linguistiche accesso ai processi decisionali a livello nazionale, regionale o locale.

Tuttavia, le lingue minoritarie hanno un uso limitato nei settori pubblici: scuole, giustizia, media e pubbliche amministrazioni in quanto alle lingue minoritarie e regionali viene attribuito un valore identitario o emotivo, senza molta considerazione per la loro utilità.

Pertanto, sia il numero di locutori che lo status giuridico della lingua sono criteri decisivi per considerare una lingua come minoritaria o maggioritaria.

Una lingua può essere numericamente dominante in una regione e tuttavia essere una lingua minoritaria dal punto di vista del suo status giuridico o della sua visibilità sociale rispetto ad altre lingue statali.

In un’Europa caratterizzata da una mobilità straordinaria, la sfumatura “tradizionalmente parlata in uno Stato” è fondamentale per comprendere che le lingue della recente immigrazione non rientrano nella tutela della Carta.

L’obiettivo della Carta è quello di cambiare questa situazione e di garantire che esistano realmente le possibilità di utilizzare le tradizionali lingue regionali o minoritarie, non solo nella vita privata. In altri casi, si favoriscono anche i locutori nell’imparare la lingua dei loro nonni e bisnonni perché non hanno avuto questa opportunità in casa.

L’apprendimento della lingua minoritaria, tuttavia, non è sufficiente. È importante assicurarne la presenza in altri settori, come la giustizia, l’amministrazione, i media, la cultura e la vita economica e sociale. Particolare attenzione, poi, deve essere prestata al contribuito che può dare la tecnologia.

La tecnologia e i media sociali possono offrire a questi gruppi linguistici mezzi di comunicazione facilmente accessibili, sia per le comunicazioni personali sia come soluzioni efficaci per la comunicazione all’interno del gruppo. I finanziamenti europei alla ricerca e allo sviluppo possono avere un impatto significativo in questo ambito.

Il peculiare approccio accolto dalla Carta, ossia quello della tutela della cultura e delle lingue minoritarie in quanto beni collettivi è volto a resistere alle discussioni concettuali e dogmatiche sulle minoranze, ma non riesce sempre a garantire che l’applicazione della Carta nei contesti specifici degli Stati parte resti immune da tali considerazioni.

Ad oggi hanno aderito 25 Stati di cui 9 non hanno provveduto alla ratifica della Carta. L’Italia dopo ventidue anni dalla firma ad oggi non ha provveduto a concludere l’iter di ratifica della Carta[43].

A tal riguardo, va notato che in materia di tutela delle minoranze nazionali l’Italia ha già ratificato e dato esecuzione (con la legge n. 302 del 1997) alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, del Consiglio d’Europa, la quale riserva una specifica tutela alle lingue minoritarie e al diritto delle minoranze di farne uso.

Inoltre, in virtù della legge n. 482 del 1999 intitolata “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” l’Italia ha dato attuazione all’articolo 6 della Costituzione disponendo una legislazione avanzata sulla tutela di alcune minoranze.

In particolare, la legge ammette alla tutela le lingue di dodici minoranze linguistiche riconosciute, ossia quelle albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo[44].

La ratifica della Carta in oggetto auspicabilmente rappresenta uno step fondamentale nel processo di completamento del percorso già intrapreso con la ratifica della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali[45]. L’intervento normativo risponde ad una indubbia esigenza di tutela dello strumento linguistico, che si trova dinanzi ad un autentico rischio di dimenticanza. Pertanto, come attentamente rimarcato dall’Unesco, «Una lingua è in pericolo quando i parlanti smettono di usarla, se ne servono in un numero sempre minore di contesti comunicativi e smettono di trasmetterla di generazione in generazione. Ciò significa che vengono a mancare nuovi parlanti, siano questi adulti o bambini» (UNESCO, 2003).


* Avvocato e Dottorando di Ricerca in “Global studies for an inclusive and integrated society” presso l’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria.

[1] Per le molteplici questioni legate alle lingue minoritarie, anche nella evoluzione degli ultimi 20 anni, si rimanda a: Ajello (ed.) (1983), LMP (1985), IEI (1986), Bratt Paulston-Peckham (eds.) (1998), Nelde & Rindler-Schjerve (eds.) (2001), Extra-Gorter (eds.) (2001), Orioles (2003a), Orioles (ed.) (2003).

[2] M. GAZZOLA, F. GUERINI, Le sfide della politica linguistica di oggi fra la valorizzazione del multilinguismo migratorio locale e le istanze del plurilinguismo europeo, (a cura di, Augusto Carli), FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 15 e ss.

[3] Si veda l’articolo 55 del TUE.

[4] J. BEQIRAJ, La Carta europea delle lingue regionali e minoritarie: potenzialità e freni, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 1/2016, pp. 2 e ss.

[5] Si veda sul punto si veda l’art. 3 del TUE.

[6] J. BEQIRAJ, La Carta europea delle lingue regionali e minoritarie… op. cit., pp. 4 e ss.

[7] Ad oggi, la Carta è stata ratificata da 25 Stati, più 9 firmatari, tra cui l’Italia.

[8] Il trattato sull’Unione europea definisce le condizioni (articolo 49) e i principi (articolo 6, paragrafo 1) a cui tutti i paesi che desiderano diventare membri dell’Unione europea (Unione) devono conformarsi.

Per ottenere l’adesione, è necessario soddisfare alcuni criteri. Tali criteri, noti come criteri di Copenaghen, sono stati stabiliti in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 e rafforzati in sede del Consiglio europeo di Madrid nel 1995. Tali criteri sono: 1. Criterio politico: presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela.

2. Criterio economico: esistenza di un’economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione Europea.

3. Adesione all’acquis comunitario: accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, in particolare, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.

[9] G. BUONOMO, Ue allargamento a Est con riserva, in ItaliaOggi, 17 ottobre 2002.

[10] Preambolo della Carta.

[11] A seguito dell’adozione delle proposte nel 1979 e 1980, il Parlamento europeo ha votato tre risoluzioni: risoluzione su una Carta comunitaria delle lingue e culture regionali e su una Carta dei diritti delle minorità etniche (Arfé I, 16 ottobre 1981), GUCE n. C 287 del 9.11.1981, pag. 106; risoluzione sui provvedimenti a favore delle lingue e delle culture minoritarie (Arfé II, 11 febbraio 1983) GUCE n. C 68 del 14.3.1983, pag. 103; risoluzione sulle lingue e culture delle minorità regionali ed etniche della Comunità europea (Kuijpers, 30 ottobre 1987), GUCE n. C 318 del 30.11.1987.

[12] PE 204.838.

[13] Standing Conference of Local and Regional Authorities of Europe.

[14] Parliamentary Assembly of the Council of Europe, Recommendation n. 928 on Educational and cultural problems of minority languages and dialects in Europe, 7 ottobre 1981; European Parliament, Resolution on a Community Charter of Regional Languages and Cultures and on a Charter of Rights of Ethnic Minorities, 16 ottobre 1981, Ref. A1–965/80, OJ C 287, 9.11.81, p. 57 e European Charter for Regional or Minority Languages (CETS N. 148), Explanatory Report, § 4 ss.

[15] Parliamentary Assembly of the Council of Europe, Resolution no. 192 (1988) on Regional or Minority Languages in Europe, Standing Conference of Local and Regional Authorities of Europe, 4 ottobre 1988 (11th Sitting).

[16] J. BEQIRAJ, La Carta europea delle lingue regionali e minoritarie… op. cit., p. 3.

[17] A. STUSSI, Lingua, dialetto e letteratura, Torino, Einaudi, 1993.

[18] N. LABRIE, La construction linguistique de la Communauté européenne, Paris, Champion, 1993, pp. 24 e ss.

[19] Ai sensi della presente Carta: a) per «lingue regionali o minoritarie» si intendono le lingue: i) usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e ii) diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti; b) per «territorio in cui è usata una lingua regionale o minoritaria» si intende l’area geografica nella quale tale lingua è l’espressione di un numero di per­sone tale da giustificare l’adozione di differenti misure di protezione e di promovimento previste dalla presente Carta; c) per «lingue non territoriali» si intendono le lingue usate da alcuni cittadini dello Stato che differiscono dalla(e) lingua(e) usata(e) dal resto della popo­lazione di detto Stato ma che, sebbene siano usate tradizionalmente sul ter­ritorio dello Stato, non possono essere ricollegate a un’area geografica parti­colare di quest’ultimo.

[20] Cfr. A. PIZZORUSSO, Minoranze e maggioranze, Einaudi, Torino, 1993; S. BARTOLE (a cura di), Le Regioni alla ricerca della loro identità culturale e storica, Giuffrè, Milano, 1999; M. ROSINI, La tutela delle minoranze linguistiche nella seconda stagione statutaria, in E. CATELANI, E. CHELI (a cura di), I principi negli statuti regionali, Il Mulino, Bologna, 2008; F. PALERMO, J. WOELK, Diritto costituzionale e comparato dei gruppi e delle minoranze, Cedam, Padova, 2008 e D. BONAMORE, Lingue minoritarie-Lingue nazionali-Lingue ufficiali nella legge 482/1999, FrancoAngeli, Milano, 2004.

[21] Preambolo della Carta.

[22] Cfr. European Charter for Regional or Minority Languages (CETS N. 148), Explanatory Report, pp. 15 e ss.

[23] Cfr. Preambolo Carta.

[24] Cfr. articolo 1, lett. b) e lett. c) della Carta.

[25] L’articolo 1, lett. c) della Carta afferma che «per “lingue non territoriali” si intendono le lingue usate da alcuni cittadini dello Stato che differiscono dalla(e) lingua(e) praticata(e) dal resto della popolazione di detto Stato ma che, sebbene siano usate tradizionalmente sul territorio dello Stato, non possono essere ricollegate a un’area geografica particolare di quest’ultimo».

[26] Parte III – Misure atte a promuovere l’uso delle lingue regionali o minoritarie nella vita pubblica conformemente agli impegni sottoscritti in virtu’ del paragrafo 2 dell’articolo 2.

[27] Obiettivi e principi perseguiti in conformità al paragrafo 1 dell’articolo 2.

[28] Ciascuno Stato contraente dovrà specificare nell’atto di ratifica, accettazione o approvazione, ogni lingua regionale o minoritaria, o ogni lingua ufficiale, meno parlata su tutto o su parte del proprio territorio, a cui si applicheranno i paragrafi scelti in conformità al paragrafo 2 dell’articolo 2.

[29] Si veda il decimo rapporto sull’Applicazione della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie (2018-2020) – Rapporto della Segretaria Generale del Consiglio d’Europa all’Assemblea Parlamentare del 14 Aprile 2021.

[30] Applicazione della Carta. Durante il periodo coperto dal rapporto, il Consiglio d’Europa ha continuato a sottolineare l’importanza della collaborazione multilaterale e dell’attuazione delle norme afferenti al Consiglio d’Europa a livello nazionale. Viene messo l’accento sulla riforma del meccanismo di monitoraggio della Carta per una migliore integrazione delle conclusioni del monitoraggio nelle politiche nazionali antidiscriminazione.

[31] Il Comitato di esperti, composto da un membro per ciascun Stato parte, prepara a sua volta un rapporto da sottoporre all’attenzione del Comitato dei Ministri, accompagnato da proposte di raccomandazioni che quest’ultimo potrà rivolgere ad una o più parti (art. 16). Mentre l’Articolo 17 prevede che «1. Il comitato di esperti sarà composto da un membro di ciascuna Parte che il Comitato dei Ministri designerà da una lista di persone di alta levatura morale e di riconosciuta competenza nelle questioni trattate dalla Carta, le quali saranno proposte dalla Parte interessata.

2. I membri del comitato saranno nominati per un periodo di sei anni e il loro mandato è rinnovabile. Qualora un membro non potesse completare il suo mandato, questi sarà sostituito conformemente alla procedura prevista al paragrafo 1 e il membro nominato in sua vece completerà il periodo del

mandato del suo predecessore.

3. Il comitato di esperti adotterà un suo regolamento interno. I suoi servizi di segreteria saranno assicurati dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa».

[32] J. M. WOEHRLING, La Charte européenne des langues régionales ou minoritaires. Un commentaire analytique, Strasbourg, Conseil de l’Europe, 2005, p. 273.

[33] Decimo Rapporto sull’Applicazione della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie (2018-2020), pp. 7 e ss.

[34] P. J. MEIRION, Lingue a rischio di estinzione e diversità linguistica nell’Unione europea, Unione Europea, Bruxelles, 2013, pp. 4-6.

[35] ECRML, Committee of Experts (2006), The Committee of Experts’ interpretation and evaluation practice concerning the implementation of articles on education of the European Charter for Regional or Minority languages. Strasbourg: Council of Europe Publishing, 3 June 2006 (MIN-LANG (2006) 3), p. 2; A. NOGUEIRA LOPEZ, Article 8.1. Education (I), in A. NOGUEIRA LÓPEZ-E. J. RUIZ VIEYTEZ-I. URRUTIA LIBARONA (a cura di), Shaping language rights, cit., p. 250.

[36] 1. In materia di insegnamento, le Parti si impegnano, per quanto concerne il territorio sul quale queste lingue sono usate, secondo la realtà di ciascuna lingua e senza pregiudicare l’insegnamento della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato: a) i) a garantire l’educazione prescolastica nelle lingue regionali o minorita­rie in questione; oppure ii) a garantire una parte notevole dell’educazione prescolastica nelle lingue regionali o minoritarie in questione; oppure iii) ad applicare una delle misure di cui ai capoversi i e ii succitati almeno agli allievi le cui famiglie lo desiderano e il cui numero è ritenuto suffi­ciente; oppure iv) se i poteri pubblici non sono direttamente competenti nell’ambito dell’educazione prescolastica, a favorire e/o promuovere l’applicazione delle misure di cui ai capoversi i–iii succitati; b) i) a garantire l’insegnamento primario nelle lingue regionali o minoritarie in questione; oppure ii) a garantire una parte notevole dell’insegnamento primario nelle lingue regionali o minoritarie in questione; oppure iii) a prevedere, nell’ambito dell’educazione primaria, che l’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie in questione sia parte integrante del curriculum; oppure iv) ad applicare una delle misure di cui ai capoversi i–iii succitati almeno agli allievi le cui famiglie lo desiderano e il cui numero è ritenuto suffi­ciente; c) i) a garantire l’insegnamento secondario nelle lingue regionali o minorita­rie in questione; oppure ii) a garantire una parte notevole dell’insegnamento secondario nelle lin­gue regionali o minoritarie; oppure iii) a prevedere, nell’ambito dell’educazione secondaria, l’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie quale parte integrante del curriculum; oppure iv) ad applicare una delle misure di cui ai capoversi i–iii succitati almeno agli allievi che lo desiderano – o, se del caso, le cui famiglie lo auspi­cano – in numero ritenuto sufficiente; d) i) a garantire l’insegnamento tecnico e professionale nelle lingue regionali o minoritarie in questione; oppure ii) a garantire una parte notevole dell’insegnamento tecnico e professio­nale nelle lingue regionali o minoritarie in questione; oppure iii) a prevedere, nell’ambito dell’educazione tecnica e professionale, l’in­segnamento delle lingue regionali o minoritarie in questione quale parte integrante del curriculum; oppure iv) ad applicare una delle misure di cui ai capoversi i–iii succitati almeno agli allievi che lo desiderano – o, se del caso, le cui famiglie lo auspi­cano – in numero ritenuto sufficiente; e) i) a prevedere l’insegnamento universitario e altre forme di insegnamento superiore nelle lingue regionali o minoritarie; oppure ii) a prevedere lo studio di tali lingue quali discipline dell’insegnamento universitario e superiore; oppure iii) qualora i capoversi i e ii non possano essere applicati, dato il ruolo dello Stato nei confronti degli istituti di insegnamento superiore, a promuovere e/o autorizzare l’istituzione di un insegnamento universita­rio o di altre forme di insegnamento superiore nelle lingue regionali o minoritarie oppure di mezzi che consentano di studiare tali lingue all’università o in altri istituti di insegnamento superiore; f) i) ad adottare disposizioni affinché i corsi di educazione per gli adulti o i corsi di educazione permanente siano impartiti interamente o parzial­mente nelle lingue regionali o minoritarie; oppure ii) a proporre tali lingue quali discipline dell’educazione per gli adulti e dell’educazione permanente; oppure iii) se i poteri pubblici non sono direttamente competenti nell’ambito dell’educazione degli adulti, a favorire e/o promuovere l’insegnamento di tali lingue nell’ambito dell’educazione degli adulti e dell’educazione permanente; g) ad adottare disposizioni per garantire l’insegnamento della storia e della cultura di cui la lingua regionale o minoritaria è l’espressione; h) a garantire la formazione iniziale e permanente degli insegnanti necessaria all’applicazione dei paragrafi tra a e g accettati dalla Parte; i) ad istituire uno o più organo(i) di controllo incaricato(i) di seguire le misure adottate e i progressi fatti nell’istituzione e nello sviluppo dell’insegnamento delle lingue regionali o minoritarie e a redigere in merito a tali punti rapporti periodici che saranno resi pubblici.

2. In materia di insegnamento e per quanto concerne i territori diversi da quelli in cui le lingue regionali o minoritarie sono tradizionalmente usate, le Parti si impe­gnano ad autorizzare, promuovere o istituire, qualora il numero dei parlanti di una lingua regionale o minoritaria lo giustifichi, l’insegnamento nella o della lingua regionale o minoritaria agli stadi appropriati dell’insegnamento.

[37] J. BEQIRAJ, La Carta europea delle lingue regionali e minoritarie… op. cit., pp. 7 e ss.

[38] Decimo Rapporto sull’Applicazione della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie (2018-2020), pp. 25 -26.

[39] Articolo 9, comma 1, ECRML. Cfr. J. M. WOEHRLING, Problems raised by the use of regional or minority languages before the public and judicial authorities, CoE, International Conference of the European Charter for Regional or Minority Languages, Council of Europe Publishing, Strasbourg 1998.

[40] Decimo Rapporto sull’Applicazione della Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie (2018-2020), p. 5.

[41] R. DUNBAR, Definitively interpreting the European Charter for Regional or Minority Languages: legal challenges and opportunities, Council of Europe Publishing, Strasbourg, p. 41.

[42] J. BEQIRAJ, La Carta europea delle lingue regionali e minoritarie… op. cit., pp. 12-13.

[43] Dati consultabili alla pagina web http://conventions.coe.int

[44] M. MAESANO, Il recupero della memoria nella tutela delle minoranze linguistiche, in Luoghi e tempi del recupero della memoria nell’area mediterranea, (a cura di, C. Gelosi), editoriale scientifica, Napoli, 2019.

[45] Lo Stato italiano non ha, ad oggi, provveduto a ratificare la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992, diversamente da quanto avvenuto con la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali – alla quale fa riferimento la legge 28 agosto 1997, n. 302 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995) – e con la Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali – alla quale fa riferimento la legge 19 febbraio 2007, n. 19 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005).