Di Alessandro Amaolo
In via preliminare, osservo come l’autotutela amministrativa si colloca nell’ambito dei provvedimenti amministrativi di secondo grado. Questi intervengono su precedenti provvedimenti regolando determinati rapporti indirettamente mediante una modificazione o eliminazione del provvedimento di primo grado, così come confermando la determinazione assunta dall’amministrazione in prima battuta. Inoltre, osservo che gli atti generati in via di autotutela sono recettizi ed è, quindi, necessario portare gli stessi a piena conoscenza delle controparti interessate affinché traggano piena efficacia. In particolare, è bene precisare che il potere di autotutela1 non può essere esercitato senza limiti o vincoli. Infatti, a tal proposito il Tar Campania, sezione I, sentenza 12 Febbraio 2007, n 989, ha stabilito che : “Per il principio del contrarius actus, non può il dirigente responsabile del procedimento, in sede di approvazione dei verbali di aggiudicazione definitiva di una gara d’appalto, provvedere autonomamente alla correzione anche parziale dell’assegnazione dei punteggi, perché l’unico soggetto legittimato a compiere tale intervento di autotutela è la commissione aggiudicatrice, organo collegiale che deve necessariamente operare all’interno della fase procedimentale della valutazione delle offerte.
Inoltre, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha stabilito che il predetto potere deve essere esercitato in presenza di alcuni specifici presupposti e di gravi ragioni ( in tal senso Consiglio di Stato, sentenza nr 6507 del 18 Dicembre 2012 ). Queste ultime sono delle circostanze tali da rendere sconveniente che un provvedimento emanato ed affetto da vizi evidenti e manifesti o agevolmente riconoscibili continui a poter svolgere i propri effetti giuridici. Secondo l’autorevole dictum dei giudici di Palazzo Spada, si deve evitare che i predetti effetti possano definitivamente alterare e compromettere il substrato fattuale sul quale incidono.
In sintesi, le singole Pubbliche Amminitrazioni, nell’esercizio del loro potere di autotutela ( ius poenitendi) , non possono soltanto rivedere i loro precedenti provvedimenti amministrativi e ritirarli, allorquando essi siano viziati o inopportuni, ma dispongono della facoltà, altresì, medio tempore di sospenderne cautelativamente e temporaneamenti gli effetti.
L’istituto giuridico dell’autotutela amministrativa risponde a delle specifiche esigenze di buon andamento, legalità ed imparzialità che sono postulate proprio dall’articolo 97 della Costituzione. Inoltre, lo stesso trova altro fondamento giuridico anche dai principi di economicità, di efficacia, e trasparenza a cui sono tenute le singole Pubbliche Amministrazioni in relazione all’art. 1, comma primo, Legge nr 241/1990. L’autotutela implica il potere – dovere per la Pubblica Amministrazione di farsi giustizia da sé senza il ricorso all’autorità giudiziaria. Un provvedimento che viene adottato in autotutela deve recare indicazione delle ragioni attuali e specifiche di interesse pubblico che lo sorreggono.
In particolare, esistono tre diverse forme di autotutela che sono rappresentate da quella decisoria , esecutiva e possessoria.
La prima forma di autotutela sopra descritta ricorre quando la risoluzione dei conflitti avviene attraverso provvedimenti amministrativi. L’autotutela decisoria ha portata generale e viene ammessa anche nei casi in cui la legge non la prevede espressamente. In sintesi, con questa specifica forma di autotutela si fa riferimento alla possibilità per l’Amministrazione di rivedere, attraverso un procedimento di secondo grado, le proprie precedenti determinazioni, mediante l’emanazione di un provvedimento in funzione di ritiro o di conservazione. Orbene, l’autotutela decisoria può essere esercitata in funzione giustiziale, in funzione di controllo ed in funzione di riesame su iniziativa unilaterale della PA procedente.
Invece, l’autotutela esecutiva ricorre quando la P.A. pone in essere comportamenti per portare ad esecuzione, coattivamente, le proprie decisioni anche contro la volontà dei destinatari, così da adeguare la situazione di fatto a quella di diritto disposta con il provvedimento. Tuttavia, in questi ultimi specifici casi, è sempre necessaria una specifica previsione di legge che, volta per volta, conferisca tale potere.
Inoltre, un particolare esempio di questa forma di autotutela amministrativa si ha allorquando la P.A. occupa materialmente il fondo espropriato malgrado l’opposizione del privato o di una pluralità di persone.
L’autotutela esecutiva si distingue da quella decisoria poiché si concreta non già in provvedimenti, ma in comportamenti in executivis dell’amministrazione.
La predetta forma di autotutela è ammessa nei soli casi che sono previsti dalla legge. Inoltre, ha un carattere tassativo e consiste nel potere di coercizione diretta spettante alla P.A. rispetto a provvedimenti impositivi di obblighi rimasti inottemperati. Ciò a prescindere da una preventiva decisione giurisdizionale sulla fondatezza della sua pretesa. Si pensi, ad esempio, all’esecuzione coattiva di un ordine di demolizione che sia rimasto inadempiuto, cui la P.A. può provvedere d’ufficio salvo poi addossare le spese al privato interessato.
Tuttavia, non si può configurare in alcun modo un potere dell’Amministrazione di eseguire coattivamente i propri provvedimenti nulli. Ritengo che, sulla base della precedente riflessione, l’esecuzione coattiva di un provvedimento nullo realizzerebbe un grave illecito da parte della PA.
Invece, l’autotutela possessoria ricorre quando la P.A. reagisce al comportamento del privato che occupa materialmente un bene di proprietà della P.A. senza esperire all’uopo un’azione possessoria. In particolare, i poteri relativi all’autotutela possessoria possono anche essere esercitati dalla P.A. sia a difesa della proprietà demaniale che di una servitù pubblica.
In sintesi, questa speciale forma di autotutela trova la sua giustificazione in relazione a preminenti ragioni di pubblico interesse. Queste ragioni sono rappresentate anche dalla necessità della salvaguardia dell’incolumità pubblica, così come del patrimonio stradale. Di conseguenza, le possibili esigenze di soggetti privati, pur essendo meritevoli di tutela e di considerazione, così come di un loro soddisfacimento , sono da ritenersi subordinate rispetto al pubblico interesse generale.
In questo specifico contesto, per fare un esempio, inserisco la massima elaborata in maniera chiara e lineare dal TAR Sardegna, sentenza 9 ottobre 1996, n. 1351 che ha stabilito quanto segue: “La strada di accesso al mare, oggetto di diritto di uso pubblico quale strada privata aperta al pubblico transito, deve essere qualificata come strada vicinale adibita al pubblico transito; pertanto, ritenuta la perdurante sussistenza del diritto di uso pubblico, deve essere comunque riconosciuta in favore del Sindaco, ai sensi degli artt. 823 e 825, c.c., dell’art. 378 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, e 15 del D.L.vo 1° settembre 1918, n. 1446 confermato dall’art. 20, R.D. 15 novembre 1923, n. 2506, la titolarità del potere di autotutela possessoria iuris publici della strada medesima, nel cui ambito deve essere correttamente inquadrato il provvedimento recante autorizzazione al ripristino della funzionalità del relativo tracciato”.
L’autotutela può, in alcune situazione, diventare anche una fonte di responsabilità civile risarcitoria per la Pubblica Amministrazione nei diretti confronti del privato cittadino. Quest’ultimo, talvolta, è il soggetto che richiede ed aziona, ab initio, il possibile ritiro in via di autotutela di atti amministrativi finali. Infatti, il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta l’impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. (Cassazione civile, sezione V, sentenza 12 maggio 2010, n. 11457)
In tema di autotutela intesa come fonte di responsabilità civile risarcitoria riporto, qui di seguito, una interessante massima della Cassazione Civile, sezione III, sentenza 3 marzo 2011, n. 5120 : L’attività della P.A., anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del “neminem laedere” , di cui all’art. 2043 c.c.; è, pertanto, consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della stessa P.A., un comportamento doloso o colposo, che, in violazione della norma e del principio indicati abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all’art. 97 Costituzione, la P.A. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 c.c., ponendosi tali principi come limiti esterni alla sua attività discrezionale. Ne consegue che è correttamente motivata la sentenza di merito la quale condanni l’amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per avere, nonostante le diffide, tardivamente annullato, in sede di autotutela, e solo a seguito di ulteriori sollecitazioni del commercialista del contribuente, un atto impositivo illegittimamente emesso, così causando al contribuente medesimo un pregiudizio patrimoniale rappresentato dalle spese sostenute per essersi rivolto al detto professionista e per essere stato costretto a recarsi più volte a colloquio presso gli uffici dell’amministrazione.
Inoltre, sussiste anche la cd. autotutela in pendenza di giudizio che ricorre allorquando la P.A. agisca in autotutela ritirando un provvedimento anche se pende, avverso lo stesso, un giudizio impugnatorio di annullamento.
Ancora, per una migliore completezza espositiva dell’argomento ritengo utile riportare una pronuncia di un TAR che ha per oggetto l’esercizio del potere di autotutela sotto il profilo dell’illegittima esclusione di una cooperativa da un appalto di servizi. In questo settore assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche.
In particolare, la predetta pronuncia delimita e circoscrive il perimetro di operatività dell’istituto giuridico in commento nella fase di partecipazione alla gara. Ciò posto il TAR Lombardia, sezione III, sentenza 22 giugno 2005 n 2298 ha stabilito quanto segue: “ L’illegittima esclusione di una Cooperativa dalla gara costituisce motivo sufficiente per l’esercizio del potere di autotutela, senza che a tal fine occorra una diffusa motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e l’annullamento d’ufficio necessita di specifica motivazione in ordine all’attualità del pubblico interesse alla rimozione dell’atto illegittimo, soltanto qualora, a causa del tempo trascorso tra l’adozione del provvedimento e il suo annullamento, si siano determinate situazioni giuridiche soggettive consolidate in capo agli interessati, non invece quando la rimozione dell’atto avvenga, su impulso di una pronuncia cautelare, nel corso del procedimento e prima della sua conclusione”.
E’ importante precisare come anche ai soggetti privati, tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alla pubbliche amministrazioni in senso stretto.
Restano ancora da analizzare i rapporti che intercorrono fra l’autotutela e l’illegittimità comunitaria dell’atto amministrativo. Proprio su quest’ultimo profilo, l’orientamento dello scrivente è quello di dover considerare in una posizione di primazia il diritto comunitario, tanto da ritenere doveroso e non discrezionale l’esercizio del potere di autotutela per le singole P.A. Inoltre, ciò determina l’automaticità del ritiro degli atti contrastanti con le norme comunitarie a prescindere dalla valutazione di qualsivoglia interesse. In sintesi, in presenza di una illegittimità conseguente alla violazione di norme comunitarie l’attuale e concreto interesse pubblico al ritiro dell’atto amministrativo è da considerare non solo in re ipsa, ma anche senza alcuna eccezione predominante su altri interessi privati militanti in favore della conservazione dell’atto. Tuttavia, osservo che un provvedimento amministrativo il cui contenuto sia in contrasto con norme o principi comunitari non può essere disapplicato dall’amministrazione sic et simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui ogni singola P.A. dispone. Infatti, l’esercizio di tali poteri deve ritenersi soggetto al principio rappresentato dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico2 alla rimozione dell’atto.
In conclusione, si può affermare che l’esercizio del potere di autotutela consiste nella rimozione di provvedimenti amministrativi sino a quel momento produttivi di effetti per i relativi destinatari. Il fondamento del predetto potere si reperisce nella potestà generale che il vigente ordinamento giuridico riconosce ad ogni singola P.A. di intervenire, unilateralmente, con i mezzi a sua disposizione per tutelare la propria sfera d’azione.
In particolare, osservo come l’autotutela costituisca anche il presupposto degli atti di convalescenza con cui la P.A. opera una sanatoria dei vizi contenuti nell’atto.
Da ultimo, osservo che la disciplina relativa all’esercizio dei poteri di autotutela e dei poteri c.d. inibitori della P.A. è stato oggetto di una “rivisitazione” per il tramite delle modifiche apportate dalla Legge 07 Agosto 2015, n. 124 (nota anche come legge “Madia”) alla legge generale sul procedimento amministrativo ( Legge nr 241/1990).
La novità di maggiore effetto appare quella rinvenibile all’art. 21-nonies della Legge nr 241/1990 che nella sua formulazione attuale, in vigore dal 28 Agosto 2015, fissa il termine massimo di 18 mesi ai fini della legittima adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio. Inoltre, il comma 2-bis aggiunto all’articolo 21-nonies dalla legge nr 124/2015 prevede , comunque, un’eccezione in forza della quale è possibile l’esercizio dell’annullamento d’ufficio anche dopo il decorso del termine di 18 mesi. L’eccezione in commento è rappresentata dai provvedimenti basati sul falso che potranno essere annullati anche oltre il termine di un anno e mezzo.
Infine, proprio sulla base di queste ultime importanti riflessioni, osservo che il legislatore ha, finalmente, stabilito dei tempi certi oltre che ragionevoli per l’esercizio del potere di autotutela da parte delle P.A.
Note:
1) L’annullamento, in via di autotutela, di un’autorizzazione deve seguire lo stesso procedimento stabilito dalla legge per l’adozione dell’atto da annullare con la previa acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata e, pertanto, l’insussistenza di un requisito essenziale ai fini del rilascio della concessione edilizia, se non emerge prima facie, ma è il frutto di apprezzamenti tecnici, non può essere legittimamente sottratta alla valutazione della commissione edilizia comunale nell’ambito del procedimento di annullamento in autotutela della concessione stessa secondo gli ordinari principi di adozione del contrarius actus, soprattutto quando le opere assentite siano in avanzato stato d’esecuzione e presentino margini di scostamento dalla normativa edilizia pretesa violata non solo d’incerta sussistenza, ma pure di limitata entità, fermo restando che la sottoposizione della questione alla valutazione dell’organo tecnico serve a dare l’esatta dimensione dell’abuso e, se del caso, ad accertarne la possibilità di sanatoria. T.A.R. Campania, sezione VII, sentenza 16 aprile 2007, n. 3714
2) L’atto di autotutela dell’Amministrazione, diretto all’annullamento della nomina di un dipendente, non può fondarsi esclusivamente sull’esigenza di ripristino della legalità, ma deve preoccuparsi di esternare le ragioni dell’interesse pubblico concreto e attuale che ostano al mantenimento in servizio del dipendente, soprattutto quando la revoca interviene a distanza di tempo, incidendo su posizioni ormai consolidate e stabilizzate; e, pertanto, nel caso in cui la legge, disponga la temporanea efficacia del provvedimento di nomina degli impiegati, in pendenza del procedimento di controllo preventivo, e questo si protragga in misura abnorme, finendo col trasformarsi in un sostanziale controllo successivo e facendo insorgere legittimi affidamenti nell’impiegato, ormai per lungo tempo in servizio, l’Amministrazione è tenuta a valutare, dandone congrua motivazione, la possibilità di mantenere in servizio il personale immesso in ruolo in via provvisoria, tanto più se abbia favorevolmente superato il periodo di prova. TAR LAZIO, sezione III, sentenza 8 gennaio 2005