Brevi considerazioni de iure condendo sull’effettività dei servizi e della tutela dei diritti fondamentali dei minori vittima di reato: Quali prospettive per il recepimento della Direttiva 2012/29/UE? Sommario: 1. Considerazioni preliminari – 2. La Direttiva 2012/29/UE e le sue implicazioni in tema di assistenza e tutela dei diritti dei minori vittima di reato – 2.1 Stato di attuazione delle tutele per i minori vittima di reato, nell’ordinamento italiano – 3. Considerazioni in chiave de iure condendo |
di Domenico Siclari
Professore Ordinario di Diritto Amministrativo
Università per Stranieri “D. Alighieri” di Reggio Calabria
- Considerazioni preliminari
La crescente sensibilità, sociale ed istituzionale, per chi abbia subito un reato, ed in particolare per le vittime/vulnerabili (tra i quali si annoverano i minori), è da tempo al centro dell’attenzione degli ordinamenti multilivello e del diritto internazionale ([1]). La vocazione sociale degli ordinamenti ha determinato una progressiva tensione vittimocentrica che mira, infatti, a valicare gli interventi normativi che, storicamente, si erano soffermati sul versante del reo e della sanzione, collocando la vittima in una posizione secondaria ([2]) e valicando la concezione hobbesiana della vita come “sgradevole, brutale e breve”.
A fronte del tentativo di arrestare fenomeni di vittimizzazione secondaria, si assisterebbe ad un processo di modifica del diritto penale – fonte anche dell’emersione della specialità del processo minorile – che si sofferma su elementi personologici delle vittime e che mira a perseguire istanze di tipo preventivo-repressive ([3]). Una sistematica in cui la valutazione presuntiva della vulnerabilità cede il posto ad uno scrutinio concreto, calibrato sulle specificità della vittima ([4]).
In questo framework si possono collocare gli interventi di matrice europea che, già con la nota decisione quadro 2001/220/GAI, avevano inteso occuparsi di detto ambito, sino a giungere in tempi più recenti all’adozione della Direttiva 2012/29/UE. Un atto che, nell’istituire norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, si è anche avviluppato sul precipuo versante delle vittime minorenni.
In proposito, la Direttiva, anche sulla scorta della concezione in forza della quale «un reato è non solo un torto alla società ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime» (Considerando n. 9), profila una palese tensione alla concretizzazione del principio di giustizia, inteso nella sua accezione già cara ad Ulpiano dell’unicuique suum tribuere.
Così, valicando un approccio squisitamente legato all’istituzionalismo trascendentale si profila, invece, necessario propendere per una giustizia intesa come equità, da apprezzare nelle forme della concretezza delle realizzazioni sociali ([5]). Sicché, accanto alle misure intra moenia, riconducibili cioè ai meandri della giustizia minorile, si collocano quelle extra moenia, che mirano a richiamare l’attenzione degli Stati membri sul minore e sul suo benessere, a prescindere dalla dinamica processuale ovvero dalle questioni che attengono agli effetti di sistema ([6]), in una chiave di concretizzazione della tutela reale delle libertà del singolo.
In siffatta prospettiva s’impone una lettura sistematica in ossequio: all’art. 10 TFUE, che richiama l’Unione a adottare i provvedimenti volti a combattere qualsivoglia forma di discriminazione, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali UE, che sancisce che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per garantire il loro benessere. Una accezione questa che la Direttiva e le sue disposizioni attuative mirano a perseguire richiamando l’attenzione sulla necessità di apprestare un sistema di assistenza e di tutela effettiva dei suoi diritti.
Un atto quello della Direttiva che è stato recepito nel nostro Paese – secondo la logica dell’armonizzazione – con il d.lgs. 212 del 15 dicembre 2015, le cui risultanze, però, si sono limitate al versante del processo penale e che, dunque, non ha inciso in maniera alcuna sulle modalità di assistenza ai soggetti destinatari, che in questa sede s’intende prendere in considerazione.
A ciò si aggiunga come, in fase di primo approccio al fenomeno, se sicuramente detto processo di tensione verso i minori ha trovato un humus nell’ordinamento multilivello, al contempo però è possibile trovare validi appigli anche nel contesto interno, sui quali poter argomentare, si pensi al valore precettivo dell’art. 31, comma 2, Cost. ed ancora, al combinato degli artt. 29 e 30 con altre clausole a carattere generale degli artt. 2 e 3, comma 2 Cost.
Detta ricostruzione ancorata poi ad una logica di giustizia politica che tiene conto del principio solidaristico e della “gerarchia etica” insita nei doveri di solidarietà, scaturenti dai rapporti giuridici costituzionalmente rilevanti ([7]), determina l’emersione di un baluardo a presidio del minore in forza del quale questi viene riconosciuto titolare di diritti propri, il cui esercizio deve essere garantito dall’ordinamento anche attraverso il ricorso alle forme dell’assistenza socio-sanitaria ([8]).
Ci si trova, così, al cospetto di un coacervo di principi che avrebbero ben potuto essere utilizzati quali deterrenti per consentire la realizzabilità dei diritti dei minori vittima di reato. Non a caso lo Stato apparato, nella sua declinazione in termini di Stato sociale, nel perseguire la protezione dell’infanzia e della gioventù, è chiamato a predisporre un assetto di tutele volte all’eliminazione degli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, co. 2, Cost.) nel tentativo di garantire i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.).
Tuttavia, nonostante la presenza di detti referenti, come si avrà modo di puntualizzare, permane allo stato dell’arte un vacuum sul precipuo versante del servizio di assistenza e della tutela dei diritti delle vittime minori.
In questa prospettiva un utile strumento di riflessione può essere rinvenuto nella “Metodologia per una valutazione individuale e fondata sui diritti e i bisogni dei minorenni vittime di reato” ([9]) che ha il merito, anche in una prospettiva di comparazione, di soffermarsi sull’effettività dei contenuti recepiti dall’ordinamento nazionale e di quelli scaturenti dall’applicazione di detta normazione, richiamando l’attenzione sui possibili interventi migliorativi; considerando in modo concreto l’esigenza di tutela dei diritti dei soggetti, specie se vulnerabili, non tanto in termini di giustificazione degli stessi, bensì di protezione concreta ([10]).
- La Direttiva 2012/29/UE e le sue implicazioni in tema di assistenza e tutela dei diritti dei minori vittima di reato
Il presente contributo, in linea con la Direttiva 2012/29/UE, intende offrire un apporto sul versante dell’assistenza da garantire ai minori vittima di reato, in una prospettiva che è autonoma o comunque preliminare al processo penale.
Appare, infatti, nodale garantire alle vittime – ancor più se minorenni – l’accesso a tutte le forme di assistenza parallele, indipendenti e eventualmente esterne al procedimento penale, posto altresì che, nel caso della vittimizzazione secondaria legata un ad gap in sede di assistenza, le conseguenze rischiano di ripercuotersi altresì sull’andamento del procedimento de quo.
A riprova di ciò, l’art. 8, co. 5, Dir. afferma che «Gli Stati membri assicurano che l’accesso a qualsiasi servizio di assistenza alle vittime non sia subordinato alla presentazione da parte della vittima di formale denuncia relativa a un reato all’autorità competente».
Una precondizione che, dunque, nel dare attuazione alle istanze supreme di tutela del minore, prescinde dalle dinamiche processuali e si ripercuote su di esse nei termini di una più agevole conduzione dell’iter processuale, nel caso in cui esso si dispieghi.
Ed ancora, gli artt. 4, 8 e 9 Dir. delineano uno scenario in cui, accanto al diritto all’ottenimento delle informazioni sul tipo di assistenza da ricevere, ruota sulle prestazioni a carattere socio-sanitario. Le istanze di tutela del singolo trovano concretizzazione nella possibilità per lo stesso di poter attingere ai servizi (tanto a carattere generale, quanto specialistici) offerti dagli Stati, rispetto ai quali il legislatore europeo si spinge al punto di determinare uno standard minimo di prestazioni da garantire alla vittima e contenuto all’art. 9 Dir.
Un settore la cui rilevanza è tale da aver indotto a prevedere all’art. 29 Dir. una verifica in concreto ad opera della Commissione Europea, da realizzarsi entro novembre 2017, per valutare lo stato di adeguamento da parte degli Stati membri circa le misure a vantaggio dei soggetti interessati le forme di assistenza di cui agli artt. 8, 9 e 23 Dir.
Con una nota di rammarico, però, tale intervento di follow up non è stato concretizzato, come risulta dalla Relazione sull’attuazione della direttiva 2012/29/UE redatta dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo.
2.1 Stato di attuazione delle tutele per i minori vittima di reato, nell’ordinamento italiano
In medias res, la Direttiva 2012/29/UE ha delineato i tratti di un’assistenza frutto di una cooperazione multidisciplinare e improntata sulle esigenze specifiche del soggetto vulnerabile, imponendo in capo all’interprete di verificare le dinamiche interne, per vagliare la capacità del nostro ordinamento italiano di concretizzare i contenuti scaturenti dal livello europeo.
Se nel richiamato d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, i riferimenti di settore sono limitati alla sola formulazione introdotta con l’art. 90 bis codice di procedura penale, con la previsione dell’obbligo in capo all’autorità procedente di informare il soggetto lett. p) circa le strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio.
Dunque, appare lapalissiana l’assenza di previsioni sulle forme e sugli strumenti da porre a presidio dell’assistenza da porre a presidio del minore/vittima. Ciò sposta l’attenzione sul sistema degli interventi socio-sanitari esistente, rispetto al quale i contenuti della Direttiva devono essere parametrati. Infatti, dinanzi ad una lacuna sistemica e all’incertezza di trovare un punto di congiunzione con le istanze di unitarietà degli interessi coinvolti, è opportuno verificarne la tenuta del sistema esistente ovvero la necessità di un suo adeguamento, per dare consistenza alle previsioni della stessa che, diversamente, rischierebbero di rimanere lettera morta.
E’ notorio che nel nostro ordinamento i due settori che involgono la tutela assistenziale del minore – vale a dire tutela della salute e assistenza – sono oggetto di una diversa attribuzione da un punto di vista tanto normativo quanto amministrativo, con una conseguente eterogeneità strutturale dei modelli adottati. Così, se la salute appartiene al ventaglio delle competenze concorrenti Stato/Regioni, l’assistenza, invece, rientra nel quadro delle potestà regionali esclusive, con un conseguente approccio diversificato a base territoriale ([11]), ferma restando la clausola di salvaguardia dei livelli essenziali, di cui all’art. 117, co. 2, lett. m), Cost.
Un apporto unitario al tema pare potersi rinvenire nella legge 328/2000 che per continuità mantiene la sua vigenza in qualità di legge quadro in materia di assistenza. Questa al comma 2 dell’art. 22, ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale, prevede che gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali.
Nel quadro di dette spettanze, alla lett. c) sono sanciti «gli interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza».
Se la formulazione in commento pare sovrapponibile al versante dei minori vittima di reato, o per lo meno ad una fetta di detti soggetti che si trovino nelle condizioni oggettive in essa previste. Essa, tuttavia, non riesce a coprire la totalità di fattispecie che astrattamente possono implicare la presenza di un minore/vittima.
A ciò si aggiunga come la genericità delle clausole contenute nelle prefate disposizioni comporta la impossibilità di trovare una valida soluzione al problema. Pertanto, l’incalzare di una ineluttabile attività ermeneutica, a fronte dell’assenza di parametri certi, «costituisce uno dei fatti più incerti che possano sussistere in un ordinamento» ([12]).
Per valicare detta situazione di empasse un appiglio, avuto particolare riguardo al versante sanitario, potrebbe rinvenirsi oggi nella lettura dei livelli essenziali delle prestazioni, che sono stati di recente introdotti con il DPCM 12 gennaio 2017, pubblicato il 18 marzo in Gazzetta Ufficiale – Supplemento n.15, che definisce i nuovi LEA e sostituisce integralmente il DPCM 29 novembre 2001.
Ivi, specie all’art. 24, non a caso rubricato “Assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie”, si prevede che «Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce (…) ai minori (…) le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche, necessarie ed appropriate nei seguenti ambiti di attività:
- m) prevenzione, valutazione, assistenza e supporto psicologico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime di maltrattamenti e abusi».
Pertanto, non pare possibile seguitare nella ricerca di un raccordo tra i due ambiti in questione, secondo i criteri sanciti all’art. 117 Cost., che porterebbe ineluttabilmente, specie nel caso dell’assistenza, a dover fare i conti con la già invocata eterogeneità dei modelli regionali.
Una situazione che trova conforto nella copiosa e non satisfattoria legislazione regionale che prende in considerazione i minori vittima di reato, nella quale è possibile rinvenire interventi tra i quali possono rinvenirsi: Calabria l. r. 10/1/2007, n. 5 in tema di promozione dell’aiuto e dell’assistenza alle vittime di reato, Campania l. r. 11/2/2011, n. 2, sulla tutela, il sostegno ed il recupero psicosociale delle vittime di violenza di genere e dei soggetti vittime di violenza, Liguria l. r. 1/8/2008, n. 31 sulla gestione integrata dei servizi per le vittime di reato, Lombardia l. r. 24/6/2015, n. 17 che, in sede di lotta alla criminalità organizzata, prevede interventi a sostegno delle vittime di reati di stampo mafioso, e così via per le altre regioni.
Resta, dunque, un vacuum specie per il versante dell’assistenza a fronte del quale, le sicuramente encomiabili buone pratiche ed iniziative a livello locale, non consentono di rinvenire elementi utili per definire un modello assistenziale rispettoso della Direttiva e ancor più delle istanze scaturenti dai principi a presidio del nostro ordinamento.
Ed è proprio dinanzi alle difficoltà insite nel nuovo Titolo V di operare attraverso il filtro delle materie, in cui «l’oggetto del definire è rappresentato da un singolo vocabolo» ([13]), che si tenterà di procedere per la individuazione di possibili linee operative per valicare la situazione che caratterizza il settore in esame.
- Considerazioni in chiave de iure condendo
Come è emerso in modo lapalissiano, dalla seppur sommaria descrizione operata nel paragrafo precedente, l’esigenza di un intervento nel settore de quo appare quantomai urgente. L’oculata ponderazione degli strumenti, per fornire una soluzione efficiente in materia, resta rimessa ad una scelta di matrice squisitamente politica, cui si tenterà di offrire utili indicazioni tecniche di intervento.
Orbene, un primo approccio al tema – forse quello più immediato sul versante della fattibilità – muove dal mero riparto delle competenze normative, che investono il settore in commento. Sul punto la modalità che si profila fruibile in chiave unitaria passa dalla possibilità di intervenire, nei meandri delle eterogenee esperienze regionali, attraverso i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili dei cittadini, creando una rete di tutele reali a loro presidio ([14]).
Tali livelli, come attentamente ribadito dalla Consulta, determinano «una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» ([15]).
Una prospettiva questa che troverebbe, altresì, una propria ragion d’essere nella Direttiva del 2012 che, come rilevato in precedenza, definisce ex sé uno standard minimo di prestazione, all’art. 9, e che tuttavia richiede un maggiore approfondimento ad opera del legislatore interno, anche alla luce della necessità di consentire il funzionamento degli strumenti di assistenza esistenti a livello locale.
Questa soluzione ben potrebbe essere perseguita, ferma restando la rimessione alle Regioni del compito di definire gli ambiti di operatività, specie sul versante organizzativo e dell’attività di settore, tenuto conto delle clausole generali così come ricordate dalla Consulta ([16]).
Un’altra opzione, invece, potrebbe essere quella di considerare la disciplina in oggetto nel quadro della potestà concorrente Stato/Regioni art. 117, co. 3 Cost., mantenendo al centro la determinazione dei principi organizzativi e funzionali per garantire il minore vulnerabile. Nel caso in oggetto l’ascrizione potrebbe avvenire utilizzando quale filtro la tutela della salute del minore, una salute che ineluttabilmente passa dal concetto di benessere e che lega con un file rouge tale versante, non solo, alla Costituzione ma anche all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali UE.
Tuttavia, nel tentativo di evitare di svilire le istanze unitarie che la materia in commento richiama, al pari di altri assetti caratterizzati dal pluralismo istituzionale, si profila percorribile un’ulteriore via, più gravosa sul versante procedurale ma certamente da preferire sul versante contenutistico.
Al fine di uniformare i contenuti delle tutele a livello nazionale, infatti, ben si potrebbe rinvenire il centro di gravità del tema dei minori vittima di reato – mutuando l’espressione cara alla Corte di Giustizia ([17]) – in un diverso fattore che è quello della concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza normativa. Posto che, già in tempi non sospetti, la Consulta aveva rilevato come «non è esclusa la possibilità di identificare materie sostanzialmente diverse secondo la diversità degli interessi, regionali o sovraregionali desumibile dall’esperienza sociale e giuridica» ([18]). Concetti questi oltremodo elaborati con l’avvento della riforma del Titolo V ([19]) e con le elaborazioni contenute nella nota sentenza n. 303/2003 e nella giurisprudenza successiva.
Melius, una via oltremodo perseguibile, che filtra da un coinvolgimento collaborativo delle Regioni, attiene all’esercizio della competenza statale sussidiaria che, allontanandosi dalla logica della prevalenza, implicherebbe in nuce l’accordo con la Regione, nelle forme dell’intesa forte ([20]), attraverso le leggi negoziate ([21]), auspicabile date le ineluttabili ripercussioni su materie quali l’assistenza ed in particolare la tutela della salute.
In siffatta prospettiva il trend verso la leale cooperazione, in termini di reale codecisone, consentirebbe allo Stato di agire, ancorché in assenza di una espressa e specifica competenza di settore, mediante il meccanismo sostitutivo. Esso, infatti, consentirebbe di rispondere all’esigenza di coordinamento unitario insita in una materia quale è l’assistenza (anche sanitaria) e la tutela dei diritti dei minori vittima di reato e che, in relazione al vigente strumento di recepimento del diritto europeo, rischia di rimanere inattuata e frutto di una irragionevole differenziazione territoriale.
Sulla scorta delle esperienze maturate dall’ordinamento tedesco (con la konkurrierende Gesetzgebung) o da quello statunitense (con la Supremacy Clause), ben si potrebbe avversare il rischio di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, le istanze di unificazione che trovano invece sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica insite nella protezione dell’infanzia e della gioventù.
In proposito, appare possibile attingere alle risultanze della richiamata sentenza della Consulta n. 303 del 2003 ([22]). Una via questa che valicherebbe la mera imposizione imbrigliata ai principi o agli standard, che caratterizzano le ipotesi prospettate in precedenza, dovendo in siffatta circostanza lo Stato coinvolgere le Regioni, attraverso una vera e propria codeterminazione paritaria. Una impostazione che, poi, agevolerebbe la partecipazione delle Regioni, nel quadro della leale collaborazione e al di fuori dagli interventi frammentari come avviene nella contemporaneità.
Ma ciò che oltremodo troverebbe copertura, in questa scelta paradigmatica, sarebbe la possibilità di consentire l’attuazione di principi di matrice costituzionale ed immanenti quali quelli contenuti agli artt. 30, 31 e 32, nonché ai richiamati artt. 2 e 3 Cost., pur nella consapevolezza che «l’inviolabiltà/fondamentalità e la bilanciabilità dei diritti sono due facce della stessa moneta, sia quando il bilanciamento riguardi due o più tra di essi, sia quando la ponderazione coinvolga diritti e princìpi organizzativi, ove questi abbiano valenza di rango costituzionale» ([23]).
Pertanto, attraverso il ricorso al combinato degli artt. 117 e 118 Cost., si sarebbe in presenza dei presupposti richiesti dalla Consulta per l’esercizio di detta potestà, stante: la previa valutazione proporzionata dell’interesse pubblico sottostante, quello cioè di salvaguardia del minore vulnerabile, che sposta l’accento sull’assunzione di funzioni tendenzialmente regionali ad opera dello Stato; l’assenza di irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, posta invece la congruità dell’intervento rispetto a numerose previsioni superprimarie quali gli artt. 29, 31, 32 ecc. e, poi, ferma restando l’ineluttabilità della presenza di un accordo previo tra lo Stato e le Regioni, già menzionato.
In conclusione, richiamando quanto rilevato nelle premesse al presente lavoro, le modalità operative ad opera del legislatore non possono considerarsi neutrali sul versante della concretizzazione delle istanze di tutela a vantaggio della vittima di reato, a maggior ragione ove essa sia minore di età.
A tal proposito, si profila necessario recuperare l’idea di giustizia di rawlsiana memoria, posto che essa implica una sfaccettatura deontica. La tensione alla giustizia, infatti, muove dall’assunto in forza del quale «il dovere naturale più importante è quello di sostenere e promuovere le istituzioni giuste. Questo dovere comprende due momenti: primo, dobbiamo rispettare le istituzioni giuste e fare la nostra parte in esse, nel caso in cui esistano (…) secondo, dobbiamo aiutare a istituire assetti giusti, nel caso essi non esistano» ([24]).
Nel caso in oggetto, il mancato recepimento della Direttiva 2010/29/UE, lascia impregiudicato un assetto in cui spetta alla capacità delle singole Regioni di intervenire in modo definito su un tema che, nonostante la sua valenza, resta confinato nella pletora degli interventi sociali.
Ciò concorre a mantenere uno stato dell’arte caratterizzato da assenza di istituzioni giuste a presidio dell’assistenza e degli strumenti idonei a favorire la cura dei diritti di soggetti particolarmente vulnerabili, quali i minori, oltremodo incisi da una situazione fattuale che li colloca in una posizione invasiva legata all’essere vittime di reato.
L’auspicio, dunque, è quello di favorire un intervento ragionevole da parte del legislatore – auspicabilmente di matrice statale – capace di riconsegnare alla vittima quel portato assiologico – oltre che materiale – di spettanze che sottendono ad un’accezione tomista della libertà in forza della quale «Liber est qui sui causa est, quasi ex se ipso operatur» ([25]).
[1] Tale dimensione promozionale ben può essere ricondotta al Consiglio d’Europa e all’Unione europea, che si è tradotta nella produzione di un vero e proprio corpus normativo in materia. Sul punto se vedano, ex multis, G. Aimonetto, La valorizzazione del ruolo della vittima in sede internazionale, in Giur. it., 2005, pp. 1327 e ss.; S. Allegrezza, Il ruolo della vittima nella direttiva 2012/29/UE, in Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, (a cura di, L. Luparia), Milano 2015, pp. 3 e ss.; C. Amalfitano, La tutela delle vittime di reato nelle fonti dell’Unione europea diverse dalla direttiva 2012/29/UE e le misure di attuazione nell’ordinamento nazionale, in Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, (a cura di, M. Bargis – H. Belluta), Torino 2017, pp. 89 e ss.; G. Gamberini, Les politiques supranationales européennes ou l’âme ambiguë de l’harmonisations, in La victime sur la scène pénale en Europe, (a cura di, G. Giudicelli-Delage – C. Lazerges), Parigi 2008, pp. 159 ss.; M. Venturoli, La tutela delle vittime nelle fonti europee, in Dir. pen. cont., 3-4, 2012, pp. 86 e ss.
[2] M. Venturoli, La vulnerabilità della vittima di reato quale categoria “a geometria variabile” del diritto penale, in Riv. It. Med. Leg., 2, 2018, p. 553.
[3] L. Foffani, Il Manifesto sulla politica criminale europea, in Criminalia, 2010, pp. 669 e ss.
[4] D. Ferranti, Brevi riflessioni sulla vittima del reato, in vista del recepimento della direttiva 2012/29/UE, in Cass. Pen., 10, 2015, p. 3415B.
[5] A. Sen, L’idea di giustizia, Milano 2010, pp. 414 e ss.
[6] Non a caso, «ogni persona possiede un’inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere» J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 2010, p. 21.
[7] G. Di Gaspare, Suum unicuique tribuere? Alle origini della giustizia distributiva, in ApertaContrada, Giugno 2014.
[8] F. Crestani, I minori, in Manuale di Diritto dei Servizi Sociali, (a cura di, E. Codini, A. Fossati e S. A. Frego Luppi), Torino 2011, pp. 139 e ss.
[9] Tale documento, che nella sua versione definitiva è datato 2019, rappresenta il frutto di un’elaborazione attuativa del progetto E-PROTECT, co-finanziato dal Programma Giustizia (2014-2020) dell’Unione Europea e costituisce uno strumento di ricognizione sulla Direttiva e sul suo recepimento in ambito europeo.
[10] N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino 1992, pp. 6 e ss.
[11] V. F. Biondi dal Monte e V. Casamassima, Le Regioni e i servizi sociali a tredici anni dalla riforma del Titolo V, in Le Regioni, 5-6, 2014, pp. 1065 e ss.
[12] M. S. Giannini, Alcuni caratteri della giurisdizione di legittimità delle norme, in Giur. Cost., 1956, I, p. 906.
[13] F. Benelli, La “smaterializzazione” delle materie. Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V della Costituzione, Milano 2006, p. 31.
[14] In A. Anzon, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto costituzionale, Torino 2003, p. 203, si rileva che l’individuazione della competenza in questione «non è fatta con criterio teleologico, ma oggettivo (le ‘prestazioni’, limitatamente ai loro ‘livelli essenziali’)».
[15] Corte cost. n. 282 del 2002.
[16] «Ai sensi del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, lo Stato dispone di altri strumenti per garantire un uso corretto dei poteri regionali: a tal fine rilevano, in particolare, proprio la eventuale predeterminazione normativa da parte dello Stato dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché l’attribuzione al Governo, ai sensi del secondo comma dell’art. 120 Cost., del potere di intervenire in via sostitutiva pure a “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”» Corte cost. n. 279 del 2005.
[17] Corte di Giustizia C-42/1997.
[18] Corte cost. n. 138 del 1972. Sul punto di veda: A. Paoletti, La disciplina di dettaglio statale, in materia di competenza concorrente, tra norme derogabili e norme inderogabili, in Giur. cost., 1993, pp. 3149 e ss.
[19] M. Belletti, I criteri seguiti dalla Consulta nella definizione delle competenze di Stato e Regioni ed il superamento del riparto per materie, in Le Regioni, 5, 2006, pp. 915 e ss.
[20] Corte cost. n. 6 del 2004, ripresa dalla n. 27 del 2004.
[21] A. Ruggeri, Il parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia. Nota a Corte cost. n. 303 del 2003, in Forum di Quad. cost., 2003; R. Dickmann, La Corte costituzionale attua (ed integra) il Titolo V (osservazioni a Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303), in www.federalismi.it, 2003, 12, p. 6.
[22] R. Bin, Materie e interessi: tecniche di individuazione delle competenze dopo la riforma del Titolo V. Relazione tenuta al Convegno dell’IDAIC – Siena 25/26 novembre 2005, in Astrid.
[23] C. Salazar, Crisi economica e diritti fondamentali, Relazione al XXVIII Convegno Annuale dell’AIC, in Rivista AIC, n. 4, 2013, p. 9.
[24] J. Rawls, Una teoria … op. cit., p. 279. Ma non è pleonastico, per il suo carattere appassionato, anche se non utilizzabile in ambito legale, citare l’idea di “justice” scritta nella bandiera di Pierre-Joseph Proudhon intensamente vissuta nella sua coloritura anarchica e libertaria.
[25] H. U. von Balthasar, Homo creatus est, Milano 2010, p. 36.