di Fabio TAORMINA
Elementi di riflessione recenti.
1) La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 42458 depositata il 22 ottobre 2015 (42458_10_15) ” ritorna” – in punto di confisca di beni culturali con finalità recuperatoria – sull’orientamento volto a limitare gli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, facendo riferimento agli effetti circoscritti alle sole “pronunce consolidate”.
Ciò, escludendo l’applicazione della sentenza della CEDU resa il 29 ottobre 2013 sul c.d. “caso Varvara”.
Come si concilia detto arresto con l’articolo 46 della Convenzione che stabilisce la forza vincolante delle sentenze della Corte Edu(senza eccezioni)?
Art. 46
1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione.
3. Se il Comitato dei Ministri ritiene che il controllo dell’esecuzione di una sentenza definitiva sia ostacolato da una difficoltà di interpretazione di tale sentenza, esso può adire la Corte affinché questa si pronunci su tale questione di interpretazione. La decisione di adire la Corte è presa con un voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato.
4. Se il Comitato dei Ministri ritiene che un’Alta Parte contraente rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia cui essa è parte, può, dopo aver messo in mora tale Parte e con una decisione adottata con voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato, adire la Corte sulla questione dell’adempimento degli obblighi assunti dalla Parte ai sensi del paragrafo 1.
5. Se la Corte constata una violazione del paragrafo 1, rinvia il caso al Comitato dei Ministri affinché questo esamini le misure da adottare. Se la Corte constata che non vi è violazione del paragrafo 1, rinvia il caso al Comitato dei Ministri che ne chiude l’esame.
2) I giudici nazionali non sono «passivi ricettori di un comando esegetico impartito altrove nelle forme della pronuncia giurisdizionale». In particolare il giudice nazionale non può prescindere dall’art. 101, secondo comma, della Costituzione, con il quale si «esprime l’esigenza che il giudice non riceva se non dalla legge l’indicazione delle regole da applicare nel giudizio, e che nessun’altra autorità possa quindi dare al giudice ordini o suggerimenti circa il modo di giudicare in concreto […] e ciò vale anche per le norme della CEDU, che hanno ricevuto ingresso nell’ordinamento giuridico interno grazie a una legge ordinaria di adattamento».
(Corte Costituzionale 26/03/2015 n. 49 Abusi – Lottizzazione abusiva – Reati – Confisca – Sanzione – Art. 44, comma 2, del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A) – Applicazione della confisca urbanistica nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato, qualora la responsabilità penale sia accertata in tutti i suoi elementi – Divieto di applicabilità della confisca nei confronti dei terzi acquirenti dei beni lottizzati, per effetto della sentenza CEDU – Effetti delle sentenze della Corte EDU nell’ordinamento interno – Preteso contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, Cost. – Iperprotezione del diritto di proprietà – Esclusione – Erroneo riferimento normativo – Difetto di motivazione – Erroneità del presupposto interpretativo sul vincolo derivante dalla sentenza CEDU – Inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.) : è inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli art. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, comma 1, cost., dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).
La Consulta ribadisce il carattere “sub-costituzionale” della CEDU;
3) Come è noto, il 2 ottobre scorso 2014, l’Italia ha firmato il Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali aperto alla firma delle Alte Parti contraenti a decorrere dalla medesima data.
Un numero non elevato di ratifiche è pervenuto firme giunte in maniera altrettanto tempestiva (al 2 ottobre erano pervenute le firme di Armenia, Finlandia, Francia, San Marino, Slovacchia, Slovenia, per un totale di 7 Stati su 47 aderenti) sembra permettere la qualificazione di quella italiana come un’adesione, se non entusiasta, di certo molto decisa.
Sebbene non sia ancora entrato in vigore (L’art. 8 del Protocollo prevede che lo stesso << […] entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui tutte le Alte Parti contraenti della convenzione avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo) il Protocollo n. 16 è certamente <<un atto normativo di rilevante importanza>> (V. Rel. n. III/02/2013 dell’Ufficio studi della Corte di Cassazione, Novità legislative: Protocollo aggiuntivo n. 16 alla CEDU, www.cortedicassazione.it.) in quanto contiene una novità << storica>>. Prevede infatti l’art. 1 dello stesso Protocollo la possibilità, <<per le più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente>>, di chiedere alla Corte EDU un parere non vincolante circa l’interpretazione o l’applicazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione.
Ciò sul solco tracciato dalla consolidata operatività del rinvio pregiudiziale di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE. Il rinvio in questione, in sostanza, è destinato a gravare sui medesimi soggetti già destinatari dell’obbligo di rinvio alla stessa Corte di giustizia. Attraverso il riferimento operato alle <<più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contrante>>, e avvalendosi dunque dell’utilizzo del plurale, il Protocollo, infatti – come precisa l’annesso Rapporto esplicativo – (la procedura attraverso la quale si concreterà la possibilità di designare autonomamente <<le più alte giurisdizioni>>, garantita ad ogni Stato dall’art.1, è disegnata sub art. 10 del Protocollo stesso,: <<Ciascuna Alta Parte contraente della Convenzione indica, al momento della firma o del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione, per mezzo di una dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, quali autorità giudiziarie nomina ai fini dell’art. 1, paragrafo 1, del presente Protocollo. Tale dichiarazione può essere modificata in qualsiasi momento nello stesso modo>>) si vuole consentire ad ogni Stato la possibilità di designare quali destinatari del nuovo rinvio, non solo le Corti Costituzionali e le Corti Supreme, ma anche quelle giurisdizioni che <<sebbene inferiori […], sono tuttavia di particolare rilevanza in quanto sono “le più alte” per una particolare tipologia di causa>>.
Quali orientamenti dell’attuale giurisprudenza costituzionale italiana è possibile preconizzare, allorchè il detto Protocollo entrerà in vigore’
Ed in particolare, il “monopolio interpretativo” della Carta EDU, per tal via attribuito e riconosciuto alla CEDU, sarà idoneo ad innescare una dinamica evolutiva tale da condurre all’affermazione della primazia del Diritto Edu, ed un meccanismo di “ritrazione” del diritto nazionale configgente, analogo a quello oggi vigente con riguardo al Diritto UE?
Traccia su cui esercitarsi
E’ IPOTIZZABILE NELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA UNA “DISAPPLICAZIONE COMUNITARIA” DEGLI AMMINISTRATIVI ATTI “GENERALI”?
Sentenza da esaminare:
T.A.R. Trento (Trentino-Alto Adige) sez. I 11/11/2011 n. 284
“l’ammissibilità della disapplicazione di un provvedimento amministrativo, come il P.R.G. (di natura generale, ma non normativa, come invece è ad esempio il bando di gara) per contrasto con il diritto comunitario resta tuttora dubbia, non essendo ancora risolto in giurisprudenza il quesito se il provvedimento contrastante con il diritto comunitario esuli dal regime sostanziale e processuale dell’atto illegittimo-annullabile. Invero, anche la violazione della disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità-annullabilità dell’atto interno, mentre la diversa forma patologica della nullità risulta configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale è stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere nel cui esercizio è stato adottato l’atto) palesemente incompatibile con il diritto comunitario e, quindi, disapplicabile.”
Quadro giurisprudenziale sintetico.
Il Diritto dell’Unione
Queste le principali tappe evolutive
1) Corte Costituzionale n. 14 del 1964 (Costa contro Enel).
“l’art. 11, considerato nel senso di norma permissiva, non attribuisce un particolare valore, nei confronti delle altre leggi, a quella esecutiva del trattato.
Non vale, infine, l’altro argomento secondo cui lo Stato, una volta che abbia fatto adesione a limitazioni della propria sovranità, ove volesse riprendere la sua libertà d’azione, non potrebbe evitare che la legge, con cui tale atteggiamento si concreta, incorra nel vizio di incostituzionalità”.
Ivi la Corte afferma che il rapporto, quindi, tra diritto comunitario e diritto nazionale, è di autonomia.
Il contrasto tra la norma nazionale e quella comunitaria, che sono poste su un piano equiordinato si risolve in forza dell’ordinario principio per cui “lex posterior derogat priori”.
Equiordinazione tra pari, quindi.
2) Corte Costituzionale sentenza 27 dicembre 1973, n. 183.
La Corte Costituzionale, nel 1973, compie un balzo in avanti, supera il detto concetto di equiordinazione ed accede al concetto di “primazia, seppur limitando tale concetto ai Regolamenti dispositivi.
Il custode di questa “primazia” resta però la Corte Costituzionale nazionale, cui doveva essere denunciato il conflitto della norma interna con il diritto comunitario per i tramite dell’art. 11 della Costituzione.
3) Corte Costituzionale, decisione n. 30-10-1975, n. 232.
La Corte Costituzionale ribadisce la esclusione della possibilità di procedere a disapplicazione della norma interna confliggente con quella comunitaria;
Abbandonato il criterio della equiordinazione (“lex posterior derogat priori”) si afferma il principio secondo cui il regolamento della CEE prevale rispetto alle confliggenti statuizioni del legislatore interno
Ciò quindi veniva elevato a:
a) canone ermeneutico; vigeva la presunzione di conformità della legge interna al regolamento comunitario: fra possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali andava prescelta quella conforme alle prescrizioni della Comunità, (sentenze nn. 176, 177/1980).
b) se però v’era irriducibile incompatibilità fra la norma interna e quella comunitaria, era quest’ultima, in ogni caso, a prevalere
c) tale criterio doveva operare diversamente, secondo che la norma comunitaria (illo tempore con preminente riferimento al Regolamento) seguisse o precedesse nel tempo la disposizione della legge statale.
Nel primo caso, la norma interna doveva ritenersi caducata;
Nell’ipotesi invece in cui la disposizione della legge interna fosse stata in conflitto con una normativa comunitaria previgente escluso che la prima dovesse prevalere (era caduto il principio della equiordinazione e l’ipotesi di un rapporto paritario cui conseguisse il criterio “lex posterior derogat priori) si riteneva che per il fatto di contrastare tale normativa, o anche di derogarne o di riprodurne il contenuto, la norma interna risultasse in conflitto con offeso l’art. 11 Cost. e potesse in conseguenza essere rimossa solo mediante dichiarazione di incostituzionalità
Così la Corte Costituzionale nella sentenza n. 232 del 1975:
il trasferimento dei poteri alla Comunità non implica, nella materia a questa devoluta, la radicale privazione della sovranità statuale; perciò si è in quell’occasione si era anche detto che il Giudice nazionale non ha il potere di accertare e dichiarare incidentalmente alcuna nullità, dalla quale scaturisca, in relazione alle norme sopravvenute al regolamento comunitario, «un’incompetenza assoluta del nostro legislatore», ma era tenuto a denunciare la violazione dell’art. 11 Cost., promuovendo il giudizio di costituzionalità.
4) Corte Costituzionale sentenza n. 170 del 1984 (Granital).
La Corte Costituzionale, nella suddetta decisione disegna un assetto che sistematico che trova riscontro in epoca attuale.
Essa precisa infatti che l’ordinamento comunitario e quello statale si configurano come autonomi e distinti, secondo la ripartizione di competenza stabilita dal trattato, ed ha ricondotto il coordinamento fra essi esistente all’ambito dell’art. 11 della Costituzione.
poiché nelle materie previste dal trattato la normativa regolatrice è quella emanata dalle istituzioni comunitarie secondo le previsioni del trattato stesso (di fronte a tale normativa, “l’ordinamento interno si ritrae e non è più operante” (sentenza n. 285 del 1990);
la norma comunitaria prevale sulla legge nazionale incompatibile, anteriore o successiva; né può il Giudice stesso denunciare alla Corte Costituzionale, in riferimento all’art. 11 Cost., la detta incompatibilità (in detta occasione venne dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 D.P.R. 22 settembre 1978 n. 695, per la parte in cui impediva di rispettare la normativa comunitaria in materia di prelievi agricoli).
Il motivo di questa svolta;
spettando alla Corte Costituzionale una “verifica” sulla compatibibilità della norma italiana con la norma comunitaria o con i principi comunitarii, venivano meno due “passaggi fondamentali”:
a) il diritto comunitario veniva ad essere carente del requisito della “immediatezza dell’applicazione” ( e quindi ne risultava leso principio di effettività: si veda oggi l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,);
b) l’interpretazione di quest’ultimo veniva sottratta alla Corte di giustizia e di fatto demandata alle Corti Costituzionali nazionali.
La stessa Corte Costituzionale, aveva in passato sostenuto che «esigenze fondamentali di eguaglianza e certezza giuridica postulano che le norme comunitarie, non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari» ( sentenza n. 183 del 1973).
Con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital) la Corte Costituzionale ipotizza due teoriche eccezioni (c.d. “controlimiti”).
Ribadendo quanto già affermato nella sentenza n. 183 del 1973 la Corte Costituzionale, nel 1984, rimarcò che la legge di esecuzione del Trattato poteva essere soggetta al suo sindacato “ in riferimento ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana.”
Inoltre, dovevano essere denunciate alla Consulta quelle statuizioni della legge statale che si assumevano costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi princìpi ( situazione, questa, diversa da quella che si verificava quando ricorreva l’incompatibilità fra norme interne e singoli regolamenti comunitari).In detta ipotesi la Corte Costituzionale sarebbe stata chiamata ad accertare se il legislatore ordinario avesse ingiustificatamente rimosso alcuno dei limiti della sovranità statuale, da esso medesimo posti, mediante la legge di esecuzione del Trattato, in diretto e puntuale adempimento dell’art. 11 Cost.
5) I superiori principi si rinvengono anche nelle coeve sentenze della Corte Costituzionale n.47 del 1985, sent. n. 48 del 1985.
L’evoluzione successiva
Tutta la progressione interpretativa successiva si iscrive nel solco interpretativo tracciato dalla sentenza n. 170 del 1984 (Granital).
Senza pretesa di esaustività vanno in proposito rammentate le seguenti tappe interpretative.
1) quanto affermato dalla Corte Costituzionale con esclusivo riferimento ai Regolamenti comunitari viene esteso alle decisioni della Corte di Giustizia (quest’ultima il custode dell’interpretazione del diritto comunitario). Si veda sul punto: Corte Cost., 23-04-1985, n. 113; Cass. civ. Sez. V Sent., 29-08-2007, n. 18219;
2) la portata delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea è certamente retroattiva, salve gravi e motivate eccezioni (affermate non già dal Giudice nazionale ma) dalla stessa Corte di Giustizia (Cass. civ. Sez. V, 11-12-2012, n. 22577)
3) Il principio della primautè del Diritto comunitario e della (conseguente) ritrazione del diritto nazionale è stato esteso alle Direttive.
4) Si rammenta in proposito che alcune tipologie di Direttive comunitarie hanno efficacia diretta nei singoli ordinamenti nazionali.
La Corte di Giustizia afferma l’immediata efficacia delle direttive in presenza dei seguenti presupposti:
le disposizioni della direttiva devono essere chiare e precise nella determinazione dei diritti in capo ai soggetti;
le disposizioni devono essere suscettibili di applicazione immediata, non subordinata a condizioni;
il legislatore nazionale non deve avere margini di manovra riguardo al contenuto;
deve essere scaduto il termine di recepimento della direttiva. (cfr. ex multis Corte di Giustizia, 4 marzo 1999, causa C-423/97).
In questi casi la Direttiva opera direttamente nel territorio dello Stato-membro.
4.1.) Esempi di Direttive immediatamente applicabili:
le direttive che pongono obblighi negativi: la direttiva o quelle parti di essa che pongono obblighi di non fare (obblighi di stand and still)
le direttive cd. confermative, le quali sono prive di carattere innovativo, limitandosi a confermare , chiarendone la portata, norme già previste dal Trattato istitutivo
le cd. direttive dettagliate o particolareggiate o self executing. (si veda, ex aliis T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 27-09-2011, n. 1590).
Per una sintesi completa della tematica si veda:
Cassazione civile sez. lav. 14/09/2009 n. 19771 “In tema di lavoro a tempo parziale, il tenore inequivocabile dell’art. 5, comma 4, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito con modificazioni dalla l. 19 dicembre 1984 n. 863 – che vietava la prestazione di lavoro supplementare rispetto a quello concordato, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, anche aziendali, espressamente giustificata con riferimento a specifiche esigenze organizzative – esclude, con riguardo al periodo anteriore alla sua abrogazione da parte dell’art. 12 d.lg. 25 febbraio 2000 n. 61, la possibilità di attribuire rilievo, sul piano interpretativo, alla direttiva Ce n. 97/81 del Consiglio, del 15 dicembre 1997, alla quale non può d’altronde riconoscersi, anteriormente all’attuazione da parte del d.lg. n. 61 cit., efficacia diretta nei rapporti tra privati (c.d. efficacia orizzontale), essendo detta efficacia limitata, per le direttive comunitarie sufficientemente precise ed incondizionate, ai rapporti tra autorità dello Stato inadempiente e i soggetti privati (c.d. efficacia verticale).”
Quanto alla giurisprudenza di merito, si veda: Tribunale Napoli 15/09/1999
Soc. Laborgas C. Balzano “Le direttive comunitarie, ancorché contenenti disposizioni precise e dettagliate, prima del loro recepimento da parte del legislatore nazionale, hanno un’efficacia all’interno degli ordinamenti nazionali, meramente verticale, e cioè nei rapporti tra Stato e cittadino, e non anche orizzontale, e cioè nei rapporti interprivatistici.”
Tribunale Napoli sez. lav. 31/10/2012 n. 27186 “con riguardo alle direttive c.d. self executing – che prevedono obblighi di contenuto sufficientemente chiaro e preciso – sussiste una efficacia diretta soltanto in senso verticale, ma non in senso orizzontale, nel senso che la direttiva può essere fatta valere dal privato soltanto nei confronti dello Stato inadempiente e non anche nei rapporti tra privati.”.
4.3) Il “passaggio” più ardito di questa evoluzione si ha allorchè ci si spinge ad affermare la .si afferma la responsabilità del Legislatore statale per omessa trasposizione. E’ questo l’approdo cui giunge la sentenza della Corte di Giustizia 19 novembre 1991 sul caso Francovich.
Essa è prevalentemente fondata sul principio della c.d. “ effettività”.
Il detto principio della c.d. “ effettività” costantemente affermato dalla giurisprudenza, ha oggi un importante referente normativo primario che si rinviene sub articolo 47 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
firmata a Nizza il 7 dicembre 2000 (“Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.).
4.4) Le ragioni di questa affermazione, muovono dalla constatazione che la Direttiva non è atto comunitario derivato direttamente applicabile.
Ai sensi dell’art. 249, comma 3, del Trattato CE, infatti, essa “vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”.
Da ciò discende, in linea di principio, che essa non ha efficacia immediata, richiedendo un atto di recepimento nell’ordinamento nazionale entro un termine: le Direttive sono quindi atti che impongono agli Stati un obbligo di risultato, lasciandoli liberi in ordine al quomodo della loro attuazione in un dato termine;
La prassi comunitaria è però in senso contrario: sono state emanate non poche direttive contenenti precetti specifici (“dettagliate”).
Non è quindi arbitrario affermare che le stesse, in disparte il nomen, sarebbero, sotto il profilo sostanziale dei veri e propri Regolamenti, e quindi a determinate condizioni ed in certi limiti avrebbero potuto spiegare efficacia diretta.
L’orientamento della Corte di giustizia ha costantemente limitato l’efficacia diretta delle direttive non attuate ai rapporti tra le autorità dello stato inadempiente ed i soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), escludendo che esse producessero effetti nei rapporti interprivati (cosiddetta efficacia orizzontale), con la conseguenza che non possono di per sé creare obblighi a carico del singolo ed essere fatte valere in quanto tali nei confronti dello stesso (Corte di giustizia 14 luglio 1994, causa c 91/92; Corte di giustizia 7 marzo 1996, causa C 192/94; Corte di giustizia 26 settembre 1996, causa c 168/95).
4.5.) La Corte Costituzionale ( con le sentenze 11 luglio 1989, n. 389; 18 aprile 1991, n. 168) ha stabilito che la possibilità della diretta applicazione nei rapporti interprivati delle direttive comunitarie inattuate va esclusa.
Le direttive, prima della loro attuazione, possono spiegare efficacia diretta, per le disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, limitatamente ai rapporti tra autorità dello Stato inadempiente e i soggetti privati (c.d. efficacia verticale) e non anche tra i soggetti privati (c.d. efficacia orizzontale) (sul punto cfr, Cass. n. 23937/2006).
5) Proprio la non efficacia orizzontale delle direttive (anche quelle dettagliate) ha imposto la svolta di cui alla sentenza Francovich
La Suprema Corte di Cassazione ( Cass, s.u. n, 9147/09 richiamando principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, ha sottolineato come la mancata trasposizione delle direttive faccia sorgere in capo agli interessati il diritto al risarcimento del danno cagionato dal ritardato adempimento, consistente nella perdita della opportunità di ottenere i benefici resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive e ha individuato nello schema dell’obbligazione ex lege dello Stato inadempiente utilizzabile per rendere la tutela apprestata dal diritto comunitario, riconducendo all’area della responsabilità contrattuale la pretesa risarcitoria.
Si è poi rilevato che tale responsabilità vada inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale” in quanto nascente non da fatto illecito di cui all’art. 2043 cod. civ. bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione.( Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-07-2012, n. 4364).
Sulla tematica della prescrizione è intervenuto il Legislatore: con la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, (legge di stabilità 2012) è stato disposto che “La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o di altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato” ai sensi dell’art. 36 della stessa L. 12 novembre 2011, n. 183 la norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012.
Trattasi allora di responsabilità contrattuale che può farsi valere nel termine prescrizionale quinquennale della responsabilità aquiliana.
5.1.)E’ interessante rilevare che tutta la giurisprudenza successiva alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, (legge di stabilità 2012) ha costantemente affermato la non applicabilità retroattiva di dette disposizioni (che, quindi, non trovano ingresso con riferimento a fattispecie in cui la responsabilità è insorta prima della entrata in vigore delle medesime)
6) Quanto alle decisioni adottate dalla Commissione delle Comunità europee, nell’ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato CE, ai sensi dell’art. 211 (ex art. 155), sull’attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell’interesse comunitario, in forza degli artt. 88 e 87 (ex artt. 93 e 92) dello stesso Trattato, si è detto che le stesse, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, sia pure limitatamente ai rapporti giuridici tra privati e pubblici poteri (cosiddetta efficacia verticale) e, quindi, vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla sua cognizione. ( Cass. civ. Sez. V, 03-02-2010, n. 2428, ma si veda anche Cass., 28/10/2005, n. 21083).
7) L’obbligo di assicurare l’osservanza del precetto comunitario non grava soltanto sul Giudice: esso è un obbligo che preesiste ed opera prima dell’insorgere di qualsiasi controversia. Sono conseguentemente tenuti alla disapplicazione tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni ( Corte Costituzionale del 11 luglio 1989, n. 389, e del 18 aprile 1991, n.168; Corte di Giustizia 22 giugno 1989, causa 103/88, F.C..; Corte di Giustizia sentenza 13 luglio 1972, Commissione c. Italia, causa 48/71, Racc. p. 529, sentenza 19 gennaio 1993, Commissione c. Italia, causa C-101/91; 29 aprile 1999, Ciola, causa C-224/97; 28 giugno 2001, Larsy, causa C-118/00; 4 ottobre 2001, Melgar, causa C-438/99).
8) Il sopravvenire del novellato art. 117 della Costituzione.
In base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto pur permanendo (come si era prima avvertito) la “valvola di sicurezza sistematica” contenuta già nella sentenza della Corte n. 170/1984 dei “soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona” nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità, Cass. civ. Sez. lavoro, sent., 19-02-2013, n. 4049
Trattasi di una innovazione oggettiva, perché il parametro di diretto riferimento non è più soltanto costituito dall’art. 11 della Costituzione e perché il concetto di “obblighi internazionali” di cui a comma 1 è suscettibile di essere latamente inteso.
Secondo la dottrina, poi, il concetto di “obblighi internazionali” potrebbe giustificare la diretta rilevanza nel sistema delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, anche in carenza degli autonomi riferimenti alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo contenuti nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
ARRESTI GIURISPRUDENZIALI PER APPROFONDIMENTO
Corte cost. Sent., 15-04-2008, n. 102
La Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di organo di garanzia costituzionale, ha natura di giudice e, in particolare, di giudice di unica istanza (in quanto contro le sue decisioni non è ammessa alcuna impugnazione: art. 137, terzo comma, Cost.). Essa pertanto, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, è legittimata a proporre rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato 25 marzo 1957. Difatti, in primo luogo, la nozione di “giurisdizione nazionale” rilevante ai fini dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale deve essere desunta dall’ordinamento comunitario e non dalla qualificazione “interna” dell’organo rimettente; e non v’è dubbio che la Corte costituzionale italiana possiede requisiti individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia CE per attribuire a tal fine tale qualificazione. In secondo luogo, nell’àmbito dei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale, la Corte è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi in ordine al loro oggetto, in quanto manca un giudice a quo abilitato a definire la controversia, e cioè ad applicare o a disapplicare direttamente la norma interna non conforme al diritto comunitario . Pertanto, non ammettere in tali giudizi il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato 25 marzo 1957 comporterebbe un’inaccettabile lesione del generale interesse all’ uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE.
Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-03-2013, n. 7717
Va, allora richiamato il consolidato orientamento della Corte di giustizia, secondo cui quando la corte è adita con rinvio pregiudiziale in materia di classificazione doganale, la sua funzione consiste nel chiarire al giudice nazionale i criteri la cui attuazione gli permetterà di classificare correttamente nella nomenclatura combinata i prodotti di cui trattasi, piuttosto che nel procedere essa stessa a tale classificazione, tanto più che quest’ultima non dispone necessariamente di tutti gli elementi indispensabili a tale riguardo; in tal senso, il giudice nazionale si trova in ogni caso in una posizione migliore per farlo (Corte giustizia 8 giugno 2006, C-196/05; Corte giustizia 7 novembre 2002, C- 260-263/00
comunque tale da indurre in errore i concorrenti: l’appellante chiede perciò un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, onde acclarare se il comportamento della stazione appaltante abbia violato i principi comunitari di imparzialità, trasparenza e di favore per la massima partecipazione alle gare d’appalto.
In disparte tale rilievo, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che al fine di ritenere realmente sussistente per il giudice di ultima istanza l’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia C.E. non basta che una parte sostenga che la controversia pone una questione di diritto comunitario, in quanto i giudici di ultima istanza dispongono dello stesso potere di valutazione degli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia della Corte su un punto di diritto comunitario. (cfr. ex multis VI Sez. n. 6037 del 2008
Cons. Stato Sez. VI Ordinanza, 05-03-2012, n. 1244
Vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato 25 marzo 1957 le seguenti questioni di interpretazione: a) in presenza di quali circostanze l’inosservanza dell’art. 267, terzo paragrafo, del Trattato 25 marzo 1957 configuri, da parte del giudice nazionale, una violazione manifesta del diritto dell’Unione europea; b) se la nozione di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea per mancato rinvio pregiudiziale possa essere di diversa portata e ambito rispetto all’azione speciale nei confronti dello Stato ai sensi della legge 13 aprile 1988, n. 117 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati, e rispetto all’azione generale nei confronti dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea
Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 20-05-2010, n. 160/09
Le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità , del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego di pronuncia, da parte della Corte, su un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con la realtà o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 13-06-2006, n. 173/03
Le violazioni del diritto comunitario che rechino pregiudizio, danno o nocumento ai singoli e siano imputabili ad organi dello Stato membro obbligano quest’ultimo al risarcimento del danno. Nell’ipotesi di violazioni commesse nell’ambito della peculiare funzione della giurisdizione, investendosi l’attività dell’interpretazione delle norme di diritto e la valutazione ed apprezzamento di elementi e circostanze di fatto, la responsabilità dello Stato sussiste solamente laddove il giudice di ultima istanza abbia violato in modo manifesto il diritto vigente. Tale violazione deve valutarsi alla luce di criteri quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile od inescusabile dell’errore di diritto commesso, o la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 Trattato 25 marzo 1957, dovendola presumere ogni qual volta la decisione sia assunta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia.
Cons. Stato Sez. VI, 27-11-2006, n. 6913
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, (art. 177, Trattato CE), volto ad ottenere l’ interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri. Conseguentemente l’obbligatorietà del rinvio viene meno quando la questione sia materialmente identica ad altra già sollevata e decisa in via pregiudiziale, ed in ogni ipotesi in cui la risposta al quesito si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo
Cons. Stato Sez. VI, 30-11-2006, n. 7003
E’, inoltre, pacifico in dottrina e giurisprudenza che l’art. 177, comma 3, del Trattato Ce va interpretato nel senso che le giurisdizioni nazionali, le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno, non sono tenute all’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte comunitaria ove la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto d’interpretazione da parte della Corte ed ove la disposizione comunitaria s’imponga con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi (Corte giust. Ce, 6 ottobre 1982). Il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di giustizia europea, ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo della Cee, volto ad ottenere l’interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri; di modo che l’obbligatorietà del rinvio viene meno quando la questione sia materialmente identica ad altra già sollevata e già decisa in via pregiudiziale, ed in ogni ipotesi in cui la risposta al quesito si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo (Cass. Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804). Il che è quanto avvenuto per il caso esaminato rispetto al quale, come già rilevato, la Corte di giustizia comunitaria ha in più occasioni già avuto modo di chiarire che la normativa comunitaria – che è poi l’unica la quale può essere oggetto di rinvio pregiudiziale – va interpretata nel senso che le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi possono essere derogate dagli Stati membri per ragioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e nel senso che non spetta ad essa Corte ma al giudice nazionale verificare se la normativa interna, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa propone non risultino sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito. A ciò va aggiunto che – in base alla stessa prospettazione della parte resistente – al fine della risoluzione della controversia in esame non vi è necessità di fare applicazione di alcuna norma di diritto comunitario di dubbia interpretazione, riguardando la questione devoluta al collegio la sola verifica dell’adeguatezza e proporzionalità del delineato sistema interno in materia di giochi e scommesse rispetto alla proclamata esigenza di tutela dell’ordine e la sicurezza pubblica; questione interpretativa la quale, come più volte ribadito dalla Corte comunitaria, è di pertinenza esclusiva del giudice nazionale. Adeguatezza e proporzionalità che – ad avviso del collegio – così come ritenuto dalle sezioni unite della Cassazione penale e per le ragioni precedentemente richiamate, risultano pienamente rispettate. La mancanza delle condizioni per disporre un rinvio alla Corte di giustizia comunitaria esclude, inoltre, la possibilità della sospensione del giudizio in corso, sia con riferimento all’ipotesi di cui al richiamato art. 177 del Trattato, che tale rinvio presuppone, sia con riferimento all’art. 295 del codice di procedura civile che – ad avviso del collegio – non può avere applicazione nei casi in cui si faccia questione di rinvio pregiudiziale alla Corte indicata. Potendo, inoltre, l’ordine e la sicurezza pubblica costituire un limite all’iniziativa economica che, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, e stante la già richiamata liberalizzazione all’accesso alla concessione per la gestione delle considerate attività, appare, poi, evidente che non sussiste violazione dei principi costituzionali cui ha fatto riferimento il Tribunale amministrativo regionale. Va considerato, infine, che alcuna rilevanza per la verifica della legittimità del provvedimento impugnato in primo grado ha il rappresentato scostamento di alcune decisioni di giudici penali rispetto all’indirizzo delle sezioni unite della Cassazione, né la sollecitazione della Commissione europea al Governo italiano per le proprie osservazioni in merito ad un’asserita violazione degli obblighi imposti dal Trattato.
Quanto al Diritto Edu (Convenzione Europea Dei Diritti dell’Uomo ratificata con a legge 4-8-1955 n. 848 di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo.
1) La Corte costituzionale, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha chiarito che le norme della CEDU, nella interpretazione offertane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone al legislatore il rispetto degli obblighi assunti dall’Italia a livello internazionale
Ivi è stato sostenuto che le disposizioni della CEDU costituiscono il «parametro interposto» per la verifica di violazione dell’art. 117 della Costituzione – ha affermato che esse «hanno un rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria».
Le conseguenze di tali due sentenze possono essere così sintetizzate:
a)spetta al giudice comune interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia consentito dal dato testuale;
b)qualora non sia possibile – esclusa una diretta disapplicazione della norma interna da parte del giudice – si deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale, in riferimento al parametro dianzi indicato;
c)la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non potendo sindacare l’interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta legittimata a verificare se, così interpretata, la norma della Convenzione – la quale si colloca pur sempre a un livello sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: «ipotesi eccezionale nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato»;
2.) E’ a più riprese accaduto che la Corte Costituzionale abbia dichiarato incostituzionali norme interne per contrasto con il diritto Cedu (in particolare si veda: sentenza n. 93 del 2010 della Corte Costituzionale)
3) La Corte costituzionale, con la sentenza 11-03-2011, n. 80 si è di recente nuovamente pronunciata sull’argomento.
A ciò stimolata dalla Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione,che aveva prospettato la rilevanza di una rilevante novità di matrice comunitaria, ed ha nuovamente risolto in senso negativo il quesito relativo alla praticabilità del metodo “ritrattivo” o “disapplicativo”ai precetti Cedu.
Era stato ipotizzato, infatti, che a diversa conclusione rispetto a quella della necessaria declaratoria di incostituzionalità della norma nazionale configgente potesse pervenirsi a seguito della entrata in vigore – avvenuta il 1° dicembre 2009 – del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130.
Secondo la tesi poi disattesa dalla Corte Costituzionale detto Trattato, imprimendo una diversa configurazione al rapporto tra le norme della CEDU e l’ordinamento interno, avrebbe reso non più attuale la concezione delle «norme interposte».
Così si era espressa l’ordinanza di rimessione.
a)Il vigente art. 6 del Trattato sull’Unione europea – quale risultante a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona – stabilisce, infatti, al paragrafo 1, che «l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati».
b)Esso precisa, poi, che «i diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni». Inoltre, ai successivi paragrafi 2 e 3, lo stesso art. 6 prevede che «l’Unione europea aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»; e che «i diritti fondamentali», garantiti da detta Convenzione «e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali».
3.1.) Ci si doveva quindi interrogare sulla possibilità di pervenire ad un meccanismo disapplicativo analogo a quello c.d. di “ritrazione” disegnato per il diritto comunitario anche con riferimento ai precetti contenuti nella Cedu, siccome cristallizzati nella interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
Ciò in quanto, i diritti elencati dalla Convenzione sarebbero stati ricondotti all’interno delle fonti dell’Unione sotto un duplice profilo.
a)da un lato, cioè, in via diretta e immediata, tramite il loro riconoscimento come «principi generali del diritto dell’Unione»;
b) dall’altro lato, in via mediata, ma non meno rilevante, come conseguenza della «trattatizzazione» della Carta di Nizza.
L’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – contenuto nel titolo VII, cui lo stesso art. 6 del Trattato fa espresso rinvio – prevede, infatti, che ove la Carta «contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione»: fermo restando che tale disposizione «non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
Di conseguenza, tutti i diritti previsti dalla CEDU che trovino un «corrispondente» all’interno della Carta di Nizza dovrebbero ritenersi «tutelati (anche) a livello comunitario (rectius, europeo, stante l’abolizione della divisione in “pilastri”), quali diritti sanciti […] dal Trattato dell’Unione».
Ne sarebbe dovuta discendere – secondo la tesi favorevole alla praticabilità del meccanismo “ritrattivo” – che il giudice comune sarebbe stato tenuto quindi a disapplicare qualsiasi norma nazionale in contrasto con i diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, in base al principio, fondato sull’art. 11 Cost., secondo cui «le norme di diritto comunitario sono direttamente operanti nell’ordinamento interno». Il mutamento della collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti, si era sostenuto, era tale da rendere inattuale la ricordata concezione delle «norme interposte». Alla luce del nuovo testo dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, dette disposizioni sarebbero divenute, infatti, parte integrante del diritto dell’Unione: con la conseguenza che i giudici comuni risulterebbero abilitati a non applicare le norme interne ritenute incompatibili con le norme della Convenzione, senza dover attivare il sindacato di costituzionalità.
3.2.) Con la sentenza 11-03-2011, n. 80 la Corte Costituzionale non ha condiviso tale percorso interpretativo.
La Corte ha ripreso le argomentazioni per cui ciò era stato negato in passato:
a) «il Consiglio d’Europa, cui afferiscono il sistema di tutela dei diritti dell’uomo disciplinato dalla CEDU e l’attività interpretativa di quest’ultima da parte della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, è una realtà giuridica, funzionale e istituzionale, distinta dalla Comunità europea creata con i Trattati di Roma del 1957 e dall’Unione europea oggetto del Trattato di Maastricht del 1992» (sentenza n. 349 del 2007).
) i «princìpi generali del diritto comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto», ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alla CEDU, «rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile: in primis gli atti comunitari, poi gli atti nazionali di attuazione di normative comunitarie, infine le deroghe nazionali a norme comunitarie asseritamente giustificate dal rispetto dei diritti fondamentali (sentenza 18 giugno 1991, C-260/89, ERT)»; avendo «la Corte di giustizia […] precisato che non ha tale competenza nei confronti di normative che non entrano nel campo di applicazione del diritto comunitario (sentenza 4 ottobre 1991, C-159/09, Society for the Protection of Unborn Children Ireland; sentenza 29 maggio 1998, C-299/05, Kremzow)».
c) «il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, non essendovi in questa materia una competenza comune attribuita alle (né esercitata dalle) istituzioni comunitarie, è un rapporto variamente ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale» (sentenza n. 349 del 2007).
3.3.Ha sostenuto la Corte Costituzionale che era è ben vero che l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea è stato incisivamente modificato dal Trattato di Lisbona, in una inequivoca prospettiva di rafforzamento dei meccanismi di protezione dei diritti fondamentali ( il nuovo art. 6 infatti, al paragrafo 1, prevede e che l’«Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati»; a norma prosegue prevedendo, al paragrafo 2, che «l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»; si chiude al paragrafo 3, con la statuizione in forza della quale «i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali»).
La Corte Costituzionale non ha disconosciuto che alla luce della nuova norma, la tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione europea deriva da tre fonti distinte: in primo luogo, dalla Carta dei diritti fondamentali (cosiddetta Carta di Nizza), che l’Unione «riconosce» e che «ha lo stesso valore giuridico dei trattati»; in secondo luogo, dalla CEDU, come conseguenza dell’adesione ad essa dell’Unione; infine, dai «principi generali», che – secondo lo schema del previgente art. 6, paragrafo 2, del Trattato – comprendono i diritti sanciti dalla stessa CEDU e quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
Ed è stato affermato che il riconoscimento alla Carta di Nizza di un valore giuridico uguale a quello dei Trattati mirava a migliorare la tutela dei diritti fondamentali nell’ambito del sistema dell’Unione, ancorandola a un testo scritto, preciso e articolato.
La Corte Costituzionale ha escluso che ciò potesse indurre a mutare indirizzo in quanto:
a) quanto alla prevista adesione dell’Unione europea alla CEDU, per l’assorbente ragione che l’adesione non era ancora avvenuta, sicché, la statuizione del paragrafo 2 del nuovo art. 6 del Trattato 7 febbraio 1992 resta, allo stato, ancora improduttiva di effetti;
b)quanto al richiamo alla CEDU contenuto nel paragrafo 3 del medesimo art. 6 – secondo cui i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione “e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” – questo integra una disposizione che riprende lo schema del previgente paragrafo 2 dell’art. 6 del Trattato 7 febbraio 1992 sull’Unione europea: evocando, con ciò, una forma di protezione preesistente al Trattato di Lisbona. Da ciò discenderebbe l’impossibilità, nelle materie cui non sia applicabile il diritto dell’Unione, di far derivare la riferibilità alla CEDU dell’art. 11 Cost. dalla qualificazione dei diritti fondamentali in essa riconosciuti come “principi generali” del diritto comunitario;
c)in ultimo, doveva escludersi escluso che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea; infatti presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è che la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto.
4)Non è comunque riscontrabile alcun depotenziamento, nel sistema giuridico italiano, della tutela ricavabile dalle norme Cedu
Si veda: Corte Costituzionale 7 aprile 2011 n. 113 : ivi è stata dichiarata l’illegittimità dell’ articolo 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando fosse necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per ulteriori approfondimenti si segnala:
1) Sussiste l’obbligo di “depurare” l’ordinamento nazionale da norme interne contrastanti con diritto comunitario
Corte cost., 30-03-1995, n. 94 (pd. 22030)
Comunità europee – Norme comunitarie direttamente applicabili – “Non applicabilità” delle norme interne confliggenti con esse – Persistente obbligo , per gli Stati membri, di depurare l’ordinamento nazionale da incompatibilità e disarmonie con l’ordinamento comunitario – Giustificazione – Salvaguardia della certezza del diritto e della chiarezza normativa (oltreché rispetto degli obblighi comunitari) – Realizzazione di tale valore mediante pronuncia di incostituzionalità della norma interna confliggente con quella comunitaria – Possibilità (nei giudizi di costituzionalità in via principale)
La “non applicabilità” (sia da parte dei giudici regionali che degli organi della P.A.) delle norme interne confliggenti con precetti comunitari, non esclude l’esigenza di depurare l’ordinamento nazionale da incompatibilità e disarmonie con le prevalenti norme comunitarie, e tale esigenza – in quanto ancorata al valore costituzionale della chiarezza normativa e della certezza del diritto – può essere soddisfatta anche con una dichiarazione di illegittimità costituzionale, ove – come nei giudizi in via principale – non sussista alcun ostacolo processuale all’ammissibilità di questioni concernenti il contrasto tra la norma interna (statale o regionale) e quella comunitaria.
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 del disegno di legge n. 650, approvato il 4 marzo 1994 dall’Assemblea regionale Siciliana (Modifiche ed integrazioni della legislazione regionale in materia di lavori pubblici. Agevolazioni per il settore della pesca e disposizioni in materia finanziaria) e dell’art. 1 del disegno di legge n. 684-370, approvato il 10 maggio 1994 dall’Assemblea regionale Siciliana (Integrazioni alla legge regionale 1 agosto 1974, n. 31 e alla legge regionale 27 dicembre 1978, n. 70 e interpretazione autentica dell’art. 9 della legge regionale 7 agosto 1990, n. 25, concernenti la pesca), promossi con ricorsi del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificati rispettivamente il 12 marzo e il 17 maggio 1994, depositati in cancelleria il 21 marzo e il 23 maggio 1994 ed iscritti ai nn. 29 e 43 del registro ricorsi 1994.
Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; uditi l’Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli, per il ricorrente, e gli avv.ti Francesco Torre e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana in relazione al ricorso iscritto al n. 29 del registro ricorsi 1994, e gli avv.ti Giovanni Pitruzzella e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana in relazione al ricorso iscritto al n. 43 del registro ricorsi 1994.
1. – Con due distinti ricorsi il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana solleva varie questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 4 e 5 della delibera legislativa regionale approvata dall’Assemblea regionale Siciliana il 4 marzo 1994 (Modifiche ed integrazioni della legislazione regionale in materia di lavori pubblici. Agevolazioni per il settore della pesca e disposizioni in materia finanziaria) e nei confronti dell’art. 1 della legge regionale approvata dall’Assemblea regionale Siciliana il 10 maggio 1994 (Integrazioni alla legge regionale 1 agosto 1974, n. 31, e alla legge regionale 27 dicembre 1978, n. 70, e interpretazione autentica dell’art. 9 della legge regionale 7 agosto 1990, n. 25, concernenti la materia della pesca). Il ricorrente sospetta che i citati artt. 4 e 5 siano contrastanti con l’art. 12 dello Statuto speciale per la Sicilia (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e con gli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione; mentre ritiene che il ricordato art. 1 possa violare gli artt. 3, 11, 97 e 103 del la Costituzione stessa.
Poiché i ricorsi prospettano questioni di costituzionalità fra loro connesse, la loro trattazione può essere riunita.
2. – Occorre preventivamente esaminare l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa della Regione Siciliana in relazione alla questione concernente l’art. 1, per il profilo per il quale il ricorrente assume la violazione dell’art. 11 della Costituzione. Più precisamente, poiché il Commissario dello Stato dubita che l’articolo impugnato, nell’estendere l’ambito dei beneficiari di “aiuti alle imprese” senza avviare il procedimento di controllo davanti alla Commissione della Comunità Europea, si ponga in contrasto con l’art. 93 del Trattato CE, la Regione Siciliana eccepisce, innanzitutto, che, sulla base della giurisprudenza costituzionale decorrente dalla sent. n. 170 del 1984, i conflitti tra norme interne e norme comunitarie fuoriescano dalle competenze di questa Corte, essendo materia riservata ai giudici comuni.
L’eccezione va respinta.
Nel caso deciso con la recente sent. n. 384 del 1994 – nel quale, come nell’ipotesi in esame, era stato prospettato il contrasto di una delibera legislativa regionale, non ancora promulgata, con una norma comunitaria direttamente applicabile – questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Umbria ritenuta contrastante con norme di regolamento comunitario. Diversamente da quanto sembra opinare la Regione resistente, la decisione che ha stabilito l’anzidetto precedente specifico non contraddice l’orientamento costantemente seguito da questa Corte a partire dalla sent. n. 170 del 1984, ma ne presuppone piuttosto la validità. Nella sentenza da ultimo ricordata questa Corte ha affermato che le norme comunitarie produttive di effetti diretti, poiché provengono da un “ordinamento distinto, ma coordinato” e poiché debbono avere piena efficacia obbligatoria e uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, entrano e permangono in vigore nell’ordinamento italiano senza che la loro efficacia possa essere intaccata dalle leggi nazionali, sia anteriori che successive. Infatti, come è chiaramente precisato nella medesima sentenza, l’effetto connesso con la vigenza nell’ordinamento italiano delle norme comunitarie è quello, non già di caducare, abrogare, modificare o invalidare le disposizioni legislative interne con esse incompatibili, bensì di impedire che queste disposizioni vengano in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale.
Detto in altri termini, entro un contesto nel quale le fonti normative della Comunità Europea e quelle dei singoli Stati non sono ancora integrate in un solo sistema, la “non applicabilità” della norma interna a favore di quella comunitaria, che contiene “la disciplina della specie”, comporta che l’eventuale contrasto della disposizione interna rispetto a un precetto comunitario non possa autorizzare, nell’ambito di una controversia di fronte al giudice nazionale, a validamente sollevare una questione di costituzionalità per l’eventuale violazione dell’art. 11 della Costituzione da parte della norma interna, poiché si tratterebbe di una questione priva del dovuto requisito della rilevanza. Di qui deriva l’inevitabile dichiarazione di inammissibilità di ogni questione, basata sull’ipotizzato contrasto tra norma interna e norma comunitaria, quando questa sia sollevata da un giudice nazionale nel corso di un giudizio.
Diverso è il caso in cui il medesimo contrasto tra norma interna e norma comunitaria si manifesti nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale instaurato in via principale, tanto più dopo che questa Corte (v. sent. n. 389 del 1989), quasi in concomitanza con la Corte di giustizia europea (v. sent. n. 22 giugno 1989, in causa sent. n. 103 del 1988), ha riconosciuto che vincolati a non dare applicazione alle norme interne confliggenti con quelle comunitarie sono anche gli organi della Pubblica Amministrazione, vale a dire soggetti sforniti del potere di dichiarazione del diritto. Proprio in quella decisione, subito dopo l’anzidetto riconoscimento, questa Corte ha precisato che la “non applicazione” della norma interna confliggente con quella comunitaria non fa venir meno “l’esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie”, esigenza che .se, sul piano dell’ordinamento nazionale, […] si collega al principio della certezza del diritto, sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia così essenziale al principio della prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da costituire l’oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri” (v. sent. n. 389 del 1989, punto 4 in diritto).
Con la sent. n. 384 del 1994 la Corte Costituzionale, nell’ambito di un giudizio di costituzionalità sollevato in via principale avverso una legge regionale, ha per la prima volta affermato che l’esigenza di depurare l’ordinamento nazionale da norme incompatibili con quelle comunitarie, essendo ancorata al valore costituzionale comportante la chiarezza normativa e la certezza nell’applicazione del diritto da parte di tutti i sottoposti alla legge, può essere soddisfatta anche con una dichiarazione d’illegittimità costituzionale. Ed, invero, poiché nei giudizi di costituzionalità in via principale l’oggetto del giudizio stesso, non è una norma in quanto applicabile, ma una norma di per sé lesiva delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni (nel caso di impugnazione di leggi statali da parte delle regioni) o ex se violatrice di norme costituzionali (nel caso di impugnazione di leggi regionali da parte dello Stato) – tanto che in tali giudizi possono essere contestate anche disposizioni di legge non ancora efficaci o ad efficacia differita (v. sent. n. 224 del 1990, sent. n. 242 del 1989, sent. n. 39 del 1971, sent. n. 37 del 1966, sent. n. 75 del 1957) – non si rinviene, come invece nei giudizi in via incidentale, alcun ostacolo processuale in grado di precludere alla Corte la piena salvaguardia, con proprie decisioni, del valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa di fronte a ipotesi di contrasto di una norma interna con una comunitaria. Né è senza significato la considerazione che, dati i ricordati caratteri del giudizio in via principale, la “non applicabilità” della norma interna confliggente con quella comunitaria rappresenterebbe, nei casi in cui il contrasto normativo si palesasse nell’ambito di quel giudizio, una garanzia inadeguata rispetto al soddisfacimento del dovere, fondato sull’ art. 5 del Trattato di Roma e sull’art. 11 della Costituzione, di dare pieno e corretto adempimento agli obblighi comunitari.
3. – Sebbene ammissibile, la questione indicata nel punto precedente è chiaramente non fondata.
La censura sollevata dal Commissario dello Stato per la pretesa violazione degli obblighi derivanti dall’art. 93 del Trattato CE, con conseguente lesione dell’art. 11 della Costituzione, ignora che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea (v., ad esempio, sentenza 9 ottobre 1984, in cause 91 e 127/1983), una volta che la Regione abbia comunicato alla Commissione della Comunità Europea la disciplina da essa stabilita in una certa materia comportante aiuti alle imprese, i successivi interventi legislativi modificativi della predetta disciplina possono essere resi noti alla Commissione stessa anche attraverso procedure informali. E, stando agli atti prodotti nel presente giudizio, ciò è quel che è precisamente avvenuto nel caso dei provvedimenti adottati dalla Regione Siciliana in relazione al contestato “fermo biologico”. 4. – Non fondata è la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge regionale approvata il 4 marzo 1994 per violazione dell’art. 12 del R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, (Statuto speciale per la Regione Siciliana), sollevata sul presupposto che la Commissione assembleare non abbia avuto modo di esprimere il proprio parere sulle predette disposizioni.
Premesso che la questione è sicuramente ammissibile, per il semplice fatto che la Corte è chiamata a decidere sulla violazione di una norma contenuta nello Statuto speciale comportante un vizio procedurale nella formazione di disposizioni di legge regionale (v. in senso conforme, ad esempio, sent. n. 134 del 1969 e sent. n. 57 del 1957), la non fondatezza della stessa deriva dall’erronea interpretazione che il ricorrente conferisce al menzionato art. 12 del R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Statuto). Quest’ultimo, infatti, prescrive che l’elaborazione dei progetti di legge debba avvenire nell’ambito delle Commissioni assembleari, mentre la richiesta alle stesse di un parere sugli emendamenti presentati in Assemblea – richiesta, peraltro, occorsa nella specie – non ha un fondamento nel ricordato art. 12, ma lo ha in distinte norme del Regolamento interno dell’Assemblea regionale Siciliana. Né spetta a questa Corte valutare l’incongruenza di richiedere il parere della Commissione competente su emendamenti dal contenuto assolutamente eterogeneo rispetto a quello del progetto di legge in discussione, riposando nei poteri del Presidente dell’Assemblea Regionale la garanzia che non siano ammessi emendamenti ritenuti eterogenei rispetto al progetto di legge cui quelli si riferiscono.
5. – Venendo all’esame dei vizi sostanziali denunziati dal Commissario dello Stato, al fine di procedere ad una loro corretta valutazione occorre illustrare in via di premessa la vicenda normativa nella quale gli atti impugnati si inseriscono.
Dopo che la legge regionale 27 maggio 1987, n. 26, all’art. 14, aveva previsto la disciplina generale del fermo temporaneo dell’attività di pesca “al fine di favorire l’adattamento delle possibilità di pesca alla capacità della flotta” e aveva dettato le condizioni per concedere “premi di fermo temporaneo” alle imprese o alle persone che interrompono l’attività di pesca, l’art. 9 della legge regionale 7 agosto 1990, n. 25, ha nuovamente fatto ricorso al medesimo fermo temporaneo dell’attività di pesca al diverso fine di favorire il ripopolamento ittico di alcune zone di mare ricomprese nel territorio della Regione Siciliana. Più precisamente, la disposizione da ultimo citata prevede il fermo temporaneo di pesca, con le connesse agevolazioni stabilite dal ricordato art. 14, per le imprese che, avendo sede legale nel territorio della Regione, svolgano attività di pesca a strascico, o con sistemi ad esso assimilabili, servendosi di natanti iscritti in determinati compartimenti marittimi regionali (Catania, Palermo, Messina, Trapani, Augusta), in alcune zone di mare da delimitare, con decreto dell’Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca, nell’ambito di alcune aree indicate dalla stessa disposizione di legge (golfo di Catania, golfo di Patti, golfo di Castellammare).
Con due decreti, datati rispettivamente 19 marzo 1992 e 28 aprile 1992, l’anzidetto Assessore regionale ha vietato, in via sperimentale, la pesca a strascico e a mezzo di reti volanti pelagiche per 150 giorni continuativi in relazione a una zona di mare più ampia di quella indicata dalla precedente legge, segnatamente la zona compresa tra Capo Zafferano e Capo Calavà, accordando ai natanti iscritti nei compartimenti marittimi ricompresi nella delimitazione operata con i decreti la facoltà di beneficiare delle provvidenze economiche collegate al fermo temporaneo di pesca, previste dalla legge regionale n. 26 del 1987.
Secondo il Commissario dello Stato, le disposizioni legislative impugnate sono sopravvenute a tali decreti – che, ad avviso dello stesso ricorrente, avevano illegittimamente esteso, sia nel loro riferimento territoriale, sia in relazione ai soggetti beneficiari, l’ambito di applicazione del fermo biologico di pesca previsto dalla legge regionale n. 25 del 1990 – al solo fine di dare una copertura legislativa a posteriori alle ricordate decisioni dell’Assessore. Più precisamente, mentre l’art. 1 della delibera legislativa approvata il 10 maggio 1994, introducendo una disposizione ritenuta dal ricorrente falsamente interpretativa dell’art. 9, comma 2, della legge regionale n. 25 del 1990, ha con effetto retroattivo ampliato l’area delle imprese originariamente beneficiarie delle agevolazioni previste, l’art. 4 della delibera legislativa approvata il 4 marzo 1994 ha esteso, a sanatoria, per l’anno 1992 i benefici di cui all’art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990 alle imprese e ai componenti gli equipaggi interessati al fermo temporaneo di pesca stabilito dai ricordati decreti assessorili.
6. – Sotto il primo profilo, vanno dichiarati non fondati i dubbi di legittimità costituzionale che il Commissario dello Stato solleva nei confronti dell’art. 1 della legge regionale approvata il 10 maggio 1994, per essere quest’ultimo espressione di un uso irragionevole e arbitrario del potere di interpretazione autentica esercitato dal legislatore regionale Siciliano, in violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), dei principi del buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97 della Costituzione), nonché del potere attribuito alla Corte dei Conti di promuovere azioni di responsabilità per danno erariale al riparo da indebite interferenze di altri poteri (art. 103 della Costituzione).
Premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v., ad esempio, sent. n. 397 del 1994, sent. n. 455 del 1992, sent. n. 233 del 1988), nessun rilievo può essere accordato alla autoqualificazione della legge al fine di considerare quest’ultima un atto di interpretazione autentica, questa Corte ha costantemente affermato che tale qualificazione deve riconoscersi a quelle norme obiettivamente dirette a chiarire il senso di norme preesistenti ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi fra quelli ragionevolmente ascrivibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre l’applicazione della variante di senso prescelta da parte di coloro che dovranno dare esecuzione alla norma interpretata. Da ciò consegue, come è stato ripetutamente sottolineato da questa Corte, che la natura di legge interpretativa “va desunta da un rapporto fra norme – e non fra disposizioni – – tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario” (v., ad esempio, sent. n. 397 del 1994, sent. n. 424 del 1993, sent. n. 455 del 1992, sent. n. 155 del 1990, sent. n. 233 del 1988; nonché ord. n. 480 del 1992 e ord. n. 205 del 1991).
Contro tale definizione non può validamente opporsi, come fa la difesa della Regione Siciliana, che non sia possibile distinguere tra “legge interpretativa” e “legge innovativa”, poiché, se non v’è dubbio alcuno che anche il primo tipo di legge sia diretto a introdurre un “novum” nell’ordinamento giuridico, quantomeno consistente nella prescrizione di dover seguire una certa interpretazione e non altra, non si può del pari dubitare, come si è già sottolineato, che carattere tipico ed esclusivo delle leggi interpretative è che il significato normativo enucleato e imposto con le stesse leggi debba essere ricompreso fra le possibilità di senso ragionevolmente ascrivibili al testo della disposizione interpretata (v., ad esempio, sent. n. 88 del 1995; sent. n. 424 del 1993, sent. n. 39 del 1993; sent. n. 455 del 1992, sent. n. 454 del 1992, sent. n. 440 del 1992; sent. n. 380 del 1990 e sent. n. 155 del 1990). Sotto quest’ultimo profilo, occorre sottolineare che, nella specie, la norma interpretata, vale a dire l’art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990, facendo riferimento alle imprese “operanti” nelle aree delimitate dai decreti dell’Assessore, usa un’espressione che in origine avrebbe potuto esser interpretata tanto nel senso di denotare le imprese che effettivamente esercitano la pesca nelle zone colpite dal fermo, quanto nel senso di indicare le imprese i cui natanti sono autorizzati a esercitare la pesca nelle stesse zone. L’intervento interpretativo del legislatore regionale, che circoscrive a quest’ultimo significato il senso da attribuire alla norma interpretata, non può esser qualificato altro che come “legge di interpretazione autentica”, ragionevolmente giustificata dall’esigenza di ovviare a serie difficoltà di accertamento, ove si fosse seguita interpretativamente l’altra via, e di evitare consequenzialmente possibili disparità di trattamento in sede di applicazione.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v., ad esempio, sent. n. 15 del 1995, sent. n. 402 del 1993 e sent. n. 39 del 1993, sent. n. 6 del 1988, sent. n. 167 del 1986), il corretto esercizio del potere legislativo di interpretazione autentica, indipendentemente dalle intenzioni del legislatore di incidere sulla soluzione dei casi “sub iudice” (v. sent. n. 397 del 1994; ord. n. 480 del 1992), non lede di per sé la sfera riservata al potere giudiziario, sempreché, di norma, siano salvaguardati gli effetti derivanti da sentenze passate in giudicato, dal momento che l’attribuzione legislativa di un dato significato a una determinata disposizione di legge non comporta alcuna illegittima interferenza sulla “potestas iudicandi”, muovendosi sul diverso piano delle fonti normative in ordine alla definizione e alla delimitazione della fattispecie normativa oggetto di quella “potestas” (v., ad esempio, sent. n. 397 del 1994, sent. n. 402 del 1993, sent. n. 39 del 1993, sent. n. 155 del 1990, sent. n. 754 del 1988, sent. n. 91 del 1988 e sent. n. 6 del 1988).
7. – Merita, invece, accoglimento la censura prospettata dal Commissario dello Stato nei confronti dell’art. 4 della legge regionale approvata il 4 marzo 1994, il quale stabilisce che i benefici di cui all’art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990 sono estesi, esclusivamente per l’anno 1992, alle imprese di pesca e ai componenti gli equipaggi interessati al divieto di pesca a strascico e di pesca a mezzo di reti volanti pelagiche di cui ai decreti 19 marzo 1992 e 28 aprile 1992 dell’Assessore regionale per la cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca.
La disposizione appena citata è indubbiamente una norma di sanatoria dei decreti assessorili sopra indicati, i quali, nella parte in cui individuano la zona di mare ricompresa tra Capo Zafferano e Capo Calavà come ambito territoriale di applicazione del “fermo biologico”, risultano sicuramente difformi rispetto alle previsioni contenute nell’art. 9 della legge regionale n. 25 del 1990, nel senso che estendono i benefici ivi stabiliti a soggetti non contemplati nella disposizione di legge posta a fondamento del potere di delimitazione riconosciuto all’Assessore.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le leggi di sanatoria non sono costituzionalmente precluse in via di principio, ma, trattandosi di ipotesi eccezionali, la loro giustificazione deve essere sottoposta a uno scrutinio di costituzionalità estremamente rigoroso:
l’intervento legislativo in sanatoria, infatti, può essere ragionevolmente giustificato soltanto dallo stretto col legamento con le specifiche peculiarità del caso, “tali da escludere che possa risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale -originariamente applicabile – con quella eccezionale successivamente emanata” (v. sent. n. 100 del 1987, nonché sent. n. 402 del 1993, sent. n. 474 del 1988). Più in particolare, siffatto scrutinio dev’essere svolto tanto sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parità di trattamento, quanto sotto il profilo della salvaguardia da indebite interferenze nei confronti dell’esercizio della funzione giurisdizionale (v. sent. n. 346 del 1991). Sotto entrambi i profili la disposizione di legge impugnata si rivela manchevole. Infatti, l’estensione della disciplina, originariamente ristretta dalla legge regionale n. 25 del 1990 a determinati soggetti, non è sostenuta da interessi pubblici, legislativamente rilevanti, di preminente importanza generale, ma risulta semplicemente vòlta a fornire la copertura legale successiva a decisioni assessorili risultanti difformi dalla previa disciplina legislativa e, come tale, si mostra unicamente diretta a esonerare l’Assessore da eventuali responsabilità di ordine giuridico.
P.Q.M.
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Siciliana (Modifiche ed integrazioni della legislazione regionale in materia di lavori pubblici. Agevolazioni per il settore della pesca e disposizioni in materia finanziaria), approvata dall’Assemblea regionale Siciliana il 4 marzo 1994;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Regione Siciliana, di cui al precedente capoverso, sollevata dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, in riferimento all’art. 12 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Statuto della Regione Siciliana), con il ricorso indicato in epigrafe;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Siciliana (Integrazioni alla legge regionale 1 agosto 1974, n. 31, e alla legge regionale 27 dicembre 1978, n. 70, e interpretazione autentica dell’art. 9 della legge regionale 7 agosto 1990, n. 25, concernenti la materia della pesca), approvata dall’Assemblea regionale Siciliana il 10 maggio 1994, sollevate dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Siciliana, di cui al precedente capoverso, sollevata dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 11 della Costituzione, per violazione dell’art. 93 del Trattato istitutivo della Comunità Europea.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1995.
2) Interferenze tra disapplicazione penale ed amministrativa in relazione a violazione di diritto comunitario.
Cass. pen. Sez. III, 10-07-2012, n. 28413 (rv. 253241)
Non integra il reato di cui all’art. 4 della l. n. 401 del 1989 la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero (nella specie la “Stanley International Betting Ltd”) cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE. (In motivazione la Corte ha disapplicato la disciplina di cui all’art. 4 cit. a seguito della sentenza della Corte di giustizia CE nelle cause riunite C – 72/10 e C – 77/10 Costa e Cifone) (Annulla senza rinvio, Trib. Bari, 10 luglio 2008).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro – Presidente –
Dott. SQUASSONI Claudia – Consigliere –
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere –
Dott. MARINI Luigi – rel. Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.U., nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10 Luglio 2008 del Tribunale di Bari, quale giudice del riesame, che ha parzialmente accolto l’istanza presentata avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 26 Maggio 2008 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Trani e relativo alle apparecchiature informatiche e telematiche, nonchè alla documentazione concernente l’attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi posta in essere presso l’esercizio pubblico del ricorrente in asserita violazione della L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 4 bis e 4 ter e del D.Lgs. n. 385 del 1983, art. 106 e art. 132, comma 1.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dr. Policastro Aldo, che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza con rinvio;
udito per l’imputato l’avv. Ripamonti Marco, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Sig. C. gestisce un punto di commercializzazione di scommesse su eventi sportivi denominato “(OMISSIS)” ove opera quale delegato della “Stanley International Betting Ltd”, senza essere in possesso della licenza di pubblica sicurezza prevista dal R.D. n. 733 del 1938, art. 88 e senza l’autorizzazione dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), nonchè senza essere iscritto nell’apposito albo degli intermediari finanziari tenuto presso l’Ufficio Italiano Cambi. In data 26 Maggio 2009 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bari ha emanato nei confronti del Sig. C. un decreto di sequestro preventivo delle apparecchiature e della documentazione su richiesta del Pubblico Ministero che procede per la violazione della L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 4 bis e 4 ter, e D.Lgs. n. 385 del 1983, art. 106 e art. 132, comma 1.
2. Con ordinanza in data 10 Luglio 2008 il Tribunale di Bari, su richiesta di riesame del Sig. C., ha confermato il provvedimento di sequestro unicamente per il reato previsto dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, e cioè per avere lo stesso Sig. C. operato l’attività di raccolta di scommesse senza essere titolare di concessione o di autorizzazione dell’AAMS e senza la licenza di pubblica sicurezza, escludendo la sussistenza di indizi per il diverso reato previsto dal D.Lgs. n. 385 del 1983 in relazione agli obblighi di comunicazione all’Ufficio Italiano Cambi che derivano dalle operazioni transfrontaliere.
3. La Difesa del Sig. C. ha proposto un articolato ricorso davanti a questa Corte, sintetizzato nei punti essenziali nell’ordinanza n.2993 emessa nel presente procedimento all’udienza del 10/11/2009, cui si rinvia. Nella sostanza, la Difesa non contesta che l’attività di raccolta sia stata posta in essere senza che la società “Stanley International Betting Ltd” sia titolare di concessione e senza che il punto “(OMISSIS)” sia in possesso di autorizzazione dell’AAMS e di licenza di pubblica sicurezza.
Afferma, tuttavia, che la licenza è stata richiesta alla locale Questura, pur conoscendo che secondo la disciplina attuate non può essere rilasciata in assenza di concessione o autorizzazione.
Afferma, poi, che la disciplina nazionale è in contrasto con il Trattato CE e deve essere disapplicata da questa Corte anche nei suoi riflessi penali. Ha, infine, chiesto che, ove questa Corte non accolga la richiesta, proponga questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia CE ai sensi dell’art. 234, comma 3, del Trattato CE. 4. Sono intervenuti nel giudizio con proprie memorie i legali rappresentanti delle persone giuridiche Sicon, Lottomatica e Snai, quali persone offese del reato, nonchè l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato – Agenzia delle entrate; tutti hanno sollecitato con argomenti diversi il rigetto del ricorso. Tra gli altri argomenti utilizzati a sostegno delle richieste di rigetto del ricorso, le memorie presentate affermano che:
a) è pacifico che la soc. Stanley International Betting Ltd non opera in Italia In modo diretto, e cioè con proprie succursali o agenzie, ma attraverso un operatore italiano che, in base ad un contratto perfezionatosi in Italia, raccoglie le scommesse ed è pertanto destinatario della disciplina nazionale: erroneamente le decisioni della Corte di Giustizia (in particolare la sentenza 6 Marzo 2007, nelle cause riunite Placanica e altri) hanno ritenuto che si versi in ipotest di “stabilimento” in Italia da parte di operatore estero: la società Stanley International Betting Ltd, infatti, ha scelto consapevolmente di non “stabilirsi” in Italia con proprie sedi;
b) dopo l’entrata in vigore del c.d. “decreto Bersani” (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) hanno avuto luogo alcune gare ad evidenza pubblica, secondo la disciplina comunitaria, per circa 16.000 punti di raccolta; a tali gare hanno partecipato operatori nazionali ed esteri e tutti sono stati aggiudicatari di concessioni. La società Stanley International Betting Ltd ha scelto di non partecipare, così che nè essa nè i soggetti ad essa collegati possono lamentare l’esistenza di disciplina discriminatoria e invocarne la disapplicazione;
c) sotto diverso profilo, deve escludersi che la disciplina italiana possa essere disapplicata, in quanto non esiste una compiuta disciplina comunitaria (si vedano l’art. 52 del Trattato CE e la direttiva “ex Bolkenstein”): il giudice nazionale può, infatti, disapplicare la norma Interna solo in presenza di una “normativa comunitaria direttamente applicabile a preferenza di quella dello Stato membro” (si vedano la sentenza della Corte di Giustizia CE 9 marzo 1978, in causa Simmenthal, n.196/77; la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 5, 8 agosto 2005, n.4027);
d) tale conclusione opera, a maggior ragione, per la legislazione penale ove solo una disciplina comunitaria dotata di effetti diretti (anche a seguito di pronuncia della Corte di Giustizia CE) può consentire la disapplicazione della legge nazionale, così che negli altri casi al giudice non resta che investire del tema dell’applicabilità del diritto interno o la Corte Costituzionale o la stessa Corte di Giustizia CE;
e) non sussiste, poi, la pretesa discriminazione in danno della citata società Stanley a seguito dell’obbligo di rinunciare alle operazioni transfrontaliere previsto dall’art. 23 dello schema di convenzione: questo divieto si riferisce ai giochi “assimilabili” e non ai “giochi pubblici” che sono oggetto di concessione, così che in caso di aggiudicazione della concessione la società non avrebbe dovuto rinunciare ai giochi di suo interesse.
5. Assegnato all’udienza del 4/2/2009 il ricorso è stato oggetto di rinvio a nuovo ruolo e trattato all’udienza del 10/11/2009. In tale data la Corte emise l’ordinanza n.2993/2010 con la quale trasmetteva gli atti alla Corte di Giustizia CE (ora dell’Unione Europea) proponendo una questione pregiudiziale così formulata:
“Considerata la rilevanza che l’interpretazione degli artt. 43 e 49 del Trattato CE riveste nel caso in esame, in quanto la decisione sul ricorso del Sig. C. presuppone la previa decisione circa la applicabilità della disciplina interna in tema di concessioni e autorizzazioni quale fondamento delle disposizioni incriminatici contenute nella L. n. 633 del 1941, art. 4, si formula il seguente quesito pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE:
Dica la Corte di Giustizia dell’Unione Europea quale sia l’interpretazione degli artt. 43 e 49 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea con riferimento alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi nel settore delle scommesse su eventi sportivi al fine di stabilire se le citate disposizioni del Trattato consentano o meno una disciplina nazionale che stabilisca un regime di monopolio in favore dello Stato ed un sistema di concessioni e di autorizzazioni che, all’interno di un numero determinato di concessioni, preveda: a) l’esistenza di un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore sulla base di una procedura che illegittimamente ha escluso una parte degli operatori; b) la presenza di disposizioni che garantiscono di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite al termine di una procedura che illegittimamente ha escluso una parte degli operatori (come ad esempio il divieto per i nuovi concessionari di collocare i loro sportelli al di sotto di una determinata distanza da quelli già esistenti); c) la fissazione di ipotesi di decadenza della concessione e di incameramento di cauzioni di entità molto elevata, tra le quali l’ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione.” 6. Con sentenza 16/2/2012 la Corte di Giustizia ha pronunciato sulle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Co. e C., nei termini che saranno di seguito esaminati. Il ricorso del Sig. C. è stato assegnato all’odierna udienza per essere nuovamente trattato alla luce della pronuncia citata.
7. Con memorie depositate in data 21 e 28 giugno 2012 l’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’interno, del Ministero dell’economia e delle finanze – Agenzia delle entrate, ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dell’indagato. In sintesi l’Avvocatura generale osserva: a) la sentenza della Corte di Giustizia ha posto in luce quattro profili della normativa nazionale da sottoporre a vaglio alla luce dei principi di diritto comunitario;
– ha ritenuto che una normativa nazionale restrittiva non contrasti con detti principi;
– ha ritenuto che un sistema di distanze minime debba essere valutato dal giudice nazionale in considerazione degli interessi tutelati da tale disposizione, e a tale proposito si consideri che il “decreto Bersani” ha inteso razionalizzare la distribuzione degli operatori sul territorio nazionale (art. 1, art. 38, comma 1, lett. e, f, g);
– ha ritenuto che il divieto di svolgere attività transfrontaliere (art. 23, comma 3, del bando AAMS) debba essere esaminato in concreto dal giudice nazionale circa la chiarezza e la univocità della disposizione, requisiti che l’Avvocatura generale ritiene manifestamente esistenti;
– ha ritenuto che l’ipotesi di decadenza conseguente all’esistenza di indagine o processo penale (art. 23, comma 3, letta del bando AAMS) non sia in via di principio illegittima e che spetti al giudice nazionale valutare la chiarezza e la comprensione di tale previsione nei termini fissati ai punti 76 e 79 della sentenza in parola; sul punto l’Avvocatura generale osserva che la valutazione negativa ad opera del giudice nazionale comporterebbe la dissoluzione del regime concessorio e la concedibilità della concessione ai richiedenti che avessero in corso procedimenti penali per qualsiasi reato;
b) in ogni caso, indipendentemente dalla posizione della società Stanley, il ricorrente avrebbe potuto come cittadino italiano partecipare direttamente al bado di gara e farlo fin dalla gara indetta nell’anno 1999, così che egli non può giovarsi delle questioni sollevate dall’operatore estero, del quale egli non è nè agente nè rappresentante, ma mero trasmettitore di dati legato contrattualmente, quale soggetto esterno, alla società stessa; si è, dunque, in presenza di un operatore che agisce in proprio quale intermediario che da luogo a un contratto che si perfeziona presso l’esercizio commerciale del ricorrente e, dunque, in territorio italiano, così che il ricorrente non ha alcun titolo per beneficiare della disapplicazione della disciplina nazionale di cui potrebbe, eventualmente, beneficiare la società Stanley;
c) deve ritenersi che la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia sia stata sul punto condizionata dalla errata o incompleta ricostruzione della situazione di fatto relativa alla posizione degli operatori italiani che agiscono in favore della società Stanley;
d) deve ritenersi che il giudice nazionale chiamato a valutare la coerenza e la chiarezza delle disposizioni nazionali sia il giudice amministrativo e non quello penale;
e) deve considerarsi che le censure che l’operatore estero muove alla disciplina italiana non possono essere fatte valere in sede giudiziale “laddove non tempestivamente contestate”;
f) deve considerarsi anche la posizione della società austriaca Goldbet, collegata alla società “Goldbet Italia S.r.l.” (poi “Totobetting S.r.l.”), posto che la decisione della Corte di Giustizia del 16/2/2012 ha riflessi ex art. 104, paragrafo 3, del regolamento della Corte, anche nei confronti di un operatore Globet.
8. Con memoria depositata in data 25/6/2012, l’avv.Gaetano Viciconte per conto della “SNAI S.p.A.”, rileva come SNAI sia intervenuta quale persona offesa dal reato nel procedimento pendente avanti l’autorità giudiziaria di Bari e come permanga uno specifico interesse a contrastare il contenuto del ricorso proposto dall’indagato.
Quindi, richiamata la decisione 16/2/2012 della Corte di Giustizia, citata, osserva che le modalità di raccolta mediante “intermediazione” sono vietate dal D.M. 1 marzo 2006, n. 111, art. 2, comma 5, sulla base del principio che impone l’esistenza di un rapporto diretto tra concessionario e scommettitore, principio ribadito dal D.L. n. 40 del 2010, convertito in L. 22 maggio 2010, n. 73 e confermato da plurime decisioni della Corte di cassazione (tra tutte, n. 6570 e 6573 del 22/2/2011 e Sez.3, n.42077 del 6/10/2011).
Afferma, poi, che esiste un “indirizzo generale di tutela dei titolari delle concessioni rilasciate all’esito delle gare indette nel 1999” (punti 59 e 64 della sentenza Placanica del 6/372007 della Corte di Giustizia) e che i nuovi bandi di gara indetti dopo il “decreto Bersani” rispondono alle esigenze prospettate dalla citata sentenza della Corte di giustizia.
Esclude che l’art. 23, paragrafo 3, della schema di convezione AAMS sia in contrasto con i principi di diritto comunitario allorchè pone limitazioni all’esercizio transfrontaliero di altri giochi, conclusione che trova conforto nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4, n.4115 del 3/8/2008.
Richiama, infine, alcune decisioni di merito che confortano le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Bari nel presente procedimento e confortano il giudizio di piena compatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria.
Motivi della decisione
1. Osserva preliminarmente la Corte che la presente decisione ha per oggetto il contenuto del provvedimento cautelare impugnato con riferimento alla disciplina esistente al momento in cui il provvedimento fu emesso e con riferimento al momento in cui fu effettuata la gara per l’aggiudicazione delle concessioni indetta con bando del 28 agosto 2006, successivo al c.d. “decreto Bersani” (D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006). Non possono perciò essere opposte al ricorrente eventuali modifiche normative intervenute in epoca successiva che non siano favorevoli alla sua posizione giuridica (il riferimento è a quanto esposto nella memoria dell’Avvocatura generale dello Stato depositata il 26/6/2012 e nella memoria SNAI depositata il 25/6/2012).
Osserva, poi, che a differenza di quanto sostenuto nelle memorie dell’Avvocatura generale dello Stato e dell’avv. Viciconte, non sussiste una radicale contrarietà al diritto del rapporto contrattuale che lega la società Stanley ai titolari dei centri di trasmissione dati e alle conseguenti modalità di azione dei centri stessi; si tratta di rapporto che in nessun caso comporta l’esistenza di attività di “intermediazione” e che deve essere letto alla luce della decisione della Corte di Giustizia che ravvisa una relazione diretta fra concessionario e titolare del punto di commercializzazione. Va, peraltro, rilevato che la questione ha per oggetto la ricostruzione del fatto e non risulta proposta e affrontata nè nel provvedimento impugnato, nè nel ricorso, nè, infine, oggetto di specifico esame da parte della stessa sentenza della Corte di Giustizia del 16/2/2012, con la conseguenza che si tratta di questione che non può costituire oggetto di indagine ai fini della decisione sul ricorso proposto dal sig. C..
2. Prima di passare al contenuto della sentenza emessa nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10 che concerne direttamente il ricorso, la Corte rileva che successivamente alla pronuncia dell’ordinanza n. 2993 del 2010 emessa nel presente procedimento, la materia dei giochi e delle scommesse su eventi sportivi a livello transnazionale è stata oggetto di due decisioni della Corte di Giustizia pronunciate in data 8/9/2010, decisioni che, per la rilevanza dei principi contenuti, appare opportuno sinteticamente ricordare.
3. Con sentenza pronunciata nelle Cause riunite C-316/07, la Corte di Giustizia ha precisato che:
– La legittimità del monopolio statale richiede il rispetto del principio di proporzionalità, e cioè la predisposizione di una disciplina che sia in grado di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, così che il giudice nazionale può giungere alla conclusione che il regime di monopolio NON sia idoneo a garantire l’obiettivo di prevenire spese eccessive e di contrastare la dipendenza dal gioco allorchè: a) la pubblicità non sia limitata a finalità di canalizzazione del gioco, ma incoraggi la propensione al gioco dei consumatori e spinga a favorire la loro partecipazione allo scopo di massimizzare i proventi di simili attività; b) siano poste in essere o comunque tollerate politiche di espansione dell’offerta in settori di gioco diversi da quelli soggetti al monopolio;
– Nell’ambito di un sistema di monopolio è legittimo che lo Stato sottoponga a preventiva autorizzazione interna anche il soggetto che intende offrire i propri servizi anche ai consumatori nazionali sebbene sia già in possesso di autorizzazione in altro Stato membro.
4. Con sentenza pronunciata nella causa C-46/08 (limitata all’esame dell’art. 49 Trattato CE, ora UE), ha quindi affermato che:
– Nell’ipotesi che lo Stato intenda sottoporre l’offerta di giochi a una previa autorizzazione amministrativa, soluzione che costituisce una limitazione alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 del Trattato UE, deve assicurare che tale condizione si fondi su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, così da escludere scelte arbitrarie della autorità nazionali, e deve assicurare la presenza di un mezzo di ricorso effettivo a carattere giurisdizionale;
– La limitazione dei giochi d’azzardo effettuati via internet non può considerarsi ingiustificata per il fatto che i medesimi giochi possono essere effettuati anche attraverso canali più tradizionali.
5. Passando adesso all’esame della sentenza 16 febbraio 2012 della Corte di Giustizia, Quarta Sezione, pronunciata nelle cause riunite C- 72/10 e C-77/10, Co. e C., nel rinviare al contenuto della citata ordinanza n.2993/2010 per quanto concerne la normativa rilevante e le possibili interpretazioni della stessa, questa Corte ricorda che già in quella sede la rilevanza della questione pregiudiziale non fu considerata preclusa dalla circostanza che la società Stanley avesse intenzionalmente non partecipato ai bandi di gara indetti dall’AAMS il 28 agosto 2006 per la distribuzione delle oltre 16.000 nuove concessioni, e ciò nonostante si trattasse bandi pubblicati per porre rimedio al contrasto tra i principi del Trattato e la precedente disciplina nazionale che aveva presieduto ai bandi di gara pubblicati nell’anno 1999 che escludevano dal concorso le società di capitale. Tale valutazione è stata compiuta in quanto la società Stanley ha sostenuto di avere rinunciato a partecipare alle gare del 2006 a causa dell’esistenza di regole contenute nella norma di legge, in particolare nell’art. 38, commi 2 e 4, del “decreto Bersani” (D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006) e di clausole contrattuali redatte dall’AAMS, in particolare gli artt. 13, 14 e 23 del capitolato d’oneri, che favorivano indebitamente i titolari delle concessioni distribuite proprio a seguito dei bandi di gara del 1999 che la Corte di Giustizia (sentenza 6 marzo 2007, in cause riunite C.338/04 e altre, Placanica e altri) e la stessa Corte di Cassazione (per tutte, sentenze di questa Sezione 28 Marzo 2007, n. 16969, PG in proc. Palmioli, e 22 Ottobre 2008, n.2417, Grieco) hanno ritenuto in contrasto coi principi del Trattato CE (ora UE), con conseguente ingiustificata penalizzazione dei futuri nuovi concessionari.
6. Con la sentenza 16 febbraio 2012 la Corte di Giustizia ha riconosciuto l’esistenza di alcuni dei profili di criticità prospettati dai Sigg. Co. e C. e dalla società Stanley.
In estrema sintesi, ribadito che un regime di monopolio statale che operi mediante il sistema delle concessioni può non configgere con i principi del Trattato CE, la Corte di Giustizia ha ricordato che tutte le limitazioni ai principi di libertà di stabilimento e prestazione dei servizi devono essere strettamente legate a “motivi imperativi di interesse generale” e non possono discendere da esigenze di natura economica o da interessi patrimoniali dello Stato membro. Tali restrizioni possono, dunque, trovare giustificazione (punto 61 della motivazione) in base a obiettivi legati, da un lato, “alla riduzione delle occasioni di gioco” e, dall’altro, “alla lotta contro la criminalità mediante l’assoggettamento a controllo degli operatori attivi in tale settore e l’incanalamento delle attività di gioco d’azzardo entro circuiti così controllati”.
Ha, poi, aggiunto che l’eccezionalità delle limitazioni introdotte dal regime statale, sia mediante leggi sia mediante altre fonti normative, ha come conseguenza la necessità che le condizioni di partecipazione alla gara per l’assegnazione delle concessioni risultino “formulate in modo chiaro, preciso e univoco”.
Fatte queste premesse di ordine generale, la motivazione della sentenza procede attraverso alcuni passaggi specifici che risultano decisivi per la valutazione della fondatezza del ricorso.
7. Riaffermata l’esigenza (già indicata nel punto 63 della citata sentenza Placanica e altri) che il regime nazionale assicuri a tutti i concessionari il pieno esercizio delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività (punto 51), la motivazione rileva come il “concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari ha come conseguenza di perpetuare e di rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalla gara del 1999, e costituisce, dunque, una nuova violazione degli artt. 43 CE e 49 CE” (punto 53), ponendosi in contrasto anche con i “principi di parità di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità” (punto 54), principi che determinano una concreta limitazione del potere discrezionale della autorità nazionali (punto 56).
8. In particolare, l’esistenza di una discriminazione viene individuata dalla Corte di Giustizia nella disciplina introdotta dai commi secondo e quarto dell’art. 38 del “decreto Bersani” relativamente alle distanze da osservare fra i punti di raccolta, disciplina che trova fondamento solo in ragioni di natura economica non idonee a giustificare una restrizione delle ricordate libertà fondamentali (punti 58, 64, 66). Spetta, tuttavia, al giudice nazionale valutare se tale discriminazione possa trovare effettiva giustificazione nel diverso obiettivo, indicato dal Governo italiano, di incanalare la domanda di gioco in circuiti controllati (punto 65).
9. Quanto, poi, alle ipotesi di decadenza previste dalla normativa italiana, la Corte di Giustizia osserva in via generale che dette ipotesi costituiscono di fatto anche presupposti per l’ottenimento della concessione, così che eventuali limiti posti alla società Stanley diventano limiti che incidono anche sui titolari dei centri trasmissione dati, o CTD, (punto 68) e costituiscono un ostacolo alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE (punto 70).
10. Tali limitazioni, come si è visto giustificabili esclusivamente da “motivi imperativi di interesse generale”, debbono essere assistite da garanzie di “trasparenza”, che è corollario del principio di uguaglianza, e di “certezza del diritto”, così che la disciplina nazionale deve essere “chiara, precisa e prevedibile”.
11. Alla luce di tali premesse la Corte di Giustizia conclude che spetta al giudice di rinvio verificare, con riferimento all’ipotesi di decadenza legata alle contestazioni di reato mosse ai legali rappresentanti della società (art.23, comma secondo, dello schema di convenzione AAMS), se la decadenza sia legittimamente correlata a: 1) procedimenti per fatti di criminalità organizzata, ipotesi che sembra alla Corte stessa poter giustificare le limitazioni; 2) per “ogni altra ipotesi di reato suscettibile di fa venire meno il rapporto fiduciario con AAMS”, ipotesi che, invece, la Corte di Giustizia sembra considerare in modo problematico rispetto alla possibilità per l’aspirante concessionario di comprendere il contenuto della limitazione (punti 79 e 80).
12. Sempre con riferimento alle ipotesi di decadenza legate a indagini penali, la Corte di Giustizia afferma che in via generale esse potrebbero operare solo in presenza di sentenza irrevocabile;
resistenza di “indizi concludenti” di reato non dovrebbe essere sufficiente per supportare un’ipotesi di decadenza temporanea, a meno che l’ordinamento non preveda una “efficace possibilità di ricorso in sede giurisdizionale” nonchè “un risarcimento del danno subito nel caso in cui, in un momento successivo, tale esclusione si rivelasse ingiustificata” (punto 81).
13. Uno specifico rinvio al giudice nazionale viene formulato, poi, con riferimento all’accertamento dell’esistenza di procedimenti penali riguardanti la società Stanley per fatti connessi alle concessioni rilasciate anteriormente alla sentenza Placanica e altri (punto 82), posto che tali procedimenti avrebbero di fatto inibito la partecipazione di detta società alle gare indette in base al “decreto Bersani” pur trattandosi – deve aggiungersi – di procedimenti che hanno alla base una disciplina già considerata non conforme ai principi del Trattato CE e per questo disapplicata dalla stessa Corte di cassazione.
14. Fatte queste premesse, la Corte di Giustizia afferma che nel contestato normativo fin qui descritto “non possono essere applicate sanzioni… nei confronti di persone, quali i Sigg. Co. e C., legate a un operatore, come la Stanley, che era stato escluso dalle gare precedenti in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara prevista dal decreto Bersani” (punto 85), così che non occorre affrontare il tema della presunzione d’innocenza (punto 86);
15. Quanto all’ipotesi i decadenza legata alla commercializzazione di giochi d’azzardo mediante siti telematici situati fuori dal territorio nazionale, ferma restando la competenza del giudice nazionale per la interpretazione della normativa domestica, l’incertezza esistente nella interpretazione dell’art. 23, comma 3, dello schema di convenzione (vedi punti 72-89 delle conclusioni del Procuratore generale) rendono evidente che tale norma non risulta chiara, precisa e univoca, così che non può essere addebitata alla soc. Stanely la decisione di avere rinunciato a presentare la propria candidatura in assenza di un quadro normativo chiaro e prevedibile (punti 89 e 90).
16. Peraltro, spetta al giudice nazionale valutare se le norme contenute nell’art. 23, comma 2, lett. a), e comma 3, dello schema di convenzione siano “formulate in modo chiaro, preciso e univoco” (punto 92).
17, Sulla base dei passaggi motivazionali così sintetizzati, la Corte di Giustizia ha conclusivamente affermato che gli artt. 43 CE e 49 CE devono interpretarsi nel senso che:
17.1 – ostano a che io Stato membro, che intende porre rimedio a precedente violazione dei principi del Trattato, “protegga le posizioni commerciali acquisite agli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi ei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti”;
17.2 – ostano a che vengano applicate sanzioni a persone che operano senza concessione o autorizzazione che siano “legate a un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione” qualora la nuova gara e le nuove assegnazioni “non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara”;
17.3 – richiedono, unitamente ai principi di pari trattamento, di trasparenza e di certezza del diritto, che le norme comportanti decadenza di concessioni, come quelle dettate dall’art. 23, comma 2, lett. a), e comma 3, dello schema di convenzione “devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare”.
18. Sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia è possibile formulare un quadro interpretativo della disciplina contenuta nel Trattato che contribuisce a definire l’applicazione della disciplina domestica in materia di scommesse su eventi sportivi, presupposto della fattispecie penale, nel senso che:
18.1 – le libertà di insediamento e di prestazione dei servizi costituiscono per il diritto dell’Unione principi fondamentali di cui gli operatori economici devono poter usufruire indipendentemente dal Paese membro in cui sono insediati;
18.2 – tali principi possono conoscere restrizioni nel campo delle attività commerciali connesse ai giochi telematici e alle scommesse su eventi sportivi esclusivamente quando si tratta di limiti, anche consistenti nella previsione di un regime concessorio e di controlli di pubblica sicurezza, che sono fondati su “motivi imperativi di interesse generale” e che rispondono a principi di proporzionalità, non discriminazione, trasparenza e chiarezza;
18.3 – qualora le restrizioni non rispondano a requisiti ora ricordati, le libertà previste dagli artt. 43 e 49 del Trattato conservano piena espansione e la disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata;
18.4 – in tale contesto normativo lo Stato italiano si è opportunamente attivato per porre rimedio alle irregolarità relative alla gara per l’attribuzione delle concessioni indetta nell’anno 1999, che aveva penalizzato la posizione della società Stanley, ma la disciplina risultante dal “decreto Bersani” sopra citato e dal contenuto dello schema di convenzione presenta aspetti di non conformità ai citati principi del Trattato nella parte in cui stabilisce distanze minime tra gli esercizi commerciali che di fatto conservano la posizione di indebito vantaggio acquisita dai concessionari aggiudicatari delle licenze rilasciate nel 1999.
Ritiene, infatti questa Corte che la disciplina in tema di distanze fra esercizi non risponda a effettive esigenze di “canalizzazione” del gioco e sia frutto di valutazioni che rispondono a logiche commerciali discendenti dalla concreta operatività degli esercizi stessi. Si tratta di conclusione che trova conferma logica nella successiva decisione di sopprimere questo profilo della disciplina in esame;
18.5 – ad analoga conclusione deve giungersi con riferimento alle disposizioni dello schema di convenzione in tema di decadenza che, nonostante le espresse richieste di spiegazione inoltrate dalla società Stanley all’AAMS, non chiarivano al momento della gara pubblica se e in quale misura le attività transfrontaliere di commercializzazione di giochi d’azzardo siano compatibili con la qualità di concessionario (questione, questa, che, come sottolineato dalla Corte di Giustizia, ha visto l’Avvocato generale presentare due richieste alternative, paragrafi 72-89 delle conclusioni, proprio a causa della non agevole comprensione del testo);
18.6 – ad analoga conclusione deve giungersi anche con riferimento alle ipotesi di decadenza che concernono l’esistenza di condanne penali e di procedimenti penali a carico dei legali rappresentanti della società concessionaria, limitatamente alla previsione che lega la decadenza da ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venire meno il rapporto fiduciario con AAMS”; si tratta, a parere di questa Corte, di ipotesi che anche alla luce dei principi dell’ordinamento interno deve essere valutata come non sufficientemente determinata nei presupposti e tale da attribuire all’AAMS un margine di valutazione discrezionale non ancorato a parametri suscettibili di agevole e coerente controllo in sede giudiziale. Su tale profilo appare inequivoca la valutazione operata dalla sentenza della Corte di Giustizia ai punti 85 e 86;
18.7 – questa Corte, al contrario, non ravvisa gli estremi di una reale incertezza, che renderebbero la disciplina non conforme ai principi del Trattato, nella previsione delle ipotesi di decadenza che ancora la sanzione a procedimenti o condanne per reati di maggiore gravità riconducibili al disposto della L. 19 marzo 1990, n. 55: sia la “ratio” della richiamata disposizione del capitolato sia il suo contenuto sono adeguatamente definiti e a ciò deve aggiungersi che tanto in sede penale quanto in sede amministrativa l’ordinamento nazionale appresta gli istituti per un controllo dell’autorità giudiziaria operato in via d’urgenza, circostanze che rispondono ai principi di trasparenza, effettività e non discriminazione ricordati dalla Corte di Giustizia e che salvaguardano anche sul piano concreto i diritti della parte.
19. Le considerazioni qui esposte trovano conferma nei contenuti della decisione che, seppure con percorso motivazionale in parte diverso, la Seconda Sezione di questa Corte ha assunto con la sentenza n.24656 del 9/3/2012 pronunciata in tema di esercizio dell’attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi a seguito di ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
20. L’interpretazione della disciplina del Trattato rilevante per l’esame del regime concessorio riverbera effetti diretti (si vedano i punti 85 e 86 della sentenza del 16/2/2012) sulla posizione giuridica dei gestori dei centri di trasmissione dei dati in virtù del legame contrattuale diretto esistente e della disciplina del T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) sopra richiamata (il rinvio è ai punti 68 e 70 della sentenza della Corte di Giustizia del 16/2/2012).
21. A questo punto la Corte deve chiedersi se la eventuale disapplicazione delle disposizioni contenute nella L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 4 rappresenti la inevitabile conclusione delle considerazioni esposte nei punti precedenti.
22. Occorre, infatti, considerare che la eventuale disapplicazione della disciplina italiana per contrasto coi principi del Trattato UE porterebbe con sè due conseguenze che la Corte deve considerare dell’ambito dei propri compiti di interpretazione. E ciò muovendo dalla premessa che la sentenza della Corte di Giustizia pare avere come corollario che l’assenza di concessione in capo alla società Stanley, quale frutto di una disciplina non conforme al Trattato UE, sembra non più in grado di giustificare da sola la risposta negativa alla richiesta di autorizzazione ex R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 (T.U.L.P.S.) avanzata all’autorità di pubblica sicurezza dalla persona che opera sul territorio italiano sulla base di un accordo contrattuale con detta società.
22.1 – La prima conseguenza si sostanzia nel potenziale discrasia fra la disciplina penale e quella amministrativa, posto che la disapplicazione della norma penale interna comporta l’esclusione della illiceità delle condotte di gestione dei centri di trasmissione dati, che operano come punti di commercializzazioni distribuiti sul territorio, ancorchè in assenza dei provvedimenti concessori e autorizzatori; e ciò mentre nella vigenza dell’attuale formulazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 (T.U.L.P.S.) per il gestore del centro di trasmissione permarrebbero la non concedibilità dell’autorizzazione e la conseguente situazione di contrasto con l’ordinamento.
22.2 – La seconda conseguenza è costituita dal verificarsi di una situazione di ingiustificato privilegio commerciale e giuridico per la società Stanley e per i gestori dei relativi centri di commercializzazione sul territorio. Infatti, qualora si ritenga che le disposizioni del Trattato UE impongono di disapplicare nei confronti dei gestori dei punti Stanley la normativa contenuta nella L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 4 il “sistema Stanley”, che ha fino ad oggi lamentato da parte dello Stato italiano un trattamento deteriore a tutto vantaggio di soggetti concessionari privilegiati, finirebbe per avvalersi di due profili di ingiustificato privilegio:
a) la possibilità di operare senza i vincoli derivanti dal sistema concessorio (prestazione di cauzione; rischio di decadenza; limite al numero dei punti commerciali; posizionamento dei locali, e altro ancora), che invece gravano su coloro che hanno partecipato alla gara e si sono aggiudicati la concessione; b) la possibilità di stipulare contratti per la gestione dei punti di commercializzazione con persone che nei fatti non sono sottoposte ai controlli preventivi previsti dal T.U.L.P.S. e che per questo, a differenza dei gestori dei punti di commercializzazione riferibili a soggetti concessionari, non sono soggette a revoca dell’autorizzazione neppure in caso di sopravvenute situazioni di incompatibilità col regime della autorizzazione e della concessione.
22.3 – Dei due profili ora ricordati la Corte intende evidenziare quello che, attraverso il mancato assoggettamento ai controlli ex R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88, fa venire meno le cautele dettate da ragioni di ordine pubblico e di contrasto ai fenomeni illegali che risultano indispensabili per prevenire pericoli per la collettività e che rientrano fra i “motivi imperativi di interesse generale” che le sentenze della Corte di Giustizia hanno sempre considerato fondanti il regime concessorio e le limitazioni apportate tramite questo all’esercizio delle libertà garantite dal Trattato.
22.4 – E’ evidente, in conclusione, che l’applicazione al caso in esame dei principi interpretativi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia del 16/2/2012 incide in modo critico sulla coerenza del sistema normativo interno e sulla difesa delle ragioni di ordine pubblico che la stessa sentenza ritiene meritevoli di tutela. Le incoerenze ricordate adesso e l’ingiustificata posizione di privilegio che deriverebbe per il “sistema Stanley” dalla disapplicazione delle norme penali contenute nella L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 4 sono elementi che devono essere affrontati dall’ordinamento nazionale mediante l’eventuale adeguamento del dato normativo e che esulano dalla sfera decisionale di questa Corte; in altri termini, quegli elementi di incoerenza non possono incidere negativamente sulle posizioni soggettive dei destinatari dei provvedimenti cautelari emessi sulla base di ipotesi di reato che la disapplicazione in parola pone nel nulla.
23. In conclusione, l’applicazione dei principi interpretativi fissati dalla Corte di Giustizia impone di ritenere che all’epoca dei fatti le autorità di pubblica sicurezza abbiano negato l’autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., che il sig. C. aveva richiesto, sulla base di una disciplina non conforme ai principi del Trattato.
24. Tale conclusione viene adottata da questa Corte sulla base della peculiare posizione della società “Stanley International Betting Ltd”, che si caratterizza per alcune rilevanti e specifiche circostanze: la illegittima esclusione dai bandi di gara del 1999; la mancata partecipazione alle gare indette nell’anno 2006, nonostante il manifestato interesse, a causa della non conformità del nuovo regime concessorio ai principi del Trattato; la successiva presentazione di richiesta di autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., richiesta respinta a causa dell’assenza di concessione.
25. Questa Corte, decidendo nel contesto della fase cautelare, rileva che alla luce del materiale in atti non emerge che il centro di trasmissione gestito dal sig. C. abbia effettuato raccolta di scommesse in proprio o per conto di altri operatori, così che non vi è necessità di operare un rinvio alla sede di merito, come invece richiesto dal sig. Procuratore generale.
26. In conclusione, la Corte ritiene di accogliere il ricorso del sig. C. e di disapplicare la disciplina contenuta nella L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4 (e successive modifiche), con conseguente annullamento senza rinvio dell’ordinanza 10/8/2008 del Tribunale di Bari e del provvedimento di sequestro dal Tribunale confermato. Vanno pertanto restituite le cose sequestrate all’avente diritto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro e ordina restituirsi le cose sequestrate all’avente diritto. Manda alla cancelleria ai sensi dell’art. 626 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012
Sentenza c.d. “ GAMBELLI”
Autorità: Corte giustizia CE sez. V
Data: 06 novembre 2003
Numero: n. 243
La normativa statale che vieta, anche con sanzioni penali, lo svolgimento di attività correlate alle scommesse su eventi sportivi in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato membro, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi di cui agli art. 43 e 49 trattato Ce. Restrizioni a tali libertà sono ammissibili se giustificate da esigenze imperative di interesse generale, le quali devono in ogni caso configurarsi necessarie per il conseguimento dello scopo perseguito, essere proporzionate e non discriminatorie. Spetta al giudice nazionale verificare se la normativa statale, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda a tali esigenze e ai relativi requisiti
Nel procedimento C-243/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale dinanzi ad esso pendente a carico di
{Piergiorgio Gambelli} e altri,
domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE,
LA CORTE,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans e J.N. Cunha Rodrigues, presidenti di sezione, dai sigg. D.A.O. Edward (relatore) e R. Schintgen, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, e dal sig. S. von Bahr, giudici,
avvocato generale: sig. S. Alber
cancelliere: sig. H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
– per il sig. {Gambelli} e altri, dall’avv. D. Agnello;
– per il sig. {Garrisi}, dagli avv.ti R.A. Jacchia, A. Terranova e I. Picciano;
– per il governo italiano, dall’avv. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dall’avvocato dello Stato D. Del Gaizo;
– per il governo belga, dal sig. F. van de Craen, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Vlaemminck, avocat;
– per il governo ellenico, dal sig. M. Apessos e dalla sig.ra D. Tsagkaraki, in qualità di agenti;
– per il governo spagnolo, dalla sig.ra L. Fraguas Gadea, in qualità di agente;
– per il governo lussemburghese, dal sig. N. Mackel, in qualità di agente;
– per il governo portoghese, dal sig. L. Fernandes e dalla sig.ra A. Barros, in qualità di agenti;
– per il governo finlandese, dalla sig.ra E. Bygglin, in qualità di agente;
– per il governo svedese, dalla sig.ra B. Hernqvist, in qualità di agente;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. A. Aresu e dalla sig.ra M. Patakia, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali del sig. {Gambelli} e altri, rappresentati dall’avv. D. Agnello, del sig. Garrisi, rappresentato dagli avv.ti R.A. Jacchia e A. Terranova, del governo italiano, rappresentato dall’avvocato dello Stato A. Cingolo, del governo belga, rappresentato dall’avv. P. Vlaemminck, del governo ellenico, rappresentato da sig. M. Apessos, del governo spagnolo, rappresentato dalla sig.ra L. Fraguas Gadea, del governo francese, rappresentato dal sig. P. Boussaroque, in qualità di agente, del governo portoghese, rappresentato dalla sig.ra A. Barros, del governo finlandese, rappresentato dalla sig.ra E. Bygglin, e della Commissione, rappresentata dal sig. A. Aresu e dalla sig.ra M. Patakia, all’udienza del 22 ottobre 2003,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 marzo 2003,
ha pronunciato la seguente
(Torna su ) FATTO
Sentenza
1.
Con ordinanza 30 marzo 2001, pervenuta in cancelleria il 22 giugno successivo, il Tribunale di Ascoli Piceno ha sottoposto alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.
2.
La detta questione è stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale a carico del sig. {Gambelli} e di altri 137 indagati (in prosieguo: i <sigg. {Gambelli} e altri>) accusati di aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che effettuerebbero attività di raccolta e trasmissione di dati in materia di scommesse, il che costituisce un reato di frode contro lo Stato.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3.
L’art. 43 CE così recita:
<Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali>.
4.
L’art. 48, primo comma, CE, prevede che <[l]e società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate (…) alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri>.
5.
L’art. 46, n. 1, CE, dispone che <[l]e prescrizioni del presente capo e le misure adottate in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica>.
6.
A norma dell’art. 49, primo comma, CE, <[n]el quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione>.
La normativa nazionale
7.
Ai sensi dell’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (GURI del 26 giugno 1931, n. 146; in prosieguo: il <regio decreto>), <non può essere conceduta licenza per l’esercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in altre simili gare, quando l’esercizio delle scommesse costituisce una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara>.
8.
Ai sensi dell’art. 37 della Legge Finanziaria 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario della GURI del 29 dicembre 2000; in prosieguo: la <legge n. 388/00>), la licenza di esercizio delle scommesse è accordata solo ai concessionari o autorizzati da un ministero o altro ente al quale la legge riserva la facoltà di organizzare o accettare scommesse. Le scommesse possono riguardare tanto il risultato di eventi sportivi posti sotto il controllo del Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il <CONI>) o delle organizzazioni da esso dipendenti, quanto il risultato delle corse di cavalli organizzate tramite l’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (in prosieguo: l'<UNIRE>).
9.
Gli artt. 4, 4 bis e 4 ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante <Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche> (GURI del 18 dicembre 1989, n. 294; in prosieguo: la <legge n. 401/89>), come modificata dall’art. 37, n. 5, della legge n. 388/00, che ha introdotto gli artt. 4 bis e 4 ter nella legge n. 401/89, dispongono quanto segue:
<Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa
Articolo 4
1. Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (UNIRE). Chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione.
2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al primo comma, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al primo comma, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
(…)
Articolo 4 bis
Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero.
Articolo 4 ter
(…) le sanzioni di cui al presente articolo si applicano a chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi per la predetta raccolta o prenotazione>.
La causa principale e la questione pregiudiziale
10.
Dall’ordinanza di rinvio emerge che il Pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Fermo hanno rilevato l’esistenza di un’organizzazione diffusa e capillare di agenzie italiane, collegate via Internet con il bookmaker Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la <Stanley>), con sede in Liverpool (Regno Unito), della quale fanno parte il sig. {Gambelli} e altri, che sono gli indagati nella causa principale. Viene loro contestato di aver collaborato, sul territorio italiano, con un bookmaker straniero all’attività di raccolta di scommesse di regola riservata per legge allo Stato, in violazione della legge n. 401/89.
11.
Tale attività, considerata in contrasto con il regime di monopolio sulle scommesse sportive attribuito al CONI e integrante la fattispecie di reato prevista dall’art. 4 della legge n. 401/89, si svolgeva con le seguenti modalità: comunicazione da parte del giocatore al responsabile dell’Agenzia italiana delle partite sulle quali intende scommettere e indicazioni della somma giocata; invio, da parte della predetta agenzia, via Internet, della richiesta di accettazione al bookmaker con indicazione degli incontri di calcio nazionali in questione e delle puntate effettuate; invio, da parte del bookmaker, via Internet e in tempo reale, della conferma dell’accettazione della scommessa; trasmissione di tale conferma, da parte dell’agenzia italiana, al giocatore e pagamento di quest’ultimo del corrispettivo dovuto all’agenzia, inoltrato poi al bookmaker su apposito conto estero.
12.
La Stanley è una società di capitali di diritto britannico, registrata nel Regno Unito e che svolge attività di bookmaker sulla base di una licenza rilasciata dalla Città di Liverpool ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act, con facoltà di svolgere tale attività nel Regno Unito e all’estero. La detta società organizza e gestisce scommesse in base ad una licenza britannica selezionando gli eventi e le quote, nonché assumendone il rischio economico. La Stanley versa le vincite e paga le varie imposte previste nel Regno Unito, oltre alle tasse sulle retribuzioni e ad altri tributi. Essa è soggetta a controlli rigorosi quanto alla regolarità delle attività svolte, controlli che vengono effettuati da una società privata di revisione nonché dall’Inland Revenue e dal Customs & Excise.
13.
La Stanley propone al pubblico europeo un ampio ventaglio di scommesse a quota fissa su eventi sportivi nazionali, europei o mondiali. I singoli possono partecipare dalla propria abitazione, mediante vari sistemi come Internet, via fax o telefonicamente, alle scommesse organizzate e gestite dalla Stanley.
14.
La presenza della Stanley in Italia come impresa si concretizza in accordi commerciali con operatori ovvero intermediari italiani, accordi relativi alla creazione di centri di trasmissione dati. Tali centri mettono a disposizione degli utenti alcuni mezzi telematici, raccolgono e registrano le intenzioni degli scommettitori e le trasmettono alla Stanley.
15.
Gli indagati nella causa principale sono iscritti alla Camera di Commercio quali proprietari di imprese per l’avvio di un centro trasmissione dati e sono stati autorizzati dal Ministero delle Poste e delle Comunicazioni alla trasmissione di dati.
16.
Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Fermo emanava un decreto di sequestro preventivo e gli indagati venivano sottoposti a perquisizioni personali e controlli nelle agenzie, nelle abitazioni e nelle autovetture. Veniva ordinato l’arresto dell’indagato Garrisi, membro del Consiglio di amministrazione della Stanley.
17.
Contro i decreti di sequestro dei centri trasmissione dati di loro proprietà gli indagati della causa principale hanno proposto istanza di riesame dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno.
18.
Il Tribunale di Ascoli Piceno si richiama alla giurisprudenza della Corte, in particolare alla sentenza 21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti (Racc. pag. I-7289). Osserva tuttavia che le questioni sorte nella causa dinanzi ad esso pendente non sono pienamente riconducibili alle fattispecie già esaminate dalla Corte nella menzionata sentenza Zenatti. Le recenti modifiche della legge n. 401/89 richiederebbero un nuovo esame della questione da parte della Corte.
19.
A tale riguardo il Tribunale di Ascoli Piceno si riferisce ai lavori parlamentari relativi alla legge n. 388/00, dai quali emergerebbe che le restrizioni introdotte da quest’ultima nella legge n. 401/89 sarebbero state dettate prioritariamente dall’esigenza di salvaguardare la categoria dei <Totoricevitori> sportivi, categoria imprenditoriale privata. Detto giudice afferma di non ravvisare, in tali restrizioni, alcuna preoccupazione di ordine pubblico che possa giustificare la limitazione dei diritti garantiti dalla normativa comunitaria o costituzionale.
20.
Detto giudice sottolinea che la liceità dell’attività di raccolta e di trasmissione delle scommesse su eventi sportivi esteri, ricavabile dall’originaria formulazione dell’art. 4 della legge n. 401/89, aveva provocato la nascita e lo sviluppo di una rete di operatori che avevano investito capitali e creato infrastrutture nel settore del giuoco e delle scommesse. Tali operatori avrebbero visto improvvisamente messa in discussione la regolarità della loro posizione in seguito alle modifiche normative introdotte con la legge n. 388/00 contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare su eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione dello Stato.
21.
Il giudice del rinvio si pone la questione del rispetto del principio di proporzionalità con riguardo, da un canto, al rigore del divieto previsto, accompagnato da sanzioni penali tali da rendere praticamente impossibile per le imprese o per gli operatori comunitari legalmente costituiti lo svolgimento in Italia di attività economiche nel settore del giuoco e delle scommesse, e, d’altro canto, con riguardo all’importanza dell’interesse pubblico interno protetto cui vengono sacrificate le libertà sancite dal diritto comunitario.
22.
Il Tribunale di Ascoli Piceno ritiene peraltro di doversi interrogare sulla rilevanza dell’apparente discrasia esistente tra la normativa interna di rigoroso contenimento delle attività di accettazione delle scommesse sportive da parte delle imprese comunitarie estere, da un lato, e la forte espansione del giuoco e delle scommesse che lo Stato italiano persegue sul piano nazionale con finalità di raccolta di risorse per l’Erario, dall’altro.
23.
Il detto giudice osserva che il procedimento dinanzi ad esso pendente solleva, da un lato, questioni di diritto interno relative alla compatibilità delle modifiche legislative apportate all’art. 4 della legge n. 401/89 con la Costituzione italiana, che tutela l’iniziativa economica privata per le attività non assoggettate ad imposizione fiscale da parte dello Stato e, dall’altro, questioni relative all’incompatibilità della norma contenuta nella detta disposizione con la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi transfontalieri. Con riguardo alle questioni di diritto interno così formulate, il Tribunale di Ascoli Piceno ha adito la Corte costituzionale.
24.
Ciò premesso, il Tribunale di Ascoli Piceno ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
<Se vi sia incompatibilità, con conseguenti effetti nell’ordinamento giuridico interno, tra gli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE in materia di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfontalieri, da un canto, e, d’altro canto, una normativa nazionale quale quella italiana di cui agli artt. 4, primo comma e segg., 4 bis e 4 ter della legge n. 401/89 (come da ultimo modificata con l’art. 37, quinto comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388) contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgimento delle attività, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare, su eventi sportivi, in assenza di presupposti concessori e autorizzatori prescritti dal diritto interno>.
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni presentate alla Corte
25.
Il sig. {Gambelli} e altri osservano che, vietando ai cittadini italiani di collaborare con società straniere al fine di effettuare scommesse e di ricevere in tal modo i servizi offerti da tali società via Internet, proibendo agli intermediari italiani di offrire le scommesse gestite dalla Stanley, impedendo a quest’ultima di stabilirsi in Italia mediante i detti intermediari e di offrire così in tale Stato i propri servizi provenienti da un altro Stato membro e, dunque, creando e mantenendo un monopolio nel settore del giuoco e delle scommesse, la normativa oggetto della causa principale costituisce una restrizione sia alla libertà di stabilimento sia alla libera prestazione di servizi. Tale restrizione non potrebbe essere giustificata alla luce della giurisprudenza della Corte risultante dalle sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039), 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a. (Racc. pag. I-6067), e Zenatti, citata supra, poiché la Corte non avrebbe avuto modo di esaminare le modifiche introdotte nella detta normativa dalla legge n. 388/00 e non avrebbe esaminato la problematica sotto il profilo della libertà di stabilimento.
26.
A tale riguardo gli indagati nella causa principale sottolineano che lo Stato italiano non persegue alcuna politica coerente finalizzata a limitare ovvero a sopprimere le attività di giuoco, ai sensi delle menzionate sentenze Läärä e a., punto 37, e Zenatti, punto 36. Le preoccupazioni dedotte dalle autorità nazionali con riguardo alla tutela degli scommettitori contro i pericoli di frode, alla salvaguardia dell’ordine pubblico o alla riduzione delle occasioni di giuoco per evitare le conseguenze dannose delle scommesse, sia sul piano individuale che sociale, e con riguardo all’incitamento alla spesa che queste ultime costituiscono, sarebbero destituite di fondamento dal momento che lo Stato incrementa l’offerta di giuochi e di scommesse e incita anche i singoli a ricorrere a tali giuochi facilitando il sistema di raccolta per aumentare gli introiti fiscali. La circostanza che l’organizzazione delle scommesse sia disciplinata da leggi finanziarie indicherebbe la reale motivazione, di natura economica, delle autorità nazionali.
27.
La finalità della normativa italiana consisterebbe parimenti nel proteggere i concessionari del monopolio nazionale rendendo quest’ultimo impenetrabile per gli operatori degli altri Stati membri, atteso che i bandi di gara prevedono criteri riguardanti la struttura proprietaria che non possono essere soddisfatti da una società di capitali quotata in borsa, ma solo da persone fisiche, e che essi impongono il requisito di disporre di locali e di essere concessionari di lunga data.
28.
Gli indagati della causa principale sostengono che è difficile ammettere che una società quale la Stanley, operante in modo assolutamente legittimo e debitamente controllata nel Regno Unito, venga trattata dal legislatore italiano al pari di un operatore che pratichi l’organizzazione di giuochi clandestini, quando tutti gli elementi connessi con l’interesse pubblico sono tutelati dalla normativa britannica e gli operatori intermediari italiani, contrattualmente legati alla detta società quali sedi secondarie o filiali, sono iscritti all’ordine dei fornitori di servizi e registrati presso il Ministero delle Poste e delle Comunicazioni, con il quale operano e dal quale sono periodicamente sottoposti a controlli e verifiche.
29.
Tale situazione, rilevante sotto il profilo della libertà di stabilimento, si porrebbe in contrasto con il principio del reciproco riconoscimento nei settori non ancora armonizzati. Essa violerebbe, del pari, il principio di proporzionalità, tanto più che la sanzione penale dovrebbe costituire l’extrema ratio alla quale uno Stato membro può ricorrere quando altre misure o strumenti non siano in grado di fornire una tutela adeguata dei beni da proteggere. Orbene, per effetto della normativa italiana, il giocatore che si trovi sul territorio italiano non solo sarebbe privato della possibilità di rivolgersi ai bookmakers stabiliti in un altro Stato membro, ancorché mediante l’intermediazione di operatori stabiliti in Italia, ma sarebbe anche passibile di sanzione penale.
30.
I governi italiano, belga, ellenico, spagnolo, francese, lussemburghese, portoghese, finlandese e svedese, nonché la Commissione si richiamano alla giurisprudenza della Corte, in particolare alle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti.
31.
Il governo italiano richiama la sentenza Zenatti, citata supra, al fine di giustificare la compatibilità della legge n. 401/89 con la normativa comunitaria in materia di libera prestazione dei servizi, nonché di libertà di stabilimento. Sia l’aspetto preso in considerazione dalla Corte nella detta sentenza, vale a dire l’autorizzazione amministrativa a svolgere l’attività di raccolta e di gestione delle scommesse sul territorio italiano, sia la questione sorta nella causa principale, vale a dire la previsione di una sanzione penale che vieta tale attività allorché è prestata da operatori che non facciano parte del sistema di monopolio statale in materia di scommesse, perseguirebbero la medesima finalità, costituita dal divieto dell’attività e dalla riduzione delle opportunità concrete di giuoco al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
32.
Secondo il governo belga, un mercato unico dei giuochi d’azzardo potrebbe soltanto indurre i consumatori a sperperare somme maggiori e comporterebbe rilevanti conseguenze dannose per la società. Il livello di tutela introdotto dalla legge n. 401/89 ed il sistema restrittivo di autorizzazione sarebbero idonei ad assicurare la realizzazione di obiettivi di interesse generale, quali la limitazione e il controllo rigoroso dell’offerta dei giuochi nonché delle scommesse, e sarebbe proporzionale ai detti obiettivi, senza comportare alcuna discriminazione in base alla nazionalità.
33.
Il governo ellenico ritiene che l’organizzazione dei giuochi d’azzardo e delle scommesse su eventi sportivi debba rimanere sotto il controllo dello Stato ed essere esercitata sotto forma di monopolio. Il suo esercizio da parte di enti privati produrrebbe conseguenze dirette, quali il turbamento dell’ordine pubblico, l’incitamento alla commissione di reati nonché lo sfruttamento degli scommettitori e, più in generale, dei consumatori.
34.
Il governo spagnolo fa valere che sia l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi, mediante un rigoroso regime di autorizzazioni o di concessioni, sia il divieto di apertura di succursali di agenzie straniere ai fini della raccolta di scommesse effettuate in altri Stati membri sono compatibili con la politica di limitazione dell’offerta, sempreché tali misure vengano introdotte con la finalità di ridurre le occasioni di giuoco e lo stimolo della domanda.
35.
Il governo francese sostiene che la circostanza che, nella causa principale, la raccolta delle scommesse si effettui con mezzi telematici e gli eventi sportivi che ne costituiscono l’oggetto si svolgano esclusivamente sul territorio italiano – il che non si verificava nella causa sfociata nella menzionata sentenza Zenatti – non rimetterebbe in questione la giurisprudenza della Corte ai sensi della quale una normativa nazionale che limiti l’esercizio di attività legate a giuochi d’azzardo, alle lotterie ed alle slot machines è compatibile con il principio della libera prestazione dei servizi ove tale normativa sia finalizzata ad obiettivi di interesse generale quali la prevenzione della frode o la protezione dei giocatori dal loro stesso comportamento. Gli Stati membri sarebbero pertanto legittimati a disciplinare l’attività degli operatori in materia di scommesse a condizioni non discriminatorie, l’intensità e la portata delle restrizioni rientrando nei margini di discrezionalità riconosciuti alle autorità nazionali. Spetterebbe pertanto ai giudici degli Stati membri valutare se le autorità nazionali abbiano rispettato la corretta proporzione nella scelta dei mezzi utilizzati, con riguardo al principio della libera prestazione dei servizi.
36.
Quanto alla libertà di stabilimento, il governo francese ritiene che le restrizioni alle attività delle società italiane indipendenti contrattualmente legate alla Stanley non pregiudichino il diritto del detto bookmaker di stabilirsi liberamente in Italia.
37.
Secondo il governo lussemburghese, la normativa italiana costituisce un ostacolo all’esercizio di un’attività di organizzazione di scommesse in Italia, poiché impedisce alla Stanley l’esercizio delle proprie attività sul territorio italiano, vuoi direttamente mediante la libera prestazione di servizi transfontalieri, vuoi indirettamente con l’intermediazione di agenzie italiane connesse via Internet. La detta normativa costituirebbe, al contempo, un ostacolo alla libertà di stabilimento. Tuttavia, tali restrizioni sarebbero giustificate in quanto perseguono obiettivi di interesse generale, quali la preoccupazione di incanalare e controllare il desiderio di giocare, e sono idonee e proporzionate rispetto ai detti obiettivi, in quanto non comportano discriminazioni riguardanti la nazionalità, dal momento che sia gli organismi italiani sia quelli con sede all’estero devono ottenere la stessa licenza rilasciata dal Ministro delle Finanze per poter esercitare sul territorio italiano le attività di organizzazione, accettazione e raccolta di scommesse.
38.
Il governo portoghese sottolinea la rilevanza della questione oggetto della causa principale ai fini del mantenimento, in Italia come in tutti gli Stati membri, della gestione delle lotterie in regime di monopolio pubblico, nonché ai fini di assicurare un’importante fonte di entrate per gli Stati, che sostituisca la riscossione coercitiva di imposte e che serva a finanziare le politiche sociali, culturali e sportive. Per quanto riguarda il giuoco d’azzardo, l’economia di mercato e la libera concorrenza implicherebbero una ridistribuzione antisociale dei fondi raccolti tramite il giuoco, dal momento che tali fondi tenderebbero a spostarsi da paesi in cui il complesso degli importi delle scommesse è modesto a paesi in cui tale importo è più considerevole e l’ammontare dei premi più interessante. Gli scommettitori dei piccoli Stati membri finanzierebbero pertanto il bilancio sociale, culturale e sportivo degli Stati membri più grandi e, negli Stati membri più piccoli, la diminuzione delle entrate dei giuochi costringerebbe i rispettivi governi a finanziare altrimenti l’azione sociale pubblica e le altre attività sociali, sportive e culturali dello Stato, il che comporterebbe, nei piccoli Stati, un aumento delle imposte e, negli Stati grandi, una diminuzione delle imposte. La spartizione del mercato del lotto e delle lotterie statali fra tre o quattro grandi gestori nell’Unione europea produrrebbe peraltro cambiamenti strutturali nelle reti di distribuzione di giuochi legittimamente gestite dagli Stati, provocando la soppressione di numerosi posti di lavoro e un divario tra i livelli di disoccupazione dei diversi Stati membri.
39.
Il governo finlandese si richiama, in particolare, alla menzionata sentenza Läärä e a., nella quale la Corte avrebbe riconosciuto che la necessità e la proporzionalità delle disposizioni emanate da uno Stato membro devono essere valutate soltanto alla stregua degli obiettivi perseguiti dalle autorità nazionali di tale Stato e del livello di tutela che intendono assicurare, cosicché spetterebbe al giudice del rinvio verificare se, in considerazione delle sue concrete modalità di applicazione, la normativa nazionale consenta di conseguire gli obiettivi che ne giustificano l’esistenza e se le restrizioni siano proporzionate rispetto agli obiettivi medesimi, fermo restando che tale normativa deve trovare applicazione indistintamente nei confronti di tutti gli operatori, siano essi italiani o provenienti da un altro Stato membro.
40.
Secondo il governo svedese, la circostanza che l’introduzione di restrizioni alla libera prestazione di servizi sia finalizzata ad interessi di natura fiscale non consente di concludere che tali restrizioni siano in contrasto con il diritto comunitario, sempreché siano proporzionate e non discriminatorie tra gli operatori, il che spetta al giudice del rinvio accertare. Le modifiche apportate alla normativa italiana dalla legge n. 388/00 consentono di vietare a un ente al quale sia stata negata l’autorizzazione alla raccolta di scommesse in Italia di eludere la legge esercitando la propria attività da un altro Stato membro e vietano ad enti stranieri che organizzano scommesse nel proprio paese di esercitare in Italia la loro attività. Come la Corte ha già avuto modo di affermare ai punti, rispettivamente, 36 e 34 delle menzionate sentenze Läärä e a. e Zenatti, la sola circostanza che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela diverso da quello adottato da un altro Stato membro non può incidere sulla valutazione della necessità e della proporzionalità delle disposizioni adottate in materia.
41.
La Commissione delle Comunità europee ritiene che le modifiche legislative di cui alla legge n. 388/00 si limitano ad esplicitare quanto già previsto dalla legge n. 401/89, senza creare una fattispecie di reati completamente nuova. Le ragioni di ordine sociale che inducono a limitare gli effetti nocivi delle attività di scommessa sugli incontri di calcio e che giustificano una normativa nazionale che riservi a determinati enti il diritto di raccogliere tali scommesse restano identiche, indipendentemente dallo Stato membro in cui tali manifestazioni abbiano luogo. La circostanza che, nella menzionata sentenza Zenatti, le manifestazioni sportive oggetto delle scommesse si svolgessero all’estero, mentre nella causa principale gli incontri di calcio hanno luogo in Italia, sarebbe del tutto irrilevante. La Commissione aggiunge che la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (<direttiva sul commercio elettronico>) (GU L 178, pag. 1), non si applica alle scommesse, sicché la questione non dovrebbe essere risolta in modo diverso rispetto alla detta sentenza.
42.
La Commissione osserva che la causa non deve essere esaminata sotto il profilo della libertà di stabilimento, dal momento che le agenzie gestite dagli indagati nella causa principale sono indipendenti ed agiscono quali centri di raccolta delle scommesse e come intermediarie nelle relazioni tra i loro clienti italiani e la Stanley, al di fuori di ogni rapporto di subordinazione nei confronti di quest’ultima. Tuttavia, anche se si dovesse ipotizzare l’applicabilità delle disposizioni sul diritto di stabilimento, le restrizioni introdotte dalla normativa italiana sarebbero giustificate dalle stesse ragioni di politica sociale riconosciute dalla Corte nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti con riguardo alla restrizione della libera prestazione dei servizi.
43.
All’udienza, la Commissione ha comunicato alla Corte di aver avviato un procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica italiana relativo alla liberalizzazione del settore delle scommesse ippiche gestite dall’UNIRE. Quanto al settore del lotto, che è liberalizzato, la Commissione ha ricordato la sentenza 26 aprile 1994, causa C-272/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1409), nella quale la Corte ha affermato che la Repubblica italiana, avendo riservato la partecipazione a un bando di gara relativo ad un appalto-concorso per la concessione del sistema di automazione del giuoco del lotto soltanto ad enti, società, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione pubblica, è venuta meno agli obblighi che le incombono, in particolare, ai sensi del Trattato CE.
Pronuncia della Corte
44.
Occorre esaminare, in primo luogo, se una normativa quale la legge n. 401/89 di cui alla causa principale costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.
45.
Si deve ricordare che le restrizioni alla libertà di stabilimento da parte dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, ivi comprese le restrizioni all’apertura di agenzie, di succursali o di filiali, sono vietate dall’art. 43 CE.
46.
Laddove una società, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro, effettui un’attività di raccolta di scommesse con l’intermediazione di una organizzazione di agenzie situate in un altro Stato membro, quali le agenzie degli indagati di cui alla causa principale, le restrizioni imposte alle attività di tali agenzie costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento.
47.
Inoltre, in risposta ai quesiti posti dalla Corte all’udienza, il governo italiano ha riconosciuto che la normativa italiana relativa ai bandi di gara per le attività di scommessa in Italia contiene restrizioni. Secondo il detto governo, la circostanza che nessun ente abbia ottenuto l’omologazione per tali attività, salvo quello detentore del monopolio nel settore, troverebbe spiegazione nel fatto che la normativa italiana è concepita in modo tale che solo alcuni soggetti possano ottenere la concessione.
48.
Orbene, nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari del settore delle scommesse relative ad eventi sportivi in Italia è dovuta alla circostanza che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni, la detta normativa costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di stabilimento, anche se tale restrizione si impone indistintamente a tutte le società di capitali potenzialmente interessate da tali concessioni, indipendentemente dal fatto che abbiano sede in Italia o in un altro Stato membro.
49.
Non si può pertanto escludere che i requisiti dettati dalla normativa italiana per partecipare ai bandi di gara, ai fini dell’attribuzione delle dette concessioni, costituiscano parimenti un ostacolo alla libertà di stabilimento.
50.
In secondo luogo, si deve esaminare se la detta normativa costituisca una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
51.
L’art. 49 CE vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. L’art. 50 qualifica <servizi> le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
52.
La Corte ha già affermato che l’importazione di documenti pubblicitari e di biglietti di lotteria in uno Stato membro per far partecipare gli abitanti di detto Stato membro ad una lotteria organizzata in un altro Stato membro si ricollega ad un’attività di <servizi> (sentenza Schindler, citata supra, punto 37). Analogicamente, l’attività consistente nel far partecipare i cittadini di uno Stato membro a giuochi di scommesse organizzati in un altro Stato membro, ancorché aventi ad oggetto eventi sportivi organizzati nel primo Stato membro, si ricollega ad un’attività di <servizi> ai sensi dell’art. 50 CE.
53.
La Corte ha affermato, del pari, che l’art. 49 CE dev’essere interpretato nel senso che esso concerne i servizi che un prestatore offre telefonicamente a potenziali destinatari stabiliti in altri Stati membri e che questi fornisce senza spostarsi dallo Stato membro nel quale è stabilito (sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc. pag. I-1141, punto 22).
54.
Applicando tale interpretazione alla problematica della causa principale, ne consegue che l’art. 49 CE riguarda i servizi che un prestatore quale la Stanley, con sede in uno Stato membro, nella specie il Regno Unito, offre via Internet – e dunque senza spostarsi – a destinatari che si trovino in un altro Stato membro, nella specie la Repubblica italiana, sicché ogni restrizione a tali attività costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi da parte di un tale prestatore.
55.
Inoltre, la libera prestazione dei servizi comprende non solo la libertà del prestatore di offrire ed effettuare servizi per destinatari stabiliti in uno Stato membro diverso da quello sul cui territorio si trovi il detto prestatore, ma anche la libertà di ricevere o beneficiare, in quanto destinatario, dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, senza essere impedito da restrizioni (v., in tal senso, sentenze 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 16, e 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punti 33 e 34).
56.
Orbene, rispondendo ai quesiti posti dalla Corte all’udienza, il governo italiano ha confermato che l’attività di un privato che si connette in Italia dal proprio domicilio, via Internet, con un bookmaker stabilito in un altro Stato membro, facendo uso della propria carta di credito quale mezzo di pagamento, costituisce un reato ai sensi dell’art. 4 della legge n. 401/89.
57.
Tale divieto, penalmente sanzionato, di partecipare a scommesse organizzate in Stati membri diversi da quello sul cui territorio risiede il giocatore, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
58.
Lo stesso vale per il divieto, del pari penalmente sanzionato, nei confronti degli intermediari, quali gli indagati nella causa principale, di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del bookmaker alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi.
59.
Si deve pertanto rilevare che una normativa nazionale quale la legislazione italiana sulle scommesse, in particolare l’art. 4 della legge n. 401/89, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi.
60.
Ciò premesso, occorre esaminare se tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale.
61.
Quanto agli argomenti fatti valere, in particolare, dai governi ellenico e portoghese al fine di giustificare le restrizioni ai giuochi di azzardo e alle scommesse, è sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la riduzione o la diminuzione delle entrate fiscali non rientra fra i motivi enunciati all’art. 46 CE e non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 28, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56).
62.
Come si evince dal punto 36 della menzionata sentenza Zenatti, le restrizioni devono perseguire in ogni caso l’obiettivo di un’autentica riduzione delle opportunità di giuoco e il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giuochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la reale giustificazione, della politica restrittiva attuata.
63.
Per contro, come ricordato sia dai governi che hanno presentato osservazioni sia dalla Commissione, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha affermato che le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giuochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine sociale.
64.
In ogni caso, per risultare giustificate, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37).
65.
Ai sensi di tale giurisprudenza, infatti, le dette restrizioni devono, in primo luogo, essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale; in secondo luogo, devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, devono essere applicate in modo non discriminatorio.
66.
Spetta al giudice del rinvio stabilire se, nella causa principale, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi previste dalla legge n. 401/89 rispettino tali requisiti. A tal fine, il detto giudice dovrà tener conto degli elementi precisati nei punti seguenti.
67.
Anzitutto, anche se, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha ammesso che le restrizioni alle attività di giuoco possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco, occorre tuttavia che le restrizioni fondate su tali motivi e sulla necessità di prevenire turbative all’ordine sociale siano idonee a garantire la realizzazione dei detti obiettivi, nel senso che tali restrizioni devono contribuire a limitare le attività di scommessa in modo coerente e sistematico.
68.
A tale riguardo, riferendosi ai lavori preparatori della legge n. 388/00, il giudice del rinvio ha sottolineato che lo Stato italiano persegue, a livello nazionale, una politica di forte espansione del giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i concessionari del CONI.
69.
Orbene, laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della causa principale.
70.
Inoltre, le restrizioni imposte dalla normativa italiana in materia di bandi di gara devono essere indistintamente applicabili, vale a dire con le stesse modalità e con gli stessi criteri agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri.
71.
Spetterà al giudice del rinvio esaminare se i requisiti di partecipazione ai bandi di gara per le concessioni relative alla gestione di scommesse su eventi sportivi siano fissati in termini tali da poter essere soddisfatti, in pratica, più facilmente dagli operatori italiani che non da quelli stranieri. In tale ipotesi, i detti requisiti non rispetterebbero il criterio di non discriminazione.
72.
Infine, le restrizioni imposte dalla normativa italiana non devono eccedere quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito. A tal riguardo, il giudice del rinvio dovrà esaminare se la sanzione penale irrogata a chiunque effettui scommesse dal proprio domicilio in Italia via Internet con un bookmaker situato in un altro Stato membro non sia sproporzionata alla luce della giurisprudenza della Corte (v. sentenze 29 febbraio 1996, causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos, Racc. pag. I-929, punti 34-39, e 25 luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punti 89-91), soprattutto dal momento che la partecipazione alle scommesse viene incoraggiata allorché si svolge nel contesto di giuochi organizzati da enti nazionali autorizzati.
73.
Il giudice del rinvio dovrà inoltre chiedersi se la circostanza di imporre restrizioni penalmente sanzionate sino a un anno di arresto per gli intermediari che facilitino la prestazione di servizi da parte di un bookmaker stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti servizi sono offerti, mettendo a disposizione degli scommettitori nei propri locali la connessione via Internet con il bookmaker, costituisca una restrizione che ecceda quanto necessario per la lotta alla frode, soprattutto in considerazione del fatto che il prestatore di servizi è sottoposto, nello Stato membro in cui è stabilito, ad un sistema normativo di controlli e sanzioni, gli intermediari sono legittimamente costituiti e, prima delle modifiche normative di cui alla legge n. 388/00, tali intermediari si ritenevano autorizzati a trasmettere scommesse su eventi sportivi esteri.
74.
Quanto alla proporzionalità della normativa italiana con riguardo alla libertà di stabilimento, anche se l’obiettivo perseguito dalle autorità di uno Stato membro è quello di evitare il rischio che i concessionari dei giuochi siano implicati in attività criminali o fraudolente, escludere la possibilità per le società di capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri di ottenere concessioni per la gestione di scommesse sportive, soprattutto quando esistano altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività delle dette società, può risultare una misura eccessiva rispetto a quanto necessario per impedire la frode.
75.
Spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
76.
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la questione pregiudiziale deve essere risolta nel senso che una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
Sulle spese
77.
Le spese sostenute dai governi italiano, belga, ellenico, spagnolo, francese, lussemburghese, portoghese, finlandese e svedese, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
P.Q.M.
LA CORTE,
pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza 30 marzo 2001, dichiara:
Una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 novembre 2003.
Sentenza c.d. “PLACANICA”
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, n. 338/04
interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che escluda e per di più continui a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, n. 338/04
Una normativa nazionale che vieti l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, n. 359/04
Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 e 49 Trattato 25 marzo 1957.
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, n. 360/04
Gli artt. 43 e 49 Trattato 25 marzo 1957 devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, n. 360/04
Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 e 49 Trattato 25 marzo 1957.
Nei procedimenti riuniti C-338/04, C-359/04 e C-360/04,
aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Larino (C-(C-338/04) e dal Tribunale di Teramo (C-359/04 e C-360/04) con decisioni 8 e 31 luglio 2004, pervenute in cancelleria 2004, nei procedimenti penali a carico di
{Massimiliano Placanica} (C-338/04),
{Christian Palazzese} (C-359/04),
{Angelo Sorricchio} (C-360/04),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e K. Lenaerts, presidenti di sezione, dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann (relatore), G. Arestis, A. Borg Barthet e M. Ile?i-, giudici,
avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 marzo 2006,
considerate le osservazioni presentate:
– per i sigg. {Placanica} e {Palazzese}, dall’avv. D. Agnello;
– per il sig. {Sorricchio}, dagli avv.ti R.A. Jacchia, A. Terranova, I. Picciano e F. Ferraro;
– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dai sigg. A. Cingolo e F. Sclafani, avvocati dello Stato (C-(C-338/04, C-359/04 e C-360/04);
– per il governo belga, inizialmente dalla sig.ra D. Haven, successivamente dal sig. M. Wimmer, in qualità di agenti, assistiti dai sigg. P. Vlaemminck e S. Verhulst, advocaten (C-338/04);
– per il governo tedesco, dal sig. C.-D. Quassowski e dalla sig.ra C. Schulze-Bahr, in qualità di agenti (C-338/04);
– per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente (C-338/04, C-359/04 e C-360/04);
– per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra C. Bergeot-Nunes, in qualità di agenti (C-338/04);
– per il governo austriaco, dal sig. H. Dossi, in qualità di agente (C-338/04, C-359/04 e C-360/04);
– per il governo portoghese, dal sig. L.I. Fernandes e dalla sig.ra A.P. Barros, in qualità di agenti (C-338/04, C-359/04 e C-360/04), assistiti dal sig. J.L. da Cruz Vilaça, advogado (C-338/04);
– per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente (C-338/04);
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. E. Traversa, in qualità di agente (C-338/04, C-359/04 e C-360/04),
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2006,
ha pronunciato la seguente
(Torna su ) FATTO
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali a carico dei sigg. {Placanica}, {Palazzese} e {Sorricchio} per violazione della normativa italiana relativa alla raccolta di scommesse. Esse si inseriscono in contesti normativi e di fatto analoghi a quelli che hanno dato luogo alle sentenze 21 ottobre 1999, Zenatti (causa C-67/98, Racc. pag. I-7289), e 6 novembre 2003, Gambelli e a. (causa C-243/01, Racc. pag. I-13031).
Ambito normativo
3 La normativa italiana stabilisce, in sostanza, che la partecipazione all’organizzazione di giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse, è sottoposta all’ottenimento di una concessione e di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione di tale normativa è passibile di sanzioni penali che possono andare fino ad una pena detentiva di tre anni.
Le concessioni
4 L’attribuzione delle concessioni per l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi era gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il <CONI>) e dall’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (in prosieguo: l'<UNIRE>), che erano abilitati ad organizzare le scommesse connesse con manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il loro controllo. Questo risultava dal combinato disposto del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (GURI n. 118 del 14 aprile 1948), dell’art. 3, n. 229, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 1995), e dell’art. 3, n. 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1996).
5 Norme specifiche per l’attribuzione delle concessioni sono state fissate dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 giugno 1998, n. 174 (GURI n. 129 del 5 giugno 1998; in prosieguo: il <decreto n. 174/98>), per quanto riguarda il CONI, e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 (GURI n. 125 del 1° giugno 1998), per quanto riguarda l’UNIRE.
6 Quanto alle concessioni rilasciate dal CONI, il decreto n. 174/98 prevedeva che l’attribuzione avvenisse tramite gara. In tale attribuzione il CONI doveva in particolare garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari e una razionale distribuzione dei punti di raccolta e di accettazione delle scommesse nel territorio nazionale.
7 Al fine di assicurare la trasparenza dell’azionariato, l’art. 2, n. 6, del decreto n. 174/98 prevedeva che, nel caso in cui il concessionario fosse costituito in forma di società di capitali, le azioni aventi diritto di voto dovevano essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice, e non potessero essere trasferite per semplice girata.
8 Le disposizioni relative all’attribuzione di concessioni da parte dell’UNIRE erano analoghe.
9 Nel 2002 le competenze del CONI e dell’UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi sono state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
10 In forza di una modifica introdotta in tale occasione dall’art. 22, n. 11, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Supplemento ordinario alla GURI n. 305 del 31 dicembre 2002; in prosieguo: la <legge finanziaria per il 2003>), tutte le società di capitali, senza limitazione alcuna relativamente alla loro forma, possono ormai partecipare alle gare per l’attribuzione delle concessioni.
Le autorizzazioni di polizia
11 Un’autorizzazione di polizia può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse. Queste condizioni per l’attribuzione risultano dall’art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), come modificato dall’art. 37, n. 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000; in prosieguo: il <regio decreto>).
12 Inoltre, in forza del combinato disposto degli artt. 11 e 14 del regio decreto, l’autorizzazione di polizia non può essere rilasciata ad un soggetto che ha subito una condanna a determinate pene o per particolari delitti, in particolare per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o per violazione della normativa relativa ai giochi d’azzardo.
13 Una volta rilasciata l’autorizzazione, il titolare, in forza dell’art. 16 del regio decreto, deve consentire che le forze dell’ordine accedano, in qualsiasi momento, ai locali destinati all’esercizio dell’attività soggetta ad autorizzazione.
Le sanzioni penali
14 L’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive (GURI n. 294 del 18 dicembre 1989), come modificata dall’art. 37, n. 5, della legge n. 388 (in prosieguo: la <legge n. 401/89>) prevede le seguenti sanzioni penali per l’esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa:
<1. Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal [CONI], dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall'[UNIRE]. Chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione (-).
2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
(-)
4 bis Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero.
(-)>.
La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione
15 Nella sua sentenza 26 aprile 2004, n. 111/04 (in prosieguo: la <sentenza Gesualdi>), la Corte Suprema di Cassazione ha esaminato la compatibilità della normativa italiana in materia di giochi d’azzardo con gli artt. 43 CE e 49 CE. Da quanto risulta dalla sua analisi, tale giudice è pervenuto alla conclusione che la detta normativa non è incompatibile con gli artt. 43 CE e 49 CE.
16 Nella sentenza Gesualdi, la Corte Suprema di Cassazione constata che il legislatore italiano persegue da diversi anni una politica espansiva nel settore dei giochi di azzardo allo scopo evidente di aumentare le entrate fiscali e che la normativa italiana non potrebbe essere in alcun modo giustificata in base a scopi legati alla tutela dei consumatori o consistenti nel limitare la propensione al gioco dei consumatori o nel contenere l’offerta di gioco. Essa ha piuttosto individuato quale scopo reale della normativa italiana l’intenzione di canalizzare le attività di gioco d’azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale. Per tali motivi, la normativa italiana sottoporrebbe a controllo e vigilanza i soggetti che esercitano la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici ed i luoghi in cui tale esercizio è svolto. La Corte Suprema di Cassazione ha giudicato che questi obiettivi, in quanto tali, possono giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
17 Per quanto riguarda le condizioni miranti a garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari, condizioni che avevano in particolare per effetto di escludere dalle gare per le concessioni le società i cui singoli azionisti non erano identificabili in qualsiasi momento, la Corte Suprema di Cassazione constata nella sentenza Gesualdi che la normativa italiana non opera alcuna discriminazione, neanche indiretta, a danno delle società straniere, poiché ha per effetto di escludere non solo le società di capitali straniere i cui azionisti non possono essere identificati con precisione, ma anche tutte le società di capitali italiane i cui azionisti non possono essere identificati con precisione.
Cause principali e questioni pregiudiziali
L’attribuzione di concessioni
18 Dai fascicoli risulta che, ai sensi delle disposizioni della normativa italiana, il CONI ha indetto, in data 11 dicembre 1998, una gara per l’attribuzione di 1 000 concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive, in quanto questo numero di concessioni è stato considerato, sulla base di una specifica valutazione, sufficiente per tutto il territorio nazionale. Simultaneamente, 671 nuove concessioni sono state messe a concorso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in accordo con il Ministero delle Politiche agricole e forestali per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche e 329 concessioni esistenti sono state automaticamente rinnovate.
19 L’applicazione delle disposizioni relative alla trasparenza dell’azionariato in vigore all’epoca di dette gare ha avuto in particolare l’effetto di escludere dalle gare gli operatori costituiti in forma di società le cui azioni erano quotate nei mercati regolamentati, in quanto per tali società l’identificazione costante e precisa dei singoli azionisti era impossibile. In seguito a queste gare, nel 1999 sono state attribuite alcune concessioni valide per sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni.
La società Stanley International Betting Ltd
20 La Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la <Stanley>) è una società di diritto inglese appartenente al gruppo Stanley Leisure plc, società di diritto inglese quotata alla Borsa di Londra (Regno Unito). Entrambe le società hanno la propria sede sociale in Liverpool (Regno Unito). Il gruppo opera nel settore dei giochi d’azzardo e rappresenta il quarto maggior bookmaker e il primo gestore di case da gioco nel Regno Unito.
21 La Stanley è uno dei canali operativi del gruppo Stanley Leisure plc al di fuori del Regno Unito. Essa è debitamente autorizzata ad operare come allibratore in tale Stato membro in forza di una licenza rilasciata dal Comune di Liverpool ed è assoggettata ai controlli di ordine pubblico e sicurezza da parte delle autorità britanniche, ad accertamenti interni sul regolare svolgimento delle attività, a controlli da parte di una società privata di audit e a controlli da parte del Tesoro e dell’amministrazione doganale del Regno Unito.
22 La Stanley, avendo interesse ad acquisire concessioni per almeno 100 punti di accettazione di scommesse nel territorio italiano, si era informata circa la possibilità di partecipare alle gare, ma si era resa conto di non poter soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell’azionariato per il fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati. Essa non ha quindi preso parte alla gara e non detiene nessuna concessione per la gestione delle scommesse.
I centri di trasmissione dati
23 La Stanley opera in Italia tramite l’intermediazione di oltre duecento agenzie, comunemente denominate <centri di trasmissione dati> (in prosieguo: i <CTD>). Questi ultimi offrono i loro servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso telematico che consente loro di accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito. Gli scommettitori possono in tal modo, per via telematica, inviare alla Stanley proposte di scommesse sportive selezionate all’interno dei programmi di eventi e quotazioni forniti dalla Stanley, nonché ricevere l’accettazione di tali proposte, pagare le loro poste e, se del caso, riscuotere le loro vincite.
24 I CTD sono gestiti da operatori indipendenti legati alla Stanley da contratto. I sigg. {Placanica}, {Palazzese} e {Sorricchio}, imputati nell’ambito dei procedimenti principali, sono, tutti e tre, gestori di CTD legati alla Stanley.
25 Dal fascicolo trasmesso dal Tribunale di Teramo risulta che i sigg. {Palazzese} e {Sorricchio}, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto alla Questura di Atri autorizzazioni di polizia ai sensi dell’art. 88 del regio decreto. Queste domande sono rimaste senza risposta.
La domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Larino (procedimento C-338/04)
26 Il Pubblico Ministero, addebitando al sig. {Placanica} di aver commesso il reato di cui all’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89, ossia di aver esercitato, in qualità di gestore di un CTD per conto della Stanley, un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza l’autorizzazione di polizia richiesta, ha avviato un procedimento penale a suo carico dinanzi al Tribunale di Larino.
27 Tale giudice nutre dubbi relativamente alla fondatezza delle conclusioni cui la Corte Suprema di Cassazione è pervenuta nella sentenza Gesualdi per quanto riguarda la compatibilità dell’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89 con il diritto comunitario. Esso si chiede se gli obiettivi di ordine pubblico invocati dalla Corte Suprema di Cassazione siano idonei a giustificare le restrizioni di cui trattasi.
28 In tale contesto, il Tribunale di Larino ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
<Valuti la Corte adita la conformità della norma di cui all’art. 4, [n.] 4 bis, della legge n. 401/89 con i principi espressi dagli artt. 43 [CE] e segg. e 49 [CE], in materia di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfrontalieri, anche alla luce del contrasto interpretativo emerso nelle decisioni della Corte (-) (in particolare nella Sentenza Ga[m]belli e a. [soprammenzionata]) rispetto alla decisione della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite [nella causa Gesualdi]; in particolare, si chiarisca l’applicabilità della normativa sanzionatoria riportata nell’imputazione e contestata al sig. {Placanica} nello Stato italiano>.
Le domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Teramo (procedimenti C-359/04 e C-360/04)
29 La Questura di Atri, che addebita ai sigg. {Palazzese} e {Sorricchio} di aver esercitato un’attività organizzata al fine di facilitare la raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia, ha proceduto al sequestro preventivo dei loro locali e delle loro attrezzature in forza dell’art. 4, n. 4 bis, della legge n. 401/89. Poiché il Pubblico Ministero ha convalidato i sequestri, i sigg. {Palazzese} e {Sorricchio} hanno proposto, ciascuno, un ricorso contro queste misure di sequestro dinanzi al Tribunale di Teramo.
30 Tale giudice ritiene che le restrizioni imposte alle società di capitali quotate nei mercati regolamentati che hanno impedito loro, nel 1999, di partecipare all’ultima gara per l’attribuzione di concessioni per l’esercizio delle attività di scommessa siano incompatibili con i principi del diritto comunitario poiché operano una discriminazione nei confronti degli operatori non italiani. Di conseguenza, analogamente al Tribunale di Larino, il detto giudice nutre dubbi circa la fondatezza della sentenza Gesualdi.
31 In tale contesto, il Tribunale di Teramo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
<In particolare è necessario al Tribunale [di Teramo] conoscere se [gli artt. 43, primo comma, CE e 49, primo comma, CE] possano essere interpretat[i] nel senso che sia possibile agli Stati membri derogare temporaneamente (per un tempo pari a 6-12 anni) al regime di libertà di stabilimento e di libertà della prestazione di servizi nell’ambito dell’Unione europea, legiferando nel seguente modo, senza determinare un “vulnus” dei richiamati principi comunitari
– attribuendo ad alcuni soggetti concessioni per lo svolgimento di determinate attività di prestazione di servizi, valide per 6/12 anni, sulla base di un regime normativo che aveva portato ad escludere dalla gara di attribuzione talune tipologie di concorrenti (non italiani);
– modificando quel regime giuridico, avendo preso atto successivamente della non conformità di esso ai principi di cui agli artt. 43 [CE] e 49 [CE], nel senso di consentire nel futuro la partecipazione anche a quei soggetti che erano stati esclusi;
– non procedendo alla revoca delle concessioni rilasciate sulla base del precedente regime normativo, come detto, ritenuto lesivo dei principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi e all’indizione di una nuova gara in applicazione della nuova normativa, ora rispettosa di detti principi;
– continuando per contro a perseguire chiunque operi in collegamento con quei soggetti che, [benché] abilitati a tale attività nello Stato membro di origine, erano stati esclusi dalla gara proprio a causa di quelle preclusioni contenute nelle precedenti previsioni normative, in seguito rimosse>.
32 Con una prima ordinanza del presidente della Corte, datata 14 ottobre 2004, i procedimenti C-359/04 e C-360/04 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza. Con una seconda ordinanza del presidente della Corte, del 27 gennaio 2006, è stata disposta la riunione del procedimento C-338/04 con i procedimenti C-359/04 e C-360/04 ai fini della fase sentenza.
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
33 Nel procedimento C-338/04, tutti i governi che hanno presentato osservazioni, ad eccezione del governo belga, mettono in discussione la ricevibilità della questione sottoposta. Per quanto riguarda i procedimenti C-359/04 e C-360/04, i governi italiano e spagnolo nutrono dubbi sulla ricevibilità della questione sottoposta. Relativamente al procedimento C-338/04, i governi portoghese e finlandese sostengono che la decisione di rinvio del Tribunale di Larino non contiene informazioni sufficienti che consentano di fornire una soluzione, mentre, secondo i governi italiano, tedesco, spagnolo e francese, la questione sottoposta riguarda l’interpretazione del diritto nazionale e non quella del diritto comunitario e invita, di conseguenza, la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con il diritto comunitario. I governi italiano e spagnolo operano una riserva identica per quanto riguarda la ricevibilità della questione posta nei procedimenti C-359/04 e C-360/04.
34 Per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite alla Corte nell’ambito di una decisione di rinvio, occorre ricordare che queste informazioni non servono solo a consentire alla Corte di dare soluzioni utili, ma devono anche conferire ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia. A tal fine, risulta da una giurisprudenza costante che è, da un lato, necessario che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dall’altro, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto comunitario ed a ritenere necessaria la formulazione di questioni pregiudiziali alla Corte. In tale contesto, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni comunitarie di cui chiede l’interpretazione e sul nesso che individua tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla causa principale (v., in particolare, in tal senso, sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393, punto 6; 6 dicembre 2005, cause riunite C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA e a., Racc. pag. I-10423, punti 45-47, nonché settembre 2006, causa C-506/04, Wilson, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39).
35 La decisione di rinvio del Tribunale di Larino (procedimento C-338/04) soddisfa questi requisiti. Infatti, in quanto l’ambito normativo nazionale nonché gli argomenti dedotti dalle parti sono in sostanza identici al contesto nel quale si inseriva la sentenza Gambelli e a., sopra menzionata, un rinvio a questa sentenza era sufficiente per consentire sia alla Corte sia ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate di identificare l’oggetto della controversia di cui alla causa principale.
36 Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’art. 234 CE, è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare, sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 19, nonché Wilson, citata, punti 34 e 35).
37 A tale riguardo, l’avvocato generale ha rilevato giustamente, al paragrafo 70 delle sue conclusioni, che il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale dal Tribunale di Larino (procedimento C-338/04) invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto comunitario. Tuttavia, benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa è formulata, nulla le impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.
38 Nella questione pregiudiziale sottoposta dal Tribunale di Teramo (procedimenti C-359/04 e C-360/04) si identificano con gli effetti di una serie di interventi legislativi nazionali e si chiedono alla Corte chiarimenti sulla compatibilità di questi effetti con il Trattato CE. Di conseguenza, con tale questione non si chiede alla Corte a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale o sulla compatibilità di quest’ultimo con il diritto comunitario.
39 Le questioni sottoposte sono pertanto ricevibili.
Sulle questioni pregiudiziali
40 Dai fascicoli trasmessi alla Corte risulta che un operatore che intende esercitare, in Italia, un’attività nel settore dei giochi d’azzardo deve conformarsi ad una normativa nazionale che presenta le seguenti caratteristiche, ossia:
– l’obbligo di ottenere una concessione;
– un sistema di attribuzione delle dette concessioni, mediante una gara che esclude taluni tipi di operatori e, in particolare, le società i cui singoli azionisti non siano identificabili in qualsiasi momento;
– l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, e
– sanzioni penali in caso di violazione della normativa di cui trattasi.
41 Con le questioni pregiudiziali sottoposte, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici nazionali chiedono in sostanza se gli artt. 43 CE e 49 CE si oppongano ad una normativa nazionale relativa ai giochi d’azzardo, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, nella misura in cui tale normativa presenti siffatte caratteristiche.
42 La Corte ha già dichiarato che la normativa nazionale di cui trattasi nelle cause principali, in quanto contiene il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 59 e dispositivo).
43 Da un lato, le restrizioni imposte ad intermediari quali gli imputati nelle cause principali costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento di società stabilite in un altro Stato membro, quali la Stanley, che effettuano un’attività di raccolta di scommesse in altri Stati membri per il tramite di un’organizzazione di agenzie, quali i CTD gestiti dagli imputati nella causa principale (v. sentenza Gambelli e a., citata, punto 46).
44 D’altra parte, il divieto imposto a intermediari quali gli imputati nelle cause principali di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, costituisce una restrizione al diritto del detto prestatore alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 58).
45 Ciò premesso, occorre esaminare se le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 60).
46 A tale riguardo, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, Racc. pag. I-I-I-1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, punti 32 e 33; Zenatti, citata, punti 30 e nonché Gambelli e a., citata, punto 67).
47 In tale contesto, le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine sociale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 63).
48 A tal riguardo anche se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito, le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.
49 Di conseguenza, occorre esaminare separatamente per ciascuna delle restrizioni imposte dalla normativa nazionale in particolare se essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito dallo Stato membro interessato e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, queste restrizioni devono essere applicate in modo non discriminatorio (v., in tal senso, sentenze Gebhard, citata, punto 37; Gambelli e a., citata, punti 64 e 65, nonché 13 novembre 2003, causa C-42/02, Lindman, Racc. pag. I-13519, punto 25).
Sul requisito di una concessione
50 Al fine di poter operare nel settore dei giochi d’azzardo in Italia, un operatore deve ottenere una concessione. In forza del sistema di concessioni utilizzato, il numero di operatori è limitato. Per quanto riguarda l’accettazione di scommesse, il numero di concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive diverse dalle competizioni ippiche e il numero di concessioni per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche sono, ciascuno, limitati a 1 000.
51 Occorre rilevare innanzi tutto che il fatto che questo numero di concessioni per le due categorie, come risulta dai fascicoli, sia stato considerato <sufficiente> per tutto il territorio nazionale sulla base di una valutazione specifica non può di per sé giustificare gli ostacoli alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che derivano da tale limitazione.
52 Per quanto riguarda gli obiettivi che possono giustificare tali ostacoli, nel presente contesto deve essere operata una distinzione tra, da un lato, l’obiettivo mirante a ridurre le occasioni di gioco e, dall’altro, nella misura in cui i giochi d’azzardo sono autorizzati, l’obiettivo mirante a lottare contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati.
53 Relativamente al primo tipo di obiettivo, dalla giurisprudenza risulta che, anche se possono, in via di principio, essere giustificate restrizioni del numero degli operatori, tali restrizioni devono in ogni caso rispondere all’intento di ridurre considerevolmente le opportunità di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, citate sentenze Zenatti, punti 35 e 36, nonché Gambelli e a., punti 62 e 67).
54 Ora, è pacifico, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l’offerta di giochi.
55 Infatti, è il secondo tipo di obiettivo, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività di gioco d’azzardo per fini criminali o fraudolenti canalizzandole in circuiti controllabili, che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi nelle cause principali sia dalla Corte Suprema di Cassazione sia dal governo italiano nelle sue osservazioni presentate dinanzi alla Corte. In tale ottica, una politica di espansione controllata del settore dei giochi d’azzardo può essere del tutto coerente con l’obiettivo mirante ad attirare giocatori che esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività autorizzate e regolamentate. Come hanno rilevato in particolare i governi belga e francese, al fine di raggiungere questo obiettivo, gli operatori autorizzati devono costituire un’alternativa affidabile, ma al tempo stesso attraente, ad un’attività vietata, il che può di per sé comportare l’offerta di una vasta gamma di giochi, una pubblicità di una certa portata e il ricorso a nuove tecniche di distribuzione.
56 Il governo italiano ha del resto menzionato elementi di fatto quali, in particolare, un’indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse realizzata dalla sesta commissione permanente (Finanze e Tesoro) del Senato italiano. Tale indagine conoscitiva ha concluso che le attività di giochi e di scommesse clandestine vietate in quanto tali costituiscono un problema rilevante in Italia al quale potrebbe porre rimedio un’espansione di attività autorizzate e regolamentate. Pertanto, secondo la detta indagine conoscitiva, la metà del fatturato totale del settore dei giochi d’azzardo in Italia deriva da queste attività illegali. È stato quindi ritenuto realizzabile, estendendo attività di giochi e di scommesse autorizzate dalla legge, recuperare dalle dette attività illegali una parte del fatturato per un importo almeno equivalente a quello che deriva dalle attività autorizzate dalla legge.
57 Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Per contro, la Corte non dispone di elementi di fatto sufficienti per valutare, in quanto tale, la limitazione del numero globale delle concessioni in relazione ai requisiti derivanti dal diritto comunitario.
58 Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. Inoltre, spetterà ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.
Sui bandi di gara
59 Il Tribunale di Teramo (procedimenti C-359/04 e C-360/04) evidenzia esplicitamente l’esclusione delle società di capitali, i cui azionisti non erano identificabili in ogni momento, e quindi della totalità delle società quotate nei mercati regolamentati, dalle gare per l’attribuzione di concessioni. La Commissione delle Comunità europee ha rilevato che questa restrizione ha come conseguenza di escludere da queste gare gli operatori comunitari più importanti nel settore dei giochi d’azzardo, operatori che sono costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
60 Occorre rilevare, in via preliminare, che la questione della legittimità delle condizioni imposte nei bandi di gara del 1999 è lungi dall’essere stata privata di oggetto dalle modifiche legislative intervenute nel 2002, che consentono ormai a tutte le società di capitali, senza alcuna limitazione per quanto riguarda la loro forma, di partecipare alle gare al fine di un’attribuzione di concessioni. Infatti, come rileva il Tribunale di Teramo, poiché le concessioni attribuite nel 1999 erano valide per un periodo di sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni e poiché nessuna nuova gara era prevista nel frattempo, l’esclusione dal settore dei giochi di azzardo di società di capitali quotate nei mercati regolamentati nonché di intermediari quali gli imputati nelle cause principali che potrebbero agire per conto di tali società rischia di produrre effetti fino al 2011.
61 La Corte ha già dichiarato che, anche se l’esclusione dalle gare si applica indistintamente a tutte le società di capitali quotate nei mercati regolamentati che possono essere interessate da concessioni, siano esse stabilite in Italia o in un altro Stato membro, la normativa nazionale in materia di bandi di gara, nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari è dovuta al fatto che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di capitali quotate nei mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni, costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di stabilimento (sentenza Gambelli e a., citata, punto 48).
62 Indipendentemente dalla questione se l’esclusione delle società di capitali quotate nei mercati regolamentati si applichi, in effetti, allo stesso modo agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri, tale esclusione totale va oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo siano implicati in attività criminali o fraudolente. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 125 delle sue conclusioni, esistono altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività degli operatori nel settore dei giochi di azzardo che limitano in modo minore la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, come quello consistente nel raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti. Tale constatazione è corroborata dal fatto che il legislatore italiano ha creduto di poter abrogare completamente la detta esclusione con la legge finanziaria per il 2003 senza tuttavia sostituirla con altre misure restrittive.
63 Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v. sentenze 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I-6297, punto 29, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57). Tanto una revoca e la redistribuzione precedenti concessioni quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo. Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori.
64 Gli arrt. 43 CE e 49 CE devono quindi essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
Sul requisito di un’autorizzazione di polizia
65 La condizione che coloro che operano nel settore dei giochi d’azzardo nonché i loro locali siano assoggettati ad un controllo iniziale e ad una sorveglianza continua contribuisce chiaramente all’obiettivo mirante a evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e sembra essere una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo.
66 Tuttavia, dal fascicolo risulta che gli imputati nelle cause principali erano disposti a procurarsi autorizzazioni di polizia e ad assoggettarsi a tale controllo e a tale sorveglianza. Infatti, poiché le autorizzazioni di polizia vengono rilasciate solo ai titolari di una concessione, sarebbe stato impossibile per gli imputati nelle cause principali ottenere tali autorizzazioni. A tale riguardo, dal fascicolo risulta anche che i sigg. {Palazzese} e {Sorricchio}, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto autorizzazioni di polizia conformemente all’art. 88 del regio decreto, ma le loro domande non avevano avuto seguito.
67 Ora, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 123 delle sue conclusioni, il procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisce, in tali circostanze, i vizi sopra identificati che inficiano l’attribuzione di concessioni. La mancanza di autorizzazione di polizia, di conseguenza e in ogni caso, non potrà essere addebitata a soggetti quali gli imputati nelle cause principali che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario.
Sulle sanzioni penali
68 Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario (v. sentenza 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa, Racc. pag. I-11, punto 17).
69 Risulta inoltre dalla giurisprudenza che uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 1983, causa 5/83, Rienks, Racc. pag. 4233, punti 10 e 11).
70 Ora, risulta che soggetti quali gli imputati nelle cause principali, nella loro qualità di gestori di CTD collegati ad una società che organizza scommesse, che è quotata nei mercati regolamentati ed è stabilita in un altro Stato membro, non potevano comunque ottenere le concessioni e le autorizzazioni di polizia richieste dalla normativa italiana poiché, in violazione del diritto comunitario, la Repubblica italiana subordina il rilascio di un’autorizzazione di polizia al possesso di una concessione e poiché, all’epoca dell’ultimo bando di gara nelle cause principali, tale Stato membro aveva rifiutato di attribuire concessioni a società quotate nei mercati regolamentati. In tale contesto, la Repubblica italiana non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a soggetti quali gli imputati nelle cause principali.
71 Occorre quindi constatare che gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
72 Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte nel modo seguente:
1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua ad escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
Sulle spese
73 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
(Torna su ) P.Q.M.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
2) Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
(Torna su ) NOTE GIURISPRUDENZIALI
Giust. civ. 2007, 04, 01, 0788
(1) Nella sentenza in epigrafe, la Corte si è espressa nuovamente, in via pregiudiziale, su quattro punti della legislazione italiana in materia di scommesse relative ad eventi sportivi. Inizialmente, come era prevedibile, la Corte ha ribadito i principi giurisprudenziali fissati nelle sentenze Z. (21 ottobre 1999 in causa C-67/98, in questa Rivista, 2000, I, 3 ss.) e Ga. (6 novembre 2003 in causa C-243/01, ivi, 2004, I, 301 ss.). Già in quelle decisioni la normativa italiana – fondata sul divieto, penalmente sanzionato, di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato – era stata ritenuta compatibile rispetto alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi solo a condizione che fosse giustificabile in base al filone giurisprudenziale delle c.d. «esigenze imperative» connesse all’interesse generale. Secondo la Corte, alle autorità nazionali spettava effettuare la relativa valutazione. La sentenza in epigrafe era attesa, sia per le sue implicazioni nel mercato dei giochi (al momento, la Commissione, sulla base di denunce presentate da taluni grandi operatori stranieri del settore, ha aperto dieci procedure di infrazione verso altrettanti Stati membri al fine di conseguire una cospicua liberalizzazione del mercato), sia perché l’Avvocato generale aveva sollecitato la Corte ad eliminare i margini di discrezionalità riservati all’apprezzamento delle autorità nazionali e, in definitiva, a dichiarare incompatibile tout court il diritto interno con gli obblighi comunitari. La Corte sembra peraltro aver adottato un approccio più morbido là dove, a più riprese, rimette alle autorità nazionali la valutazione in concreto dei principi da essa affermati.
È forse opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza comunitaria, la natura del potere di tutelare determinate «esigenze imperative connesse all’interesse generale» appare riconducibile direttamente alla sfera delle competenze statali e non al sistema comunitario (come invece avviene a norma degli art. 45 e 46 CE). La Corte, in altre parole, in assenza di un diritto uniforme elaborato in sede comunitaria, non ha potuto non riconoscere l’esistenza del potere statale di regolamentare la vita economica e sociale sul proprio territorio qualora tale potere sia volto a realizzare scopi che essa stessa considera come «esigenze imperative connesse all’interesse generale» (sulla considerazione di tali «esigenze» intese quali limiti alle libertà di prestazione dei servizi garantita dal Trattato, cfr. C. giust. CE 24 ottobre 1978 in causa C-15/78, Société générale alsacienne de banque, in Raccolta, 1978, 1971; C. giust. CE 18 gennaio 1979 in cause riun. C-110/78 e C-111/78, van Wesemael, in Raccolta, 1979, 35; C. giust. CE 4 dicembre 1986 in causa C-220/83, Commissione c. Francia, in Raccolta, 1986, 3663). In questo modo, gli Stati membri possono restringere le libertà garantite dal Trattato al di là del contesto normativo del medesimo. Peraltro, nell’esercizio di questo potere discrezionale, lo Stato membro incontra, a sua volta, due contro-limiti, precisati anch’essi dalla giurisprudenza della Corte. Invero, la misura statale, da un lato, deve essere idonea a garantire il perseguimento dello scopo che si propone (valutazione della necessità) e, dall’altro, deve essere congrua rispetto allo scopo perseguito (valutazione della proporzionalità).
L’apprezzamento di tali profili continua a restare nelle mani delle autorità nazionali anche dopo la sentenza in rassegna. Non solo la Corte rammenta il principio generale secondo cui «le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine sociale» (punto 47), ma con riguardo al caso di specie e a proposito del requisito della concessione, necessario per poter svolgere attività di raccolta di scommesse in Italia, ne stabilisce la compatibilità con il diritto comunitario. Se è vero che, a giudizio della Corte, non si può invocare l’esigenza imperativa di tutela dei consumatori e di contrasto alla propensione al gioco da parte dei consumatori a causa della politica espansiva dell’Italia nel settore dei giochi d’azzardo, che sarebbe dettata dallo «scopo di incrementare le entrate fiscali», è un diverso tipo di esigenza imperativa che resta comunque invocabile da parte italiana: la lotta alla criminalità e la tutela dell’ordine pubblico. Secondo la Corte, un’espansione equilibrata dell’offerta di giochi volta a canalizzare il mercato «in circuiti controllabili», può «essere coerente» con l’obiettivo della lotta alla criminalità e di contrasto al gioco clandestino (punto 55). Sotto questo profilo, la valutazione della Corte di giustizia non sembra divergere dalle conclusioni cui è giunta la Corte di cassazione italiana nella sentenza Ga. (v. punto 16). La Corte fa quindi salvo il sistema concessorio, ritenendolo un «meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore […] allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti» (punto 57): è compito dei giudici nazionali verificare se la normativa nazionale «risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo italiano» ed al principio di proporzionalità (punto 58). Ne consegue che il sistema delle concessioni, su cui si fonda tuttora la normativa italiana in materia, potrebbe ancora ritenersi compatibile con gli obblighi comunitari. Sarà peraltro onere dello Stato italiano dimostrare adeguatamente la ratio legis di detta normativa in relazione ai parametri fissati dalla giurisprudenza comunitaria (necessità e proporzionalità). Giova ricordare che il decreto Bersani sulle liberalizzazioni (d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. 4 agosto 2006 n. 248) conferma che in Italia il mercato dei giochi è aperto ad operatori di altri Stati membri, facendo pur sempre salva l’esigenza di ottenere un titolo autorizzatorio: l’art. 38, § 2, lett. b stabilisce tra l’altro che «operatori che esercitano la raccolta di gioco presso uno Stato membro dell’Unione europea» possono raccogliere scommesse su eventi sportivi «se in possesso dei requisiti di affidabilità definiti» dall’amministrazione (una disposizione identica, mutatis mutandis, è prevista dall’art. 38, § 4, lett. b, in materia di raccolta di scommesse su corse ippiche).
Circa i requisiti richiesti dai bandi di gara per ottenere una concessione da parte di società di capitali operanti nei mercati regolamentati di altri Stati membri, la Corte, nel ribadire quanto già affermato nella sentenza Ga., afferma che l’esclusione, in punto di diritto o di fatto, di tali società i cui azionisti non siano identificabili in qualsiasi momento costituisce prima facie una restrizione alla libertà di stabilimento (punto 61). Secondo la Corte, l’obiettivo di evitare che nel settore dei giochi d’azzardo si introducano soggetti implicati in attività criminali o fraudolente può essere raggiunto con mezzi che limitano in modo minore le libertà economiche previste dal Trattato «come quello di raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti» (punto 62). In definitiva, a giudizio della Corte, l’obiettivo è legittimo, ma lo strumento utilizzato appare in contrasto con il criterio della proporzionalità. In proposito, giova comunque ricordare, come la stessa Corte rammenta, le evoluzioni positive della normativa italiana a partire dal 2003, nonché il rimedio che può rendere la disciplina italiana compatibile con gli obblighi comunitari: «la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni» (punto 63), che è poi la strada già intrapresa negli ultimi tempi dalle autorità italiane. Sotto questo profilo, la Corte sembra aver respinto la sollecitazione dei giudici di rinvio secondo cui lo Stato italiano non procedendo alla revoca delle concessioni avrebbe leso le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi (punto 31). Nuovamente, è compito delle autorità nazionali (e in particolare del legislatore) modulare la normativa interna al fine di garantire un corretto bilanciamento tra interesse comunitario alla liberalizzazione e quello nazionale ad evitare che in tali società si infiltrino soggetti criminali, interessi entrambi reputati legittimi.
Per quel che concerne l’autorizzazione di polizia, la Corte afferma che la «mancanza di autorizzazione […] non potrà essere addebitata» agli imputati nelle cause principali «che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario» (punto 67). L’affermazione, in verità assai «circolare», si presta ad essere intesa nel senso che i giudici italiani non potranno applicare le relative norme alle fattispecie pendenti dinanzi ai medesimi giudici, in cui – come sottolinea la Corte – gli imputati, «gestori di CTD» operanti per conto di società regolarmente stabilite in altri Stati membri, avevano invano cercato di ottenere le autorizzazioni di polizia. Ci si può chiedere peraltro se, spettando allo Stato «limitare il numero dei soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo» ove ciò «risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti» (così nel decisum della sentenza al n. 2), la normativa interna possa continuare a fondarsi sull’autorizzazione di polizia, quale elemento complementare della concessione, tanto più che, alle condizioni sopra richiamate, il sistema concessorio è stato salvaguardato dalla Corte. In prospettiva di una riforma normativa del settore, la risposta sembra positiva in ragione della complementarità dell’autorizzazione di polizia rispetto all’attività di concessionari che si dotino di «punti fisici» nell’esercizio dell’attività economica in questione.
Riguardo infine alle sanzioni penali, la sentenza in rassegna ne impone la disapplicazione ai casi pendenti davanti ai giudici nazionali. La Corte ricorda anzitutto che – per giurisprudenza costante – il diritto comunitario pone limiti alla competenza degli Stati membri in materia penale ove il regime sanzionatorio limiti le libertà fondamentali garantite dal Trattato; in secondo luogo, precisa che nelle circostanze dei casi di specie l’Italia «non può applicare le sanzioni penali» agli imputati (punto 70). Non è tuttavia certo che, per effetto della decisione, il legislatore sarà tenuto a rimuovere totalmente le sanzioni penali. Appare ragionevole pensare che, nel quadro di un sistema concessorio aperto o liberalizzato – verso il quale si sta orientando la normativa italiana, soprattutto a partire dal 2006 – uno spazio potrebbe residuare per un regime sanzionatorio penale (si pensi ad esempio al divieto di accettare scommesse da parte di minori) purché proporzionato ai sensi della giurisprudenza comunitaria in argomento. Per contro, la sentenza non concerne le sanzioni amministrative, rispetto alle quali il futuro spazio discrezionale del legislatore potrebbe essere più ampio.
Sentenza c.d. “Costa Cifone”
Corte giustizia Unione Europea Sez. IV, 16-02-2012, n. 72
Gli articoli 43 e 49, Trattato 25 marzo 1957, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara.
Corte giustizia Unione Europea Sez. IV, 16-02-2012, n. 72
Gli articoli 43 e 49, Trattato 25 marzo 1957, nonché i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti.
Corte giustizia Unione Europea Sez. IV, 16-02-2012, n. 72
M.C.
Risulta dagli articoli 43 e 49, Trattato 25 marzo 1957, dal principio di parità di trattamento, dall’obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara, quale quella in questione negli odierni procedimenti principali, e in particolare le norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine di tale gara, come quelle dettate dall’articolo 23, commi 2, lettera a), e 3, dello schema di convenzione tra l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e l’aggiudicatario della concessione per giochi d’azzardo relativi ad eventi diversi dalle corse dei cavalli, devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare.
Nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10,
aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con decisioni in data 10 novembre 2009, pervenute in cancelleria il 9 febbraio 2010, nei procedimenti penali a carico di
Marcello Costa (C-72/10),
Ugo Cifone (C-77/10),
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann (relatore), L. Bay Larsen, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jaraaiunas, giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2011,
considerate le osservazioni presentate:
– per Marcello Costa, da D. Agnello, avvocatessa;
– per Ugo Cifone, da D. Agnello, R. Jacchia, A. Terranova, F. Ferraro, A. Aversa, A. Piccinini, F. Donati e A. Dossena, avvocati;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da F. Arena, avvocato dello Stato;
– per il governo belga, da L. Van den Broeck e M. Jacobs, in qualità di agenti, assistite da P. Vlaemminck, advocaat, e A. Hubert, avocat;
– per il governo spagnolo, da F. Diéz Moreno, in qualità di agente;
– per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes e P. Mateus Calado, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da E. Traversa e S. La Pergola, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 ottobre 2011,
ha pronunciato la seguente
(Torna su ) FATTO
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 43 CE e 49 CE.
2 Tali domande sono state proposte nell’ambito di procedimenti penali instaurati a carico dei sigg. Costa e Cifone, gestori di centri di trasmissione di dati (in prosieguo: i «CTD») contrattualmente legati alla società di diritto inglese Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley»), a motivo del mancato rispetto della normativa italiana disciplinante la raccolta di scommesse e, in particolare, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146, del 26 giugno 1931), come modificato dall’articolo 37, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2000; in prosieguo: il «regio decreto»). Le suddette domande si iscrivono in contesti di fatto e di diritto simili a quelli sui quali si sono pronunciate le sentenze del 21 ottobre 1999, Zenatti, C-67/98 (Racc. pag. I-7289); del 6 novembre 2003, Gambelli e a., C-243/01 (Racc. pag. I-13031); del 6 marzo 2007, Placanica e a., C-338/04, C-359/04 e C-360/04 (Racc. pag. I-1891), e del 13 settembre 2007, Commissione/Italia, C-260/04 (Racc. pag. I-7083).
Contesto normativo
3 La normativa italiana stabilisce, in sostanza, che l’esercizio delle attività di raccolta e di gestione delle scommesse presuppone l’ottenimento di una concessione previa pubblica gara, nonché di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione di tale normativa è passibile di sanzioni penali.
Le concessioni
4 Fino alle modificazioni della legislazione applicabile intervenute nel 2002, gli operatori aventi la veste di società di capitali quotate nei mercati regolamentati non potevano ottenere una concessione per i giochi d’azzardo. Tali operatori sono dunque rimasti esclusi dalle gare finalizzate all’attribuzione di concessioni svoltesi nel 1999. L’illegittimità di tale esclusione alla luce degli articoli 43 CE e 49 CE è stata dichiarata, in particolare, nella citata sentenza Placanica e a.
5 Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n. 18, dell’11 agosto 2006; in prosieguo: il «decreto Bersani»), ha proceduto ad una riforma del settore del gioco in Italia, destinata ad assicurare l’adeguamento di quest’ultimo alle regole imposte dal diritto dell’Unione.
6 L’articolo 38 del decreto Bersani, intitolato «Misure di contrasto del gioco illegale», prevede, al comma 1, l’adozione, entro il 31 dicembre 2006, di una serie di disposizioni «al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare e illegale, l’evasione e l’elusione fiscale nel settore del gioco, nonché di assicurare la tutela del giocatore».
7 L’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani stabilisce le nuove modalità di distribuzione dei giochi d’azzardo riguardanti, da un lato, gli eventi diversi dalle corse dei cavalli e, dall’altro, le corse dei cavalli. In particolare:
– si prevede l’apertura di almeno 7 000 nuovi punti di vendita per i giochi d’azzardo riguardanti gli eventi diversi dalle corse dei cavalli, e almeno 10 000 nuovi punti di vendita per i giochi d’azzardo riguardanti le corse dei cavalli;
– il numero massimo di punti di vendita per ciascun comune è fissato in proporzione al numero di abitanti e tenendo conto dei punti di vendita per i quali è già stata rilasciata concessione a seguito delle gare del 1999;
– i nuovi punti di vendita devono rispettare una distanza minima da quelli per i quali è già stata rilasciata concessione a seguito delle gare del 1999;
– l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (in prosieguo: l’«AAMS»), operante sotto l’egida del Ministero dell’Economia e delle Finanze, è incaricata della «definizione delle modalità di salvaguardia» dei titolari di concessioni assegnate all’esito delle gare del 1999.
Le autorizzazioni di polizia
8 Il sistema di concessioni è collegato ad un sistema di controlli di pubblica sicurezza disciplinato dal regio decreto. A norma dell’articolo 88 di quest’ultimo, la licenza di pubblica sicurezza può essere concessa unicamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di ministeri o altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzare o gestire scommesse.
Le sanzioni penali
9 L’organizzazione di giochi, anche per via telematica o telefonica, in assenza della necessaria concessione o autorizzazione di polizia costituisce in Italia un reato punibile con la reclusione fino a tre anni ai sensi dell’articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive (GURI n. 294, del 18 dicembre 1989), come modificata dall’articolo 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2000; in prosieguo: la «legge n. 401/89»).
Procedimenti principali e questione pregiudiziale
La Stanley e la sua situazione in Italia
10 La Stanley è autorizzata ad operare come raccoglitore di scommesse nel Regno Unito in virtù di una licenza rilasciata dalle autorità di Liverpool. La Stanley accetta scommesse a quota fissa su vasti palinsesti di eventi, sportivi e non, nazionali e internazionali.
11 La Stanley opera in Italia tramite più di 200 agenzie, aventi la veste di CTD. I CTD sono locali aperti al pubblico nei quali gli scommettitori possono concludere scommesse sportive per via telematica accedendo ad un server della Stanley ubicato nel Regno Unito o in un altro Stato membro, pagare le loro puntate e, eventualmente, riscuotere le vincite. I CTD sono gestiti da operatori indipendenti contrattualmente legati alla Stanley. La Stanley opera in Italia esclusivamente attraverso tali punti fisici di vendita al dettaglio e non è dunque un operatore di giochi d’azzardo tramite Internet.
12 È pacifico che, tenuto conto del modus operandi della Stanley, spetta in via di principio a quest’ultima l’obbligo di ottenere una concessione per l’esercizio delle attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare le loro attività.
13 La Stanley, che faceva parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati, è stata esclusa, in violazione del diritto dell’Unione, dalla gara che ha portato all’attribuzione, nel 1999, di 1 000 concessioni per la commercializzazione di scommesse su competizioni sportive diverse dalle corse dei cavalli, valide per un periodo di sei anni e rinnovabili per altri sei.
14 Le disposizioni del decreto Bersani hanno trovato attuazione mediante procedure di gara avviate dall’AAMS nel corso dell’anno 2006. Il 28 agosto 2006 sono stati pubblicati due bandi di gara in applicazione dei commi 2 e 4 dell’articolo 38 del decreto Bersani, che hanno messo a concorso le concessioni per 500 punti di vendita dedicati di gioco ippico e 9 500 punti di vendita non dedicati di gioco ippico, oltre all’attivazione di reti di gioco ippico a distanza, nonché per 1 900 punti di vendita dedicati di gioco sportivo e 4 400 punti di vendita non dedicati di gioco sportivo, oltre all’attivazione di reti di gioco sportivo a distanza. Tali bandi sono stati pubblicati, in data 30 agosto 2006, anche nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (procedimenti nn. 2006/S-163-175655 e 2006/S-164-176680). Il termine per la presentazione delle offerte è stato fissato al 20 ottobre 2006 per tutti i tipi di concessione.
15 La documentazione concernente i bandi di gara includeva in particolare un capitolato d’oneri comprendente otto allegati, nonché lo schema di convenzione tra l’AAMS e l’aggiudicatario della concessione relativa ai giochi d’azzardo riguardanti gli eventi diversi dalle corse dei cavalli (in prosieguo: lo «schema di convenzione»).
16 Il suddetto capitolato d’oneri subordinava la partecipazione alla gara, da un lato, a norma del suo articolo 13, alla costituzione di una garanzia bancaria provvisoria e, dall’altro, a norma del suo articolo 14, all’impegno a costituire una garanzia bancaria definitiva a copertura degli obblighi derivanti dalla concessione.
17 Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione, l’AAMS è tenuta a pronunciare la decadenza della concessione nel caso in cui, «nei confronti del concessionario, del legale rappresentante o degli amministratori del concessionario, siano state adottate misure cautelari o provvedimenti di rinvio a giudizio per tutte le ipotesi di reato di cui alla legge 19 marzo 1990, n. 55, nonché per ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venire meno il rapporto fiduciario con AAMS».
18 L’articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione stabilisce inoltre che l’AAMS «procede alla decadenza dalla concessione, previa immediata sospensione cautelativa della sua efficacia, qualora il concessionario commercializzi, in proprio od attraverso società in qualsiasi modo ad esso collegate, sul territorio italiano od anche attraverso siti telematici situati al di fuori dai confini nazionali, giochi assimilabili ai giochi pubblici, ovvero ad altri giochi gestiti da AAMS, ovvero giochi vietati dall’ordinamento italiano».
19 A norma dell’articolo 23, comma 6, dello schema di convenzione, la garanzia bancaria costituita dal concessionario viene incamerata dall’AAMS in caso di decadenza della concessione, fermo restando il diritto dell’AAMS di chiedere il risarcimento del danno ulteriore.
20 A seguito della pubblicazione dei bandi di gara, la Stanley ha nuovamente manifestato il proprio interesse ad ottenere una concessione per la raccolta e la gestione di scommesse, ed ha ottenuto dall’AAMS il supporto informatico necessario per presentare un’offerta. La Stanley ha poi chiesto all’AAMS dei chiarimenti in ordine ad alcune di tali disposizioni che avrebbero potuto costituire potenziali ostacoli alla sua partecipazione alla gara e la cui interpretazione non le sembrava chiara per alcuni aspetti.
21 Con lettera in data 21 settembre 2006, la Stanley ha chiesto all’AAMS se il proprio modello operativo, basato sui CTD ad essa affiliati, venisse considerato da detta amministrazione come contrastante con i principi e con le disposizioni contenute nella documentazione di gara, segnatamente con l’articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione, sì che la partecipazione a tali procedure e l’eventuale esito positivo della stessa avrebbero potuto precludere la prosecuzione dell’esercizio dell’attività summenzionata, e ha chiesto inoltre se la prosecuzione di quest’ultima avrebbe potuto integrare una causa di revoca, di decadenza o di sospensione di concessioni eventualmente attribuite.
22 Nella sua risposta del 6 ottobre 2006, l’AAMS ha dichiarato che la partecipazione alle procedure sarebbe stata subordinata alla rinuncia in Italia all’esercizio delle attività transfrontaliere, ed ha affermato al tempo stesso, in particolare, che il nuovo assetto avrebbe consentito ai candidati aggiudicatari di predisporre reti di vendita che potevano anche presentare carattere nazionale. Tuttavia, l’amministrazione suddetta ha richiamato l’attenzione sul fatto che tali reti «ovviamente tend[evano] a sostituire le eventuali vecchie reti e, in questo contesto, le disposizioni di cui all’art. 23 dello schema di convenzione costitui[vano] una corretta tutela degli investimenti operati dai concessionari stessi».
23 In risposta a tale lettera, la Stanley ha chiesto all’AAMS, in data 10 ottobre 2006, di riconsiderare la propria posizione «modificando le previsioni del bando di gara, ed in particolare l’articolo 23 dello schema di convenzione (…) in modo che la scrivente possa partecipare alla selezione, senza essere costretta a rinunciare all’esercizio della propria libertà fondamentale di prestare servizi transfrontalieri».
24 La Stanley ha inoltre trasmesso all’AAMS, il 12 ottobre 2006, il seguente quesito supplementare:
«Se, nell’ipotesi in cui essa Stanley decidesse di rinunziare all’espletamento dei propri servizi transfrontalieri in Italia e partecipare alle procedure di gara, gli operatori attuali della propria rete – di carattere nazionale – potrebbero essere affetti da squalificazioni soggettive; in caso di risposta negativa, se gli stessi necessiterebbero di ulteriori requisiti abilitanti o se, invece, potrebbero limitarsi all’adesione dello schema di convenzione tipo predisposto da AAMS».
25 Il 17 ottobre 2006 la Stanley ha fatto presente che non aveva ricevuto alcuna risposta alle proprie richieste di chiarimenti datate 10 e 12 ottobre 2006, risposta di cui essa aveva urgentemente bisogno per poter decidere se partecipare o no alle gare. Il 18 ottobre 2006 l’AAMS ha respinto in via definitiva le richieste di chiarimenti della Stanley, la quale ha così deciso di non partecipare alla gara.
26 La Stanley ha domandato l’annullamento dei bandi e degli atti relativi alle procedure di gara dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio mediante il ricorso n. 10869/2006, del 27 novembre 2006, che è attualmente pendente.
27 Le gare si sono concluse nel mese di dicembre 2006 con l’attribuzione di circa 14 000 nuove concessioni.
Le procedure avviate nei confronti dei gestori dei CTD della Stanley
28 Malgrado il fatto che la Stanley non sia divenuta titolare di una concessione per la raccolta e la gestione di scommesse, i sigg. Costa e Cifone hanno richiesto l’autorizzazione di polizia prevista dall’articolo 88 del regio decreto al fine di esercitare la propria attività quali gestori di CTD.
La causa Costa (C-72/10)
29 All’epoca dei fatti oggetto del procedimento principale, il sig. Costa era gestore di un CTD a Roma (Italia) in virtù di un contratto datato 27 maggio 2008.
30 A seguito della richiesta di autorizzazione di polizia presentata dal sig. Costa, alcuni funzionari della polizia di Stato di Roma hanno proceduto, in data 8 ottobre 2008, a controlli presso il CTD da lui gestito, constatando il reato di esercizio abusivo di attività di gioco e scommessa previsto dall’articolo 4 della legge n. 401/89, consistente più precisamente nella raccolta di scommesse su eventi sportivi messa in atto in assenza della concessione e della licenza di pubblica sicurezza necessarie.
31 Con decisione in data 27 gennaio 2009, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del sig. Costa «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Secondo il giudice suddetto, da una sentenza della Corte di cassazione italiana riguardante un affare simile risultava che la legislazione penale italiana era contraria al diritto dell’Unione e doveva dunque essere disapplicata (sentenza 27 maggio 2008 nel procedimento n. 27532/08).
32 Il pubblico ministero ha proposto un ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema di cassazione, con il quale esso sostiene che la normativa nazionale in materia di concessioni e di autorizzazioni di polizia è compatibile con il diritto dell’Unione, e rileva che, in assenza di un provvedimento di diniego di concessione da parte delle autorità italiane, suscettibile di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, il sig. Costa non ha comunque alcun titolo per lamentare violazioni del diritto dell’Unione commesse dalla Repubblica italiana e per chiedere la disapplicazione di una normativa alla quale egli si è volontariamente sottratto.
La causa Cifone (C-77/10)
33 All’epoca dei fatti oggetto del procedimento principale, il sig. Cifone era gestore di un CTD a Molfetta, in provincia di Bari (Italia). Il 26 luglio 2007 una richiesta di autorizzazione di polizia era stata presentata al questore di Bari.
34 Il 7 novembre 2007, dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani è stata presentata una denuncia da parte di una società concorrente, titolare di una concessione rilasciata dall’AAMS in virtù del decreto Bersani. Lo scopo di questa denuncia era di sollecitare l’azione penale nei confronti di una pluralità di intermediari operanti nella provincia di Bari, accusati del reato di esercizio abusivo delle scommesse previsto dall’articolo 4 della legge n. 401/89, fra i quali il sig. Cifone.
35 Il 20 ottobre 2007 la Guardia di Finanza di Molfetta ha proceduto di sua iniziativa al sequestro provvisorio delle attrezzature e dei locali del CTD del sig. Cifone.
36 Il pubblico ministero ha disposto la convalida del sequestro ed ha domandato al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani di ordinare il sequestro preventivo penale dei locali e delle attrezzature di tutti gli indagati, fra i quali il sig. Cifone. Con decreto del 26 maggio 2008, detto giudice ha disposto il sequestro preventivo per violazione, in particolare, dell’articolo 4 della legge n. 401/89; tale decisione è stata confermata dal Tribunale del riesame di Bari con ordinanza in data 10 e 14 luglio 2008.
37 Il 9 settembre 2008 il sig. Cifone ha proposto dinanzi al giudice del rinvio un ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 10 e 14 luglio 2008. Il sig. Cifone chiede la disapplicazione della normativa nazionale, ivi compresi i suoi effetti in materia penale, a motivo del fatto che essa, confermando la validità delle precedenti concessioni e prevedendo limiti di localizzazione dei nuovi punti di vendita al fine di favorire quelli esistenti, nonché ipotesi di decadenza della concessione aventi carattere gravemente discriminatorio, è contraria al diritto dell’Unione.
La questione pregiudiziale
38 Tanto nel procedimento Costa quanto nel procedimento Cifone, la Corte suprema di cassazione ha constatato l’esistenza di dubbi riguardo all’interpretazione dell’estensione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e, in particolare, «la possibilità che tale estensione soffra limitazioni da parte di un ordinamento interno che presenta caratteri che si assumono e che appaiono discriminatori ed escludenti nei termini in precedenza ricordati».
39 La Corte suprema di cassazione ha pertanto deciso di sospendere i due procedimenti di cui sopra e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Quale sia l’interpretazione degli articoli 43 CE e 49 CE con riferimento alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi nel settore delle scommesse su eventi sportivi, al fine di stabilire se le citate disposizioni del Trattato consentano o meno una disciplina nazionale che stabilisca un regime di monopolio in favore dello Stato ed un sistema di concessioni e di autorizzazioni che, all’interno di un numero determinato di concessioni, preveda:
a) l’esistenza di un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore sulla base di una procedura che illegittimamente ha escluso una parte degli operatori;
b) la presenza di disposizioni che garantiscono di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite sulla base di una procedura che illegittimamente ha escluso una parte degli operatori (come [l’obbligo] per i nuovi concessionari di collocare i loro sportelli [a una distanza minima] da quelli già esistenti);
c) la fissazione di ipotesi di decadenza della concessione e di incameramento di cauzioni di entità molto elevata, tra le quali l’ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione».
40 Con ordinanza del presidente della Corte in data 6 aprile 2010, le cause C-72/10 e C-77/10 sono state riunite ai fini della fase scritta e orale nonché della sentenza.
Sulla ricevibilità della questione pregiudiziale
41 Il governo italiano mette in discussione la ricevibilità della questione pregiudiziale.
42 In primo luogo, esso ritiene che tale questione sia ipotetica. A suo avviso, un’eventuale dichiarazione di incompatibilità della nuova normativa italiana introdotta dal decreto Bersani con il diritto dell’Unione non incide sui soggetti coinvolti nei procedimenti principali, dal momento che la Stanley ha volontariamente deciso di non prendere parte alle gare del 2006 disciplinate da questa nuova normativa. Detto governo lascia intendere che le caratteristiche di un regime di concessione al quale la Stanley non ha partecipato non possono influire sulla situazione penale dei sigg. Costa e Cifone.
43 A questo proposito occorre constatare che, in forza di una costante giurisprudenza, uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa qualora l’adempimento di tale formalità venga rifiutato o sia reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto dell’Unione (sentenza Placanica e a., cit., punto 69). Dato che la questione pregiudiziale mira per l’appunto a stabilire se le condizioni cui era subordinata l’attribuzione di una concessione a norma della legislazione nazionale, e che hanno determinato la rinuncia della Stanley a partecipare alla gara in esame nei procedimenti principali, fossero contrarie al diritto dell’Unione, la pertinenza di tale questione ai fini della soluzione delle controversie pendenti dinanzi al giudice del rinvio non può essere messa in discussione.
44 In secondo luogo, il governo italiano sostiene che la questione pregiudiziale è irricevibile in quanto eccessivamente generica.
45 A tal riguardo, è pur vero che la precisione, e persino l’utilità, tanto delle osservazioni presentate dai governi degli Stati membri e dalle altre parti interessate, quanto della risposta della Corte, possono dipendere dal carattere sufficientemente dettagliato delle indicazioni concernenti il contenuto e gli obiettivi della normativa nazionale applicabile alla causa principale. Tuttavia, tenuto conto della separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, deve ritenersi sufficiente che l’oggetto dei procedimenti principali nonché le sue principali implicazioni per l’ordinamento giuridico dell’Unione si evincano dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, al fine di consentire agli Stati membri di presentare le loro osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia e di partecipare efficacemente al procedimento dinanzi a quest’ultima (sentenza dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C-42/07, Racc. pag. I-7633, punto 41). Negli odierni procedimenti principali, la decisione di rinvio soddisfa tali esigenze.
46 Occorre di conseguenza respingere le obiezioni sollevate dal governo italiano in merito alla ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale.
Sulla questione pregiudiziale
47 Con la sua questione, il giudice del rinvio solleva due problemi che occorre esaminare separatamente.
48 Da un lato, il giudice nazionale è chiamato a decidere se le misure adottate dal legislatore al fine di rimediare all’esclusione illegittima di operatori come la Stanley dalla gara del 1999 siano conformi al diritto dell’Unione. Sebbene, a prima vista, l’attribuzione di circa 16 000 nuove concessioni prevista dal decreto Bersani sembri ad esso giudice conforme alle prescrizioni dettate dalla Corte al punto 63 della citata sentenza Placanica e a., il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della tutela che per certi aspetti il nuovo regime offre alle posizioni commerciali degli operatori risultati aggiudicatari di una concessione al termine della gara del 1999 di fronte alla potenziale concorrenza di operatori che erano stati illegittimamente esclusi da tale gara e che nel 2006 avrebbero potuto, per la prima volta, partecipare ad una gara per l’attribuzione di concessioni. A questo proposito il giudice del rinvio cita, in particolare, l’obbligo previsto dall’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani secondo cui i nuovi concessionari devono insediarsi ad una distanza minima dai concessionari già esistenti.
49 Dall’altro lato, il giudice del rinvio rileva che, sebbene il motivo di esclusione dalla gara del 1999 censurato nella citata sentenza Placanica e a. sia stato eliminato mediante modifiche della legislazione applicabile intervenute nel 2002, una serie di nuove restrizioni è stata introdotta a seguito dell’adozione del decreto Bersani, in particolare mediante la previsione, nell’articolo 23 dello schema di convenzione, di ipotesi di decadenza della concessione e di incameramento di cauzioni. Il giudice del rinvio si chiede se tali nuove restrizioni siano compatibili con il diritto dell’Unione.
Sulla protezione delle posizioni commerciali acquisite dagli operatori risultati aggiudicatari di concessioni al termine della gara del 1999
50 Con la prima parte della sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 43 CE e 49 CE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti.
51 Occorre anzitutto ricordare che, come statuito dalla Corte al punto 63 della citata sentenza Placanica e a., spetta all’ordinamento giuridico nazionale stabilire modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti degli operatori illegittimamente esclusi dalla prima gara, a condizione tuttavia che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle applicabili a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
52 Al medesimo punto della citata sentenza Placanica e a., la Corte ha poi affermato che tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni, quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate. Entrambe queste soluzioni sono in linea di principio idonee a rimediare, quanto meno per il futuro, all’esclusione illegittima di alcuni operatori, permettendo a questi ultimi di esercitare la loro attività sul mercato alle stesse condizioni applicabili agli operatori esistenti.
53 Tuttavia, ciò non si verifica nel caso in cui le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti siano tutelate dalla normativa nazionale. Il fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano così potuto insediarsi sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria, conferisce loro un indebito vantaggio concorrenziale. Concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari ha come conseguenza di perpetuare e di rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalla gara del 1999, e costituisce dunque una nuova violazione degli articoli 43 CE e 49 CE nonché del principio di parità di trattamento. Inoltre, una misura siffatta rende eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione agli operatori illegittimamente esclusi dalla gara del 1999 e dunque non rispetta il principio di effettività.
54 In tale contesto, occorre ricordare che le autorità pubbliche che rilasciano concessioni in materia di giochi d’azzardo sono tenute a rispettare le norme fondamentali dei Trattati, e segnatamente gli articoli 43 CE e 49 CE, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva (v., in tal senso, sentenze del 3 giugno 2010, Sporting Exchange, C-203/08, Racc. pag. I-4695, punto 39, e del 9 settembre 2010, Engelmann, C-64/08, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata).
55 Pur senza implicare necessariamente un obbligo di procedere ad una pubblica gara, il suddetto obbligo di trasparenza – che si applica qualora la concessione di cui trattasi possa interessare un’impresa avente sede in uno Stato membro diverso da quello nel quale la concessione viene attribuita – impone all’autorità concedente di garantire, ad ogni potenziale offerente, un livello di pubblicità adeguato, tale da consentire l’apertura della concessione alla concorrenza nonché il controllo dell’imparzialità delle procedure di attribuzione (citate sentenze Commissione/Italia, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata; Sporting Exchange, punti 40 e 41, nonché Engelmann, punto 50).
56 L’attribuzione di tali concessioni deve dunque essere fondata su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, così da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali (v., in tal senso, sentenza Engelmann, cit., punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).
57 Il principio di parità di trattamento impone inoltre che tutti i potenziali offerenti dispongano di uguali opportunità, ed implica dunque che costoro siano assoggettati alle medesime condizioni. Ciò vale a maggior ragione in una situazione quale quella in esame nei procedimenti principali, in cui una violazione del diritto dell’Unione da parte dell’autorità aggiudicatrice interessata ha già avuto come conseguenza una disparità di trattamento in danno di alcuni operatori.
58 Per quanto riguarda più specificamente l’obbligo per i nuovi concessionari di insediarsi ad una distanza minima da quelli già esistenti, imposto dall’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani, tale misura ha come effetto di proteggere le posizioni commerciali acquisite dagli operatori già insediati a discapito dei nuovi concessionari, i quali sono costretti a stabilirsi in luoghi meno interessanti dal punto di vista commerciale rispetto a quelli occupati dai primi. Una misura siffatta implica dunque una discriminazione nei confronti degli operatori esclusi dalla gara del 1999.
59 Quanto a un’eventuale giustificazione di tale disparità di trattamento, risulta da una giurisprudenza consolidata che ragioni di natura economica – come l’obiettivo di garantire agli operatori aggiudicatari di concessioni dopo la gara del 1999 la continuità, la stabilità finanziaria o una giusta remunerazione degli investimenti realizzati – non possono essere riconosciute quali motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35 e la giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C-384/08, Racc. pag. I-2055, punti 53-56).
60 Inoltre, il governo italiano non può utilmente far leva, in circostanze quali quelle di cui ai procedimenti principali, sull’asserito obiettivo di garantire una distribuzione uniforme dei punti di vendita dei giochi d’azzardo sul territorio nazionale, al fine, da un lato, di evitare l’esposizione ad un eccesso di offerta per i consumatori che vivono nei pressi di tali esercizi di scommesse e, dall’altro, di prevenire il rischio che i consumatori residenti in luoghi meno coperti dall’offerta di tali servizi optino per i giochi clandestini.
61 È vero che tali obiettivi, attinenti, da un lato, alla riduzione delle occasioni di gioco e, dall’altro, alla lotta contro la criminalità mediante l’assoggettamento a controllo degli operatori attivi in tale settore e l’incanalamento delle attività di gioco d’azzardo entro i circuiti così controllati, rientrano tra quelli riconosciuti dalla giurisprudenza come idonei a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali nel settore dei giochi d’azzardo (sentenza Placanica e a., cit., punti 46 e 52).
62 Tuttavia, per quanto riguarda il primo di questi obiettivi, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni e come constatato dalla Corte al punto 54 della citata sentenza Placanica e a., il settore dei giochi d’azzardo in Italia è stato per lungo tempo caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali e dunque, in tale contesto, non è possibile invocare alcuna giustificazione fondata sugli obiettivi della limitazione della propensione al gioco dei consumatori o della limitazione dell’offerta di giochi. Nella misura in cui il decreto Bersani ha ulteriormente aumentato in modo significativo la quantità di occasioni di gioco rispetto all’epoca esaminata nella causa Placanica e a., tale conclusione si impone con ancor più forza nella situazione attuale del settore.
63 Per quanto riguarda poi il secondo degli obiettivi invocati, risulta da una giurisprudenza consolidata che le restrizioni imposte dagli Stati membri devono soddisfare il principio di proporzionalità, e che una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato soltanto se i mezzi impiegati sono coerenti e sistematici (sentenza Placanica e a., cit., punti 48 e 53).
64 Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, le norme sulle distanze minime sono state imposte unicamente ai nuovi concessionari, ad esclusione di quelli già insediati. Pertanto, anche se un regime di distanze minime tra punti di vendita potrebbe essere di per sé giustificato, non si può ammettere che simili restrizioni vengano applicate in circostanze quali quelle in esame negli odierni procedimenti principali, in cui esse penalizzerebbero unicamente i nuovi concessionari che fanno ingresso sul mercato.
65 Ad ogni modo, un regime di distanze minime tra punti di vendita potrebbe essere giustificato soltanto qualora fosse escluso – ciò che spetterebbe al giudice nazionale verificare – che il reale obiettivo di tali norme sia quello di proteggere le posizioni commerciali degli operatori esistenti, anziché quello, invocato dal governo italiano, di incanalare la domanda di giochi d’azzardo entro circuiti controllati. Inoltre, spetterebbe, se del caso, al giudice del rinvio verificare che l’obbligo di rispettare determinate distanze minime, il quale impedisce l’insediamento di punti di vendita supplementari in zone fortemente frequentate dal pubblico, sia veramente idoneo a realizzare l’obiettivo invocato e avrà effettivamente come conseguenza che i nuovi operatori sceglieranno di stabilirsi in luoghi poco frequentati, assicurando così una copertura a livello nazionale.
66 Occorre dunque rispondere alla prima parte della questione sollevata dichiarando che gli articoli 43 CE e 49 CE, nonché i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti.
Sulle nuove restrizioni introdotte a seguito dell’adozione del decreto Bersani
67 Con la seconda parte del suo quesito, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 43 CE e 49 CE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una disciplina nazionale, quale quella in esame nei procedimenti principali, la quale preveda la decadenza della concessione per le attività di raccolta e di gestione delle scommesse, nonché l’incameramento di garanzie pecuniarie costituite allo scopo di ottenere tale concessione, qualora
– venga avviato nei confronti del titolare della concessione, ovvero del suo legale rappresentante o dei suoi amministratori, un procedimento penale per qualsiasi ipotesi di reato «suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS», così come previsto dall’articolo 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione, oppure
– il titolare della concessione commercializzi, sul territorio nazionale od attraverso siti telematici situati al di fuori dei confini nazionali, giochi d’azzardo assimilabili a quelli gestiti dall’AAMS ovvero giochi d’azzardo proibiti dall’ordinamento giuridico nazionale, così come previsto dall’articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione.
68 A questo proposito, risulta dai documenti presentati alla Corte che, sebbene il citato articolo 23 dello schema di convenzione preveda formalmente ipotesi di decadenza della concessione, tali ipotesi di decadenza costituiscono in pratica anche dei presupposti per ottenere una concessione, in quanto un operatore che non li soddisfacesse al momento del rilascio della concessione incorrerebbe immediatamente nella decadenza del titolo ottenuto. Considerato che, alla luce del modus operandi della Stanley, è a quest’ultima che incombe in linea di principio l’obbligo di ottenere una concessione – ciò che consentirebbe ai CTD, quali quelli gestiti dai sigg. Costa e Cifone, di esercitare la propria attività -, qualsiasi ostacolo al rilascio di una concessione alla Stanley limita automaticamente anche le attività di questi ultimi.
Osservazioni preliminari
69 In limine occorre ricordare che gli articoli 43 CE e 49 CE impongono l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, ancorché applicabile indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, nel caso in cui essa sia idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, dove egli fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, cit., punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).
70 È pacifico che una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, la quale subordini l’esercizio di un’attività economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione, costituisce un ostacolo alle libertà così garantite dagli articoli 43 CE e 49 CE.
71 Simili restrizioni possono tuttavia essere ammesse in quanto rientranti tra le misure in deroga espressamente previste dagli articoli 45 CE e 46 CE, o possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che esse rispettino i requisiti di proporzionalità risultanti dalla giurisprudenza della Corte. A questo proposito, la giurisprudenza ha ammesso un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale (sentenza Placanica e a., cit., punti 45, 46 e 48).
72 Dalle disposizioni e dai principi citati al punto 54 della presente sentenza consegue inoltre che, nell’attribuire concessioni quali quelle in esame nei procedimenti principali, l’autorità concedente è tenuta ad un obbligo di trasparenza, consistente in particolare nel garantire, ad ogni potenziale offerente, un livello di pubblicità adeguato, tale da consentire l’apertura della concessione alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di attribuzione (citate sentenze Commissione/Italia, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata; Sporting Exchange, punti 40 e 41, nonché Engelmann, punto 50).
73 Il principio di trasparenza, che costituisce un corollario del principio di uguaglianza, ha in tale contesto essenzialmente lo scopo di garantire che qualsiasi operatore interessato possa decidere di partecipare a pubbliche gare sulla base delle informazioni pertinenti, nonché quello di garantire l’esclusione di qualsiasi rischio di favoritismo e arbitrarietà da parte dell’autorità aggiudicatrice. Esso implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca, in modo tale per cui, da un lato, sia consentito a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l’esatta portata e di interpretarle nella stessa maniera e, dall’altro, siano fissati dei limiti al potere discrezionale dell’autorità concedente e quest’ultima sia messa in grado di verificare effettivamente se le offerte dei candidati rispondono ai criteri disciplinanti la procedura in questione (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C-496/99 P, Racc. pag. I-3801, punto 111, nonché del 13 dicembre 2007, United Pan-Europe Communications Belgium e a., C-250/06, Racc. pag. I-11135, punti 45 e 46).
74 Il principio di certezza del diritto esige inoltre che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare quando esse possano avere conseguenze sfavorevoli per gli individui e le imprese (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a., C-17/03, Racc. pag. I-4983, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata).
75 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare la seconda parte della questione pregiudiziale.
Sulla decadenza della concessione a motivo dell’avvio di un procedimento penale
76 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 93 delle sue conclusioni, l’esclusione di operatori i cui gestori abbiano riportato condanne penali può in linea di principio essere considerata come una misura giustificata dall’obiettivo della lotta contro la criminalità. Infatti, come ripetutamente statuito dalla Corte, i giochi d’azzardo comportano rischi particolarmente elevati di reati e di frodi, tenuto conto della rilevanza delle somme che essi consentono di raccogliere e delle vincite che possono offrire ai giocatori (sentenza Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, cit., punto 63).
77 La decadenza della concessione costituisce tuttavia una misura particolarmente grave per il concessionario, a maggior ragione in circostanze quali quelle degli odierni procedimenti principali, in cui essa determina automaticamente, a norma dell’articolo 23, comma 6, dello schema di convenzione, la perdita di un’ingente garanzia pecuniaria nonché eventuali obblighi di risarcimento dei danni subiti dall’AAMS.
78 Di conseguenza, per consentire ad ogni potenziale offerente di valutare con certezza il rischio che gli vengano applicate simili sanzioni, per garantire l’assenza di rischi di favoritismo o arbitrarietà da parte dell’amministrazione aggiudicatrice e, infine, per garantire il rispetto del principio di certezza del diritto, è necessario che le circostanze nelle quali le suddette sanzioni verranno applicate siano enunciate in modo chiaro, preciso e univoco.
79 Il riferimento, contenuto nell’articolo 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione, alle «ipotesi di reato di cui alla legge 19 marzo 1990, n. 55», che riguarda i delitti di mafia nonché altre forme di criminalità comportanti un grave pericolo per la società, sembra soddisfare le esigenze sopra descritte, salvo verifica da parte del giudice del rinvio. Per contro, e sempre con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, altrettanto non sembra potersi dire per quanto riguarda il riferimento, operato dalla medesima disposizione sopra citata, a «ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS». Spetta al giudice del rinvio esaminare se un offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente sarebbe stato in grado di comprendere l’esatta portata di tale riferimento.
80 Nell’ambito di tale esame, detto giudice dovrà in particolare tener conto, da un lato, del fatto che i potenziali offerenti disponevano di un termine inferiore a due mesi per esaminare i documenti relativi alla gara e, dall’altra, del comportamento dell’AAMS a seguito delle richieste di chiarimenti inviatele dalla Stanley.
81 In ogni caso, risulta da una costante giurisprudenza che le restrizioni imposte dalla normativa nazionale non devono andare oltre quanto è necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito (sentenza Gambelli e a., cit., punto 72). Di conseguenza, sebbene in determinate circostanze possa rivelarsi giustificato adottare misure preventive nei confronti di un operatore di giochi d’azzardo sospettato, sulla base di indizi concludenti, di essere implicato in attività criminali, un’esclusione dal mercato in virtù della decadenza della concessione dovrebbe, in linea di principio, essere considerata proporzionata all’obiettivo della lotta contro la criminalità unicamente nel caso in cui fosse fondata su una sentenza avente autorità di giudicato e riguardante un delitto sufficientemente grave. Una legislazione che contempli, anche in modo temporaneo, l’esclusione di operatori dal mercato potrebbe essere considerata proporzionata unicamente a condizione di prevedere un’efficace possibilità di ricorso in sede giurisdizionale nonché un risarcimento del danno subìto nel caso in cui, in un momento successivo, tale esclusione si rivelasse ingiustificata.
82 Consta inoltre – salvo verifica da parte del giudice del rinvio – che la causa di decadenza enunciata all’articolo 23, comma 2, lettera a), dello schema di convenzione ha ostacolato, in pratica, la partecipazione alle gare del 2006 di operatori, come la Stanley, i cui rappresentanti erano all’epoca sottoposti a procedimenti penali avviati prima della pronuncia della citata sentenza Placanica e a., conclusisi con decisioni di proscioglimento in una fase successiva.
83 In tale contesto occorre ricordare che dalla citata sentenza Placanica e a. risulta che la Repubblica italiana non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore che era stato escluso dalle gare pertinenti in violazione del diritto dell’Unione (punto 70 della sentenza). Tale sentenza è stata pronunciata il 6 marzo 2007, ossia quattro mesi dopo il termine del 20 ottobre 2006 fissato per la presentazione delle candidature nella procedura di gara prevista dal decreto Bersani.
84 Pertanto, qualora al momento della gara prevista dal decreto Bersani fossero pendenti procedimenti penali avviati a carico di un operatore come la Stanley, o di suoi rappresentanti o amministratori, rivelatisi poi privi di fondamento giuridico, segnatamente alla luce della citata sentenza Placanica e a., con la conseguenza di rendere praticamente impossibile la partecipazione di detto operatore alla gara in questione, pena l’immediata declaratoria di decadenza della concessione in ragione dei citati procedimenti pendenti, deve ritenersi che la nuova gara non abbia effettivamente rimediato all’esclusione dell’operatore suddetto dalla gara precedente, censurata nella citata sentenza Placanica e a.
85 Di conseguenza, e per ragioni identiche a quelle enunciate in detta sentenza, non possono essere applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone, quali i sigg. Costa e Cifone, legate a un operatore, come la Stanley, che era stato escluso dalle gare precedenti in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara prevista dal decreto Bersani.
86 Tenuto conto della risposta che occorre dare a questa parte del quesito alla luce delle suesposte considerazioni, non è necessario stabilire se e, eventualmente, in quale misura la disposizione censurata violi – così come sostenuto dai sigg. Costa e Cifone – la presunzione di innocenza che costituisce parte integrante delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è enunciata all’articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Sulla decadenza della concessione a motivo della commercializzazione di giochi d’azzardo mediante siti telematici situati al di fuori del territorio nazionale
87 Come dimostrato tanto dalla corrispondenza intercorsa tra la Stanley e l’AAMS riepilogata ai punti 21-26 della presente sentenza, quanto dal fatto che l’avvocato generale si è visto costretto a presentare, ai paragrafi 72-89 delle sue conclusioni, due soluzioni alternative fondate su ipotesi di interpretazione dell’articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione radicalmente differenti tra loro, quest’ultima disposizione manca di chiarezza.
88 Sussiste infatti incertezza riguardo all’obiettivo e agli effetti di tale disposizione, i quali potrebbero essere o di impedire che un concessionario commercializzi attivamente nel territorio italiano giochi d’azzardo diversi da quelli per i quali egli detiene una concessione, o di impedire qualsiasi attività transfrontaliera in materia di giochi d’azzardo, e in particolare un’attività esercitata con un modus operandi quale quello della Stanley, fondato sul ricorso a CTD.
89 A questo proposito, non vi è dubbio che l’interpretazione delle disposizioni di diritto nazionale spetti, nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’articolo 267 TFUE, ai giudici nazionali e non alla Corte (sentenza Placanica e a., cit., punto 36). Tuttavia, risulta dalla giurisprudenza citata ai punti 72-74 della presente sentenza che il diritto dell’Unione esige che le condizioni e le modalità di una procedura di gara, quale quella in questione negli odierni procedimenti principali, siano formulate in modo chiaro, preciso e univoco. Non è questo il caso per quanto riguarda l’articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione, e ciò malgrado le spiegazioni supplementari fornite dall’AAMS su richiesta della Stanley.
90 È giocoforza constatare che non si può addebitare ad un operatore, quale la Stanley, il fatto di aver rinunciato a presentare una candidatura per una concessione in assenza di qualsiasi sicurezza sul piano giuridico, fintanto che permaneva incertezza riguardo alla conformità del suo modus operandi alle disposizioni della convenzione da sottoscrivere al momento dell’attribuzione di una concessione. Qualora tale operatore fosse stato escluso, in violazione del diritto dell’Unione, dalla gara precedente oggetto di censura nella citata sentenza Placanica e a., deve ritenersi che la nuova gara non abbia effettivamente rimediato a tale esclusione dell’operatore in questione.
91 Alla luce dell’insieme di tali considerazioni, occorre rispondere alla seconda parte della questione sollevata dichiarando che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara.
92 Risulta dagli articoli 43 CE e 49 CE, dal principio di parità di trattamento, dall’obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara, quale quella in questione negli odierni procedimenti principali, e in particolare le norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine di tale gara, come quelle dettate dall’articolo 23, commi 2, lettera a), e 3, dello schema di convenzione, devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulle spese
93 Nei confronti delle parti dei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
(Torna su ) P.Q.M.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) Gli articoli 43 CE e 49 CE, nonché i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti.
2) Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara.
3) Risulta dagli articoli 43 CE e 49 CE, dal principio di parità di trattamento, dall’obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara, quale quella in questione negli odierni procedimenti principali, e in particolare le norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine di tale gara, come quelle dettate dall’articolo 23, commi 2, lettera a), e 3, dello schema di convenzione tra l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e l’aggiudicatario della concessione per giochi d’azzardo relativi ad eventi diversi dalle corse dei cavalli, devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare.
NOTE GIURISPRUDENZIALI
Giust. civ. 2012, 04, 01, 0868
(1) La sentenza in epigrafe riguarda la posizione dell’operatore inglese Stanley che da molti anni opera di fatto in Italia tramite i c.d. «?Centri di trasmissione dati?» (CTD), punti fisici che raccolgono scommesse (trasmesse elettronicamente in Inghilterra) su eventi sportivi senza disporre di concessione statale, né di autorizzazione di polizia. La divergenza tra l’ente regolatore italiano (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato-AAMS) e l’operatore inglese risale al 1999, quando Stanley fu escluso da un bando di gara per assegnazione di concessioni, ed è proseguita nel 2006 in occasione di un ulteriore bando allorché lo stesso operatore ritenne, anche in seguito ad una serie di chiarimenti sulle condizioni di concessione richiesti all’AAMS, di non parteciparvi. Nel contempo, Stanley ha avviato un nutrito contenzioso giudiziario in Italia, tuttora irrisolto, mentre numerose procure italiane hanno iniziato procedimenti penali contro persone fisiche operanti per conto di Stanley. La sentenza in epigrafe trae origine da un rinvio pregiudiziale della Suprema Corte che si aggiunge a numerosi altri che hanno già permesso alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla normativa italiana in materia di giochi e scommesse (cfr. C. giust. CE 21 ottobre 1999 in causa C-67/98, Zenatti, in Raccolta, p. I-7289; C. giust. CE 6 novembre 2003 in causa C-243/01, Gambelli e a., in Raccolta, p. I-13031; C. giust. CE 6 marzo 2007 in causa riun. C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica e a., in Raccolta, p. I-1891; C. giust. CE 13 settembre 2007 in causa C-260/04, Commissione c. Italia, in Raccolta, p. I-7083). Il giudizio della Corte è stato reso dalla quarta sezione che comprende il giudice inglese Schiemann cui è stata attribuita anche la funzione di giudice relatore della causa.
La sentenza rileva vari elementi negativi nella normativa italiana di settore. In linea generale, dalla decisione emerge che tale normativa tende a proteggere, in modo incompatibile con l’ordinamento dell’Unione, le posizioni acquisite dai soggetti concessionari a scapito dei nuovi entranti sul mercato o degli aspiranti tali. In estrema sintesi, la Corte ha affrontato tre questioni. In primo luogo, ha ritenuto incompatibile con i principi dell’Unione il regime che imponeva una distanza minima tra i punti vendita nella misura in cui tale regime sia destinato a proteggere le posizioni commerciali degli operatori esistenti. La Corte ha affidato questa verifica al giudice nazionale (conviene tuttavia ricordare che in materia di giochi il regolatore italiano ha abrogato nel 2008 il regime delle distanze minime anche per indurre le società operanti con CTD irregolari a divenire concessionari). In secondo luogo, la Corte si è occupata della decadenza dalla concessione in ragione dell’avvio di un procedimento penale, assumendo quale parametro di legalità il principio giurisprudenziale secondo il quale le sanzioni applicabili dagli Stati membri in sede di regolamentazione di un’attività economica devono essere «?enunciate in modo chiaro, preciso e univoco?». Se, da un lato, ha considerato coerente con tale principio la decadenza risultante da delitti di mafia, nonché da altre forme di criminalità comportanti un grave pericolo per la società, dall’altro, la Corte ha ritenuto incompatibili con il medesimo principio le forme di decadenza, previste dalla normativa italiana, per «?ipotesi di reato suscettibili di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS?». Pur lasciando al giudice nazionale il consueto margine di apprezzamento per verificare se le esigenze imposte dall’ordinamento dell’Unione siano in concreto coerenti con detto principio, la Corte ha ricordato che in base alla sua giurisprudenza le sanzioni (inclusa la decadenza dalla concessione) devono essere proporzionate e risultare da «?una sentenza avente autorità di giudicato e riguardante un delitto sufficientemente grave?» (punto 81). Nel rammentare poi che uno Stato membro non può applicare sanzioni penali previste da norme nazionali adottate in violazione del diritto dell’Unione (punto 83), la Corte ha concluso che, nel caso di specie, i giudici nazionali devono non applicare le sanzioni penali nei confronti di gestori di punti vendita legati a Stanley, in quanto operatore escluso da una gara e successivamente impossibilitato a partecipare ad una seconda gara in virtù di una normativa interna incompatibile con i principi dei Trattati. In terzo luogo, la Corte ha affrontato la questione della decadenza della concessione a motivo della commercializzazione di giochi d’azzardo mediante siti telematici situati al di fuori del territorio nazionale, che è poi il consueto modus operandi di Stanley che si serve effettivamente di un sito collocato a Liverpool. Al riguardo, la Corte ha nuovamente puntato l’indice sulle incertezze risultanti dalla procedura di gara di AAMS, ribadendo che le condizioni e le modalità delle stesse debbano essere«?formulate in modo chiaro, preciso e univoco?» (punto 89), per giungere infine alla conclusione che nella fattispecie non è addebitabile a Stanley il fatto di aver rinunciato a partecipare alla gara del 2006 «?in assenza di qualsiasi sicurezza sul piano giuridico?» (punto 90).
La sentenza non ha peraltro rimesso in discussione il fondamento del sistema italiano dei giochi che ruota intorno al «?principio della concessione?» e che attualmente permette a molti operatori anche stranieri (e britannici) di operare in territorio italiano. La Corte ha affermato in varie sentenze la coerenza del principio concessorio con i Trattati, ritenendolo un «?meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore [.] allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti?» (sentenza Placanica, cit., punto 57). Su un piano generale, deve comunque rilevarsi che la sentenza mette in luce talune anomalie della legislazione italiana, in particolare quando la Corte sottolinea che «?il settore dei giochi d’azzardo in Italia è stato per lungo tempo caratterizzato da una politica di espansione finalizzata ad aumentare gli introiti fiscali e dunque, in tale contesto, non è possibile invocare alcuna giustificazione fondata sugli obiettivi della limitazione della propensione al gioco dei consumatori o della limitazione dell’offerta di giochi?» (punto 62). Del resto, già l’avvocato generale aveva sostenuto che la politica attuata nel nostro Paese in materia di giochi avrebbe banalizzato il gioco rendendolo progressivamente sempre più accessibile e che, in seguito all’attribuzione di quattordicimila nuove concessioni nel 2006, si potrebbe addirittura parlare di una liberalizzazione di fatto del settore, sebbene ancora soggetto a regolamentazione.