di Mauro Fortunato Magnelli
Cenni in tema di interpretazione analogica. Questioni attuali.
Sommario: 1. Metodo analogico e responsabilità dell’interprete: ricerca della soluzione più adeguata ai concreti problemi emergenti. Rilevanza delle condotte umane e necessità di valutare i fatti che non costituiscono oggetto di previsione legislativa: attualità del problema. – 2. “Completezza” e “perfezione” del sistema normativo. Critica alla pretesa della scienza giuridica di fissare una forma conclusa di ordinamento: complessità e dinamismo del sociale. La non apparenza delle c.dd. “lacune”: il contributo della scienza penalistica. – 3. Le zone d’ombra del sistema: opportunità di creare nuove ipotesi normative o di apportare correttivi alle fattispecie preesistenti. Il ragionamento per analogia: regolamentazione di un fatto non previsto da norma giuridica e applicazione di una disposizione che contempla un caso simile. La comunanza di aspetti “rilevanti”. L’analogia quale procedimento logico di specie particolare e quale mezzo per superare i confini del formalismo. – 4. L’erronea ricostruzione del procedimento analogico come metodo sussidiario e l’inadeguatezza del criterio dell’interpretazione letterale. La “chiarezza” del testo come trappola dell’interprete disattento. – 5. Il divieto di analogia in materia penale. La questione dell’estensibilità del divieto alle esimenti codificate: opportunità di valutare i profili del singolo accadimento. – 6. Ragionamento analogico ed interpretazione estensiva: la dualità che diventa unità nel procedimento conoscitivo. La giurisprudenza e la funzione di adeguamento dell’ordinamento alla realtà sociale. – 7. L’analogia non come metodo alternativo rispetto all’applicazione dei princípi, ma quale mezzo attuativo dei valori fondamentali
1. Metodo analogico e responsabilità dell’interprete: ricerca della soluzione più adeguata ai concreti problemi emergenti. Rilevanza delle condotte umane e necessità di valutare i fatti che non costituiscono oggetto di previsione legislativa: attualità del problema.
Il tema dell’analogia attraversa tutti gli àmbiti del diritto, tanto che, sovente, la valutazione del civilista si intreccia alla riflessione del penalista e le ricostruzioni del filosofo fanno da sfondo alle elaborazioni della dottrina privatistica.
L’uso dell’analogia ha un rilievo fondamentale rispetto ad ogni forma di discorso, sia esso letterario, religioso, scientifico o giuridico in senso stretto. Qualcuno è giunto, perfino, a sostenere che la storia del principio analogico finisce col sovrapporsi alle alterne vicende del pensiero umano[1].
La ragione principale dell’importanza dell’analogia risiede nel fatto che grazie ad essa, ossia all’individuazione di una struttura comune a situazioni e fatti differenti, si accresce di gran lunga la conoscenza umana della realtà[2].
Occuparsi di analogia significa incunearsi nei meandri dell’attività di interpretazione[3], alla quale nessun giudice può sottrarsi ed in forza della quale si è chiamati a trovare sempre la soluzione più adeguata ai problemi concreti[4].
Come di recente affermato, la somiglianza fattuale, che l’analogia vuole ricercare, concerne proprio l’individuazione della normativa più adeguata alle peculiarità dei fatti, soprattutto in considerazione delle «conseguenze giuridiche che, con il procedimento analogico, vengono a prodursi e ad estendersi»[5]. L’analisi attenta alle conseguenze può ricavare dalle implicazioni riconducibili ad una tra le tante soluzioni possibili quella più adeguata al caso concreto e va ritenuta ispirata alla «complessa assiologia insita nel sistema ordinamentale»[6].
Le questioni che oggi richiedono risposta sono tanto numerose quanto complessa è la realtà nella quale l’uomo è individuo con i propri bisogni, oltre che soggetto posto in relazione ai suoi simili, nella fitta rete delle dinamiche sociali[7]. Il ricorso all’analogia è particolarmente significativo quando articolato e dinamico si prospetta l’àmbito delle relazioni intersoggettive, nelle quali i fatti e i comportamenti non sempre sono cristallizzati in leggi.
L’attività di interpretazione delle norme è alla base dello studio del diritto[8] ed è operazione molto piú ardua di quanto si possa credere[9]. Le ragioni della difficoltà del procedimento valutativo risiedono, da un lato, nell’incessante evoluzione sociale, per cui le leggi continuano ad essere applicate nonostante il mutare della società; dall’altro, nel coordinamento della norma da interpretare con le disposizioni presenti nell’ordinamento e costituenti il suo naturale svolgimento e sviluppo.
Il ragionamento analogico rappresenta uno dei presupposti per enucleare il significato delle leggi che, se specificate nella loro intrinseca razionalità, segnano la linea direttrice lungo la quale possono giustificarsi e fondarsi le azioni dell’uomo.
Per questa ragione, applicare l’analogia significa inserirsi nel rapporto dialogico fra norma e fatto, fra diritto e società in perenne evoluzione[10]. La conoscenza giuridica comporta, infatti, l’individuazione della norma nel momento attuativo[11] ed implica una ponderazione degli interessi sostanziali sottesi alle situazioni, le quali sono conseguenza dei fatti giuridici umani. Il punto è che l’interpretazione, anche quella analogica, è sempre affermazione della priorità di un significato rispetto ad un altro, significato ricavato da quella che è stata giustamente definita «la forza vitale del fatto»[12].
Il diritto rinviene la sua ragion d’essere e di operare nelle condotte della persona umana[13] e l’interprete deve farne oggetto di analisi, anche là dove non sia possibile rinvenire un elemento di raccordo tra queste e gli enunciati che compongono la struttura del sistema giuridico.
A tal proposito, c’è chi ha avuto modo di rilevare che il mondo del diritto trova la propria base e la propria conferma in quella logica delle azioni umane, che è prima e al di fuori di ogni particolare e positiva statuizione, in quella stessa logica delle azioni, dalla quale il giurista positivo, nonostante le antinomie e le insufficienze di quel complesso spazialmente e temporalmente limitato di statuizioni giuridiche che è il corpo delle leggi, trae l’ispirazione e la suggestione a parlare di ordinamento giuridico, come «di sistema razionale, o, con una metafora, di complesso organico di leggi»[14].
2. “Completezza” e “perfezione” del sistema normativo. Critica alla pretesa della scienza giuridica di fissare una forma conclusa di ordinamento: complessità e dinamismo del sociale. La non apparenza delle c.dd. “lacune”: il contributo della scienza penalistica.
Sulla base di quanto premesso, risulta che condizione necessaria dell’analogia è la consapevolezza dell’elasticità ed apertura dell’ordinamento[15], che si caratterizza non per la sua esaustività, ma per la presenza di lacune[16], che l’interprete è chiamato a colmare con ogni impegno e sforzo.
La lacuna legislativa non implica l’assenza di una norma idonea a disciplinare la fattispecie. Questa, in effetti, è circostanza che non può verificarsi, perché, ogniqualvolta manchi una regola espressa, è comunque possibile individuare un principio, eventualmente collegato ad altri, in grado di condurre alla decisione e alla soluzione del caso concreto. La rilevanza normativa dei princípi, dunque, deve indurre a riconsiderare il problema delle lacune ed il ruolo stesso dell’interpretazione analogica, dal momento che l’assenza di una regola non significa assenza di precetti normativi idonei a condurre alla decisione[17]. Perseverare nell’idea che la lacuna è assoluta mancanza di un enunciato normativo capace di contemplare il fatto da regolare comporta il radicarsi di quell’antica concezione che risolve l’attività ermeneutica nella fattispecie astratta e nel percorso di riconduzione del fatto allo schema disegnato dal legislatore.
Il tradizionale dogma della completezza dell’ordinamento[18], ricollegabile al sistema romanistico ed espressione del diritto perfetto al quale nulla doveva essere aggiunto e niente doveva essere sottratto[19], trova un’elegante critica nelle pagine della dottrina penalistica, per la quale, dinanzi a situazioni o rapporti non esplicitamente regolati, ma posti in evidenza dalla pratica, risulta necessario escludere la “compiutezza” dell’ordine giuridico[20].
La completezza è requisito soltanto apparente del sistema, nel quale i difetti esistono e devono essere sanati. La coerenza intrinseca dell’ordinamento ha il suo limite proprio nelle lacune come anomalie e non come assenze di norme[21], lacune che non possono essere superate – come qualcuno ha sostenuto – attraverso una disposizione generale ed esclusiva[22], la quale finirebbe col rendere le imperfezioni soltanto fittizie.
C’è chi, proteso verso la concezione di un diritto che non è soltanto monopolio dello Stato ma simbolo delle diverse forze che nella società dispiegano la loro capacità creatrice di regole, afferma che l’assetto sociale ed i rapporti regolati dal diritto subiscono continue modifiche, in funzione di una straordinaria accelerazione del tempo, che non è fissata da scansioni regolarmente calcolabili, quand’anche la temporalità può essere radicata nella capacità produttiva dell’uomo, nell’ontologia del suo divenire[23].
Lo sguardo rivolto al dinamismo dell’esperienza umana e alla flessibilità del sistema consente di respingere, definitivamente, la pretesa della scienza giuridica e della filosofia politica di fissare una forma conclusa di ordinamento. In questa prospettiva, il prodotto legislativo, assunto dai giuristi quale essenziale paradigma da preservare sempre di fronte all’incalzare delle esperienze umane, non si attaglia alla complessità di situazioni reali sempre rinnovate. E ciò «neppure se si inseriscono nello schema che determina la completezza taluni indicatori surrettiziamente finalizzati alla chiusura della sovrastruttura inclusiva, per amore di una formula che non riesce piú a tradurre, e né mai lo potrebbe, lo sfasamento tra diritto costituito e realtà sociale»[24].
3. Le zone d’ombra del sistema: opportunità di creare nuove ipotesi normative o di apportare correttivi alle fattispecie preesistenti. Il ragionamento per analogia: regolamentazione di un fatto non previsto da norma giuridica e applicazione di una disposizione che contempla un caso simile. La comunanza di aspetti “rilevanti”. L’analogia quale procedimento logico di specie particolare e quale mezzo per superare i confini del formalismo.
Per rischiarare le zone d’ombra del sistema, due sarebbero le soluzioni prospettabili: creare nuove ipotesi normative o apportare correttivi alle fattispecie preesistenti, da integrare attraverso il procedimento interpretativo. In quest’ultima prospettiva, è proprio l’intuizione analogica a conferire al sistema coerenza ed unitarietà[25].
L’attività di carattere analogico dimostra che se è possibile rinvenire nell’ordine giuridico dati da utilizzare nella regolamentazione del caso concreto non espressamente previsto[26], è altrettanto possibile prescindere da un’idea rigida di apparato normativo, quale complesso immodificabile.
Come ben si sa, l’analogia è ragionamento o procedimento logico avente determinati effetti e mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle eventuali insufficienze o deficienze della previsione legislativa, facendo ricorso alla disciplina giuridica di un caso simile[27]. Il ragionamento per analogia indica, pertanto, l’attività che dà regolamentazione ad un caso non valutato da norma, applicandovi una disposizione che contempla un’ipotesi ritenuta dall’operatore, esperto ed attento, simile al primo, posto che con l’espressione “simile” si intenda fare riferimento alla comunanza di aspetti rilevanti[28].
In questa direzione, l’interpretazione analogica raffigurerebbe uno di quei mezzi attraverso i quali l’ordinamento giuridico riesce ad assicurare la propria “autointegrazione”, in quanto esso procede, dal suo interno, alla “estrazione” del comando mancante[29]. In tal modo, però, torna ancóra una volta a far capolino la concezione della lacuna come assenza e non come difformità rispetto ai princípi fondamentali.
L’analogia viene presentata dal penalista come «uno strano procedimento», capace di assumere i connotati di un «puro fenomeno politico»[30]. La stranezza è legata al fatto che, nel tentativo di rinvenire elementi di somiglianza tra l’ipotesi prevista e quella non espressamente regolata, l’interprete si sottrae sia alle regole del ragionamento deduttivo, sia ai princípi del metodo induttivo.
Si tratta, in realtà, di un iter logico di specie particolare, in quanto presenta margini di libertà interpretativa tali da proiettare gli effetti oltre la legge e superare, per un verso, i confini del formalismo e, dall’altro lato, la teoria della separazione dei poteri[31].
Il merito della scienza penale sta nell’aver ribadito con fermezza che, in seno al criterio analogico, opera una tecnica di valutazione della realtà affrancata dalle strettoie della sussunzione[32]. Scoprire somiglianze tra profili significativi di due fattispecie significa andare alla ricerca del substrato dei fatti[33], di quello regolato e di quello non inquadrato normativamente, nonché alla scoperta del nucleo degli interessi che richiedono piena tutela dall’ordinamento.
L’interpretazione analogica, nel confronto dialettico fra diritto penale e diritto civile[34], viene dunque in considerazione quale efficace strumento di conoscenza, svincolato dalle forme ed ancorato alla sostanza della norma e del fatto.
Ciò, se non bastasse quanto prima si è detto, porta a ribadire che il diritto è materia viva, conformata su una realtà in movimento: proprio quando si pensa di aver colto l’essenza della norma e degli eventi, ci si rende conto che la trasformazione del mondo e delle coscienze ha spostato in luogo molto lontano il punto focale della riflessione.
4. L’erronea ricostruzione del procedimento analogico come metodo sussidiario e l’inadeguatezza del criterio dell’interpretazione letterale. La “chiarezza” del testo come trappola dell’interprete disattento.
Come è noto, l’art. 12 delle preleggi autorizza il ricorso all’analogia. Problema di fondo, però, è l’erronea ricostruzione del procedimento analogico quale metodo sussidiario.
È nel giusto chi ritiene che due fattispecie mai possano essere del tutto eguali, «se non altro per le diversità temporali, spaziali e soggettive che concorrono ad individuarle»[35].
È impossibile che si profilino fatti del tutto corrispondenti. La disciplina si costruisce per una serie di ipotesi soltanto similari. Da questo punto di vista, si può senz’altro affermare che l’interpretazione è sempre di natura analogica[36].
Se cosí è, pare impossibile che la valutazione della legge debba procedere per gradi e che primario ed esaustivo livello di conoscenza della norma sia l’analisi della sua lettera. Cosí procedendo, l’analogia perderebbe il ruolo che prima le è stato affidato, in quanto strumento di comprensione che prescinde da dati apparenti.
È stato, a ragione, rilevato che, oggi piú che in passato, non serve un “imitatore servile” della norma giuridica, ma un “interprete ragionevole” e sensibile che, con particolare attenzione alla varietà dei casi, sappia, di volta in volta, ricavare dalla fattispecie legale la regola da applicare alla figura analoga, non identica[37]. È proprio la ragionevolezza il “collante” costante e necessario fra il caso concreto ed il sistema giuridico di riferimento, offrendo la possibilità di selezionare, tra le varie soluzioni prospettabili, quella più adeguata agli interessi sostanziali in gioco e ai valori che attraversano l’intero sistema ordinamentale.[38]
L’esasperata attenzione alla lettera della disposizione porterebbe a tradire la ratio che sta a fondamento della norma, la quale va misurata nella sua dimensione di valore. L’analogia, per le caratteristiche che presenta, è in grado di rispondere all’esigenza di valorizzare il dato normativo nella sua espressione dinamica. Il diritto, infatti, è «un dover essere esplicitato da norme in evoluzione, il cui senso non può essere stratificato una volta per tutte nello schema definito dal legislatore, neppure se dovesse essere chiaro il tenore delle parole che lo esplicitano»[39].
Alla luce delle osservazioni svolte, non pare condivisibile la scelta di porre sullo stesso piano l’interpretazione letterale della legge e l’analogia, la quale è strumento finalizzato a desumere dall’ordinamento la regola alla stregua della quale valutare i casi dubbi. L’attività valutativa impone un’operazione conoscitiva che sappia andare di là dal semplice apprezzamento del comando nella sua mera formulazione. Ogni interprete è chiamato non a scegliere tra due o più significati di un’espressione, ma a comprendere l’essenza della disposizione riferibile ad un fatto alla luce del sistema giuridico dei valori.
Che sia inadeguato il criterio dell’interpretazione letterale è ribadito sia dalla più attenta dottrina civilistica[40], sia dalla moderna scienza penalistica[41].
Quest’ultima tiene a precisare che l’interprete deve rammentare che il referente delle norme, espresso mediante le parole, è una realtà mossa da interessi contrastanti, da improbabili concordanze prive, a volte, di punti di riferimento strutturalmente catalogabili[42].
L’individuazione del significato delle parole è, talvolta, davvero problematica, in ragione dell’ambiguità del discorso legislativo e della polivalenza dei termini utilizzati per regolamentare una data materia. Il senso delle espressioni dipende da circostanze storico-ambientali delle quali serve tener conto. Il senso delle parole è «cosa opaca, misteriosa, chiusa su se medesima, massa frammentata ed enigmatica su tutti i suoi punti, mescolata qua e là alle figure del mondo e in esse confuso: tanto che, tutte insieme, queste formano un reticolo di contrassegni in cui ciascuna può svolgere e di fatto svolge, in riferimento a tutte le altre, la funzione di contenuto e di segno, di segreto o di indicazione»[43].
Sembra, allora, che l’analisi del penalista possa trovare punti di contatto con l’opera del civilista, secondo il quale il maggiore equivoco annidato nel broccardo “in claris non fit interpretatio” consiste nell’asserita “chiarezza” del testo. La chiarezza di una parola è soltanto relativa, in quanto le espressioni linguistiche assumono significati sempre differenti, a seconda della cultura e dei valori assorbiti da una data comunità[44]. La chiarezza è un raggiro, un abbaglio. Essa è la trappola dell’interprete disattento, superficiale, cioè l’inganno di chi non si premura di scendere nell’oscuro labirinto della norma.
Secondo la più attenta dottrina, «il problema della chiarezza di un testo legislativo non ha senso se circoscritto al primo impatto della “precomprensione”, cioè al profilarsi della prima lettura e, quindi, di una sommaria interpretazione; la qualifica di chiarezza attribuibile ad un testo legislativo ha senso invece là dove sia il risultato, un dopo, della sua interpretazione. Chiaro è quel testo che, letto in connessione con altri, con i princípi rilevanti nell’ipotesi concreta, acquista significato normativo senza che sia necessario forzare apertamente la sua lettera. Tuttavia, la sua interpretazione non potrà non essere influenzata dalla conoscenza dell’universo normativo»[45].
5. Il divieto di analogia in materia penale. La questione dell’estensibilità del divieto alle esimenti codificate: opportunità di valutare i profili del singolo accadimento.
La rimeditazione del contenuto dell’art. 12 prel. fa da sfondo alla riflessione sulla portata dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale. Come è noto, in base a quest’ultima norma, il procedimento analogico non è ammesso per le leggi eccezionali e per quelle penali.
L’intera materia del diritto penale è dominata dal principio di legalità, condensato nella formula “nullum crimen et nulla poena sine lege” ed affermato dall’art. 1 c.p., oltre che dall’art. 25 cost. Da queste due norme di rango diverso discendono molte conseguenze, le quali operano su tre diversi piani. In primo luogo, un fatto non può essere considerato reato se un’apposita legge non lo preveda come tale; d’altro canto, nessuno può essere punito da una legge che non sia entrata in vigore prima della commissione del reato; in terza battuta, il fatto che dà luogo all’applicazione della pena deve essere previsto dalla legge in modo espresso, quindi, mentre non può essere desunto implicitamente da norme relative a fatti diversi, la fattispecie che lo descrive deve essere formulata con puntualità.
Le disposizioni richiamate indicano la rappresentazione normativa del principio della riserva di legge e del divieto di analogia[46].
Discusso è l’àmbito operativo del divieto in materia penale[47].
Un tentativo di soluzione del problema può prendere le mosse proprio dal dialogo interdisciplinare sul tema analogico.
Secondo una visione più rigida, il divieto di analogia dovrebbe avere carattere assoluto, nel senso che riguarderebbe sia le norme incriminatrici e sia le norme di favore, che prevedono cause di non punibilità o di estinzione del reato. A giustificazione di tale assunto, si addurrebbe il primato della certezza del diritto.
Contro la concezione assoluta si può obiettare che il comma 2 dell’art. 25 cost. sancisce il primato non dell’esigenza di certezza, ma della libertà del cittadino. Se, dunque, la libertà è la regola e la sua limitazione costituisce l’eccezione, risulta conforme al precetto costituzionale un’interpretazione analogica che abbia l’obiettivo di estendere la portata delle norme piú favorevoli al reo.
Orbene, i termini nei quali si pone il problema giuridico del divieto di analogia sono tali da escludere che il procedimento interpretativo possa essere inteso in malam partem e in bonam partem. Non sembra, cioè, possibile prevedere il divieto di analogia a proposito delle norme incriminatrici, perché tassativamente determinate dalla legge, e, al tempo stesso, rinvenire nella normativa ordinaria ed in quella costituzionale la lecita estensione analogica delle norme favorevoli, come le cause di giustificazione[48].
Secondo un approccio metodologico riferibile a più àmbiti disciplinari, non si può dare soluzione a problemi astrattamente considerati, in quanto è sempre necessario valutare gli accadimenti nella loro fattualità.
Su questa scia, oggi si insegna che, nel sistema dei rapporti negoziali, la conoscenza dell’atto è operazione complessa, in quanto legata ad un’ampia serie di variabili, quali: il regime della responsabilità, il grado di diligenza, le condizioni economiche dei soggetti ed il contesto ambientale dell’operazione economica. All’individuazione pratico-giuridica dell’atto si accompagna, però, la qualificazione sulla base della compatibilità ai princípi dell’ordinamento[49].
Come è stato rilevato, è proprio la «compatibilità» ad implicare sempre un «giudizio essenzialmente strutturalmente analogico»[50].
Se la compatibilità concerne l’intera disciplina dei contratti[51], la riconduzione della condotta umana alla fattispecie che costituisce reato non può, parimenti, prescindere dall’esame del concreto evento, da ricostruire e ricomporre alla stregua dei parametri che il sistema, nella sua complessità[52], determina ed indica.
La prospettiva costituzionale, solidaristica e personalistica, impone una valorizzazione degli elementi soggettivi delle scriminanti, intesi non soltanto come conoscenza dei presupposti, ma anche come direzione della condotta alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela[53].
Se si opera una trasposizione delle osservazioni svolte in tema di negozio sul piano delle vicende penalmente rilevanti, risulta che è dall’esegesi delle norme vigenti e dalla valutazione delle esimenti alla stregua della “sistematica” nozione di reato che deve scaturire l’operatività o meno del divieto di analogia[54].
6. Ragionamento analogico ed interpretazione estensiva: la dualità che diventa unità nel procedimento conoscitivo. La giurisprudenza e la funzione di adeguamento dell’ordinamento alla realtà sociale.
Ora, utile appare un richiamo ad una questione in discussione ormai da tempo.
Problema centrale è se esista un nesso tra analogia ed interpretazione estensiva[55].
In diritto penale, la prima, vietata dall’art. 14 prel. e dagli artt. 1 e 199 c.p., trova il suo piú evidente ostacolo nel comma 2 dell’art. 25 cost. La seconda, al contrario, è ammessa ed è considerata, addirittura, essenziale[56]. L’interpretazione estensiva, infatti, servirebbe a determinare la portata del precetto secondo il pensiero e la volontà del legislatore, anche di là dalla dizione strettamente letterale, quando sia palese che lo stesso legislatore minus dixit quam voluit. In tal caso, non vale invocare il divieto di applicazione analogica, poiché l’estensione non avviene per similitudine di rapporti o di ragioni, ma per la necessità logica di ricondurre alla previsione normativa ipotesi non completamente delineate e tuttavia configurabili in base al corrispondente tenore della legge.
In realtà, l’interpretazione estensiva non amplia il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un ingiustificato rispetto della lettera. Essa non incontra perciò, come tale, alcuna limitazione nell’art. 14 prel., perché accerta l’esatto contenuto di una norma, attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica.
Allora, mediante l’analogia, si applica la conseguenza giuridica prevista da una norma ad una fattispecie concreta riconducibile a casi diversi, ma simili in maniera rilevante alle circostanze contemplate dalla norma[57]. Il criterio per mezzo del quale si stabilisce la rilevanza della somiglianza è generalmente indicato nella ratio legis[58].
Al contrario, si interpreta estensivamente ogniqualvolta il significato di una formulazione venga ampliato rispetto al senso determinato in precedenza, ovviamente per la medesima statuizione normativa.
La distinzione appena enunciata, capace di condensare buona parte delle soluzioni proposte dalla letteratura giuridica degli ultimi decenni, non impedisce di ravvisare un tratto comune ai due procedimenti interpretativi.
L’interpretazione estensiva e l’analogia sviluppano entrambe attività conoscitiva[59]. Nell’interpretazione estensiva, il dato di partenza del procedimento è la conoscenza della norma; nell’analogia, la fase iniziale dell’operazione ermeneutica, in assenza di specifico referente normativo, coincide con l’analisi di un fatto o di una situazione che, in apparenza, sembra simile ad altri fatti o ad altre situazioni prese in considerazione dal legislatore. La diversità dei presupposti, però, diventa unità nella comune esigenza di approfondimento del giudizio sulla realtà.
Nel quadro appena delineato, ulteriore interrogativo è se sia tecnicamente corretto parlare di interpretazione estensiva, dato che qualsiasi uso funzionale delle parole, vale a dire qualunque operazione conoscitiva che muova dal testo, appartiene al medesimo ordine dell’interpretazione letterale. Inoltre, rilevante è se il dogma della certezza, smosso dal ragionamento analogico, sia garantito dall’interpretazione estensiva della norma.
In realtà, all’interpretazione estensiva appartengono gli stessi difetti di approssimazione riscontrabili nell’analogia e sembra che tali vizi «pur riflettendosi sul principio di legalità, debbano comunque essere tollerati perché si riconosce alla giurisprudenza l’importante funzione di adeguare l’ordinamento alla realtà che si modifica secondo direttrici impreviste o previste, ma non esplicitate normativamente»[60].
A venire in rilievo sono, dunque, molteplici piani di analisi: i rapporti tra strumenti ermeneutici, i limiti delle tecniche interpretative, il dogma della certezza, l’ampiezza del principio di legalità, il ruolo della giurisprudenza e la sua funzione adeguatrice. Punti di riflessione, cioè, sono le relazioni che corrono tra scienza giuridica e società, tra funzione giudiziaria e legalità, fra interessi e valori, tra pluralità delle fonti e unitarietà dell’ordinamento.
7. L’analogia non come metodo alternativo rispetto all’applicazione dei princípi, ma quale mezzo attuativo dei valori fondamentali.
Alcune risposte agli interrogativi poc’anzi sollevati possono essere rinvenute nell’opera di chi, in linea con la dottrina che difende la legalità costituzionale[61], supera le ambiguità in tema di interpretazione, affermando la primazia dei valori, sia nel procedimento analogico sia nell’interpretazione estensiva[62].
L’analogia non è metodo sussidiario e la sua netta separazione dall’interpretazione estensiva non ha ragion d’essere, se si tiene conto del fatto che ogni attività tesa alla conoscenza deve svolgersi entro precisi confini, che sono quelli tracciati dalla Costituzione. Le norme della Carta fondamentale rappresentano il limite interpretativo oltre il quale non è possibile estendere la portata linguistica o contenutistica di alcuna norma giuridica.
Le preleggi, che dettano i criteri interpretativi della norma e del fatto, devono cedere definitivamente il passo rispetto alle regole ermeneutiche che superano l’idea di gradualità del procedimento conoscitivo.
Ai fini della valutazione della norma, l’interprete deve guardare ai princípi, non solo per controllare la legittimità di tutte le altre norme, ma per interpretare queste ultime adeguandone il significato ai valori fondamentali recepiti dall’ordinamento[63]. I valori che vengono in considerazione sono reali, concreti, pur se connotati di forte idealità, e sono destinati ad avere attuazione nel tempo[64].
In tale prospettiva, l’analogia rileva ogniqualvolta venga in essere non come metodo distinto ed alternativo rispetto all’applicazione dei princípi, ma come mezzo attuativo dei valori che ispirano e connotano il sistema[65].
In tal senso, è possibile superare anche i limiti del divieto di applicazione in via analogica delle norme eccezionali.
Come da tempo ormai si insegna, norma eccezionale è quella che devia dal principio corrispondente, tutte le volte in cui serve prestare attenzione ad esigenze ritenute, in un dato contesto e in un dato momento, rilevanti e prioritarie[66]. Se cosí è, anche le norme eccezionali sono espressione di uno o più valori e, alla stregua del principio di eguaglianza, devono anch’esse avere una giustificazione costituzionale. Ciò implica che «ragionevolmente, anche le disposizioni eccezionali possono – e talvolta devono – essere applicate per analogia, cioè oltre la loro prescrizione; altrimenti si leggerebbe l’ordinamento costituzionale alla luce di un divieto di rango ordinario, per di più fondato su un pregiudizio»[67].
All’esito delle brevi riflessioni svolte, risulta un dato incontestabile: l’interpretazione della legge è sempre sistematica[68] ed assiologica[69]. Essa cioè, comporta un giudizio che rinvia ai parametri valoriali del personalismo e del solidarismo, fissati nell’ormai lontano 1948.
In quest’ottica, il ragionamento analogico è in grado di assumere una profonda valenza, perdendo la fisionomia di metodo ancorato alla legge e riduttivamente collegato all’operazione di riconduzione del fatto allo schema astratto previsto dal legislatore.
Alla luce dei valori ordinamentali, che integrano il sistema[70] e contribuiscono al «disvelamento della realtà»[71], deve essere letta anche la norma sul divieto di applicazione analogica in materia penale (art. 14 prel.). Tale impedimento, in un ordinamento garantista, ha ragione di sopravvivere e di durare nel tempo, dal momento che rappresenta un preciso ed inequivocabile comando, fondato su precetti costituzionali (artt. 23 e 25 cost.) e giustificato dall’esigenza di proteggere la persona umana in tutte le sue manifestazioni (art. 2 cost.).
I princípi fondamentali, in definitiva, costituiscono il terreno di incontro per chiunque si occupi di interpretazione analogica[72] e, ponendosi come criteri «ordinanti l’attività valutativa»[73], rappresentano la possibilità di valorizzare e riempire di contenuto gli strumenti di conoscenza messi a disposizione del giudice.
Abstract
È sempre attuale il discorso sull’interpretazione della legge e del fatto, perché l’individuazione del metodo che deve guidare l’attività conoscitiva comporta una scelta chiara su come debba essere inteso il diritto e quale debba essere la sua funzione nella società contemporanea.
La somiglianza fattuale, che l’analogia vuole ricercare, concerne l’individuazione della normativa più adeguata alla specificità dei singoli fatti umani. Applicare il metodo analogico significa inserirsi nel rapporto fra norma e fatto, fra diritto e società in costante evoluzione.
La conoscenza giuridica comporta, allora, l’individuazione della norma nel momento attuativo ed implica una ponderazione degli interessi sostanziali sottesi alle situazioni giuridiche, dirette conseguenze dei fatti.
Il dialogo interdisciplinare è utile a rafforzare la convinzione secondo la quale l’analogia rileva come fondamentale criterio interpretativo, ogniqualvolta venga in essere non come metodo distinto rispetto all’applicazione dei princípi, ma come mezzo attuativo dei valori che connotano il sistema.
[1] Sul punto, v. E. Melandri, La linea ed il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, Bologna, 1968, p. 6 ss.
[2] V. Velluzzi, Analogia giuridica ed interpretazione estensiva: usi ed abusi in diritto penale, Relazione al convegno SIFA su «Forme di argomentazione razionale», svoltosi a Roma nei giorni 20, 21 e 22 dicembre 1995.
[3] Per un’illuminante riflessione sui temi dell’interpretazione giuridica, si rinvia a V. Omaggio e G. Carlizzi, Ermeneutica e interpretazione giuridica, Torino, 2010, p. 21 ss.
[4] L’interprete, in particolar modo il giudice, è chiamato sempre a risolvere un fatto concreto, cioè a decidere a quale normativa la soluzione deve ispirarsi, traducendo princípi e regole appartenenti ad un dato sistema nell’«ordinamento del caso concreto»: cosí, P. Perlingieri, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Id., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1989, p. 37.
[5] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, II, Fonti e interpretazione, Napoli, 2020, pp. 357 e 358.
[6] P. Perlingieri, o.u.c., p. 380.
[7] La comunicazionee la relazionalità sono le esperienze primarie dell’uomo. La cooperazione rivela un volto nuovo della persona, tanto da far intravedere la sua spinta ad andare oltre se stessa. Ciò è il fondamento della socialità, quale fusione di mezzi e programmi d’azione, nella prospettiva del raggiungimento di obiettivi ultraindividuali. Non c’è possibilità di realizzazione se non là dove sia recuperata la pregnanza del rapporto con l’altro, se non là dove ad una concezione del soggetto come dominante si sostituisca una visione in cui la proiezione all’esterno si pone come liberante. Soltanto nel riferimento a ciò che è altro rispetto alla coscienza individuale è possibile intravedere la base della realtà sociale, la quale non implica supremazia e governo, ma incontro: cfr. M. Buber, Il principio dialogico, Milano, 1958, p. 29 ss.
[8] È sempre attuale il discorso sull’interpretazione della legge e del fatto, perché l’individuazione del metodo che deve guidare l’attività conoscitiva comporta una scelta chiara su come debba essere inteso il diritto e quale debba essere la sua funzione nella società contemporanea. A tal proposito, si leggano le pagine di U. Scarpelli, Il metodo giuridico, in Id., L’etica senza verità, Bologna, 1982, p. 190 ss.; Id., La natura del metodo giuridico, in Riv. int. fil. dir., 1956, p. 248 ss.
[9] P. Perlingieri, Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, Napoli, 2012, p. IX, spiega la complessità dell’attività ermeneutica, rilevando che si tratta di operazione intellettuale e culturale volta ad incrementare l’ordinamento, attraverso un costante sforzo di storicizzazione e di adeguamento di qualsiasi regolamentazione ai valori fondanti.
[10] Sulla dialettica fatto-norma e sull’“extrapositività” del diritto v., per tutti, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti. Fonti e interpretazione, cit., p. 291 ss.
[11] Sull’interpretazione giuridica quale operazione destinata a partire dal fatto, utili le notazioni di M. Grondona, I moti del diritto e le metodologie dell’interpretazione (in margine ad alcune pagine di T. Ascarelli), in Oss. dir. civ. comm., 2016, p. 116 ss.
[12] P. Perlingieri, o.u.c., p. 345.
[13] Secondo P. Perlingieri, Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Id., Interpretazione e legalità costituzionale, cit., p. 7, lo jus è parte della società, anzi, lo jus dipende dal tipo di societas. A parere dell’a., se queste sono le premesse, «storicità della societas e storicità dello jus sono un tutt’uno». Sul diritto quale segmento dell’insieme dei valori della società umana, v. A. Falzea, La prassi nella realtà del diritto, in Studi in onore di Pietro Rescigno, I, Teoria generale e storia del diritto, Milano, 1998, p. 410 ss.
[14] Testualmente, N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1938, p. 122. Rivolge particolare interesse alle pagine di Bobbio P. Borsellino, L’analogia nella logica del diritto: un contributo di Norberto Bobbio alla metodologia giuridica, in Riv. intern. filos. dir., 1985, 1, p. 3 ss.
[15] In argomento, significativi sono i rilievi di L. Tullio, Analogia implicita e «meritevolezza dell’estensione» nel giudizio di costituzionalità, in P. Femia (a cura di), Interpretazione a fini applicativi e legittimità costituzionale, Napoli, 2006, p. 143 ss.
[16] Le antinomie e le lacune riguardano la fase più delicata dell’individuazione normativa: G. Zaccaria, Diritto e risoluzione dei conflitti interpretativi, in Ars interpretandi, 2015, p. 16 ss.
[17] Cosí, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, p. 96, nota 243. In argomento, già, N. Irti, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc. civ., 2014, p. 42 ss.; Id., Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, p. 987 ss.
[18] Secondo N. Bobbio, Lacune del diritto, in Noviss. dig. it., IX, Torino, 1963, p. 419, la nozione di incompletezza si pone su un piano diverso rispetto al concetto di incoerenza. L’“incoerenza” implica che vi sia una norma di troppo, quindi una esuberanza normativa; la “incompletezza” richiede che vi sia una norma di meno, «onde il rimedio della prima è la purgazione del sistema, della seconda l’integrazione».
[19] Cfr. N. Bobbio, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, p. 241 ss.
[20] T. Sorrentino, Il dilemma del divieto di analogia nella materia penale, in Quaderni del Dipartimento di organizzazione aziendale e amministrazione pubblica (Università degli Studi della Calabria), Napoli, 2001, p. 29 ss. A parere di N. Bobbio, o.u.c., p. 237, per “completezza” o compiutezza deve intendersi la proprietà per cui un ordinamento giuridico ha una norma per regolare qualsiasi caso. Poiché la mancanza di una norma si chiama di solito “lacuna”, “completezza” significa “mancanza di lacune”. Secondo F. Viola e M. Urso, Scienza giuridica e diritto codificato, Torino, 1989, pp. 76 e 80, «un ordinamento normativo è completo quando il giudice può sempre trovare in esso una norma per regolare qualsiasi caso gli si presenti, o, meglio, quando non c’è caso che non possa essere regolato con una norma tratta dall’ordinamento. Questa caratteristica della completezza è legata strettamente al dovere imposto al giudice di giudicare ogni caso in base ad una norma dell’ordinamento. Non avrebbe senso imporre un dovere del genere se non si ritenesse l’ordinamento completo. Il dogma della completezza della legge resiste nonostante la presenza di lacune, presenza inevitabile vista la varietà e la mutevolezza della vita sociale. Ma queste lacune si intendono “apparenti”, poiché o in effetti non esistono o possono essere colmate con criteri tratti dallo stesso sistema normativo».
[21] Sulla controversa questione delle lacune dell’ordinamento, si rinvia a C. Gangi, Il problema delle lacune nel diritto privato, in Arch. giur., 1923, p. 137 ss.
[22] D. Donati, Il problema delle lacune nell’ordinamento giuridico, Milano, 1910, p. 36 ss.
[23] T. Sorrentino, Il dilemma del divieto di analogia nella materia penale, cit., p. 73.
[24] T. Sorrentino, o.u.c., pp. 73 e 74.
[25] Cosí, N. Lipari, Morte e trasfigurazione dell’analogia, in Riv. trim., 2011, p. 1 ss. Sul punto, altresì, G. Perlingieri, Legge, giudizio e diritto civile, in Annali SISDiC, 2/2018, p. 63 ss.
[26] Secondo H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, M. Cattaneo (trad. it. di), Torino, 1965, p. 153, «tutti gli ordinamenti, in modi diversi, fanno un compromesso fra due bisogni sociali: la necessità di certe norme che possono, per ampie sfere di condotta, essere applicate sicuramente da individui a se stessi, senza una nuova guida ufficiale o senza un esame delle questioni sociali, e la necessità di lasciare aperte, per una successiva risoluzione ad opera di una scelta consapevole e ufficiale, delle questioni che possono essere bene valutate e sistemate soltanto quando sorgono in un caso concreto».
[27] Cosí, L. Ciani, Analogia, b) teoria generale, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 349.
[28] Sul punto, si rinvia alle pagine di M. Jori e A. Pintore, Manuale di teoria generale del diritto, Torino, 1995, p. 220. Per N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1993, p. 267 ss., ai fini dell’attribuzione al caso non regolato delle conseguenze proprie del caso simile disciplinato dall’ordinamento, occorre che tra le due fattispecie non esista una somiglianza qualunque, ma una somiglianza rilevante, cioè «bisogna risalire dai due casi ad una qualità comune ad entrambi, che sia nello stesso tempo la ragione sufficiente per cui al caso regolato sono state attribuite quelle e non altre conseguenze».
[29] Si veda F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 89. Sulla funzione dell’analogia, si rinvia alle riflessioni di altri illustri autori: E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, IIª ed., Milano, 1971, pp. 162 e 169; S. Pugliatti, Continuo e discontinuo nel diritto, in Id., Grammatica e diritto, Milano, 1978, p. 80 ss.; G. Carcaterra, Analogia (Teoria generale), in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1988, p. 3 ss.; R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, M. La Torre (trad. it. di), Milano, 1998, p. 221 ss.
[30] T. Sorrentino, Il dilemma, cit., p. 76.
[31] A tal proposito, dense sono le pagine di L. De Rosa, Il punto sull’analogia nel diritto penale: portata operativa del divieto e ruolo nell’attuale conflitto tra i poteri dello Stato, in Giust. pen., 2012, c. 180 ss.
[32] A parere di G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, cit., p. 47, il metodo sillogistico della sussunzione è “improduttivo” ed è tale da indurre il giudice ad approdare a conclusioni ingiustificate, ad abusi che alimentano incertezze. L’a. avverte, poi, che la sussunzione non sempre è facilmente praticabile: «nel mondo del diritto, o le “premesse” non sono facilmente individuabili (si pensi alle c.dd. lacune legislative) o le “premesse” espresse dalla singola disposizione di legge non sono esaustive». Sui pericoli della sussunzione in tema di interpretazione del contratto, fondamentale è lo scritto di F. Criscuolo, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, Napoli, 2008, p. 186 ss.
[33] Per G.P. Calabrò, La galassia dei diritti. Dai diritti dell’Uomo ai diritti della Persona, Lungro di Cosenza, 2001, p. 193, la valutazione della legge e del fatto non può mai ridursi ad un effetto logico consequenziale, ponendosi quale scelta tra più opzioni e, dunque, come «scelta di valore», in funzione delle conseguenze che essa produce nella realtà sociale e nell’ordinamento giuridico preso in considerazione nella sua complessità ed unitarietà.
[34] Proprio di recente, una parte della dottrina civilistica ha sottolineato il valore “costruttivo” dei rapporti tra diritto civile e diritto penale: P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, I, Metodi e tecniche, Napoli, 2020, p. 154, rileva che «nella prospettiva dell’unitarietà dell’ordinamento va riconosciuto al diritto penale il ruolo non soltanto di mera conservazione del sistema di valori accettati dal contesto sociale in un dato momento storico, ma anche di promozione di nuovi valori, con la consapevolezza che, in àmbito penale, la riconoscibilità del carattere illecito del fatto andrebbe garantita dalla corrispondenza pressochè totale tra disvalore penale e disvalore sociale preesistente».
[35] Sul punto, v. P. Perlingieri e P. Femia, Nozioni introduttive e princípi fondamentali del diritto civile, Napoli, 2000, p. 169.
[36] Cosí, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti e interpretazione, cit., p. 363, il quale ricorda che il procedimento analogico non è che un aspetto dell’interpretazione, vale a dire un momento fondamentale dell’iter valutativo, comportando sempre la “ponderazione” di interessi e valori.
[37] Ancóra, P. Perlingieri, o.u.c., p. 362, secondo il quale l’attività ermeneutica richiede sempre uno sforzo in termini di “razionalità” e, soprattutto, di “ragionevolezza”. Sul punto, altresì, D. Carusi, L’ordine naturale delle cose, Torino, 2011, p. 348 ss.
[38] Cosí E. Caterini, Sostenibilità e ordinamento civile. Per una riproposizione della questione sociale, Napoli, 2018, p. 147.
[39] T. Sorrentino, Il dilemma del divieto di analogia, cit., p. 94.
[40] L’interpretazione letterale non risolve il complesso problema valutativo della norma giuridica, in quanto emerge la necessità di procedere ad un esame piú articolato del contenuto della disposizione. Sul punto, v. E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, cit., p. 285, il quale afferma: «Il criterio che vorrebbe escludere la funzione utile di un’interpretazione condotta alla stregua della valutazione comparativa degli interessi colà dove si assume che la formola legislativa sia “chiara di per sé”, dimentica che il concetto di “legge” da prendere a base di un metodo d’interpretazione dev’essere unico per tutti i casi, sia che la legge si presenti “chiara” nella sua formulazione letterale sia che, per la formola inadeguata o incompleta, possa dar luogo a dubbi o incertezze […]. Alla luce del momento teleologico una formola in apparenza “chiara” può trovarsi immersa nelle tenebre dell’incertezza; e viceversa, un’espressione dubbia e controvertibile può, a quella luce, illuminarsi di una chiarezza decisiva». Si rinvia, inoltre, alle pagine di P. Perlingieri, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologia. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Id., Scuole tendenze e metodi, cit., p. 275 ss.; Id., Profili del diritto civile, Napoli, 1994, pp. 75 e 76. L’a. esclude che la norma possa essere interpretata nella sua nudità linguistica, in quanto essa richiede una costante attenzione ai princípi sui quali il sistema si fonda.
V., inoltre, P. Perlingieri e P. Femia, Nozioni introduttive, cit., p. 172 ss. Sulla stessa scia si collocano le osservazioni di N. Irti, Testo e contesto. Una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, p. 63 ss.
Per ulteriori approfondimenti sul tema dell’interpretazione letterale, v. A. Belvedere, Analisi dei testi legislativi e art. 12 delle preleggi, in A. Palazzo (a cura di), L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, Napoli, 2001, p. 149 ss.
[41] Tra i penalisti, si rinvia a F. Ramacci, Introduzione all’analisi del linguaggio legislativo penale, Milano, 1970.
[42] T. Sorrentino, Il dilemma del divieto di analogia, cit., p. 92.
[43] Cfr. M. Focault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, 1970, p. 49.
[44] Per una meditata riflessione sul concetto di “chiarezza”, si leggano le pagine di A. Alpini, «Chiarezza della norma» e «chiarezza dei rapporti» nel sistema italo-comunitario, in P. Perlingieri, Sulle tecniche di redazione normativa nel sistema democratico, in Ann. Fac. Econ. Benevento, 15, Napoli, 2010, p. 105 ss.
[45] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti e interpretazione, cit., pp. 324 e 325.
[46] Sul punto, v. T. Sorrentino, o.u.c., p. 112. Secondo alcuni autori, invece, l’art. 1 c.p. e l’art. 25 cost. rappresentano la sola formulazione del principio della riserva di legge: M. Boscarelli, Analogia e interpretazione estensiva nel diritto penale, Palermo, 1955, p. 90 ss.; G. Contento, Corso di diritto penale, Bari, 1992, p. 53 ss.
[47] Fondamentali, ai fini della generale ricostruzione del problema, sono le pagine di G. Vassalli, Analogia nel diritto penale, in Noviss. dig. it., I, Torino, 1957, p. 607 ss. Per una più recente analisi, si rinvia a L. Diotallevi, Reato di molestia e Facebook tra divieto di analogia in materia penale, (presunta) interpretazione “evolutiva” dell’art. 17 Cost. e configurabilità di un diritto di accesso ad Internet, in Giur. cost., 2014, p. 4104 ss.
[48] T. Sorrentino, o.u.c., p. 124.
[49] P. Perlingieri, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, p. 6. Sull’interpretazione costituzionalmente orientata dell’atto negoziale, v., per tutti, F. Criscuolo, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, cit., p. 44 ss.
[50] Ancóra una volta, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti e interpretazione, cit., p. 361.
[51] Cfr. R. Sacco, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, in Tratt. dir. priv. Rescigno, 10, Torino, 1986, p. 13 ss. Nella stessa direzione, si leggano: D. Carusi, Clausole generali, analogia, paradigma della legge, in Giur. it., 2011, p. 1691 ss.; A. Alpini, Compatibilità e analogia, in Rass. dir. civ., 3/2016, p. 702 ss.
[52] P. Perlingieri, Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, cit., pp. 8 e 9, ricorda che l’ordinamento non si risolve nella “complessità” della sua produzione legislativa e normativa, in quanto la complessità stessa è data dall’impatto con il sistema socio-culturale di appartenenza, il quale «non è aspetto fattuale privo di capacità condizionante, ma è aspetto strutturale conformativo e adeguatore e, quindi, realmente contenutistico dello ius».
[53] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti ed interpretazione, cit., p. 358 ss.
[54] T. Sorrentino, o.u.c., p. 127. Utile, inoltre, il richiamo a M. Gullino, L’analogia in diritto penale, con particolare riferimento alle scriminanti non codificate, in Dir. form., 2012, p. 93 ss.
[55] Per un inquadramento generale del rapporto tra analogia e interpretazione estensiva, v. per tutti: M. Boscarelli, Analogia e interpretazione estensiva del diritto penale, cit., p. 67 ss.; M. Fracanzani, Analogia e interpretazione estensiva nell’ordinamento giuridico, Milano, 2003, p. 18 ss.
[56] Si legga, in particolare, V. Velluzzi, Sulla interpretazione estensiva doverosa, in Giust. pen., 2013, c. 241 ss.
[57] Sul punto, ancóra, V. Velluzzi, La distinzione tra analogia giuridica ed interpretazione estensiva, in M. Manzin e P. Sommaggio (a cura di), Interpretazione giuridica e retorica forense. Il problema della vaghezza del linguaggio nella ricerca della verità processuale, Coll. Acta Methodologica 2, Milano, 2006, p. 133 ss. Sul ragionamento analogico da raffrontare al metodo di interpretazione estensiva, v., altresí, A.G. Conte, Ricerche in tema d’interpretazione analogica, in Id., Filosofia dell’ordinamento normativo. Studi 1957-1968, Torino, 1997, p. 26.
[58] In argomento, rilevante è il contributo di E. Diciotti, Interpretazione della legge e discorso razionale, Torino, 1999, p. 398 ss.
[59] Ancóra T. Sorrentino, Il dilemma del divieto di analogia, cit., p. 116.
[60] T. Sorrentino, o.u.c., p. 118.
[61] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, I, Metodi e tecniche; II, Fonti e interpretazione; III, Situazioni soggettive; IV, Attività e responsabilità; V, Tutela e giurisdizione, Napoli, 2020. L’intera opera dell’a. si sviluppa attorno all’idea che il complesso sistema dei rapporti civilistici deve ispirarsi ai princípi e ai valori posti dal Costituente italiano. Il pensiero della dottrina che pone l’accento sulla legalità costituzionale è acutamente sintetizzato da M. Pennasilico, Legalità costituzionale e diritto civile, in P. Perlingieri e A. Tartaglia Polcini, Novecento giuridico: i civilisti, Napoli, 2013, p. 247 ss. L’importanza di guardare, oggi come ieri, alla Carta fondamentale è sottolineata da G. Azzariti, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla Costituzione, in A. Palazzo (a cura di), L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, cit., p. 242 ss.
[62] T. Sorrentino, o.l.u.c.
[63] T. Sorrentino, o.u.c., p. 97.
[64] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti e interpretazione, cit., p. 406 ss.
[65] P. Perlingieri e P. Femia, Nozioni introduttive, cit., pp. 165 e 166.
[66] Cosí, P. Perlingieri, Manuale di diritto civile (8ª edizione interamente riveduta e integrata con indicazioni giurisprudenziali), Napoli, 2017, p. 11.
[67] Le parole sono di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale. Fonti e interpretazione, cit., p. 359.
[68] Sul significato di interpretazione sistematica, si rinvia, per tutti, a E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, cit., p. 285. L’a. ricorda che l’interprete ha l’obbligo di effettuare un apprezzamento rispondente alle esigenze assiologiche del sistema. In argomento, v. pure G. Lazzaro, L’interpretazione sistematica, Torino, 1965, p. 129 ss. Sulla questione in esame, decisive le osservazioni di P. Perlingieri, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica, cit. p. 297 ss. A sostenere che la comprensione di una norma presuppone la comprensione del sistema al quale essa appartiene è R. Alexy, Interpretazione giuridica, in Enc. sc. soc., Roma, 1996, p. 65. L’interpretazione sistematica è ampio e generale canone ermeneutico secondo F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999, p. 222. Per ulteriori spunti, v. N. Irti, I frantumi del mondo (sull’interpretazione sistematica delle leggi speciali), Milano, 1999, p. 171 ss.
[69] V., ancóra, P. Perlingieri, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica, cit., p. 283 ss.
[70] Sul punto, si rinvia alle riflessioni di G. Perlingieri, Sul giurista che come «il vento non sa leggere», in Rass. dir. civ., 2010, p. 385 ss., nonchè alle pagine di M. Pennasilico, Legalità costituzionale e diritto civile, in Rass. dir. civ., 2011, p. 840 ss.
[71] Le parole sono di S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2012, p. 26.
[72] Per G. Zagrebelsky, La virtú del dubbio. Intervista su etica e diritto, G. Preterossi (a cura di), Bari, 2007, p. 86, l’uso dei princípi costituzionali è fondamentale per orientare l’interpretazione delle leggi, per completarle aggiungendo ciò che manca loro e per implementarne l’intrinseco valore.
[73] Si rinvia a P. Perlingieri, “Dittatura del relativismo” e “tirannia dei valori”, in T.G. Tasso (a cura di), Fatto e diritto. L’ordinamento tra realtà e norma, Napoli, 2011, p. 154 ss.