di Francesco Vergara
1. La clausola sociale: disciplina, ratio e presupposti applicativi
La clausola sociale è un istituto principalmente volto a tutela dei livelli occupazionali, a tale funzione si affianca quella di stabilità del trattamento giuridico-economico del lavoratore precedentemente impiegato in un appalto pubblico.
Nel caso del subentro di un nuovo operatore in un appalto pubblico gli interessi da bilanciare sono fondamentalmente i seguenti: quello dei lavoratori alla stabilità occupazione ed alla non dispersione del know-how acquisito e quello dell’imprenditore a non veder eccessivamente compressa la sua autonomia organizzativa e gestionale, la quale è tutelata dall’art. 41 Cost.
Per clausola sociale si intende l’obbligo per l’impresa aggiudicataria che subentra nell’esecuzione del servizio di assicurare i livelli occupazionali, procedendo all’assunzione del personale già alle dipendenze nell’impresa uscente[1].
La maggior attenzione sovranazionale e nazionale alla concorrenza ed alla qualità dei servizi pubblici in seguito ai numerosi processi di esternalizzazione (principalmente dettati dalla necessità di riduzione dei costi) hanno reso necessario un ampio utilizzo delle clausole sociali soprattutto per preservare l’occupazione dei lavoratori impiegati nell’ambito di contratti d’appalto di opere e servizi e contrastare i fenomeni di dumping sociale che inevitabilmente seguono gli accostamenti tra operatori economici.
In tale contesto la conservazione delle maestranze e del know-how acquisito consente di raggiungere maggiormente il fine che la normativa pro concorrenziale si propone: aumentare la qualità dei servizi.
A tal fine non va sottaciuto il ruolo della contrattazione collettiva che ha sempre spinto in tal senso, data la sua funzione ineludibile di tutela dei lavoratori[2].
Sarebbe allora errato individuare nella clausola sociale un mero fine “conservativo” del livello occupazionale, a tale fine che pure è preminente si aggiunge quello di “governo della competizione economica” nel suo corretto esplicarsi che comprende anche la tensione verso fini sociali[3].
Storicamente le clausole sociali nascono per tutelare a livello meramente patrimoniale i lavoratori, conferendo alle P.A. la possibilità di remunerare direttamente i lavoratori qualora l’appaltatore sia venuto meno a tale obbligo fondamentale[4].
Bisogna attendere l’inizio del 1900 per garantire “l’equo trattamento del lavoratore” coinvolto nello svolgimento di servizi e lavori pubblici[5].
Tali clausole sono state denominate in dottrina come “clausole sociali di prima generazione” in contrapposizione alle clausole di “seconda generazione” che sono quelle che più causano contrasti con il diritto UE poichè volte a conservare o addirittura (in ipotesi marginali ma sistematicamente significative) ad incrementare l’occupazione[6].
Nel previgente codice dei contratti pubblici non vi era una previsione specifica, tuttavia, ai sensi dell’art. 69 dello stesso d.lgs. n. 163/2006 era conferita alle stazioni appaltanti una mera possibilità di inserire tale tipologia di clausola nei bandi o nelle lettere di invito, previa verifica (rigorosa) di compatibilità con il diritto europeo.
Attualmente il d.lgs. 50/2016, come novellato dal d.lgs. n. 56/2017 n. 56 (cosiddetto Decreto Correttivo), prevede due norme corrispondenti alle clausole sociali di prima e seconda generazione: l’art. 30, comma 4,e l’art. 50 del d.lgs. n. 50/2016.
Quest’ultimo prevede esplicitamente l’inserimento della c.d. clausola sociale con particolare riferimento alle prestazioni ad alta intensità di manodopera.
L’efficacia della clausola appare generalizzata assimilabile al disposto dell’art. 36 dello Statuto dei lavoratori: l’art. 30, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 si discosta da altre clausole sociali modellate sullo schema dell’art. 36Stat. lav., perché essa ha un’efficacia immediatamente precettiva sui rapporti di lavoro concretamente intesi. L’instaurazione di un rapporto negoziale tra la stazione appaltante e l’impresa conferisce ai prestatori di opere impiegati nell’appalto un autonomo diritto all’applicazione del contratto collettivo richiamato, in via indipendente dall’inserimento di un’apposita clausola di analogo contenuto nel contratto di appalto, in base allo schema dell’art. 1411 c.c.
Tuttavia, la stazione appaltante può inserire la clausola sociale nei criteri di valutazione tecnica, quando l’appalto è aggiudicato tramite l’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’articolo 95 comma 2 D.lgs. 50/2016.
L’importanza assunta da questa tipologia di previsioni sembra, inoltre, destinata ad aumentare, data la spinta massiccia agli investimenti pubblici determinata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), in attuazione del Regolamento (UE) 2021/240, nonché dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR(PNC), e le conseguenti procedure di gara avviate in seguito all’approvazione del d.l. n. 77/2021[7].
L’art. 50 cod. contr. pubbl. va invece necessariamente coordinato con quanto disposto dall’ANAC in sede di interpretazione[8] che reputa obbligatoria la clausola sociale negli appalti ad alta intensità di manodopera e facoltativa negli altri casi, mentre è esclusa per gli appalti aventi ad oggetto servizi di natura intellettuale ed occasionale.
La ratio, a parere di chi scrive, va ricercata nel fatto che le esigenze di stabilità occupazionale non si pongono negli appalti c.d. “occasionali”, che sono intrinsecamente destinati ad esigenze contingenti. Semmai l’eventuale uso contro-funzionale di tale tipologia di appalto va risolto in altre sedi e non in termini di clausola sociale; per gli appalti di natura intellettuale il problema riguarda la specificità e la particolare professionalità richiesta, che mal si concilia con le esigenze occupazionali, le quali invece hanno sicuro rilievo in prestazioni ripetitive e prive di particolari difficoltà (paradigmatici, appunto, gli appalti ad alta intensità di manodopera).
A voler applicare la clausola sociale anche in tali campi l’autonomia imprenditoriale sarebbe azzerata.
Autorevole dottrina[9] ritiene ingiustificata la limitazione a tale categoria di appalti facendo leva sulla interpretazione letterale della norma nella parte in cui recita “con particolare riguardo” agli appalti ad alta intensità di manodopera sostenendo che essa sia idonea ad abilitare la stazione appaltante ad inserirla in altre tipologie di appalto.
A parere dello scrivente, sebbene il dato normativo sia inconfutabilmente equivoco, va tenuto conto della particolare rigidità derivante dall’eventuale inclusione di clausole sociali anche nelle altre tipologie di appalti: le gare potrebbero andare deserte per mancanza di convenienza economica, vi sarebbero difficoltà applicative non di poco conto tenendo in considerazione il fatto che, come si vedrà in avanti, l’adattamento alla nuova realtà aziendale del lavoratore dell’impresa uscente non è sempre facile nella prassi. A ciò si aggiunga l’elevato contenzioso che potrebbe verificarsi sulle aggiudicazioni o sui bandi di gara, che potrebbero essere ritenuti sproporzionati rispetto alle esigenze UE, si rammenti a tal fine lo sfavore della Corte di giustizia dell’UE sulle limitazioni eccessive alle prerogative imprenditoriali[10].
Come detto, la concreta e corretta applicazione della disposizione normativa richiede un bilanciamento rigoroso tra libertà di iniziativa economica privata ex 41 Cost. e diritto al lavoro anch’esso tutelato costituzionalmente dagli artt. 1, 35 cost.
A ciò provvede il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, cui in particolar modo quella contrattuale deve conformarsi, l’applicazione di tale principio, che appartiene anche al diritto UE e come tale funge da parametro di legittimità anche interno impone che: il passaggio da impresa uscente e subentrante non è automatico e che l’impresa non può essere obbligata ad assorbire tutti i lavoratori già impiegati nell’appalto da quella uscente[11].
Il passaggio dalla vecchia alla nuova impresa subentrante implica l’estinzione del precedente rapporto di impiego e un diritto di precedenza sulle assunzioni del subentrante.
Il rapporto giuridico con il subentrante può giuridicamente assimilarsi ad una situazione novativa: il rapporto è del tutto nuovo e non implica una mera sostituzione del datore di lavoro.
Sul piano applicativo la principale conseguenza è rappresentata dal fatto che le situazioni giuridiche soggettive già maturate dal lavoratore dovranno essere azionate verso il precedente datore di lavoro.
Tuttavia nella prassi sono frequenti accordi sindacali a regolamentazione dei profili in parola, in modo tale che le dichiarazioni delle imprese e della stazione appaltante sono qualificabili come negozialmente collegate.
Gli operatori giuridici, accogliendo il suggerimento di autorevole dottrina[12], sovente redigono un “piano di compatibilità” o “progetto di assorbimento”, volte ad integrare l’offerta economica dell’appaltatore, la quale deve specificare in modo concreto e pratico le modalità applicative della clausola.
Tali modalità applicative devono essere necessariamente personalizzate ed armonizzate alla realtà organizzativa dell’impresa subentrante, sicchè appaiono un ottimo strumento a fare la differenza anche in sede di aggiudicazione, infatti, le stazioni appaltanti potrebbero anche decidere di sopportare un maggior costo del contratto qualora apprezzino le ricadute economiche e sociali della clausola così come concretamente modellata dall’aspirante aggiudicatario.
Questo comporta la formulazione di “una vera e propria proposta contrattuale … che contiene gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”[13].
È attribuita poi sempre al concorrente anche l’inquadramento da attribuire al lavoratore, il quale può pertanto legittimamente attribuire il lavoratore anche a mansioni inferiori: si ricordi infatti che la ratio della clausola è primariamente quella di assicurare la stabilità occupazionale e solo in modo secondario ed accessorio il trattamento economico e normativo.
Non sussiste quindi “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche, non è assoluto né automatico” [14]. Sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze pertanto del precedente datore di lavoro”.
Ovviamente nulla vieta che il subentrante assuma l’impegno di riassorbire la totalità del personale uscente qualora lo ritenga congruo.
Una volta inserita nel contratto di appalto la previsione attribuisce al lavoratore il diritto all’applicazione della clausola in modo conforme a quanto pattuito in base allo schema del contratto a favore del terzo a norma dell’art. 1411 c.c.[15]
L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale comporta l’applicazione dei rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto. Nello schema di contratto le stazioni appaltanti inseriscono clausole risolutive espresse ovvero penali commisurate alla gravità della violazione. Ove ne ricorrano i presupposti, applicano l’articolo 108, comma 3, del Codice dei contratti pubblici.
L’inconveniente è chiaramente quello di scoraggiare la partecipazione alla gara con conseguente nocumento al principio della concorrenza, fondamento del diritto UE che innerva la disciplina dei contratti pubblici.
Si rammenti altresì l’atteggiamento si sfavore mostrato dalla Corte di giustizia dell’UE, poichè è indubbio per tale autorevole consesso che la clausola si pone come restrizione alla piena esplicazione di libertà economiche garantite dal Trattato UE[16]
2. La clausola sociale può avere efficacia escludente?
L’art. 83, comma 8, del d.lgs. 50/2016 disciplinante i criteri di selezione stabilisce che: “le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. … I bandi e le lettere d’invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La norma è emblematica del particolare valore che la concorrenza ha nel settore dei contratti pubblici espressa in numerose norme, basti pensare, senza pretese di esaustività, all’avvalimento, al soccorso istruttorio, al principio della divisione in lotti ecc.
Si tratta allora di indagare su la clausola in oggetto possa essere come una di quelle idonee ad attivare il meccanismo espulsivo.
Sul tema si segnala la pronuncia n. 44/2019 del TAR della Valle d’Aosta che ha sostenuto la necessità di tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente.
La pronuncia presenta margini di ambiguità poichè la parola “evitando” potrebbe legittimare interpretazioni non conformi al diritto UE che impone di attivare il meccanismo di escludente come extrema ratio.
La questione assume poi rilievo processuale: se ritenuta immediatamente escludente la sua eventuale illegittimità dovrà essere fatta valere impugnando il bando e non il provvedimento successivo di mancata aggiudicazione in ossequio alla regola posta dalla famosa sentenza della Ad. Plen. 4/2018.
Ad ogni modo, pur auspicando un intervento chiarificatore ad opera della Plenaria, anche le stazioni appaltanti, le quali sono tenute all’applicazione del diritto UE, possono interpretare la clausola come non escludente e conferirle valore preponderante in sede di valutazione dell’offerta.
Una mitigazione a tale assunto potrebbe derivare dall’avvenuta presa di coscienza del legislatore europeo che pare aver preso contezza delle difficoltà socio-economiche attuali.
Ci si riferisce alla direttiva 2014/24/UE in tema di dumping sociale: anche i salari al ribasso ostano ad una corretta esplicazione della concorrenza e hanno costi sociali altissimi anche sul versante dei consumi e sulla conseguente catena economica.
L’articolo 18, par. 2, della suddetta direttiva prevede infatti che gli Stati membri adottino “misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi e da disposizioni transnazionali”. Sembra, tuttavia, da escludere che il rinvio ai contratti collettivi operato da tale disposizione possa essere interpretato nel senso che essa renda compatibili con il diritto dell’Unione le clausole sociali contenute nei contratti collettivi privi di efficacia generale atte a coartare la libera prestazione dei servizi[17].
3. Clausole sociali e PNRR
L’art. 47 del D.L. n. 77/2021 prevede misure volte a favorire le pari opportunità di genere e generazionali, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, tramite lo schema delle clausole sociali, attribuendo un vantaggio competitivo alle imprese partecipanti alle gare in sede di punteggio.
Sempre i commi successivi dell’art. 47 obbligano le imprese concorrenti a rendicontare lo stato di realizzazione di tali interessi protetti e dello stato dell’applicazione di tale normativa. Tali obblighi non necessitano di essere richiamati dai bandi, ma operano in via automatica in quanto già previsti dalla legge.
In tal senso le clausole sociali si evolvono, anche se appare presto parlare di clausole di terza generazione, per i seguenti motivi: il decreto legge n. 77/2021 nasce, come noto, in un contesto emergenziale in cui le istanze di protezione sono state più pressanti.
La contingenza di tale assetto normativo protezionistico non consente di conferire a tali previsioni una generalizzata applicazione anche alla fine dell’attuazione del PNRR.
Appare però interessante notare che il vantaggio competitivo attribuito passa ora, almeno in questi anni, per tre pilastri: equità delle condizioni contrattuali e tutela del credito del lavoratore, stabilità occupazionale ed ora tutela delle pari opportunità e disabilità.
Tali prescrizioni devono essere ulteriori a quelle già previste dalle norme in tema di contratti pubblici, ferma tuttavia, la necessità delle stazioni appaltanti di adattarle al contesto socio economico di riferimento.
Si pone a questo punto la necessità di indagare la natura del rapporto che sarà posto in essere in attuazione del PNRR.
La dottrina più recente in materia[18] sostiene correttamente che rapporti a tempo indeterminato non possono imporsi indiscriminatamente, anche per esigenze di bilancio sottolineando lucidamente come “a soddisfazione delle esigenze di organico dovute alla realizzazione delle attività oggetto di un appalto pubblico sembra adattarsi in modo piano alle causali definite dall’art. 19, comma primo, lett. b. d.lgs. n. 81/2015, che fanno riferimento a «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria».
Pertanto, se tale interpretazione appare l’unica concretamente perseguibile nell’applicazione della norma, l’appunto deve essere fatto al legislatore che nel tempo non si è mostrato particolarmente attento alle esigenze delle nuove generazioni e delle categorie protette, ha apparentemente colto l’occasione per implementare le tutele a tali categorie che senza dubbio sono svantaggiate nell’attuale assetto del mercato del lavoro.
Si tratta allora di comprendere se alla fine del rapporto lavorativo (che sarà principalmente a tempo determinato come ricordato), come valorizzerà le competenze acquisite.
Si rammenti che l’imposizione di tali obblighi alle imprese si aggiungono a quelli già previsti in via ordinaria dal codice appalti sopra menzionati, sebbene coerente con le c.d. priorità collaterali del PNRR rischia di compiere una duplice eterogenesi dei fini: costituire oneri organizzativi eccessivi, soprattutto per la sovrapposizione con le ulteriori previsioni adottate a norma dell’art. 50, d.lgs. n. 50/2016,o con quelle previste dai contratti collettivi[19] e di disperdere le conoscenze ed il know-how acquisito dai lavoratori nel processo di attuazione del PNRR.
Non si può infine non tener conto dell’art. 47 commi 4 e 7 del d.l. n. 77/2021 di attestare con motivazione stringente l’adempimento degli obblighi sino ad ora menzionati “siano impossibili o si pongano in contrasto con gli «obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche», in ragione dell’«oggetto del contratto», della «tipologia» o della «natura del progetto», o di «altri elementi puntualmente indicati»[20]
L’onere di motivazione imposto appare particolarmente utile in vista del fine sociale e di rilevanza costituzionale della normativa in commento, tuttavia, appare anch’essa foriera di possibile contenzioso: la motivazione rafforzata richiesta potrebbe offrire facili motivi di ricorso all’impresa economicamente più forte già attrezzata ad accogliere i lavoratori uscenti, con conseguente rischio di ritardi dell’attuazione del PNRR e del conseguente rischio di mancata erogazione degli ulteriori fondi, inoltre, appare vago il riferimento agli altri elementi puntualmente indicati o al generico ottimale impiego delle risorse pubbliche.
In tema di sanzioni appare particolarmente vaga anche la prescrizione dell’art. 47 comma 6 D.L. n. 77/2021 che prevede penali “commisurate alla gravità della violazione e proporzionali rispetto all’importo del contratto o alle prestazioni”. La norma pare rinviare al sindacato giurisdizionale e non appare in linea con gli scopi di celerità del PNRR.
4. L’incidenza della clausola sociale sull’effettività dei diritti dei lavoratori
Dopo il breve excursus normativo ed applicativo dell’origine e delle recenti attualità sul tema, appare ora opportuno indagare vale la pena però di chiedersi se l’obiettivo di assicurare al lavoratore impiegato nella realizzazione dell’appalto pubblico un trattamento conforme a quello previsto dal contratto collettivo di categoria, in chiara sintonia con l’art. 36 St. Lav., effettivo se in caso contrario quali sono le cause e le possibili soluzioni utili a rimuovere le cause di tale ineffettività.
La dottrina formatasi nel secolo scorso evidenziò come l’art. 36 St. Lav. abbia realizzato un’invasione di campo nella P.A. sotto il profilo della disciplina dei rapporti tra imprese e dipendenti[21]
Tale ingerenza nascondeva due obiettivi: prevenire, in ossequio al principio di buon andamento della P.A., i conflitti con i lavoratori che potrebbero ritardare la consegna del bene o la realizzazione del servizio, nonchè contribuire ad attuare l’obbligo della Repubblica di tutelare il lavoro (art. 35 Cost.), assicurando l’applicazione della contrattazione collettiva da parte delle imprese con le quali lo Stato deve avere rapporti.
Da tale funzione originaria delle clausole sociali di prima generazione, si è assistito come visto sopra ad una proliferazione di clausole sociali.
Sicchè, equivale a sminuire il ruolo della clausola sociale conferirle un mero ruolo di tutela occupazionale-normativa ed economica dei lavoratori: non è fuori luogo osservare che esse operano quali strumenti di regolazione del mercato degli appalti, nell’obiettivo di evitare non solo che il costo del lavoro divenga un fattore della competizione tra le imprese, ma anche nel tentativo di orientare i comportamenti imprenditoriali verso obiettivi di maturità dei modelli organizzativi[22]
Sulla blanda effettività di tale fine si pone però l’interpretazione giurisprudenziale che, come già sopra tratteggiato, perentoriamente vieta di escludere dalla gara un candidato/offerente per il mero fatto di non avere scelto di applicare il contratto collettivo a base del bando di gara: la possibilità per l’impresa di scegliere il contratto collettivo da applicare al personale impiegato nell’esecuzione dell’opera o servizio oggetto della gara è l’effetto, non solo della libertà negoziale dell’impresa nella sua dimensiona sindacale, ma anche della libertà di organizzare la propria attività[23].
A questo punto dirimente nell’effettività della tutela dei lavoratori e della competizione tra imprese appare la scelta del contratto collettivo, che la giurisprudenza amministrativa riconduce, non solo all’ambito della libertà di contrattazione collettiva, quanto a quello di libertà di organizzazione dell’attività imprenditoriale e quindi nel contesto della libertà di iniziativa economica privata protetta dall’art. 41 Cost.[24]
Il contratto collettivo prescelto appare altresì dirimente anche al fine di giustificare il costo del lavoro nel procedimento (eventuale) di giustificazione dell’offerta anormalmente bassa.
Meritevoli di plauso sono, però, le previsioni che consentono alla amministrazione di controllare lo stato di o sulla corretta erogazione ai dipendenti dei trattamenti previsti dai contratti collettivi che di fatto permettono alla stazione appaltante di bloccare il pagamento del compenso dell’appaltatore o di intervenire in funzione sostitutiva in caso di inadempimento dell’appaltatore agli obblighi retributivi e contributivi connessi alla prestazione resa dai dipendenti impiegati nell’appalto.
Se a tal fine appare dirimente la scelta del contratto collettivo da applicare, la risposta a tale conveniente può essere unicamente quella di fissare autoritativamente un salario minimo e tutele base direttamente nell’ambito dei bandi di gara, in questo modo l’affidamento delle imprese e la parità di trattamento sarebbe assicurata ex ante data la conoscenza di tale costo già in sede di avvio della gara, in secondo luogo il sindacato sull’eventuale sproporzione del salario minimo può essere sindacato già entro i 60 giorni, a pena di inoppugnabilità, da parte del G.A. in modo tale da non bloccare la celerità della procedura di gara.
Altresì appare opportuno rafforzare gli attuali deboli poteri degli organismi internazionali in materia sociale.
Le istanze sociali devono trovare una soluzione in sede europea e svolgersi in maniera integrata e convergente, preferibilmente non attraverso soft law.
Tali richieste appaiono attualmente solo parzialmente accontentate dagli obiettivi trasversali del c.d. PNRR, tale esigenza è stata sottolineata anche da autorevole dottrina[25] secondo cui “Gli Stati – come nel loro ambito gli attori sociali – sono chiamati a esercitare i poteri di cui dispongono per influire sulle forze operanti a livello globale, con l’obiettivo di rendere la globalizzazione socialmente accettabile ai popoli della terra e “più intelligente”, se non più democratica. La sfida è resa drammaticamente urgente dalle tensioni sociali e politiche che si stanno diffondendo in molti paesi anche di consolidata democrazia sociale. Questa sfida non può essere elusa, perché coinvolge il futuro non solo della globalizzazione, ma dei modelli sociali e democratici affermatisi storicamente in questi paesi”.
[1] F. PANTANO, Clausole sociali di seconda generazione e appalti pubblici: concorrenza, interesse pubblico e conservazione dell’occupazione nella giurisprudenza amministrativa, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, n. 4/2021, Giappichelli;
[2] G. AMATO, Corte costituzionale e Concorrenza, in Merc. Conc. Reg., 2017;
[3] A. PERULLI, Clausola sociale, in Enciclopedia del diritto, Annali VII, Milano, 2014, p. 190;
[4] F. CARNELUTTI, Sul contratto di lavoro relativo ai pubblici servizi assunti da imprese private, in Riv. dir. comm., 1909, I, p. 416 ss
[5] D. NAPOLETANO, Appalto di opere pubbliche e tutela dei diritti del lavoratore, in Riv. giur. lav., 1953, p. 250 ss.
[6] M.T. CARINCI, Gli appalti nel settore privato. La distinzione tra appalto e trasferimento d’azienda ed il trattamento dei lavoratori impiegati negli appalti, in L. MONTUSCHI(a cura di), Un diritto in evoluzione. Studi in onore di Yasuo Suwa, Milano, 2007, p. 320 ss.;
[7] F. PANTANO, Clausole sociali, concorrenza, investimento pubblico e tutela del lavoro: dal Codice dei contratti pubblici al PNRR, in Federalismi, n. 5/2022;
[8] ANAC, Bando tipo n. 1/2021, approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 154 del 16 marzo 2022
[9] F. PANTANO, op. ult. ct., p. 11;
[10] Corte giust., 9 dicembre 2004, C-460/02,Commissione c. Italia, paradigmatica tale decisione che ha particolare riguardo agli effetti sull’ingresso di nuove imprese nel settore oggetto dell’appalto;
[11] Corte Cost. 3/03/2011 n. 68
[12] F. PANTANO, Le clausole sociali nell’ordinamento giuridico italiano, Pacini, 2020, p. 34 ss.
[13] Cons. St., parere n. 2703/2018
[14] Cons. Stato, n. 6148 del 2019
[15] Cass., sez. lav., 8 settembre 2014, n. 1860, in Giust. civ. Mass.
[16] Corte giust., 18 settembre 2014, C-549/13
[17] I. INGLESE, Le clausole sociali nelle procedure di affidamento degli appalti alla luce delle novità normative, in Dir. Rel. Ind., n. 2/2018; p. 571 ss.;
[18] F. PANTANO, op. ult. cit., p. 15;
[19] F. PANTANO, op. ult. cit., p. 16;
[20] Linee guida per favorire le pari opportunità di genere e relazionali, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC, adottate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Decreto 7 dicembre 2021, in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, Serie generale, n. 309, 30 dicembre 2021, p. 129
[21] PERA, Il rispetto della contrattazione collettiva nelle concessioni di pubblici servizi, in Giust. Civ., 1998, II, p. 2426 ss.
[22] SCARPELLI, Regolarità del lavoro e regole della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Riv. giur.
lav., 2006, 753; I. ALVINO, Clausole sociali, appalti e disgregazione della contrattazione collettiva, in Lavoro diritti Europa, n. 2/2020, p. 6;
[23] C. Stato, sez VI, 28 febbraio 2019, n. 1409; C. Stato, sez. V, 1 marzo 2017, n. 932; C. Stato, sez. V, 12 maggio 2016, n. 1901; C. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 589;
[24] GIACONI, L’impiego strategico degli appalti pubblici alla luce del d.lgs. 50/2016. Le finalità sociali, Aracne, 2018, 106 ss.
[25] T. TREU, Globalizzazione e diritti umani Le clausole sociali dei trattati commerciali e negli scambi internazionali fra imprese, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.INT – 133/2017, p. 47.