Scia e tutela del terzo. Commento alla sentenza del 13 marzo 2019 n. 45 della Corte costituzionale.
di Angela Fragomeni
La Corte Costituzionale, con la sentenza in esame, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tar Toscana, in merito all’art. 19[1], comma 6-ter, della legge n. 241 del 7 agosto 1990 ss.mm.ii., nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività, spettanti all’amministrazione.
Un condominio, infatti, aveva presentato al Comune istanza per inibire gli interventi di manutenzione straordinaria proposti mediante Scia edilizia, consistenti nell’apertura di una finestra a servizio di una camera, nella demolizione di un tramezzo interno del sottoscala, nella diversa conformazione dei gradini di accesso all’abitazione e nella copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste dimensioni. A seguito del silenzio dell’Amministrazione, l’interessato aveva presentato ricorso al Tar Toscana, ai sensi dell’art. 31 C.p.a., lamentando nel merito l’illegittimità della Scia per violazione di diverse disposizioni del regolamento edilizio comunale e chiedendo, altresì, al Tribunale di accertare l’illegittimità e l’inefficacia della Scia. Di dichiarare, infine, l’obbligo del Comune resistente di pronunciarsi sulle istanze di verifica presentate. Il Tar Toscana, con sentenza non definitiva, aveva già esaminato e dichiarato inammissibili le prime due azioni di accertamento (in quanto l’art. 19, comma 6-ter della legge n. 241 del 1990 assegna al terzo come unico rimedio l’azione di accertamento contro il silenzio). Con una separata ordinanza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui non indica un termine entro il quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a sollecitare le verifiche amministrative sulla Scia. Il Collegio decidente riteneva infatti che il suddetto termine non fosse neanche ricavabile in termini univoci dal sistema normativo, con la conseguenza che la diffida del terzo dovesse ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione presso l’Ente competente. Tale sistema normativo appariva in contrasto quindi con l’esigenza di affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, col principio del buon andamento della pubblica amministrazione, nonché col generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e Pubblica amministrazione e, conseguentemente, il Tar sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6 ter, della legge 241 del 1990, per violazione degli 3, 11, 97, 117, primo comma,e 117, secondo comma, lett. m) Cost.
L’esigenza di tutelare l’affidamento circa la stabilità dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce un principio cardine dell’attività amministrativa in tutti i settori dell’intervento pubblico. A questo proposito, La Corte di Giustizia Europea[2] da tempo ha riconosciuto che l’affidamento del privato sulla stabilità del provvedimento amministrativo a lui favorevole deve essere tutelato anche laddove l’Amministrazione disponga di un potere amministrativo repressivo del provvedimento stesso (quale quello di revoca e/o annullamento di ufficio). In particolare, tale principio impone che i suddetti poteri vengano esercitati dall’ente pubblico entro un limite di tempo ragionevole dal rilascio dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato. Tale principio è stato poi ripetutamente confermato dalla giurisprudenza comunitaria[3]. Il principio di affidamento trova applicazione anche in materia di Scia.
La Scia, disciplinata dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, rappresenta non soltanto un modulo di semplice semplificazione procedimentale, volto a consentire al privato il conseguimento per silentium del titolo abilitativo di matrice provvedimentale, bensì di autentica liberalizzazione di determinate attività economiche, il cui esercizio è sottratto ad un regime preventivo di assenso amministrativo, visto che viene consentito direttamente dalla dichiarazione, rectius segnalazione, mediante la quale il privato attesta la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge. Alla logica della semplificazione procedimentale risponde, infatti, il diverso istituto del cd. silenzio-assenso (ex art. 20 della legge n. 241 del 1990). Quando un’attività soggiace al silenzio assenso, invero, la stessa non può dirsi liberalizzata, essendo soltanto regolamentato un meccanismo procedimentale più semplificato di formazione del provvedimento. La Scia consente al privato d’intraprendere immediatamente l’esercizio di alcune attività, sulla base di un atto che lo stesso privato formula e presenta all’amministrazione senza attendere un provvedimento da parte di quest’ultima.
Il residuale potere riconosciuto all’amministrazione di intervenire sull’attività intrapresa del privato, conduce a ritenere che con la Scia si realizzi una forma di liberalizzazione dal carattere parziale, destinata a manifestarsi a monte, attesa la prevista possibilità d’intraprendere l’attività senza che debba attendersi il pronunciamento dell’Amministrazione.
A ben guardare tuttavia, la Corte costituzionale[4] si era espressa sulla funzione della Scia, valorizzando il principio di semplificazione. Il giudice delle leggi, infatti, ha preliminarmente chiarito che la Scia, ponendosi in rapporto di continuità con l’istituto della Dia, è finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della pubblica amministrazione. In particolare si tratta di un istituto, circoscritto all’inizio della fase procedimentale, strutturata secondo un modello ad efficacia legittimamente immediata, finalizzata ad agevolare peraltro l’iniziativa economica ( art. 41, comma 1 Cost.), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima[5].
La giurisprudenza, come la dottrina[6], nel tempo, hanno cercato di costruire modelli di tutela dei controinteressati compatibili con la Scia, quale modello di liberalizzazione di attività private. Si è così prospettata, da un lato, l’ipotesi di un’azione avverso il silenzio inadempimento maturato per il mancato esercizio dei poteri inibitori e repressivi da parte dell’Amministrazione, ex artt. 31 e 117 C.p.a.
In tal modo, il terzo avrebbe potuto conseguire una pronuncia che, accertata l’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione, l’avrebbe condannata a esercitare quei poteri di verifica ed, eventualmente, di conformazione o inibizione dell’attività intrapresa, non esercitati. Si è, inoltre, ammessa la possibilità di esperire un’azione di accertamento autonoma, volta ad accertare in via immediata e diretta, e quindi a prescindere dall’esercizio del potere conformativo, inibitorio e repressivo dell’Amministrazione, l’esistenza o meno dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività di cui, mediante la segnalazione era stato comunicato l’inizio. La mancanza del provvedimento da impugnare legittimava l’azione di accertamento atipica, lasciando però aperto il problema dei termini massimi per il suo esperimento, la cui previsione era necessaria per assicurare stabilità al titolo risultante dalla Scia e certezza dei rapporti ad esso facenti capo.
Su questo particolare contrasto era intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[7] che ha riconosciuto alla denuncia di inizio attività, natura di atto soggettivamente e oggettivamente privato, non provvedimentale. La Scia che, come già precedentemente affermato, si pone in rapporto di continuità con l’istituto della Dia, non costituisce un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo a un titolo costitutivo. Rappresenta, bensì, un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.
Con la pronuncia in esame, la Corte costituzionale, seppur riconoscendo che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla Scia a tutela dell’affidamento del segnalante, non ha condiviso la ricostruzione del rimettente, secondo cui tali poteri sarebbero diversi da quelli previsti dai commi precedenti dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, cosicché non sarebbe possibile mutuarne la disciplina. E’ piuttosto proprio a tali poteri che occorre fare riferimento nell’applicazione della disciplina a tutela del terzo contenuta nel comma 6-ter. A sostegno della propria posizione, la Corte ha richiamato innanzitutto il dato testuale. Quando si parla di verifiche spettanti all’amministrazione, è a questi poteri già previsti che si fa rinvio. Per il giudice delle leggi, inoltre, le modifiche normative, maturate nel solco della pronuncia del Consiglio di Stato del 2011 di cui si è precedentemente trattato, è stato proprio quello di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (c.d. silenzio-diniego) limitando le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale, come inadempimento. Il riferimento alle verifiche spettanti all’amministrazione, di cui al dettato normativo quindi, non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale a sollecitare da parte del terzo l’esercizio di quelli già nella disponibilità dell’Amministrazione. Tali verifiche saranno da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della Scia (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue. Dal punto di vista più pragmatico allora come potrebbe procedere il terzo?
La Corte fa rinvio ad una sollecitazione verso i poteri di verifica dell’amministrazione anche in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21 comma 1 della legge n. 241 del 1990 o verso i poteri di vigilanza e repressivi di settore spettanti all’amministrazione anche ai sensi degli artt. 27 ss., D.p.r. 6 giugno 2001, n. 380. Il terzo avrà inoltre la possibilità di agire in via risarcitoria nei confronti della P.A. in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica, secondo i dettami dell’art. 21 comma 2-ter della legge fondamentale sul procedimento amministrativo, che fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti. Non esiste tuttavia solo la tutela dell’interesse legittimo: rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica. De jure condendo, la Corte auspica un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno al fine di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata, nonché di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.
In conclusione, sembra opportuno fare cenno alla recente pronuncia[8] del supremo organo della giustizia amministrativa che, in base a quanto asserito dalla Corte costituzionale nella pronuncia in esame, si è espressa sull’applicabilità delle informazioni antimafia alle attività soggette alla Scia, sostenendo che, seppur orientata al principio di liberalizzazione, l’attività soggetta a Scia non sia esente da controlli e verifiche. La fase amministrativa che ad essa accede, pertanto, costituisce una parentesi puntualmente delimitata nei tempi e nei modi e ciò vale, a maggior ragione, anche per i controlli antimafia.
[1] Il Tar Parma, con la pronuncia del 22 gennaio 2019 n. 12, ha chiarito di condividere le perplessità espresse dal Tar Toscana nell’ordinanza n. 667 del 2017, soprattutto nella parte in cui consente ai terzi lesi da una Scia edilizia illegittima di esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2, 3 C.p.a. e ciò soltanto dopo aver sollecitato l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
[2] In particolare già con la sentenza del 12 luglio 1957, Algera, C- 7/ 56 e C- 3-7/57.
[3] Ex multis, CGCE, 3.3.1982, Alpha Steel Ltd. c. Commissione, C-14/81; id., 26.2.1987, Consorzio Cooperative d’Abruzzo e Commissione, C-15/85.
[4] Sentenza del 27 giugno 2012 n. 164.
[5] La Corte, nella citata sentenza, ha dichiarato non fondati i dubbi di costituzionalità sollevati, osservando che il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella specifica disciplina della Scia si ravvisa nell’esigenza di determinare i livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle ragioni a statuto speciale. Si afferma che “la disciplina della Scia ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m) Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata allo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione”. In tal senso anche Corte cost. del 9 maggio 2014 n. 121; Corte cost. del 20 luglio 2012 n. 203.
[6] Per una breve ricostruzione della problematica relativa alla tutela in materia di Scia, si vedano in particolare: Sandulli M.A., La segnalazione certificata di inizio attività, in Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2015, p. 159; Paolantonio N., Giulietti W., Commento all’art. 19, in Sandulli M.A. ( a cura di), Il codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2017, p. 904.
[7] Si tratta della pronuncia del Consiglio di Stato del 29 luglio 2011 n. 15.
[8] Si tratta della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, del 2 settembre 2019 n. 6057.