Concessioni balneari a uso turistico ricreativo: il (mancato) dialogo tra istituzioni europee e Italia
Sommario
Capitolo 1: Le concessioni balneari in Italia. 9
1.3 La riforma del 1942 e la svolta delle concessioni balneari in Italia”. 18
1.4 La Legge Galasso: Salvaguardia del Paesaggio e Tutela delle Coste Italiane 23
1.6 La Direttiva Bolkestein: Impatto e Regolamentazione del Mercato dei Servizi nell’UE 37
2.2 Il mare come bene comune: definizione e problematiche. 64
2.3 Uso esclusivo del mare: problematiche e limitazioni 69
2.4 Il mare come bene comune in un’ottica europea: le politiche dell’UE. 71
3.1 Introduzione alla concorrenza nel settore turistico-ricreativo. 82
3.2 Il valore della concorrenza: un’analisi critica. 83
3.3 . La concorrenza nelle politiche europee. 86
3.4 . La concorrenza nel contesto italiano. 89
3.5 . Il (mancato) dialogo tra Italia ed Europa sulla concorrenza. 92
3.6 . Proposte per un dialogo costruttivo tra Italia ed Europa sulla concorrenza 100
Italiano:
La presente tesi esamina in dettaglio il sistema delle concessioni balneari in Italia, analizzandone le radici storiche, la normativa attuale, le criticità e le possibili vie di miglioramento. Il lavoro prende in considerazione la tensione tra le istituzioni italiane e quelle europee, evidenziando come questa dinamica abbia influenzato l’evoluzione del settore. L’analisi comprende anche una riflessione sulla sostenibilità ambientale delle spiagge italiane e sul ruolo delle certificazioni come la Bandiera Blu e la norma ISO 13009. Infine, la tesi propone una serie di possibili soluzioni per superare le attuali difficoltà, promuovendo un sistema di concessioni balneari che sia economicamente efficace, socialmente equo e ambientalmente sostenibile.
English:
This thesis provides a comprehensive examination of the bathing concessions system in Italy, analyzing its historical roots, current regulations, critical issues, and potential ways of improvement. The study takes into account the tension between Italian and European institutions, highlighting how this dynamic has influenced the evolution of the sector. The analysis also includes a reflection on the environmental sustainability of Italian beaches and the role of certifications such as the Blue Flag and the ISO 13009 standard. Lastly, the thesis proposes a series of possible solutions to overcome current challenges, promoting a bathing concessions system that is economically effective, socially fair, and environmentally sustainable.
È interessante notare come il sistema delle concessioni balneari in Italia, oggetto di questa tesi, sia radicato in una storia lunga e complessa, fatta di cambiamenti e continuità. Una curiosità che ben illustra l’importanza culturale e sociale di questa tematica riguarda un episodio avvenuto nel 2006, quando una serie di proteste scoppiò lungo le coste italiane[1].
Nell’estate di quell’anno, l’Unione Europea propose la cosiddetta Direttiva Bolkestein, un atto legislativo che mirava a liberalizzare il mercato dei servizi all’interno dell’UE. Tra le varie disposizioni, la Direttiva prevedeva che le concessioni balneari fossero messe all’asta, rompendo così il sistema tradizionale italiano che vedeva queste concessioni passare di generazione in generazione all’interno delle stesse famiglie[2].
La reazione in Italia fu immediata e molto intensa. Migliaia di balneari scesero in piazza, organizzando proteste e manifestazioni lungo tutta la penisola. In particolare, una delle immagini più simboliche di quelle giornate è quella di una lunga fila di ombrelloni chiusi lungo la spiaggia di Rimini, a simboleggiare la protesta dei balneari contro la Direttiva[3].
Questo episodio sottolinea non solo l’importanza economica delle concessioni balneari in Italia, ma anche il loro valore sociale e culturale. Le spiagge italiane non sono solo luoghi di svago e turismo, ma rappresentano anche un pezzo di storia e di identità del Paese. Questa tesi si propone di esplorare proprio questa complessità, analizzando le tensioni tra le istituzioni italiane e europee e cercando di individuare possibili soluzioni per un dialogo più costruttivo.
Il presente lavoro mira, quindi, a esplorare una questione socio-economico-ambientale di grande rilevanza e complessità: l’organizzazione e la gestione delle concessioni balneari a uso turistico-ricreativo in Italia, in rapporto con le istituzioni europee. La discussione si pone in una prospettiva multidisciplinare, unendo elementi di diritto, economia, storia, e studi ambientali, con l’intento di fornire una comprensione olistica e approfondita del fenomeno.
Il primo capitolo della tesi si concentra sulla storia e l’evoluzione delle concessioni balneari in Italia, con un particolare focus sulla regolamentazione attuale. Si analizzano le normative di riferimento, le autorità competenti, le procedure di assegnazione e i requisiti richiesti. Si esaminano poi le trasformazioni che si sono succedute dal 1861 al 1942, periodo di profonda evoluzione per le attività balneari nel Paese. Si delinea la riforma del 1942 e l’innovazione portata dalla Legge Galasso, fondamentale per la salvaguardia del paesaggio e la tutela delle coste italiane. Si passa quindi alla discussione delle certificazioni ambientali per stabilimenti balneari, con un focus sui sistemi di promozione della sostenibilità come la Bandiera Blu e la norma ISO 13009. Infine, si considera la Direttiva Bolkestein, il suo impatto e la regolamentazione del mercato dei servizi all’interno dell’Unione Europea, con un’analisi critica degli aspetti problematici del sistema italiano delle concessioni balneari, tra cui inefficienze, opacità e fenomeni di corruzione.
Il secondo capitolo si sofferma sulla concezione del mare come bene comune, esaminando le problematiche correlate all’uso esclusivo del mare e alle concessioni balneari da una prospettiva regionale, statale e dell’Unione Europea. Dopo una definizione del concetto di “bene comune”, si analizzano le problematiche e le limitazioni associate all’uso esclusivo del mare. Successivamente, si esaminano le politiche dell’Unione Europea relative al mare come bene comune, con un’analisi degli sforzi (e delle difficoltà) dell’UE nel cercare di armonizzare le normative per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari.
Il terzo capitolo affronta il tema della concorrenza nel contesto delle concessioni balneari, ponendosi tra le pressioni europee e le specificità italiane. Dopo un’introduzione al concetto di concorrenza nel settore turistico-ricreativo, si esamina il valore della concorrenza attraverso un’analisi critica. Si prendono in considerazione le politiche europee in materia, per poi passare all’esame del contesto italiano specifico. Si discute infine il mancato dialogo tra Italia ed Europa sulla concorrenza e si propongono possibili soluzioni per instaurare un dialogo costruttivo.
In sintesi, la tesi si propone di offrire un quadro dettagliato e complesso della questione delle concessioni balneari a uso turistico-ricreativo in Italia, mettendo in luce le tensioni e le discrepanze tra le istituzioni italiane e quelle europee. Questo studio si prefigge di offrire una panoramica esaustiva e approfondita di una questione che tocca svariati aspetti del diritto, dell’economia, della storia e dell’ambiente.
Allo stesso tempo, la tesi si propone di contribuire al dibattito scientifico e politico, fornendo una serie di riflessioni critiche e propositive. Attraverso un’analisi dettagliata delle normative e delle politiche attuali, e grazie a un confronto approfondito tra le diverse prospettive (regionale, nazionale e dell’Unione Europea), si suggeriscono possibili vie di miglioramento per un dialogo più efficace e costruttivo.
Infine, il presente studio ha l’obiettivo di stimolare ulteriori ricerche e dibattiti su questa tematica, in particolare per quanto riguarda le possibili soluzioni ai problemi di inefficienza, opacità e corruzione nel sistema italiano delle concessioni balneari, e le sfide poste dal tentativo di armonizzare le normative a livello europeo. La tesi intende quindi aprire nuove prospettive di ricerca e di intervento, contribuendo a promuovere una gestione delle concessioni balneari che sia equa, sostenibile e rispettosa delle diversità e delle specificità del contesto italiano.
Capitolo 1: Le concessioni balneari in Italia
Negli anni ’50 e ’60, il turismo balneare in Italia conobbe una rapida espansione grazie al cosiddetto “boom economico” che trasformò il paese da una nazione prevalentemente agricola in una delle maggiori potenze industriali d’Europa. Gli anni Sessanta rappresentano per l’Italia il divertimento, l’effimero che scaccia la povertà e si apre a nuovi riti collettivi, dei quali la vacanza al mare è la rappresentazione più evidente: il nuovo uccide il vecchio. La riviera romagnola interpreta, anticipa e sperimenta nuovi costumi. Alla metà del decennio i rotocalchi fotografano e commentano i primi topless fotografati in Italia, la voglia di cambiamento, un iniziale, ritrovato benessere fanno diventare Rimini e la sua riviera la più grande d’Europa, un modello da imitare[4].
La visita di personaggi famosi come l’attore americano Kirk Douglas, che nel 1960 fu fotografato mentre si godeva una giornata di sole sulla spiaggia della riviera romagnola contribuì ad alimentare il fascino e l’attrattiva delle località balneari italiane nel mondo. Questo fenomeno, con il suo indotto economico e di costume, richiamò l’attenzione sulle politiche di gestione delle concessioni balneari e sulla necessità di una regolamentazione adeguata a garantire uno sviluppo sostenibile del settore[5].
Nella presente tesi, focalizzeremo l’attenzione principalmente sulla regolamentazione delle concessioni balneari in Italia, un tema di crescente rilevanza data l’importanza del settore turistico per l’economia nazionale e la sua evoluzione storica a partire dagli anni ‘60. In particolare, esamineremo la normativa di riferimento, le autorità competenti, le procedure di assegnazione e i requisiti richiesti per l’ottenimento di una concessione balneare[6].
La legge quadro di riferimento è il Codice della Navigazione (R.D. 327/1942)[7], integrato e modificato nel tempo da diverse norme, tra cui la Legge 145/2018[8]. Quest’ultima legge è stata adottata per adeguare la normativa nazionale alle disposizioni europee in materia di concorrenza e per rispondere alle esigenze di un settore turistico in continua evoluzione.
L’autorità competente per la gestione delle concessioni è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che opera attraverso le Capitanerie di Porto e gli Uffici Marittimi territorialmente competenti. In questo contesto, la collaborazione tra le istituzioni nazionali e locali, nonché l’attenzione alla sostenibilità ambientale e allo sviluppo delle comunità costiere, rappresentano elementi fondamentali per garantire un equilibrio tra la crescita economica e la tutela del patrimonio naturale e culturale delle aree costiere italiane.
Il demanio marittimo rappresenta una porzione significativa del patrimonio pubblico italiano, costituita da una vasta estensione di aree di terra e di mare, comprese tra il limite costiero e la linea di battigia. La gestione e la valorizzazione di questo patrimonio rappresentano una sfida complessa per le autorità competenti, poiché devono garantire la tutela ambientale, la sicurezza della navigazione, nonché la promozione dello sviluppo economico e turistico del territorio.
In Italia, il demanio marittimo è composto da oltre 7.000 km di costa e da una superficie di mare di circa 24.000 km², caratterizzata da una grande varietà di ambienti naturali e di specie marine. La superficie demaniale è suddivisa in diverse categorie, e le concessioni demaniali costituiscono una parte rilevante del patrimonio demaniale marittimo.
In particolare, il demanio ha censito 26.313 concessioni, di cui 15.414 adibite ad attività turistiche e ricreative, tra cui stabilimenti balneari, ristoranti, bar e altre attività connesse al settore turistico-ricreativo[9]. Tuttavia, nonostante la loro numerosità, queste concessioni rappresentano solo il 0,50% dell’intera superficie demaniale, evidenziando una sottoutilizzazione del patrimonio pubblico a fini economici e turistici[10].
È inoltre interessante notare che la maggior parte delle concessioni per attività turistico-ricreative hanno una superficie relativamente ridotta: il 72,3% delle concessioni non supera i 3000 mq, mentre il 94,9% non supera i 10.000 mq[11]. Ciò suggerisce una concentrazione delle attività su aree limitate e una potenziale limitazione delle opportunità di sviluppo per le imprese del settore.
In questo contesto, la gestione del demanio marittimo rappresenta una sfida difficile per le autorità competenti, che devono trovare un equilibrio tra la tutela ambientale, la salvaguardia delle attività tradizionali, come la pesca e la navigazione, e la promozione di attività economiche e turistiche sostenibili. Per raggiungere questo obiettivo, sono necessarie politiche e strategie a lungo termine, basate su un approccio integrato e partecipativo, in grado di coinvolgere le diverse parti interessate e di valorizzare il patrimonio demaniale marittimo nel rispetto dei principi di sostenibilità e di tutela del territorio e del mare.
La tabella delle concessioni demaniali marittime evidenzia una forte concentrazione delle imprese balneari in alcune regioni costiere, in particolare Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Campania, Calabria e Lazio. Queste regioni rappresentano complessivamente il 64,6% delle imprese balneari censite, con una presenza particolarmente significativa in Emilia Romagna, che conta ben 969 imprese balneari, pari al 14,7% del settore nazionale[12].
Tuttavia, nonostante la forte concentrazione territoriale delle imprese balneari, il settore demaniale marittimo si caratterizza per una grande eterogeneità di dimensioni e di caratteristiche imprenditoriali. Le imprese censite nel 2022 sono state 6.592, con un’occupazione che in alta stagione raggiunge i 60.000 addetti. Il fatturato medio delle imprese balneari è di circa 260.000 euro, e deriva principalmente da servizi “comuni” come l’affitto di ombrelloni e lettini, la gestione dei parcheggi, il noleggio di attrezzature per gli sport acquatici (per il 50% del fatturato complessivo), ma anche da attività di ristorazione, come bar, ristoranti e punti di ristoro, che rappresentano il 48% del fatturato totale[13].
Inoltre, l’Indagine di Nomisma condotta nel 2022 su circa 500 imprese balneari ha evidenziato altri dati interessanti, tra cui la crescente attenzione delle imprese alla sostenibilità ambientale e alla qualità dei servizi offerti. In particolare, le imprese intervistate hanno dichiarato di investire sempre di più in tecnologie e materiali ecocompatibili, come l’energia solare, i pannelli fotovoltaici e il riciclo dei rifiuti, al fine di ridurre l’impatto ambientale delle loro attività. Inoltre, le imprese balneari hanno riferito di prestare sempre maggiore attenzione alla qualità dell’offerta, offrendo servizi personalizzati, come la prenotazione online, l’affitto di attrezzature sportive e la promozione di prodotti tipici del territorio.
Questi dati evidenziano l’importanza economica e turistica delle imprese balneari nel contesto del demanio marittimo italiano, ma anche la necessità di promuovere lo sviluppo sostenibile del settore, attraverso politiche e strategie integrate, che tengano conto delle esigenze ambientali, sociali ed economiche delle diverse aree costiere.
L’analisi dei dati sulle imprese balneari presenti sul territorio italiano evidenzia un’età media prevalente compresa tra i 40 e i 64 anni, che rappresenta il 68% dei proprietari e gestori delle attività balneari. Solo uno su dieci dei proprietari/gestori è giovane, mentre il restante 22% è costituito da persone anziane. Inoltre, l’attività balneare è esercitata in larga misura da uomini (69%) e in misura minore da donne (31%), con una presenza femminile che tende a essere più significativa nelle aree costiere del Sud Italia[14].
Il titolo di studio prevalente tra i proprietari e gestori delle attività balneari è il diploma di scuola media superiore, che rappresenta il 62% del totale, mentre solo il 20% possiede una laurea o un diploma universitario. Tuttavia, è interessante notare come negli ultimi anni si sia verificata una tendenza all’aumento del livello di istruzione degli imprenditori del settore balneare, con un numero sempre maggiore di giovani che scelgono di investire in questa attività.
Un altro dato interessante è rappresentato dalla tipizzazione della clientela delle attività balneari, che risulta essere ancora oggi largamente fidelizzata. Infatti, il 58% della clientela frequenta la struttura da almeno 5 anni, mentre il 33% la frequenta da 10 anni o più. Questo dato testimonia la capacità delle attività balneari di mantenere nel tempo la fedeltà dei propri clienti, attraverso l’offerta di servizi di qualità, la personalizzazione dell’offerta e la cura dell’ambiente e del territorio circostante[15].
In questo contesto, è importante promuovere politiche e strategie a sostegno dello sviluppo sostenibile del settore balneare, che tengano conto delle esigenze ambientali, sociali ed economiche delle diverse aree costiere, e che valorizzino le potenzialità di innovazione e di crescita delle attività balneari, anche attraverso l’adozione di nuove tecnologie e la diversificazione dell’offerta turistica.
Le procedure di assegnazione delle concessioni balneari prevedono la presentazione di un’istanza al competente ufficio marittimo e il rispetto dei requisiti stabiliti dalla normativa vigente, quali la conformità al Piano di utilizzo dei Litorali (PUL)[16], la valutazione di impatto ambientale, e l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti richiedenti. L’obiettivo di questa tesi è fornire un quadro esaustivo delle disposizioni legislative e amministrative che regolano il settore delle concessioni balneari, al fine di promuovere una gestione sostenibile e responsabile delle risorse costiere italiane[17].
L’evoluzione storica della regolamentazione delle concessioni balneari in Italia si è sviluppata attraverso diverse fasi e interventi normativi, che hanno risposto alle mutevoli esigenze del settore turistico e alle necessità di tutela dell’ambiente costiero. Di seguito, vengono riportate le tappe principali di questo processo:
1.2 Dalle prime concessioni alle grandi trasformazioni: il periodo 1861-1942 delle attività balneari in Italia”
Nel periodo successivo all’Unità d’Italia, la regolamentazione delle concessioni balneari era ancora agli albori, e la gestione delle coste italiane era caratterizzata da una frammentazione normativa e amministrativa[18]. Le diverse regioni e province marittime adottavano regolamenti autonomi, e le concessioni balneari erano disciplinate principalmente da ordinanze locali. Questa situazione rendeva difficile una gestione uniforme e sostenibile delle risorse costiere e dei servizi balneari, con conseguenti problemi di tutela dell’ambiente e dell’ordine pubblico sulle spiagge.
La disamina della normativa va tuttavia considerata a partire dalla introduzione della carta costituzionale che trasferisce la sovranità al popolo (art.1) attribuendo ad esso anche la titolarità dei beni pubblici, trasferendo e rendendo più rigide anche le garanzie del patrimonio.
La nostra costituzione regola anche la gestione e la tutela del patrimonio pubblico all’interno dell’art.42, coniugando le istanze fondamentali dello stato di diritto con quelle del popolo, in chiave solidaristica ed egualitaria. La “funzionalizzazione” della proprietà, riferendosi alla “utilità” e all’ “interesse generale” rende il nostro ordinamento armonico sposando il diritto di proprietà ma non affermandone l’inviolabilità[19]
I beni pubblici, quindi, determinano l’insieme delle cose (in senso giuridico) mobili o immobili appartenenti allo stato o altra pubblica amministrazione che sono destinati alla disponibilità e al godimento, ponendo un nesso strumentale tra bene pubblico e scopo pubblico, specificandone quindi un particolare regime giuridico che contempla sia il profilo del possibile godimento del bene sia quello della circolazione giuridica, sia quello della sua tutela[20].
In generale i beni pubblici possono essere suddivisi in due sottocategorie:
a) Beni pubblici in senso stretto, che appartengono allo stato o ad altro ente pubblico
b) Beni di interesse pubblico che, pur appartenendo ai privati, sono regolamentati da un regime giuridico derogatorio rispetto a quello di diritto comune, in ragione della peculiare rilevanza riconosciuta agli stessi da parte della collettività[21]
All’interno della prima categoria rientrano sia i beni demaniali (che sono inalienabili, impignorabili, non espropriabili) quanto quelli appartenenti al patrimonio indisponibile[22]
Le cronache storiche narrano che il primo stabilimento balneare in Italia fu costruito a Viareggio, una città situata sulla costa toscana, nel 1827. Questo luogo di svago e relax era conosciuto come lo “Stabilimento dei bagni“, ed aveva lo scopo di “far ritrovare gli ospiti … al coperto degli sguardi altrui, liberamente si spoglino e si rivestano, con tutti quei riguardi che si devono alla decenza[23]“
Lo Stabilimento dei bagni era un’innovazione per l’epoca, in quanto forniva un ambiente privato e riservato in cui gli ospiti potevano cambiarsi e godere del mare e del sole in tutta tranquillità, senza sentirsi osservati o giudicati. Il concetto di stabilimento balneare come lo conosciamo oggi deriva proprio da questa prima struttura, che presto divenne popolare tra la borghesia e l’aristocrazia dell’epoca, in cerca di svago e benessere[24].
Il successo dello Stabilimento dei bagni di Viareggio portò alla nascita di altri stabilimenti balneari lungo la costa italiana e in tutta Europa, contribuendo a creare una nuova cultura del turismo balneare e del relax al mare. Questa evoluzione ha portato alla creazione di strutture sempre più elaborate e ricche di servizi, come piscine, ristoranti, e centri benessere, che ancora oggi caratterizzano l’esperienza della villeggiatura marittima[25].
Nel periodo per-Codice della Navigazione, l’ambito delle concessioni balneari era caratterizzato da una frammentazione normativa e amministrativa che si traduceva in una mancanza di criteri chiari e uniformi per l’assegnazione delle concessioni stesse. Queste venivano spesso attribuite sulla base di decisioni arbitrarie o influenzate da fattori locali, generando un clima di incertezza e disordine normativo. Tale situazione rendeva estremamente difficile esercitare un controllo efficace e organizzato sulle attività svolte dai concessionari, favorendo la proliferazione di abusi e irregolarità nel settore[26].
Parallelamente, con l’aumento del turismo balneare, che portava sempre più persone a frequentare le spiagge italiane, emersero le prime criticità relative alla concezione delle spiagge, considerate come fonte di produzione di ricchezza e oggetto di attività imprenditoriali produttrici di ricavi anche importanti[27]. Inoltre, si assisteva a una crescente consapevolezza dell’importanza della tutela delle risorse costiere e dell’ambiente, elemento fondamentale per garantire uno sviluppo sostenibile del turismo e delle attività economiche legate al mare.
In questo contesto, divenne evidente la necessità di un intervento legislativo di riforma a livello nazionale che potesse risolvere le criticità emerse. Un tale intervento avrebbe dovuto garantire una maggiore uniformità e coerenza nella regolamentazione delle concessioni balneari, ponendo fine alle incertezze e alle iniquità generate dal sistema precedente.
Inoltre, era fondamentale che questa riforma tenesse conto della tutela dell’ambiente e degli interessi dei fruitori dei servizi turistici sulle spiagge. Ciò avrebbe comportato l’implementazione di misure volte a garantire la sostenibilità delle attività balneari, promuovendo la conservazione delle risorse naturali e incentivando l’adozione di pratiche eco-compatibili da parte dei concessionari.
In sintesi, la situazione di incertezza e disordine normativo che caratterizzava il periodo per-Codice della Navigazione, unita all’aumento del turismo balneare e alla crescente consapevolezza dell’importanza della tutela delle risorse costiere e dell’ambiente, ha reso imprescindibile un intervento legislativo di riforma a livello nazionale.
Il processo di riforma, culminerà con l’introduzione del Codice della Navigazione nel 1942, che rappresenterà un punto di svolta fondamentale nella regolamentazione delle concessioni balneari in Italia, fornendo un quadro normativo di riferimento stabile e organizzato per le autorità competenti e gli operatori del settore.
1.3 La riforma del 1942 e la svolta delle concessioni balneari in Italia”
Il Regio Decreto 327/1942[28] introdusse il Codice della Navigazione, che rappresenta ancora oggi la legge quadro per la regolamentazione delle concessioni balneari in Italia. Il Codice stabilì le competenze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e delle Capitanerie di Porto nella gestione delle concessioni, e ne fissò criteri e procedure per l’assegnazione.
Le colonie marine furono concepite come luoghi di svago, di educazione e di promozione della salute per la gioventù italiana, in particolare per i bambini delle classi sociali più disagiate. L’idea alla base di queste strutture era quella di irrobustire e temprare la gioventù fascista, attraverso l’attività fisica e la ricreazione lontano dalla famiglia e dalle difficoltà della vita quotidiana. Le colonie marine offrivano ai giovani la possibilità di trascorrere un periodo di vacanza al mare, durante il quale potevano praticare sport, partecipare a giochi e attività di gruppo e, al contempo, ricevere un’educazione ai valori del regime fascista[29].
Il fascismo promuoveva l’ideale di una nazione forte e vigorosa, e le colonie marine erano considerate uno strumento efficace per plasmare i giovani italiani secondo questo modello. L’esperienza della vacanza al mare, con la sua dimensione ludica e rigenerante, veniva così integrata in un progetto più ampio di educazione fisica, morale e politica della gioventù.
La diffusione delle colonie marine contribuì a far conoscere e apprezzare le spiagge italiane a un numero sempre maggiore di persone. Questo fenomeno, unito allo sviluppo delle infrastrutture turistiche e alla crescente disponibilità di tempo libero per le classi lavoratrici, favorì l’affermazione di una cultura del turismo balneare che si sarebbe poi consolidata nel dopoguerra[30].
In sintesi, il periodo del fascismo rappresenta un momento cruciale nella storia del turismo balneare italiano, in quanto fu proprio durante questo periodo storico che gli italiani conobbero e frequentarono le spiagge in modo più sistematico e organizzato. Le colonie marine, gestite dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, svolsero un ruolo fondamentale in questo processo, offrendo alla gioventù fascista l’opportunità di praticare attività fisiche e ricreative al mare, al fine di irrobustire e temprare il carattere dei giovani italiani secondo gli ideali promossi dal regime[31].
Il Codice della Navigazione ha introdotto importanti innovazioni nella regolamentazione delle concessioni balneari, stabilendo i principi generali per la definizione dei requisiti richiesti ai concessionari, come la capacità tecnica, finanziaria e organizzativa. Questo ha rappresentato un passo avanti significativo rispetto al passato, poiché ha garantito che gli operatori del settore avessero le competenze e le risorse necessarie per fornire servizi balneari di qualità[32].
Inoltre, il Codice ha stabilito le condizioni per la revoca o la sospensione delle concessioni in caso di inadempienze o violazioni delle norme.[33] Queste disposizioni hanno contribuito a elevare gli standard di qualità e sicurezza dei servizi balneari, garantendo una maggiore tutela degli interessi dei fruitori e dell’ambiente. La tutela dell’ambiente costiero e la promozione di un turismo sostenibile sono diventate, infatti, priorità sempre più rilevanti nell’ambito delle politiche di gestione delle concessioni balneari.
Parallelamente, la normativa internazionale ha cercato di incentivare l’adozione di sistemi di gestione e certificazione di qualità negli stabilimenti balneari.
Il Codice della Navigazione del 1942 ha introdotto importanti innovazioni alle concessioni balneari in Italia.
In tabella andremo a riassumere le principali innovazioni:
Innovazione | Descrizione |
Stabilimenti balneari come “opere marittime” | Il Codice della Navigazione del 1942 ha classificato gli stabilimenti balneari come “opere marittime”, soggetti a specifiche norme in termini di autorizzazioni, progettazione, costruzione e gestione. |
Concessione a tempo determinato | Il Codice ha introdotto la concessione a tempo determinato per gli stabilimenti balneari, con una durata massima di 30 anni. Questo periodo era finalizzato a garantire la continuità del servizio e a incentivare gli investimenti nella costruzione e manutenzione delle strutture balneari. |
Richiesta di concessione | Il Codice ha stabilito le procedure per richiedere una concessione balneare, prevedendo che le domande dovessero essere presentate alle autorità competenti e che gli stabilimenti balneari dovevano essere autorizzati dall’autorità marittima prima di poter iniziare la loro attività. |
Condizioni per la revoca della concessione | Il Codice ha introdotto condizioni specifiche per la revoca delle concessioni, come il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e sull’igiene, il deterioramento delle strutture o la violazione delle condizioni stabilite nella concessione stessa. |
Limitazioni all’uso delle spiagge | Il Codice ha stabilito che l’uso delle spiagge doveva essere limitato a fini turistici e balneari, vietando l’utilizzo delle spiagge per scopi diversi da questi, come ad esempio l’installazione di impianti industriali o la realizzazione di opere di urbanizzazione. |
Responsabilità del concessionario | Il Codice ha sottolineato la responsabilità del concessionario nella gestione degli stabilimenti balneari, prevedendo che il concessionario fosse responsabile per la sicurezza, l’ordine e l’igiene all’interno della propria area concessa. |
Obbligo di manutenzione | Il Codice ha stabilito l’obbligo per i concessionari di mantenere e migliorare le strutture e le attrezzature degli stabilimenti balneari, garantendo così la sicurezza e il comfort dei bagnanti e la tutela dell’ambiente. |
Queste innovazioni hanno rappresentato un importante passo avanti nella regolamentazione e nella gestione delle concessioni balneari in Italia, contribuendo a garantire la sicurezza, il comfort e la sostenibilità degli stabilimenti balneari e delle spiagge.
Va anche notato che, nel corso degli anni, il Codice della Navigazione è stato integrato e modificato da altre normative e disposizioni, che hanno introdotto nuovi criteri e requisiti per l’assegnazione e la gestione delle concessioni balneari, come la Legge Galasso e la Legge 494/1993. Tuttavia, il Codice continua a rappresentare la base normativa di riferimento per il settore, offrendo un quadro normativo stabile e coerente per le autorità competenti e gli operatori del settore.
In conclusione, l’introduzione del Codice della Navigazione ha rappresentato un passo cruciale nella regolamentazione delle concessioni balneari in Italia, fornendo un’impostazione chiara e organizzata per la gestione delle risorse costiere e dei servizi turistici sulle spiagge.
Pur essendo stato affiancato da altre normative nel corso del tempo, il Codice ha mantenuto il suo ruolo centrale nel settore e ha contribuito a garantire una migliore qualità e sostenibilità delle attività balneari nel Paese.
1.4 La Legge Galasso: Salvaguardia del Paesaggio e Tutela delle Coste Italiane
La Legge 431/1985[34], comunemente nota come Legge Galasso, ha segnato un momento cruciale nella storia della tutela delle coste italiane, introducendo disposizioni fondamentali per la conservazione e la protezione dell’ambiente costiero. La legge ha vietato l’edificazione entro una fascia di 300 metri dalla battigia, prevedendo inoltre misure per il recupero delle aree degradate e la loro riqualificazione.
Giuseppe Galasso, l’autore della legge, era uno storico, giornalista, politico e professore universitario nato a Napoli nel 1929. Egli è principalmente ricordato per il suo impegno nella difesa e tutela dell’ambiente, delle bellezze paesaggistiche e naturali italiane. La sua visione normativa si basava sull’ampliamento del concetto di “paesaggio” verso una concezione più moderna e dinamica, che comprendesse non solo gli aspetti estetici e culturali, ma anche i beni naturali come elementi essenziali e inscindibili di queste.
La Legge Galasso ha avuto un impatto significativo sulla gestione delle concessioni balneari, imponendo limiti e vincoli per la realizzazione di strutture e servizi turistici sulle spiagge. Questa legge ha contribuito a stabilire un approccio più sostenibile e rispettoso dell’ambiente nel settore delle concessioni balneari, promuovendo la conservazione delle risorse costiere e la preservazione del paesaggio.
La Legge 431/1985, ha introdotto importanti innovazioni in materia di concessioni balneari, con particolare attenzione alla tutela ambientale e alla salvaguardia delle coste italiane.
In tabella riassumiamo le principali innovazioni:
Innovazione | Descrizione |
Salvaguardia delle zone di particolare interesse | La Legge Galasso ha stabilito la protezione delle zone di particolare interesse ambientale, che include anche le aree costiere. Questo ha limitato lo sviluppo indiscriminato delle concessioni balneari, garantendo la conservazione di zone naturali e la biodiversità. |
Limiti all’edificazione nelle aree costiere | La legge ha introdotto restrizioni all’edificazione nelle aree costiere, stabilendo una distanza minima di 300 metri dalla linea di battigia per la costruzione di nuove strutture. Ciò ha contribuito a preservare l’aspetto naturale delle coste italiane e a limitare l’impatto delle attività umane. |
Interventi di recupero e riqualificazione | La Legge Galasso ha promosso interventi di recupero e riqualificazione delle aree costiere degradate, incoraggiando la trasformazione di vecchie strutture e infrastrutture in spazi verdi o attrezzature a servizio del turismo sostenibile e della fruizione pubblica. |
Piani di utilizzo delle spiagge | La legge ha introdotto l’obbligo per i Comuni costieri di redigere Piani di Utilizzo delle Spiagge (PUS), al fine di regolamentare e pianificare l’utilizzo delle aree balneari, garantendo la corretta distribuzione delle concessioni e il rispetto delle norme ambientali. |
Rinnovo delle concessioni balneari | La Legge Galasso ha previsto il rinnovo delle concessioni balneari solo a condizione che queste rispettino le nuove norme ambientali e di salvaguardia del territorio. In questo modo, si è incentivata l’adozione di buone pratiche da parte dei concessionari. |
Le innovazioni introdotte dalla Legge 431/1985 hanno rappresentato un significativo passo avanti nella gestione delle concessioni balneari in Italia, contribuendo a garantire la tutela dell’ambiente, la conservazione delle coste e la promozione di un turismo sostenibile.
La Legge 494/1993, nota anche come Legge Bucalossi, ha introdotto importanti innovazioni in materia di concessioni balneari, con particolare attenzione alla pianificazione, alla gestione e alla sostenibilità delle aree costiere italiane.
in tabella riassumiamo le principali innovazioni:
Innovazione | Descrizione |
Demanio marittimo e aree demaniali | La Legge Bucalossi ha riconosciuto l’importanza del demanio marittimo e delle aree demaniali, stabilendo specifiche norme per la gestione delle concessioni balneari e delle attività turistiche nelle aree costiere. |
Classificazione delle spiagge | La legge ha introdotto una classificazione delle spiagge in base al loro valore paesaggistico, ambientale e turistico, al fine di garantire una gestione differenziata delle aree costiere e di promuovere un turismo sostenibile e responsabile. |
Piani di assestamento delle spiagge | La Legge Bucalossi ha previsto l’elaborazione di Piani di Assestamento delle Spiagge (PAS) da parte dei Comuni costieri, con l’obiettivo di regolamentare l’utilizzo delle aree balneari e di garantire la corretta distribuzione delle concessioni, nel rispetto delle norme ambientali e paesaggistiche. |
Rinnovo delle concessioni balneari | La legge ha stabilito criteri più rigorosi per il rinnovo delle concessioni balneari, prevedendo che il rinnovo fosse subordinato al rispetto delle nuove norme ambientali, paesaggistiche e di gestione delle aree costiere. |
Sostenibilità e qualità del turismo balneare | La Legge 494/1993 ha posto l’accento sulla sostenibilità e sulla qualità del turismo balneare, promuovendo l’adozione di buone pratiche da parte dei concessionari e incentivando la realizzazione di infrastrutture e servizi a basso impatto ambientale. |
Le innovazioni introdotte dalla Legge 494/1993 hanno contribuito a migliorare la pianificazione e la gestione delle concessioni balneari in Italia, promuovendo la sostenibilità delle aree costiere e la qualità del turismo balneare.
La Legge 494/1993 ha introdotto il Piano Regolatore dei Litorali (PRL), uno strumento di pianificazione territoriale finalizzato alla conservazione e valorizzazione delle risorse costiere. I PRL sono diventati un elemento fondamentale nella procedura di assegnazione delle concessioni balneari, stabilendo gli indirizzi e i criteri per l’ubicazione e la tipologia delle strutture balneari, e fornendo linee guida per il corretto sviluppo delle aree costiere.
Il Piano Regolatore dei Litorali si basa su un insieme di criteri tecnici e normativi, tra cui la valutazione dell’impatto ambientale, l’analisi delle dinamiche costiere, la protezione delle aree di interesse naturalistico e la promozione dell’uso sostenibile delle risorse. La Legge 494/1993 ha dunque integrato e potenziato gli obiettivi di tutela ambientale e sostenibilità introdotti dalla Legge Galasso, fornendo un quadro normativo più solido e completo per la gestione delle concessioni balneari.
In sintesi, la Legge Galasso e la Legge 494/1993 hanno rappresentato due interventi legislativi fondamentali per la regolamentazione delle concessioni balneari e la tutela delle risorse costiere italiane. La visione di Giuseppe Galasso e gli ulteriori sviluppi normativi hanno contribuito a creare un contesto in cui la conservazione e la sostenibilità ambientale sono divenute priorità nella gestione delle spiagge italiane, portando a un approccio più responsabile e attento all’ ‘ambiente nel settore del turismo balneare.
Negli anni successivi all’entrata in vigore delle due leggi, sono state introdotte ulteriori misure e normative atte a consolidare la tutela ambientale e la sostenibilità nel settore delle concessioni balneari. Tra queste, si annoverano le Direttive Europee sulla gestione integrata delle zone costiere e sulle acque di balneazione, che hanno imposto standard di qualità più rigidi e promosso la cooperazione tra gli Stati membri per garantire la protezione delle coste e delle risorse marine.
1.5 Certificazioni Ambientali per Stabilimenti Balneari: Bandiera Blu e ISO 13009 come Strumenti di Promozione della Sostenibilità”
La crescente attenzione alla sostenibilità ha portato allo sviluppo di sistemi di certificazione ambientale per gli stabilimenti balneari, come la Bandiera Blu[35] e la certificazione ISO 13009[36]. Questi sistemi di certificazione valutano e premiano gli stabilimenti balneari che adottano pratiche eco-compatibili e rispettose dell’ambiente, contribuendo a diffondere la cultura della sostenibilità e incentivando gli operatori del settore a migliorare costantemente le loro performance ambientali.
La certificazione ambientale per gli stabilimenti balneari è un importante strumento per garantire la qualità e la sostenibilità delle strutture e dei servizi offerti ai bagnanti. Una delle certificazioni più note e prestigiose a livello internazionale è la Bandiera Blu. Di seguito, una tabella con alcune informazioni chiave riguardo alla Bandiera Blu:
Caratteristica | Descrizione |
Ente promotore | La Bandiera Blu è un programma promosso dalla Foundation for In tabella Educati on (FEE), un’organizzazione non governativa internazionale che si occupa di educazione ambientale e sostenibilità. |
Obiettivo | L’obiettivo della Bandiera Blu è promuovere la sostenibilità e la qualità delle spiagge e degli stabilimenti balneari, premiando le località che soddisfano elevati standard in termini di qualità delle acque, gestione ambientale, servizi offerti e sicurezza. |
Criteri di valutazione | Per ottenere la Bandiera Blu, gli stabilimenti balneari devono soddisfare una serie di criteri suddivisi in quattro categorie: qualità delle acque di balneazione, gestione ambientale e attrezzature, informazione e educazione ambientale, sicurezza e servizi. |
Valenza internazionale | La Bandiera Blu è riconosciuta a livello internazionale come un simbolo di qualità e sostenibilità per le spiagge e gli stabilimenti balneari. Oltre all’Italia, il programma è attivo in più di 50 paesi in tutto il mondo, contribuendo a promuovere un turismo responsabile e a tutelare l’ambiente costiero. |
Benefici per gli stabilimenti | Gli stabilimenti balneari che ottengono la Bandiera Blu beneficiano di una maggiore visibilità e reputazione, attirando un maggior numero di turisti sensibili ai temi ambientali. Inoltre, la certificazione può incentivare gli operatori a migliorare la qualità delle strutture e dei servizi offerti. |
La Bandiera Blu rappresenta quindi un importante riconoscimento per gli stabilimenti balneari che si impegnano nella tutela dell’ambiente e nella promozione di un turismo sostenibile e responsabile.
La norma ISO 13009 è un altro strumento importante per garantire la qualità e la sostenibilità degli stabilimenti balneari. Di seguito, una tabella con alcune informazioni chiave riguardo alla norma ISO 13009:
Caratteristica | Descrizione |
Ente promotore | La norma ISO 13009 è stata sviluppata dall’Organizzazione Internazionale per la Normazione (ISO), un’organizzazione non governativa composta da rappresentanti di organismi di normazione nazionali di tutto il mondo, che si occupa di sviluppare e promuovere standard internazionali in vari settori. |
Obiettivo | L’obiettivo della norma ISO 13009 è stabilire requisiti e linee guida per la gestione delle spiagge e degli stabilimenti balneari, al fine di garantire la qualità e la sostenibilità delle strutture e dei servizi offerti ai bagnanti. La norma si focalizza sulla sicurezza, l’accessibilità, la protezione dell’ambiente e la soddisfazione dei clienti. |
Criteri di valutazione | La norma ISO 13009 stabilisce una serie di requisiti e linee guida che coprono diversi aspetti della gestione degli stabilimenti balneari, tra cui: la pianificazione e la progettazione delle strutture; la valutazione dei rischi e la gestione delle emergenze; la manutenzione e il monitoraggio delle acque di balneazione; l’accessibilità per persone con disabilità; la gestione dei rifiuti e la promozione di pratiche sostenibili; la comunicazione e l’informazione ai clienti; e la formazione del personale. |
Valenza internazionale | La norma ISO 13009 è riconosciuta a livello internazionale come uno standard di riferimento per la gestione delle spiagge e degli stabilimenti balneari. Essa può essere utilizzata da stabilimenti balneari e autorità locali in tutto il mondo per migliorare la qualità delle strutture e dei servizi offerti e per promuovere un turismo responsabile e sostenibile. |
Benefici per gli stabilimenti | Gli stabilimenti balneari che adottano e rispettano la norma ISO 13009 possono beneficiare di una maggiore reputazione e competitività, attirando un maggior numero di turisti attenti alla qualità e alla sostenibilità dei servizi. Inoltre, l’adozione della norma può aiutare gli stabilimenti a migliorare la gestione delle risorse, a ridurre i rischi e a garantire una maggiore soddisfazione dei clienti, contribuendo alla promozione di un turismo responsabile e alla tutela dell’ambiente costiero. |
La norma ISO 13009 fornisce quindi un quadro di riferimento completo e flessibile per la gestione delle spiagge e degli stabilimenti balneari, al fine di garantire la qualità, la sostenibilità e la sicurezza delle strutture e dei servizi offerti ai bagnanti.
Parallelamente, anche la ricerca scientifica e tecnologica ha giocato un ruolo importante nella promozione della sostenibilità nel settore delle concessioni balneari. Studi sulle dinamiche costiere, sulle specie marine e sugli impatti delle attività umane sulle zone costiere hanno fornito informazioni preziose per la pianificazione e la gestione delle concessioni balneari, orientando le scelte politiche e normative verso un approccio sempre più rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali.
1.6 La Direttiva Bolkestein: Impatto e Regolamentazione del Mercato dei Servizi nell’UE
Uno degli elementi chiave che ha spinto verso la riforma è stata la Direttiva 2006/123/CE dell’Unione Europea, nota come “Bolkestein Directive[37]“, che mirava a rimuovere le barriere amministrative e legislative per facilitare la libera circolazione dei servizi all’interno del mercato unico europeo, compreso il settore delle concessioni balneari. L’Italia ha ricevuto diverse lettere di messa in mora da parte della Commissione Europea per la mancata attuazione delle disposizioni della direttiva, il che ha creato un clima di urgenza per la riforma normativa[38].
La Direttiva Bolkestein, ufficialmente nota come Direttiva 2006/123/CE, rappresenta una proposta legislativa dell’Unione Europea che ha suscitato un intenso dibattito tra i suoi sostenitori e i suoi critici. L’obiettivo principale della Direttiva è stato quello di eliminare le restrizioni alla libera circolazione dei servizi tra i paesi membri, al fine di favorire la concorrenza e promuovere la crescita economica.
In particolare, la Direttiva Bolkestein ha avuto un impatto significativo anche sulle concessioni balneari. In precedenza, la gestione delle spiagge era spesso affidata a privati o cooperative locali, che a volte favorivano gli interessi dei proprietari terrieri e delle élite locali a discapito dell’accesso pubblico alle spiagge.
La Direttiva Bolkestein ha introdotto nuove regole per garantire una maggiore trasparenza e concorrenza nell’assegnazione delle concessioni balneari, promuovendo una gestione più sostenibile delle spiagge. Le norme imposte dalla Direttiva hanno garantito che tutte le imprese interessate avessero le stesse opportunità di partecipare alle procedure di gara per le concessioni balneari. Inoltre, sono state stabilite regole per promuovere la sostenibilità ambientale delle spiagge, attraverso l’introduzione di misure che prevedevano l’uso di materiali ecologici e il rispetto delle norme di protezione della fauna e della flora marina.
Tuttavia, la Direttiva Bolkestein ha incontrato anche molte critiche da parte dei sindacati e dei partiti politici, che temevano che avrebbe portato a una competizione sleale tra le imprese, a salari più bassi e a condizioni di lavoro peggiori per i lavoratori. L’UE ha cercato di rispondere a queste preoccupazioni attraverso l’introduzione di regole più stringenti per garantire una gestione sostenibile delle spiagge e il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Gli operatori delle concessioni balneari sono stati obbligati a garantire condizioni di lavoro conformi alle norme nazionali e comunitarie, come il rispetto del diritto del lavoro, la sicurezza sul lavoro e la protezione sociale dei lavoratori. Gli Stati membri sono stati anche invitati a promuovere l’impiego locale e a favorire la formazione professionale dei lavoratori nelle concessioni balneari.
In sintesi, la Direttiva Bolkestein rappresenta una proposta legislativa volta a promuovere la liberalizzazione dei servizi e la concorrenza nel mercato europeo, inclusi i servizi offerti dalle concessioni balneari. La direttiva ha introdotto nuove regole per garantire una maggiore trasparenza e concorrenza nell’assegnazione delle concessioni balneari, promuovendo una gestione più sostenibile delle spiagge. Tuttavia, è stata oggetto di dibattito e di analisi critica riguardo all’impatto sul mercato dei servizi dell’UE e sulle condizioni di lavoro. L’UE ha cercato di trovare un equilibrio tra la concorrenza economica e la tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, attraverso l’introduzione di regole più stringenti per garantire una gestione sostenibile delle spiagge e il rispetto dei diritti dei lavoratori.
Proposte della Direttiva Bolkestein | Descrizione |
Pubblicazione di avvisi pubblici | Gli Stati membri sono stati obbligati a pubblicare regolarmente avvisi pubblici per le concessioni balneari, in modo che tutti gli operatori interessati potessero presentare una domanda. |
Parità di opportunità per tutti gli operatori | Tutti gli operatori interessati hanno dovuto avere le stesse opportunità di partecipare alle procedure di gara per le concessioni balneari. |
Criteri ambientali nella selezione degli operatori | Gli Stati membri sono stati obbligati a tenere conto dei criteri ambientali nella selezione degli operatori delle concessioni balneari, come l’uso di materiali ecologici e il rispetto delle norme di protezione della fauna e della flora marina. |
Garanzia di condizioni di lavoro conformi alle norme | Gli operatori delle concessioni balneari sono stati obbligati a garantire condizioni di lavoro conformi alle norme nazionali e comunitarie, come il rispetto del diritto del lavoro, la sicurezza sul lavoro e la protezione sociale dei lavoratori. |
Impiego locale e formazione professionale | Gli Stati membri sono stati invitati a promuovere l’impiego locale e a favorire la formazione professionale dei lavoratori nelle concessioni balneari. |
Questa tabella rappresenta solo una sintesi delle principali proposte della Direttiva Bolkestein in materia di concessioni balneari, ma è importante notare che le regole dettagliate possono variare a seconda dello Stato membro e delle specifiche situazioni locali.
In risposta a queste pressioni e alla necessità di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni europee, il Parlamento italiano ha approvato nel 2018 la Legge 145/2018[39], che introduce importanti novità nella regolamentazione delle concessioni balneari. Questa legge rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione del quadro normativo italiano, poiché introduce cambiamenti significativi che incidono profondamente sulla gestione del settore, come l’obbligo di bandi pubblici per l’assegnazione delle concessioni, favorendo una maggiore trasparenza e concorrenza.
Con l’obiettivo, dunque, di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni europee in materia di concorrenza, la Legge 145/2018 ha introdotto importanti novità nella regolamentazione delle concessioni balneari. Questa legge rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione del quadro normativo, poiché ha introdotto cambiamenti significativi che hanno inciso profondamente sulla gestione del settore.
In particolare, la Legge 145/2018 ha previsto l’obbligo di bandi pubblici per l’assegnazione delle concessioni, favorendo una maggiore trasparenza e concorrenza nel settore. Questo passaggio ha rappresentato una svolta rispetto alle procedure precedenti, in cui le concessioni venivano assegnate attraverso meccanismi meno trasparenti e standardizzati. L’introduzione dei bandi pubblici ha reso più accessibile il mercato delle concessioni balneari, permettendo a nuovi operatori di partecipare e offrendo maggiori opportunità di sviluppo imprenditoriale. Inoltre, questo cambiamento ha contribuito a ridurre il rischio di favoritismi e pratiche illecite, garantendo un’assegnazione delle concessioni basata su criteri oggettivi e meritocratici.
La Legge 145/2018 ha inoltre esteso la durata delle concessioni fino a un massimo di 15 anni, con possibilità di proroga, garantendo una maggiore stabilità e sicurezza agli operatori balneari. Questa disposizione ha rappresentato un importante passo avanti nella tutela degli investimenti e nella pianificazione a lungo termine delle attività balneari. Infatti, una durata maggiore delle concessioni permette agli operatori di programmare interventi di miglioramento delle infrastrutture e dei servizi offerti, con benefici sia per gli imprenditori che per i fruitori delle spiagge.
Nonostante i numerosi vantaggi introdotti dalla Legge 145/2018, essa ha anche sollevato alcune criticità e questioni aperte, che richiedono un’attenta riflessione da parte delle autorità competenti e degli operatori del settore. Ad esempio, l’adozione di bandi pubblici e la maggiore durata delle concessioni possono comportare una progressiva riduzione del numero di piccoli operatori balneari, favorendo la concentrazione del mercato nelle mani di grandi imprese. Inoltre, la maggiore concorrenza e le aspettative di redditività possono spingere gli operatori a intensificare l’utilizzo delle risorse costiere, con possibili conseguenze negative sull’ambiente e sul paesaggio.
In conclusione, la Legge 145/2018 ha rappresentato un passo importante nella modernizzazione e nell’adeguamento del quadro normativo delle concessioni balneari in Italia alle esigenze del mercato e alle politiche europee. Tuttavia, per garantire una gestione sostenibile e responsabile delle risorse costiere italiane, è fondamentale un monitoraggio costante delle dinamiche del settore e un dialogo aperto tra autorità competenti.
Le principali innovazioni alle concessioni balneari apportate dalla Legge 145/2018 riguardano principalmente la proroga delle concessioni demaniali marittime e la revisione del sistema di concessioni. Qui di seguito, una tabella che riassume le principali innovazioni:
Innovazione | Descrizione |
Proroga delle concessioni demaniali marittime | La Legge 145/2018 prevede la proroga delle concessioni demaniali marittime per le attività turistico-ricreative fino al 31 dicembre 2033. |
Revisione del sistema di concessioni | La legge stabilisce che entro il 30 giugno 2019, il Governo deve adottare un decreto legislativo per la revisione del sistema di concessioni balneari. Questo decreto legislativo dovrà essere in linea con i principi stabiliti dalla legge, incluso il rilancio e la valorizzazione delle aree demaniali marittime e il miglioramento dei servizi offerti. |
Piano di valorizzazione del demanio marittimo | La legge prevede la realizzazione di un piano di valorizzazione del demanio marittimo, al fine di promuovere un uso più sostenibile ed efficiente delle risorse costiere e incentivare gli investimenti nel settore turistico-balneare. |
Misure per favorire la sostenibilità e la protezione dell’ambiente | La Legge 145/2018 incoraggia la promozione di progetti e interventi volti a migliorare la sostenibilità delle attività balneari e la protezione dell’ambiente costiero. Questo include misure per ridurre l’impatto ambientale delle strutture, promuovere l’efficienza energetica e incentivare l’uso di materiali ecocompatibili. |
Le disposizioni della Legge 145/2018 rappresentano un passo importante nella regolamentazione delle concessioni balneari in Italia e mirano a migliorare la sostenibilità e la qualità dei servizi offerti nel settore turistico-balneare.
Direttiva Bolkestein | Legge 145/2018 | Similitudini | Differenze |
Promuovere la liberalizzazione dei servizi e la concorrenza nel mercato europeo | Introdurre misure volte a favorire la concorrenza e l’efficienza nel mercato delle concessioni balneari in Italia | Entrambe le proposte mirano a promuovere la concorrenza nel mercato delle concessioni balneari | La Direttiva Bolkestein è una proposta dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia |
Eliminare le restrizioni alla libera circolazione dei servizi tra i paesi membri dell’UE | Abolire la distinzione tra stabilimenti balneari pubblici e privati e introdurre un sistema di concessioni unico per tutte le spiagge | Entrambe le proposte mirano a eliminare le restrizioni nell’assegnazione delle concessioni balneari | La Direttiva Bolkestein si applica a tutti gli Stati membri dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia |
Introdurre nuove regole per garantire una maggiore trasparenza e concorrenza nell’assegnazione delle concessioni balneari | Imporre l’obbligo per le amministrazioni locali di pubblicare regolarmente avvisi pubblici per le concessioni balneari, in modo che tutti gli operatori interessati possano presentare una domanda | Entrambe le proposte mirano a garantire una maggiore trasparenza nell’assegnazione delle concessioni balneari | La Direttiva Bolkestein impone l’obbligo di pubblicare avvisi pubblici in tutti gli Stati membri dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia |
Promuovere una gestione più sostenibile delle spiagge attraverso l’introduzione di misure che prevedono l’uso di materiali ecologici e il rispetto delle norme di protezione della fauna e della flora marina | Stabilire criteri per garantire una gestione sostenibile delle spiagge, come la promozione dell’uso di fonti energetiche rinnovabili e l’eliminazione di materiali inquinanti | Entrambe le proposte mirano a promuovere una gestione più sostenibile delle spiagge | La Direttiva Bolkestein si applica a tutti gli Stati membri dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia |
Garantire che tutte le imprese interessate abbiano le stesse opportunità di partecipare alle procedure di gara per le concessioni balneari | Favorire l’accesso al mercato delle concessioni balneari anche per le piccole imprese, attraverso l’introduzione di misure volte a ridurre le barriere all’ingresso | Entrambe le proposte mirano a favorire l’accesso al mercato delle concessioni balneari | |
Garantire condizioni di lavoro conformi alle norme nazionali e comunitarie per gli operatori delle concessioni balneari | Stabilire regole specifiche per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro, come l’obbligo per gli operatori di rispettare le norme di sicurezza e di igiene sul lavoro e di garantire la copertura assicurativa per gli infortuni sul lavoro | Entrambe le proposte mirano a tutelare i diritti dei lavoratori delle concessioni balneari | La Direttiva Bolkestein si applica a tutti gli Stati membri dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia |
In generale, la Direttiva Bolkestein e la Legge 145/2018 presentano molte similitudini nelle proposte volte a garantire una maggiore concorrenza e trasparenza nel mercato delle concessioni balneari, a promuovere una gestione più sostenibile delle spiagge e a tutelare i diritti dei lavoratori. Tuttavia, la Direttiva Bolkestein ha un ambito di applicazione più ampio, in quanto si applica a tutti gli Stati membri dell’UE, mentre la Legge 145/2018 riguarda solo l’Italia. Inoltre, le regole dettagliate variano a seconda dello Stato membro e delle specifiche situazioni locali.
Nell’analisi della regolamentazione delle concessioni balneari in Italia, è importante tenere conto delle procedure di assegnazione e dei requisiti richiesti dalla normativa corrente. Questa tematica è stata affrontata da diversi studiosi, tra cui Lambi, Colombi e Villamesa, che hanno approfondito l’evoluzione e l’importanza di un quadro normativo coerente e stabile per garantire una gestione sostenibile delle risorse costiere[40].
Secondo la normativa attuale, le procedure di assegnazione delle concessioni balneari prevedono generalmente un bando di gara pubblico. In questi bandi, gli interessati devono presentare domande e offerte economiche che saranno valutate dalle autorità competenti, come il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti o le Capitanerie di Porto. Queste autorità assegnano le concessioni ai soggetti che soddisfano i requisiti e offrono le migliori condizioni.
Per ottenere una concessione balneare, la normativa richiede che i concessionari soddisfino specifici requisiti riguardanti la capacità tecnica, finanziaria e organizzativa. Questi criteri sono fondamentali per assicurare il rispetto delle norme e delle condizioni stabilite dalla concessione e per garantire una gestione efficace e sicura delle attività balneari e dei servizi turistici[41].
Un aspetto fondamentale che emerge dall’analisi degli studi di Lami e Villamesa riguarda l’importanza della collaborazione tra le autorità centrali e quelle locali nella gestione delle concessioni balneari. Infatti, una corretta implementazione delle normative richiede un coordinamento tra i diversi livelli di governo, affinché si possano considerare le specificità delle singole aree costiere e le esigenze delle comunità locali[42].
Inoltre, gli studiosi sottolineano la necessità di promuovere la sostenibilità ambientale nelle politiche di gestione delle concessioni balneari. Ciò implica un’attenzione particolare al controllo delle attività svolte dai concessionari, al fine di prevenire abusi e irregolarità che possano danneggiare l’ecosistema costiero. Un esempio di tale impegno è l’introduzione di criteri di valutazione ambientale nei bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni balneari.
Un altro punto di riflessione riguarda l’adeguamento della normativa italiana alle direttive e ai principi europei in materia di gestione delle coste e delle risorse marine. La cooperazione con gli altri paesi membri dell’Unione Europea, che sarà trattata nei capitoli successivi, è fondamentale per armonizzare le politiche di gestione delle concessioni balneari e per condividere buone pratiche e soluzioni innovative[43].
Infine, la ricerca di un equilibrio tra le esigenze economiche e la tutela dell’ambiente e degli interessi dei fruitori dei servizi turistici sulle spiagge rappresenta una sfida costante nella regolamentazione delle concessioni balneari in Italia. Lo studio evidenzia come un approccio flessibile e adattabile sia essenziale per rispondere alle mutevoli esigenze del settore turistico e per garantire una gestione sostenibile delle risorse costiere.
In sintesi, la disamina sulla regolamentazione delle concessioni balneari in Italia mostra la complessità e la dinamicità del tema, che richiede un costante impegno da parte delle autorità competenti e degli operatori del settore per garantire uno sviluppo sostenibile e un’adeguata tutela delle risorse costiere e dell’ambiente[44].
1.7 Analisi degli aspetti critici del sistema italiano delle concessioni balneari, inclusi problemi di inefficienza, opacità e corruzione
Il sistema italiano delle concessioni balneari è stato oggetto di molte critiche in relazione alla sua efficienza, trasparenza e sostenibilità ambientale. In particolare, la gestione del territorio, la procedura di assegnazione delle concessioni e la tutela dell’ambiente costiero sono temi centrali che richiedono un approfondimento.
Tra i principali aspetti critici del sistema italiano delle concessioni balneari, possiamo citare i seguenti:
Concentrazione di potere: Nell’assegnazione delle concessioni balneari in Italia, spesso il potere decisionale è altamente concentrato nelle mani delle autorità locali, il che può portare a decisioni arbitrarie e a un accesso ingiusto al mercato. I titolari della concessione esercitano diritti speciali su beni e attività generalmente indisponibili ai privati e riservati ai pubblici poteri. In alcuni casi, i concessionari acquisiscono la titolarità di veri e propri diritti di monopolio sui beni che vengono loro conferiti. La concessione è infatti caratterizzata dal trasferimento di un ente pubblico ad un soggetto privato di poteri pubblici, ossia di quelle peculiari situazioni soggettive capaci di produrre atti unilaterali di tipo autoritario[45]. Una disciplina volta a tutelare esclusivamente i titolari delle concessioni attuali a danno degli altri operatori economici aventi interesse al rilascio della stessa concessione, si pone in contraddizione con il principio della libera concorrenza.
Opacità e mancanza di trasparenza: Il sistema delle concessioni balneari in Italia è spesso caratterizzato da una mancanza di trasparenza, che può portare a decisioni opache e arbitrarietà nell’assegnazione delle concessioni .Le imprese di servizi hanno, in Europa, la possibilità di stabilirsi in paesi diversi da quello di appartenenza come accade abitualmente, da tempo, per il mercato dei beni, il diritto al rinnovo automatico delle concessioni in scadenza (Ex art.1 n10/2001) è ritenuto in netta contrapposizione della direttiva europea relativa ai servizi nel mercato interno n. 06/123/CE del 12 dicembre 2006[46].
Corruzione: Il sistema delle concessioni balneari in Italia è spesso stato associato a casi di corruzione e di abuso di potere, con imprenditori che offrono tangenti alle autorità locali per ottenere una concessione o per estendere la durata di una concessione esistente.
A titolo di esempio, e per rendere chiari i modi nei quali questa corruzione si esercita citiamo il noto caso del litorale di Sabaudia, attraverso un articolo di cronaca apparso su leggo.it:
Arrestata la sindaca del comune di Sabaudia[47] Tutte le quarantacinque attività balneari presenti sul lido di Sabaudia avrebbero goduto, nel tempo, di favoritismi e privilegi all’interno del Comune di Sabaudia. È quanto emerge da una nota diffusa dal procuratore di Latina, Giuseppe De Falco, e relativa all’indagine che ha portato oggi all’arresto di 16 persone tra cui anche il sindaco della cittadina del litorale pontino. In base a quanto accertato dagli inquirenti “alcuni dipendenti pubblici sarebbero, in concreto, i titolari di alcuni stabilimenti e chioschi oggetto di favoritismi”. «I militari dell’arma, nel corso delle investigazioni, durate oltre sette mesi, hanno accertato e ricostruito undici episodi di turbativa d’asta – è detto in una nota della Procura -, la formazione di innumerevoli atti falsi, nonché condotte corruttive che sarebbero state poste in essere dal Sindaco di Sabaudia e da amministratori comunali, in concorso con imprenditori e funzionari comunali. Sotto la lente di ingrandimento degli investigatori «è finita soprattutto la Coppa del Mondo di canottaggio, che si sarebbe dovuta svolgere a Sabaudia nel 2020, con riferimento alla quale appaiono favorite ditte compiacenti all’amministrazione comunale, sia nella realizzazione del campo di gara sia nell’affidamento del servizio di manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica, per un giro di affari di circa 1 milioni di euro». |
Inefficienza: Il sistema delle concessioni balneari in Italia è spesso caratterizzato da una mancanza di efficienza nella gestione delle spiagge, che può portare a spiagge sovraffollate, infrastrutture obsolete e mancanza di servizi.
Una situazione di questo tipo è tipicamente italiana: accedere e sdraiarsi su una spiaggia diventa sempre più difficile perché non vi sono indicazioni nazionali di occupazione massima di spiagge in concessione, ma anche di criteri per come devono essere garantiti negli stabilimenti il diritto all’accessibilità anche per le persone disabili. È poco efficiente la direttiva per l’incentivazione di progetti attenti alla qualità ambientale, alla tutela della duna e della spiaggia, all’utilizzo di materiali naturali e di fonti rinnovabili, alla raccolta differenziata.[48]
Discriminazione: Nell’assegnazione delle concessioni balneari in Italia, spesso le imprese locali hanno un vantaggio competitivo rispetto alle imprese provenienti da altre regioni o paesi, il che può portare a discriminazioni ingiuste.
All’interno di queste criticità, vi è lo spinoso problema (che sarà affrontato anche in relazione alle recenti controversie con l’Europa) della iniquità del rapporto profitti/canoni. Si riporta qui uno stralcio di un articolo apparso su Il Fatto quotidiano nel giugno 2021
“alla suite dell’Hotel Cala di Volpe a Porto Cervo la vista è su un mare da sogno. Pubblicizzata dall’influencer Chiara Ferragni lo scorso agosto, il costo per soggiornarvi una sola notte è 35mila euro. In cambio dell’utilizzo dell’iconica spiaggia in esclusivo favore dei propri clienti, la società Smeralda Holding, di proprietà dell’emiro del Qatar, paga allo Stato italiano un canone di 520 euro all’anno. Legambiente, nel rapporto “Spiagge 2020[49]”, rivela come complessivamente, per le 59 concessioni del Comune di Arzachena lo Stato l’anno scorso abbia incamerato canoni per 19mila euro. Tra i beneficiari di questi canoni irrisori proprio Smeralda Holding proprietaria, tra l’altro, di altri tre hotel tra cui il Romazzino, uno dei più cari stabilimenti d’Italia: 400 euro al giorno per ombrellone e due lettini ad agosto.”[50]
La costa Smeralda, il paradiso dei ricchi di tutto il mondo, ha alimentato il patrimonio dell’emiro con una crescita dei bilanci che nel 2019 ha fatturato 106 milioni di euro e chi, per tutelare lo stato e l’erario, come il sindaco di Arzachena, non ha prorogato le concessioni per i 15 anni previsti da diverse sentenze del Tar e del consiglio di stato, si è visto commissariare il comune, o togliere la competenza sulle concessioni[51].
A livello nazionale i dati non risultano aggiornati (gli ultimi disponibili sono del 2016), me, pur se datati, è utile per argomentare i fatti, riportare che le 23 mila concessioni demaniali marittime, in massima parte costituita dai lidi dove trascorriamo le nostre estati, producono un gettito annuo di 103 milioni di euro, cifra mai in crescita dal 2011. Andando però a curiosare sui costi, è facile imbattersi nel Twiga Club Beach, lo stabilimento con ristorante e discoteca di Flavio Briatore, dove per “soli” 1000 euro al giorno si può fittare i presidenti al gazebo e ammirare il mare! Utile anche ricordare che la società che lo gestisce, Mammaria S.r.l., appartiene per metà al Milionarie, con sede in Lussemburgo. Con un fatturato di 4 milioni di euro l’anno, il Twiga restituisce allo stato un canone di 17.619 euro.
Ancora qualche curiosità a sostegno della discrepanza canoni/profitti: a Capalbio, lo stabilimento Ultima Spiaggia – storico salotto estivo della sinistra – ha fatturato nel 2019 120mila euro, e per l’utilizzo della spiaggia ha pagato 6.098 euro l’anno. E a spulciare tra ricavi e canoni è curioso notare come il Papeete Beach (grazie all’effetto Salvini?) nel 2019 ha aumentato i suoi ricavi di 700 mila euro (da 2,5 a 3,2 milioni) ma il canone allo stato è sempre lo stesso: 10.000 euro all’anno.
Anche la magistratura ha attenzionato questo fenomeno, che comprende tutte le criticità innanzi descritte e spesso, purtroppo, tipicamente italiane: la procura di Ravenna lo scorso autunno ha aperto una indagine su alcune società di gestione, ipotizzando un profitto illecito derivante da fatture considerate false, nel periodo 2013 / 2017, per un totale stimato di 5,6 milioni di euro, distribuiti in 122 contratti.
Analizzando 5865 stabilimenti balneari inclusi nella tabella Mef dei contribuenti soggetti all’indice sintetico di affidabilità[52] si desume che almeno 5500 hanno ricavi annuali oltre i 30.000 euro, e le dichiarazioni dei redditi di 2/3 delle imprese hanno punteggio ISA inferiore a 8, non raggiungono quindi i livelli minimi di affidabilità fiscale e non accedono ai benefici di premio previsti dalla legge ( esclusione dagli accertamenti analitico – preventivi, ed esonero dall’opposizione del visto di conformità sulla dichiarazione annuale) [53].
Per affrontare questi problemi, sono stati introdotti negli ultimi anni diversi interventi normativi, come la Legge 145/2018, volta a introdurre maggiore trasparenza e concorrenza nella gestione delle concessioni balneari in Italia. Tuttavia, resta ancora molto lavoro da fare per migliorare la gestione delle spiagge italiane e per garantire un accesso più equo al mercato delle concessioni balneari.
Per quanto riguarda la gestione del territorio, il sistema di concessioni balneari in Italia presenta una sovrapposizione di autorità e competenze tra le diverse entità coinvolte nella gestione delle risorse costiere. Tale sovrapposizione genera conflitti di competenza e problemi di coordinamento, compromettendo l’efficienza del sistema e creando ritardi nell’assegnazione e nella gestione delle concessioni. Inoltre, la scarsa pianificazione territoriale può compromettere la sostenibilità ambientale del territorio costiero, ad esempio favorendo la costruzione di nuovi stabilimenti balneari in zone a rischio di erosione costiera o incompatibili con il paesaggio naturale.
Fruire delle spiagge e valorizzarle dovrebbe essere una priorità e andrebbe affrontato stabilendo obiettivi da rispettare in tutte le spiagge Italiane. Seguendo le indicazioni di lega ambiente (rapporto citato) dovrebbe essere stabilito un limite massimo del 50% di spiagge date in concessione, ma in alcune Regioni troviamo dei veri e propri record, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. L’elaborazione dei PUA da parte dei comuni, dovrebbe tenere conto di tali restrizioni, in modo da rivedere dimensioni e spazi e garantendo spazi di passaggio e limitando le barriere di accesso.
Altro obiettivo dovrebbe essere premiare la qualità delle spiagge date in concessione: riqualificazione ambientale, sostenibilità, utilizzo di strutture amovibili, la possibilità di accesso nei mesi invernali e la libera visuale del mare potrebbero essere criteri da tenere in considerazione per ridurre (in proporzione agli investimenti) il canone di concessione[54].
Se gli altri paesi europei hanno sempre lavorato in modo da premiare le realtà locali che hanno operato con progetti di maggiore qualità, sposando l’ambizione degli imprenditori locali alla tutela del paesaggio e la loro legittima vocazione al profitto, non risulta chiaro perché in Italia tali criteri non solo non sono ben definiti, ma non risulta una vera differenza tra chi deturpa il territorio e chi lo sostiene.
Per superare queste criticità, è necessario adottare un approccio integrato e mirato alla risoluzione dei problemi. In primo luogo, è necessario rafforzare la pianificazione territoriale e la gestione delle risorse costiere, attraverso la definizione di un quadro normativo chiaro e stabile che favorisca una gestione sostenibile delle risorse. In secondo luogo, è fondamentale promuovere la trasparenza e la legalità nelle procedure di assegnazione delle concessioni, adottando criteri oggettivi e predefiniti per la selezione dei concessionari. Infine, è importante adottare misure efficaci di controllo e monitoraggio per prevenire pratiche illegali e abusive, tutelando l’ambiente e garantendo la competitività del set In particolare, per quanto riguarda la gestione del territorio, sarebbe opportuno definire una pianificazione territoriale a livello nazionale che coordini le attività degli enti locali e delle autorità competenti per la gestione delle risorse costiere. Questo permetterebbe di evitare sovrapposizioni di competenze e conflitti di interessi, garantendo una gestione più efficace ed efficiente delle risorse costiere[55].
A tal fine, sarebbe opportuno introdurre criteri oggettivi e predefiniti per la selezione dei concessionari, basati sulla valutazione delle capacità tecniche e finanziarie delle imprese candidate. Inoltre, sarebbe opportuno garantire l’accesso alle informazioni relative alla procedura di assegnazione e alle decisioni adottate, al fine di evitare opacità e favoritismi.
Se, infatti, esistono leggi e regolamenti univoci e già discussi nel presente lavoro per l’assegnazione delle concessioni balneari marittime, di contro vi è una lunga storia di conflitti e vigilanze disattese per stabilire i canoni di locazione. Proviamo a tracciarne una breve storia:
Il primo decreto che stabilisce il canone risale al 1879 [56] esso stabilisce un canone annuo per metro quadrato (art. 755) di 5 centesimi di lira per i cantieri navali e non meno di 10 centesimi per gli altri usi, attribuendo però alla capitaneria la facoltà di aumentare il canone in caso di più concorrenti o secondo la stima di profitto. Gli usi più comuni erano quelli delle costruzioni navali e per la pesca, ma cominciano a fare la loro comparsa altri usi quali “(…) stabilimenti balneari amovibili e baracche di legno, di tela, di stuoia e simili ad uso dei bagnanti” per i quali la capitaneria, nella persona del capitano di porto “(…) possono concedere licenze trimestrali, semestrali ed annuali, anche rinnovabili alla scadenza di singoli periodi”
Nel 1924 viene decretato [57] l’aumento da 20 a 40 centesimi al mq l’anno, il primo importo per i cantieri navali, il secondo per altri usi.
Nel dopo guerra la lira si svalutò notevolmente per cui i canoni diventano dieci volte più onerosi, e con un decreto del capo provvisorio dello stato[58] si porta il canone a 200 e 400 centesimi (2 e 4 lire) al mq, ma presto anche questi valori risultarono insufficienti per cui furono quadruplicati dopo soli due anni[59], arrivando così alla cifra di 8 e 16 lire al mq.
Un ulteriore raddoppio, sempre con il criterio presente nel regio decreto del 1879 del limite minimo del canone, viene fissato nel 1961[60]con tariffe al mq di 30 e 50 lire.
Trascorreranno 20 anni perché i canoni vengano nuovamente ritoccati a 240 lire al mq per aree portuali e cantieri e 400 lire per concessioni diverse dai cantieri navali[61].
La determinazione delle tariffe comincia a complicarsi con l’aumento del 1989[62] non solo con l’aumento dei canoni, ma introducendo la diversificazione tra aree scoperte, impianti di facile rimozione e impianti di difficile rimozione con tariffe pari a 1600, 3000, e 3600 lire.
La differenza tra impianti di facile e difficile rimozione fu oggetto di tali controversie da meritare una apposita circolare del ministero dei trasporti, emanata dopo 20 anni di scontri e carte bollate (2009).
Un provvedimento del 1990 [63] decretò un aumento delle tariffe di sei volte per le concessioni autorizzate prima del 1982 e di quattro volte per quelle stipulate dopo tale data. Questo provvedimento, annullato dal TAR del Lazio segnò una svolta anche per l’inserimento della dicitura “valenza turistica” delle aree, presagendo i criteri successivi di attribuzione del valore dei canoni.
La normativa più simile a quella vigente data 1993[64], con la dizione, introdotta per la prima volta, di concessioni ad uso turistico ricreativo, rilasciate per attività diverse quali stabilimenti balneari, esercizi di ristorazione, noleggio di imbarcazioni, strutture ricettive, ricreative e sportive, esercizi commerciali. Viene fissato un valore in relazione alla valenza turistica, suddivisa in alta, normale e minore, alla tipologia dei manufatti (area scoperta, area coperta da manufatti di facile rimozione, area coperta da manufatti di difficile rimozione). Viene inoltre introdotto il concetto di pertinenze (strutture di proprietà pubblica sull’area demaniale che sono soggette a un canone di 3600 lire al mq, con un sovracanone per strutture con altezza superiore a m.2.70.
Di seguito, a puro scopo illustrativo, una tabella con i nuovi importi a decorrere dal 1.1.1994 (in lire per metro quadro all’anno):
Categoria | categoria A | categoria B | categoria C |
Alta valenza turistica | Normale valenza turistica | Bassa valenza turistica | |
Area scoperta | 3600 | 1800 | 1400 |
Impianti facile rimozione | 6000 | 3000 | 2000 |
Impianti difficile rimozione | 8000 | 4000 | 2000 |
Mare territoriale | 1400 | ||
Entro 100 m. dalla costa | |||
Mare territoriale | 1000 | ||
Entro 300 m. dalla costa | |||
Mare territoriale | 800 | ||
oltre 300 m. dalla costa |
La legge 494 , inoltre prevedeva una riduzione del canone per consentire gli accessi gratuiti agli arenili e anche in caso di eventi dannosi per gli stabilimenti, ma la cosa più clamorosa fu l’attribuire alle Regioni il potere di assegnazione della classe di valenza turistica, per la maggior parte le Regioni omisero tale classificazione, con la conseguenza che a tutti fu attribuito il grado di minore, e la conseguenza fu che la Corte dei Conti fu costretta a esprimersi denunciando l’omissione e imponendo la decorrenza solo dopo 5 anni dalla legge[65].
Per rastrellare risorse, nel 2003, il ministro delle finanze Tremonti decretò un aumento del 300% delle concessioni[66], ma l’aumento a causa di infinite proroghe, non diventerà mai effettivo, così la legge finanziaria del 2007[67], ristabilisce i valori del 1994. Questa finanziaria, comunque, viene ricordata principalmente per la norma definita “storica” del libero e gratuito accesso alla battigia oltre che per la riduzione a due sole fasce della valenza turistica (alta e normale).
I nuovi canoni vengono introdotti con l’aggiornamento annuale ISTAT. Negli ultimi anni questo indice è risultato sempre negativo, per cui di fatto i canoni sono o scesi, o al massimo, rimasti inalterati.
Nel 2020, infine, è entrata in vigore la misura minima dei canoni per le concessioni demaniali marittime che dal 2021 è aumentata a 2.500 euro, in base al cosiddetto “decreto Agosto”[68], che ha definitivamente risolto (a favore dei concessionari) la vicenda delle “pertinenze”, che a fronte di un canone richiesto nel 2020 per un totale di 5,8 milioni di euro, con una sanatoria del pregresso. In definitiva dal 2007 (ovvero dal 1989) i canoni sono aumentati in maniera del tutto marginale rispetto al corrispettivo aumento dei prezzi nei lidi e stabilimenti balneari
Di seguito la tabella con i canoni aggiornati al 2023
Area scoperta | qat. A Euro 3,47869 | qat. B Euro 1,73933 |
Aree e specchi acquei occupati con impianti di facile rimozione | qat. A Euro 5,79780 | qat. B Euro 2,89891 |
Aree e specchi acquei occupati con impianti di difficile rimozione nonché dalle pertinenze demaniali marittime, anche destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi | qat. A Euro 7,72417 | qat. B Euro 4,95619 |
Mare territoriale per specchi acquei o delimitati da opere che riguardano i porti e comunque entro 100 metri dalla costa | Euro 1,34658 | |
Specchi acquei compresi tra 100 e 300 metri dalla battigia | Euro 0,97253 | |
Specchi acquei compresi oltre i 300 metri dalla battigia | Euro 0,76680 | |
Specchi acquei utilizzati per il posizionamento di campi boa per l’ancoraggio delle navi al di fuori degli specchi acquei di cui al numero 1.3) | Euro 0,39276 |
Infine, per quanto riguarda la tutela dell’ambiente costiero, sarebbe opportuno adottare un approccio di gestione integrata delle risorse, finalizzato alla salvaguardia del patrimonio naturale e alla valorizzazione delle attività turistiche sostenibili. Ciò richiede l’adozione di misure di prevenzione e controllo dell’abusivismo edilizio, la promozione di pratiche di turismo sostenibile e la valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale delle aree costiere.
In sintesi, l’adozione di un approccio integrato e sistematico alla gestione delle concessioni balneari in Italia rappresenta un obiettivo fondamentale per garantire l’efficienza, la trasparenza e la sostenibilità ambientale del sistema. La definizione di un quadro normativo chiaro e stabile, la promozione della trasparenza e della legalità nelle procedure di assegnazione e la valorizzazione delle attività turistiche sostenibili rappresentano i pilastri fondamentali per il futuro della gestione delle risorse costiere.
Capitolo 2: Mare come bene comune: uso esclusivo, concessioni balneari e problematiche regionali, statali, euro unitarie in ottica Italia e UE: ragioni a confronto
2.1 Introduzione
È incostituzionale il monopolio comunale sulle concessioni balneari, poiché nega la libertà di iniziativa economica, esclusiva riserva dello Stato, e la parità di trattamento delle imprese e dei cittadini in quanto tali”.
Questa citazione fa riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 258/2004, in cui si è stabilito che il sistema italiano delle concessioni balneari, caratterizzato da un monopolio comunale sull’assegnazione delle concessioni, era incostituzionale perché limitava la libertà di iniziativa economica e la parità di trattamento delle imprese e dei cittadini. Questa sentenza ha rappresentato un importante passo avanti nella riforma del sistema italiano delle concessioni balneari, aprendo la strada a maggiori opportunità di concorrenza e di trasparenza nel mercato delle concessioni balneari[69].
Il mare rappresenta una risorsa importante per l’Italia, sia dal punto di vista ambientale che economico. Tuttavia, l’uso incontrollato del mare può avere effetti negativi sull’ambiente marino e sulla società in generale. Per questo motivo, è importante discutere dei meccanismi di gestione del mare come bene comune, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile delle attività umane e la salvaguardia dell’ambiente marino[70].
In questo capitolo, si analizzeranno le politiche italiane ed europee per la gestione del mare come bene comune e si cercherà di fare un confronto tra queste politiche. Si esamineranno gli aspetti relativi all’uso esclusivo del mare, alle concessioni balneari e alle problematiche regionali che possono sorgere nella gestione di questo bene comune.
La definizione di mare come bene comune rappresenta un patrimonio collettivo che deve essere preservato e utilizzato in modo equo e sostenibile. La gestione di questo bene comune richiede una visione globale, che tenga conto delle necessità delle comunità costiere, delle attività economiche e delle esigenze ambientali.
Nell’ambito italiano, le politiche per la gestione del mare come bene comune sono delineate dalle normative statali, regionali e locali. In particolare, l’uso esclusivo del mare viene regolamentato attraverso la definizione di aree protette e riserve marine, mentre le concessioni balneari vengono assegnate dallo Stato o dalle autorità locali a privati o imprese.
Tuttavia, la gestione del mare come bene comune in Italia presenta alcune criticità, come ad esempio la difficoltà di monitorare e sanzionare le attività illegali in mare, la difficoltà di coordinamento tra le autorità locali e le normative spesso poco omogenee a livello regionale.
A livello europeo, le politiche per la gestione del mare come bene comune sono delineate dalle politiche dell’Unione Europea (UE), che promuovono la gestione integrata delle zone costiere e marine. L’UE promuove la sostenibilità delle attività umane in mare attraverso la definizione di aree marine protette e la promozione di pratiche di pesca sostenibile[71].
Tuttavia, anche le politiche europee per la gestione del mare come bene comune presentano alcune criticità, come ad esempio la difficoltà di coordinamento tra i vari Stati membri e l’insufficiente attenzione alle problematiche regionali e locali.
In conclusione, l’analisi delle politiche italiane ed europee per la gestione del mare come bene comune è fondamentale per individuare le migliori pratiche per la gestione sostenibile del mare e la salvaguardia dell’ambiente marino. Il confronto tra le politiche italiane ed europee può rappresentare un’occasione per individuare le lacune delle politiche esistenti e promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri dell’UE per la gestione del mare come bene comune[72].
Inoltre, è importante considerare le esigenze delle comunità costiere e delle attività economiche locali nella definizione delle politiche per la gestione del mare come bene comune, al fine di garantire un equo accesso alle risorse marine e una gestione sostenibile delle attività umane.
Infine, è necessario promuovere una maggiore consapevolezza tra i cittadini sulle problematiche legate alla gestione del mare come bene comune, al fine di sensibilizzare le comunità locali sulla necessità di una gestione sostenibile delle attività umane in mare e di una salvaguardia dell’ambiente marino.
In sintesi, l’analisi delle politiche italiane ed europee per la gestione del mare come bene comune è fondamentale per individuare le migliori pratiche per la gestione sostenibile del mare e la salvaguardia dell’ambiente marino. Il confronto tra le politiche italiane ed europee può rappresentare un’occasione per promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri dell’UE per la gestione del mare come bene comune e garantire un equo accesso alle risorse marine.
2.2 Il mare come bene comune: definizione e problematiche
La definizione di mare come bene comune rappresenta un patrimonio collettivo che deve essere preservato e utilizzato in modo equo e sostenibile. Il mare, infatti, è una risorsa importante per l’umanità, poiché fornisce risorse alimentari, materie prime e un’ampia gamma di attività economiche e turistiche.
Tuttavia, l’uso incontrollato del mare può avere effetti negativi sull’ambiente marino e sulla società in generale. Le attività umane come la pesca e il turismo possono avere effetti negativi sull’ambiente marino, come il sovrasfruttamento delle risorse marine e l’inquinamento delle acque[73].
Inoltre, la stessa definizione di mare come bene comune può entrare in conflitto con gli interessi economici delle imprese che operano in mare, ad esempio nell’ambito dell’estrazione di petrolio o gas o delle attività di navigazione commerciale. In questi casi, l’uso esclusivo del mare da parte delle imprese può limitare l’accesso alle risorse marine e ai servizi ecosistemici per le comunità costiere[74].
La gestione del mare come bene comune richiede una visione globale, che tenga conto delle necessità delle comunità costiere, delle attività economiche e delle esigenze ambientali. A tal fine, come ricorda un autorevole saggio di Costanza et Al apparso su Nature, importante promuovere pratiche di pesca sostenibile, proteggere le aree marine protette e promuovere la sostenibilità delle attività turistiche in mare, al fine di garantire la gestione sostenibile del mare come bene comune[75].
Altrettanto fondamentale risulta prevenire l’inquinamento delle acque e promuovere una gestione integrata delle zone costiere e marine, al fine di garantire la salvaguardia dell’ambiente marino e delle attività umane che dipendono da esso[76].
La concezione dell’oceano come risorsa collettiva può aprire un ventaglio di interpretazioni e sollevare una serie di sfide nella sua gestione. Questa percezione del mare come un patrimonio condiviso, infatti, può provocare tensioni con gli interessi economici delle aziende che svolgono le loro attività in ambiente marino. Questo è particolarmente evidente nel caso delle industrie estrattive, come quelle petrolifere o del gas, o delle attività di navigazione commerciale. Tali settori, infatti, potrebbero vedere limitata la loro libertà operativa a causa di restrizioni derivanti dalla necessità di preservare l’accesso equo e sostenibile a quest’importante risorsa[77].
La concezione del mare come patrimonio collettivo può comportare sfide significative nel determinare un accesso equo alle sue risorse e nel delineare politiche di gestione efficaci. Queste politiche devono infatti bilanciare una serie di esigenze ambientali, economiche e sociali che possono spesso essere in conflitto tra loro[78].
Più specificamente, la gestione del mare nell’ottica di un patrimonio collettivo richiede l’adozione di pratiche di sostenibilità, come sottolineato da diversi studi[79]. Queste pratiche includono la protezione delle aree marine protette, la promozione di un turismo marittimo sostenibile e la regolamentazione dell’industria della pesca. Questi elementi sono fondamentali per garantire una gestione sostenibile del mare e per preservare la sua ricchezza per le generazioni future[80].
Inoltre, è fondamentale prevenire l’inquinamento delle acque attraverso politiche ambientali mirate e promuovere un approccio integrato alla gestione delle zone costiere e marine. Quest’ultimo dovrebbe includere sia la protezione dell’ambiente marino che la sostenibilità delle attività umane che ne dipendono, come la pesca e il turismo (Adams et al., 2020).
Tuttavia, la percezione del mare come patrimonio condiviso può innescare alcune problematiche nella sua gestione. Ad esempio, possono emergere conflitti di interessi tra le imprese che operano in mare – come quelle nel settore dell’estrazione di petrolio e gas o della navigazione commerciale – e la necessità di garantire un accesso equo alle sue risorse[81]. Per garantire una gestione sostenibile del mare come bene comune, è necessario individuare soluzioni che tengano conto delle esigenze ambientali, economiche e sociali. Questo richiede un’attenta valutazione dei vari interessi in gioco e la promozione di un dialogo aperto tra tutte le parti interessate.
Inoltre, la definizione di mare come bene comune può essere interpretata in modo diverso a seconda dei contesti nazionali e regionali. Ad esempio, in alcuni paesi, l’accesso alle risorse marine è regolamentato in modo più stringente rispetto ad altri, mentre in alcune regioni la gestione del mare come bene comune può essere particolarmente complessa a causa di problemi di coordinamento tra le autorità locali.
In questo contesto, è importante promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri dell’UE per la gestione del mare come bene comune e garantire un equo accesso alle risorse marine. Inoltre, è fondamentale promuovere una maggiore consapevolezza tra i cittadini sulle problematiche legate alla gestione del mare come bene comune, al fine di sensibilizzare le comunità locali sulla necessità di una gestione sostenibile delle attività umane in mare e di una salvaguardia dell’ambiente marino[82].
In conclusione, la definizione di mare come bene comune rappresenta una sfida complessa per la gestione sostenibile del mare e la salvaguardia dell’ambiente marino. Tuttavia, la promozione di pratiche sostenibili, la protezione delle aree marine protette e la promozione della sostenibilità delle attività turistiche in mare possono rappresentare soluzioni per la gestione sostenibile del mare come bene comune. Inoltre, la promozione di una maggiore cooperazione tra gli Stati membri dell’UE e una maggiore consapevolezza tra i cittadini sulle problematiche legate alla gestione del mare come bene comune possono contribuire a garantire un equo accesso alle risorse marine e una gestione sostenibile del mare come bene comune[83].
2.3 Uso esclusivo del mare: problematiche e limitazioni
In Italia, il mare è una risorsa importante per l’economia e il turismo del Paese, ma rappresenta anche una sfida complessa per la gestione sostenibile delle attività umane in mare e la salvaguardia dell’ambiente marino.
Per la gestione del mare come bene comune, in Italia esistono diverse politiche e strumenti normativi a livello regionale, statale ed europeo. In particolare, le Regioni costiere italiane hanno competenze specifiche per la gestione delle attività in mare, come la gestione delle concessioni balneari e delle attività di pesca[84].
A livello statale, l’organismo preposto alla gestione del mare come bene comune è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che ha il compito di definire le politiche per la gestione sostenibile del mare e delle attività umane in mare[85].
A livello europeo, l’UE ha sviluppato diverse politiche per la gestione del mare come bene comune, come la politica marittima integrata (PMI) e la direttiva quadro strategia marina (DQSM). La PMI mira a promuovere una gestione integrata delle attività in mare, mentre la DQSM ha l’obiettivo di raggiungere un buono stato ambientale delle acque marine entro il 2020.
Tuttavia, nonostante l’esistenza di diverse politiche per la gestione del mare come bene comune in Italia, le criticità sono ancora numerose. Ad esempio, la gestione delle concessioni balneari rappresenta una problematica critica, poiché spesso viene data priorità all’interesse economico delle imprese balneari a scapito della salvaguardia dell’ambiente marino e della fruizione pubblica delle spiagge[86].
Inoltre, la pesca eccessiva e la pesca illegale sono ancora una realtà in Italia, nonostante l’esistenza di politiche e normative specifiche per la gestione sostenibile della pesca[87].
Per garantire una gestione sostenibile del mare come bene comune in Italia, è necessario promuovere una maggiore cooperazione tra le diverse autorità e una maggiore partecipazione pubblica alle decisioni che riguardano la gestione del mare.
In sintesi, la gestione del mare come bene comune rappresenta una sfida complessa per l’Italia. Nonostante l’esistenza di diverse politiche per la gestione del mare come bene comune a livello regionale, statale ed europeo, le criticità sono ancora numerose. Per garantire una gestione sostenibile del mare come bene comune, è necessario promuovere una maggiore cooperazione tra le diverse autorità e una maggiore partecipazione pubblica alle decisioni che riguardano la gestione del mare. È fondamentale sviluppare politiche per la gestione sostenibile delle attività economiche in mare, come la pesca e il turismo, che tengano conto delle esigenze ambientali e sociali[88].
Inoltre, per garantire una maggiore tutela dell’ambiente marino e una gestione sostenibile del mare come bene comune, l’Italia deve continuare a impegnarsi nella promozione della cooperazione internazionale a livello europeo e globale.
Infatti, molte delle sfide legate alla gestione del mare come bene comune, come il sovrasfruttamento delle risorse marine, la pesca illegale, l’inquinamento delle acque e il cambiamento climatico, sono problemi transnazionali che richiedono una soluzione globale.
In questo contesto, l’UE ha un ruolo fondamentale nella promozione della gestione sostenibile del mare come bene comune, attraverso la promozione di politiche e strumenti normativi a livello europeo, come la DQSM e la PMI, e il sostegno alla cooperazione internazionale nella gestione del mare come bene comune.
In conclusione, la gestione del mare come bene comune rappresenta una sfida complessa per l’Italia, che richiede la promozione di politiche sostenibili e la cooperazione tra le diverse autorità e le parti interessate. È fondamentale sviluppare politiche per la gestione sostenibile delle attività economiche in mare, come la pesca e il turismo, che tengano conto delle esigenze ambientali e sociali. Inoltre, la promozione della cooperazione internazionale a livello europeo e globale rappresenta una soluzione fondamentale per la gestione sostenibile del mare come bene comune e la tutela dell’ambiente marino[89].
2.4 Il mare come bene comune in un’ottica europea: le politiche dell’UE
L’Unione Europea ha adottato una serie di politiche e strumenti normativi per tutelare il mare come bene comune e garantirne un utilizzo sostenibile, anche in vista dei cambiamenti climatici in corso e della necessità di preservare la biodiversità marina[90].
Come vedremo nel paragrafo successivo, tra le principali politiche adottate dall’UE, vi è la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, che ha come obiettivo la promozione di una gestione integrata delle attività umane nel mare, in modo da preservare la salute dell’ecosistema marino e garantire un utilizzo sostenibile delle risorse marine. La direttiva prevede la definizione di obiettivi ambientali e di programmi di monitoraggio e valutazione della salute dell’ambiente marino, nonché la definizione di piani di gestione delle attività umane che possano garantire la compatibilità tra le diverse attività e la sostenibilità dell’ecosistema.
Un altro strumento importante adottato dall’UE è la direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale, che mira a prevenire gli effetti negativi delle attività umane sulle risorse marine e costiere. La direttiva prevede che le attività che possono avere un impatto sull’ambiente marino siano soggette a una valutazione dell’impatto ambientale, al fine di valutare gli effetti potenziali e di adottare misure per minimizzarli o eliminarli[91].
Inoltre, l’UE ha adottato la direttiva sulle acque di balneazione[92], che definisce gli standard di qualità delle acque di balneazione e impone obblighi di informazione ai gestori delle spiagge e ai bagnanti. La direttiva prevede l’individuazione delle aree di balneazione e la valutazione della qualità delle acque in tali aree, in modo da garantire che siano sicure per i bagnanti e che rispettino gli standard di qualità ambientale.
L’UE sostiene inoltre la promozione di un turismo sostenibile e responsabile, attraverso programmi di finanziamento e l’istituzione di un marchio di qualità per le destinazioni turistiche sostenibili. Il turismo costiero e marino è una delle principali attività umane nei mari dell’UE e la promozione di un turismo sostenibile è fondamentale per garantire la sostenibilità ambientale delle coste e dei mari europei[93].
Tuttavia, nonostante questi sforzi, rimangono ancora sfide significative da affrontare, come ricordano numerosi studiosi, tra cui Gee e Kannen[94]. Tra le principali sfide vi è la lotta alla plastica nei mari, che rappresenta una minaccia per la salute dell’ecosistema marino e per la sicurezza alimentare umana. L’UE ha adottato una serie di iniziative per ridurre l’impatto della plastica sui mari, come la direttiva sulla plastica monouso, che vieta l’uso di alcuni prodotti di plastica monouso, e il piano d’azione sulla plastica, che mira a ridurre l’uso di plastica e promuovere il riciclo e il recupero di tali materiali.
Un’altra delle sfide significative da affrontare vi è anche la gestione delle risorse ittiche. L’UE ha adottato una serie di politiche per garantire una pesca sostenibile, come il regime comune di pesca, che prevede la definizione di quote di pesca e di misure tecniche per la gestione delle attività di pesca. Tuttavia, l’eccessiva pesca e la pesca illegale rappresentano ancora una minaccia per la sostenibilità delle risorse ittiche.
Infine, la protezione delle zone costiere da eventi climatici estremi rappresenta una sfida sempre più rilevante, in un contesto di cambiamenti climatici in corso. L’UE ha adottato una serie di politiche per la gestione delle zone costiere, come la direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo, che prevede la definizione di piani di gestione dello spazio marittimo e la valutazione degli impatti delle attività umane sulle risorse marine e costiere[95].
In conclusione, l’UE ha adottato una serie di politiche e strumenti normativi per tutelare il mare come bene comune e garantirne un utilizzo sostenibile, ma sono ancora necessari sforzi significativi per affrontare le sfide che minacciano la salute dell’ecosistema marino e la sostenibilità delle attività umane nei mari dell’UE[96].
Le concessioni balneari sono una realtà comune in molti Paesi europei e rappresentano uno strumento importante per la gestione delle spiagge e delle zone costiere. La concessione balneare può essere definita come il diritto, riconosciuto ai privati, di gestire una determinata porzione di spiaggia, con l’obbligo di fornire ai bagnanti i servizi necessari e di svolgere le attività consentite dalla concessione.
In Europa, la gestione delle concessioni balneari è affidata principalmente ai comuni o alle autorità locali, che possono concedere l’uso delle spiagge e dei relativi servizi ai privati tramite appositi bandi o procedure di gara. La concessione balneare può avere una durata variabile a seconda del Paese, ma in generale non supera i 30 anni. Nel corso della durata della concessione, il concessionario ha l’obbligo di mantenere i servizi offerti ai bagnanti e di svolgere le attività consentite dalla concessione in modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente.
Le concessioni balneari sono soggette a regolamentazione rigida in molti Paesi europei, che prevede l’adozione di misure per garantire la sicurezza dei bagnanti e la tutela dell’ambiente.
La regolamentazione delle concessioni balneari varia da Paese a Paese in Europa e dipende dalle normative nazionali e dalle specifiche condizioni del territorio. Tuttavia, ci sono alcune direttive e leggi europee che stabiliscono i principi generali per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari[97].
In Italia, la Direttiva Bolkestein disciplina la regolamentazione delle concessioni balneari e prevede l’assegnazione delle concessioni tramite gare pubbliche. La durata delle concessioni varia da un minimo di 5 anni a un massimo di 15 anni, a seconda delle specifiche condizioni del territorio e delle esigenze dei comuni. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Italia prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Francia, la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dal Codice del turismo e prevede la durata delle concessioni per un periodo di 12-18 anni. La gestione delle concessioni balneari in Francia prevede anche una serie di obblighi di tutela ambientale, tra cui la riduzione dei rifiuti, la promozione di comportamenti eco-sostenibili da parte dei gestori delle spiagge e l’adozione di misure per la salvaguardia dell’ecosistema marino.
Paese | Direttiva o legge | Durata concessioni | Assegnazione | Tutela ambientale | Obblighi di servizio |
Italia | Direttiva Bolkestein | 5-15 anni | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Francia | Codice del turismo | 12-18 anni | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Spagna | Legge sulla costa | Fino a 30-40 anni | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Portogallo | Regime giuridico dos Serbico | Variabile | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Grecia | Legge sulla costa e le spiagge | Variabile | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Germania | Legge sulle acque balneabili | Variabile | Autorizzazioni | Sì | Sì |
Regno Unito | Regolamentazione delle spiagge | Variabile | Autorizzazioni | Sì | Sì |
Olanda | Legge sulle concessioni balneari | 10-20 anni | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Belgio | Legge sulle spiagge | 5-20 anni | Gare pubbliche | Sì | Sì |
Come abbiamo visto, in Italia, la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dalla Direttiva Bolkestein, che prevede l’assegnazione delle concessioni tramite gare pubbliche. La durata delle concessioni varia da un minimo di 5 anni a un massimo di 15 anni, a seconda delle specifiche condizioni del territorio e delle esigenze dei comuni. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Italia prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Francia[98], la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dal Codice del turismo e prevede la durata delle concessioni per un periodo di 12-18 anni. La gestione delle concessioni balneari in Francia prevede anche una serie di obblighi di tutela ambientale, tra cui la riduzione dei rifiuti, la promozione di comportamenti eco-sostenibili da parte dei gestori delle spiagge e l’adozione di misure per la salvaguardia dell’ecosistema marino.
In Spagna[99], la legge sulla costa prevede la durata delle concessioni fino a 30-40 anni. La gestione delle concessioni balneari in Spagna prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale delle spiagge, come la definizione di un piano di gestione ambientale e l’adozione di misure per la promozione di comportamenti eco-sostenibili.
In Portogallo[100], la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari è affidata ai comuni, che possono concedere l’uso delle spiagge ai privati tramite procedure di gara. La durata delle concessioni è variabile e dipende dalle specifiche condizioni del territorio. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Portogallo prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Grecia[101], la gestione delle concessioni balneari è affidata alle autorità locali. La durata delle concessioni è variabile e dipende dalle specifiche condizioni del territorio. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Grecia prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Germania[102], la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dalla legge sulle acque balneabili e prevede l’assegnazione delle autorizzazioni per l’utilizzo delle spiagge. La durata delle autorizzazioni è variabile e dipende dalle specifiche condizioni del territorio. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Germania prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge e la salvaguardia dell’ecosistema marino.
Nel Regno Unito[103], la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dalla regolamentazione delle spiagge e prevede l’assegnazione delle autorizzazioni per l’utilizzo delle spiagge. La durata delle autorizzazioni è variabile e dipende dalle specifiche condizioni del territorio. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari nel Regno Unito prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Olanda[104], la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dalla legge sulle concessioni balneari e prevede l’assegnazione delle concessioni tramite gare pubbliche. La durata delle concessioni varia da un minimo di 10 anni a un massimo di 20 anni, a seconda delle specifiche condizioni del territorio e delle esigenze dei comuni. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Olanda prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In Belgio[105], la regolamentazione delle concessioni balneari è disciplinata dalla legge sulle spiagge e prevede l’assegnazione delle concessioni tramite gare pubbliche. La durata delle concessioni varia da un minimo di 5 anni a un massimo di 20 anni, a seconda delle specifiche condizioni del territorio e delle esigenze dei comuni. La gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Belgio prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari e la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge.
In generale, la gestione delle concessioni balneari in Europa prevede l’adozione di misure per la tutela ambientale, come la riduzione dell’impatto ambientale delle attività balneari, la promozione di comportamenti sostenibili da parte dei gestori delle spiagge e l’adozione di misure per la salvaguardia dell’ecosistema marino. Le durate delle concessioni variano da Paese a Paese e dipendono dalle specifiche condizioni del territorio e dalle esigenze dei comuni. In alcuni Paesi, la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari è affidata alle autorità locali, mentre in altri Paesi è affidata ai privati tramite procedure di gara pubblica[106].
2.5 L’Unione europea cerca di armonizzare le normative per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari, ma la strada è ancora lunga e complessa
Negli ultimi anni, l’Unione europea ha cercato di promuovere una maggiore armonizzazione delle normative nazionali per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari. Tuttavia, il percorso per giungere ad una regolamentazione univoca è ancora lungo e complesso. Questo perché le normative nazionali per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari sono molto diverse tra loro, a causa delle specifiche condizioni del territorio e delle esigenze dei comuni.
Uno dei tentativi più recenti dell’Unione europea è stato quello di adottare la Direttiva sulla gestione costiera sostenibile (Marine Strategy Framework Directive – MSFD), che ha lo scopo di garantire una gestione sostenibile dell’ecosistema marino e costiero europeo[107]. La MSFD prevede la definizione di un piano di gestione costiera sostenibile e la promozione della cooperazione tra gli Stati membri per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari. Tuttavia, la MSFD non ha previsto una regolamentazione specifica per le concessioni balneari e la gestione delle spiagge, ma si concentra sulla tutela dell’ambiente marino[108].
Un altro tentativo è stato quello di creare una “etichetta ambientale” per le spiagge e le concessioni balneari, che consenta ai turisti di identificare le spiagge più sostenibili e rispettose dell’ambiente. Questo strumento, noto come “Bandiera Blu”, è stato adottato in molti Paesi europei e prevede la definizione di criteri di qualità ambientale per le spiagge e le concessioni balneari. Tuttavia, la Bandiera Blu non ha un valore legale e non è stata adottata in tutti i Paesi europei[109].
Un altro tentativo è stato quello di promuovere la cooperazione tra i Paesi membri per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari attraverso programmi di finanziamento europei, come il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (EMFF)[110]. Il EMFF prevede la definizione di progetti per la gestione sostenibile delle spiagge e delle concessioni balneari e il sostegno finanziario per la loro implementazione. Tuttavia, il EMFF è un programma di finanziamento e non ha previsto una regolamentazione specifica per le concessioni balneari e la gestione delle spiagge[111].
Inoltre, nel 2018 è stato adottato il pacchetto sulla plastica dell’Unione europea, che prevede una serie di misure per ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente marino e costiero, comprese le spiagge e le concessioni balneari[112]. Il pacchetto sulla plastica prevede la limitazione dell’utilizzo di prodotti in plastica monouso, la promozione della raccolta differenziata e il sostegno alla ricerca e all’innovazione per la creazione di materiali sostenibili.
In definitiva, nonostante i tentativi dell’Unione europea di armonizzare le normative per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari, il percorso per giungere ad una regolamentazione univoca è ancora lungo e complesso. Tuttavia, la promozione della cooperazione tra gli Stati membri e l’adozione di strumenti come la Bandiera Blu può contribuire alla promozione di una gestione sostenibile delle spiagge e delle concessioni balneari in Europa.
In questo contesto, la Commissione europea ha adottato una serie di azioni per promuovere una gestione sostenibile delle spiagge e delle concessioni balneari, come la creazione di una piattaforma europea per la gestione costiera sostenibile, che ha lo scopo di promuovere la collaborazione tra gli Stati membri per la gestione sostenibile dell’ecosistema costiero e marino. Inoltre, la Commissione europea ha avviato una serie di progetti pilota per la gestione sostenibile delle spiagge e delle concessioni balneari in diversi Paesi europei, al fine di valutare l’efficacia delle azioni adottate e promuoverne la replicabilità in altri contesti.
Da un punto di vista normativo, alcuni Paesi europei hanno adottato regolamentazioni specifiche per la gestione delle concessioni balneari, come il Portogallo, dove le concessioni sono assegnate tramite gare pubbliche e prevedono la valutazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, il Regno Unito ha adottato una regolamentazione specifica per la gestione delle spiagge pubbliche, che prevede l’adozione di piani di gestione e la collaborazione tra le autorità locali e le parti interessate per la gestione sostenibile delle spiagge[113].
In conclusione, nonostante la mancanza di una regolamentazione univoca per la gestione delle spiagge e delle concessioni balneari in Europa, ci sono molte iniziative e azioni promosse a livello europeo e nazionale per la promozione di una gestione sostenibile e rispettosa dell’ambiente. La collaborazione tra gli Stati membri e l’adozione di strumenti come la Bandiera Blu e la piattaforma europea per la gestione costiera sostenibile può contribuire alla definizione di un approccio comune e alla promozione di una gestione sostenibile delle spiagge e delle concessioni balneari in Europa.
Capitolo 3: Concorrenza e Concessioni Balneari: Tra il Martello dell’Europa e l’Incudine dell’Italia
3.1 Introduzione alla concorrenza nel settore turistico-ricreativo
La concorrenza, nel contesto delle concessioni balneari, si riferisce alla lotta tra le diverse entità commerciali per ottenere la gestione di porzioni di spiaggia per fornire servizi turistico-ricreativi. Questa competizione può avvenire attraverso vari meccanismi, come le aste pubbliche o i bandi di gara, e può riguardare aspetti come la qualità dei servizi offerti, i prezzi, l’innovazione e la sostenibilità ambientale[114].
A livello europeo, l’Unione Europea promuove la libera concorrenza come uno dei pilastri fondamentali del mercato unico. Questo si riflette anche nel settore turistico-ricreativo, dove si cerca di stimolare la concorrenza tra le diverse entità commerciali per migliorare la qualità dei servizi e per garantire prezzi equi per i consumatori. Tuttavia, le modalità di attuazione di questa concorrenza variano notevolmente tra i diversi paesi membri, a causa delle differenze nelle legislazioni nazionali e nelle caratteristiche geografiche e culturali[115].
In Italia, la questione della concorrenza nel settore delle concessioni balneari è stata oggetto di un intenso dibattito negli ultimi anni. Da un lato, c’è la richiesta dell’UE di liberalizzare il settore e di introdurre più concorrenza per rispettare le norme sul mercato interno. Dall’altro lato, c’è la resistenza da parte di molti operatori balneari italiani e delle autorità locali, che temono che una maggiore concorrenza possa portare a una perdita di controllo sul territorio e a un deterioramento della qualità dei servizi.
In questo capitolo, esploreremo più in dettaglio questi problemi e le possibili soluzioni.
3.2 Il valore della concorrenza: un’analisi critica
La concorrenza è vista come uno strumento fondamentale per stimolare l’innovazione, migliorare la qualità dei servizi e garantire prezzi equi per i consumatori. Nel settore delle concessioni balneari, la concorrenza potrebbe incoraggiare gli operatori a investire in migliore infrastruttura, offrire servizi più diversificati e rispondere più efficacemente alle esigenze dei turisti. Inoltre, la concorrenza potrebbe aiutare a prevenire pratiche monopolistiche e a garantire un accesso equo alle risorse costiere.
D’altra parte, esistono preoccupazioni legittime riguardo l’introduzione di una concorrenza eccessiva nel settore delle concessioni balneari. Molti temono che questo possa portare a una “corsa al ribasso”, in cui gli operatori cercano di abbattere i concorrenti a scapito della qualità dei servizi. Inoltre, vi è la preoccupazione che la liberalizzazione del settore possa favorire grandi catene o entità estere a discapito delle piccole imprese locali. Infine, c’è il timore che una maggiore concorrenza possa mettere a rischio la sostenibilità ambientale delle coste, se non adeguatamente regolamentata.
La questione del valore della concorrenza nel settore delle concessioni balneari non ha una risposta semplice e richiede un equilibrio delicato. Da un lato, è importante stimolare l’innovazione e garantire un accesso equo alle risorse costiere. D’altra parte, è fondamentale proteggere la qualità dei servizi, sostenere le piccole imprese locali e preservare l’ambiente[116].
È allora di vitale importanza sviscerare e affrontare con particolare attenzione, quando si discute di concorrenza, l’analisi e la comprensione dei principi fondamentali che regolano e stabiliscono gli standard minimi di qualità di riferimento. Questo processo richiede l’impiego di strumenti adeguati e precisi che possano delineare e stabilire la prassi di riferimento, permettendo di descrivere in maniera dettagliata e di classificare le specifiche caratteristiche dei servizi offerti.
È necessario fare una distinzione precisa tra i servizi principali, come il servizio di accoglienza e il servizio spiaggia, e i servizi accessori, che includono il ristoro, il parcheggio, i servizi ludico-ricreativi, l’area calma, e così via. Questa distinzione deve essere realizzata tenendo in considerazione una serie di obiettivi chiave.
Il primo di questi obiettivi è la sostenibilità ambientale, che implica la minimizzazione dell’impatto sulle risorse naturali e la protezione del paesaggio circostante. Il secondo obiettivo è l’accessibilità, che comporta la necessità di garantire a tutti i clienti un accesso equo e completo a tutti gli spazi, servizi e strutture disponibili. Il terzo obiettivo è la qualità, un fattore fondamentale per assicurare la piena soddisfazione del cliente. Infine, l’ultimo obiettivo è la sicurezza, che deve essere garantita sia per i clienti che per il personale impiegato.
Trovare un equilibrio adeguato tra questi obiettivi rappresenta una sfida di non poco conto, che richiede un’analisi accurata e considerata delle specificità del settore e dei diversi stakeholder coinvolti.
In un contesto di libera concorrenza, è di fondamentale importanza che l’offerta di servizi sia differenziata e ampia, sia per quanto riguarda la qualità dei servizi offerti, sia in relazione al prezzo dei beni. Questa molteplicità e diversificazione nell’offerta sono necessarie per rispondere in maniera efficace e completa alle esigenze di diversi segmenti di clientela, ognuno con le sue specifiche richieste e preferenze[117].
La libera concorrenza, inoltre, implica un principio fondamentale: nessuno degli operatori coinvolti nel mercato dovrebbe avere la possibilità di influenzare unilateralmente l’andamento delle operazioni di mercato. Questo principio garantisce che ogni operatore abbia le stesse opportunità di successo, a patto che si impegni a fornire servizi di qualità e competitivi[118].
L’obiettivo finale di questa impostazione è creare un ambiente di mercato in cui ogni operatore possa competere in modo equo e trasparente, pur mantenendo un alto livello di qualità nei servizi offerti ai clienti. Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un impegno costante e una rigorosa aderenza a specifiche linee guida e standard di settore.
A tal proposito, l’UNI, in collaborazione con Legambiente, ha pubblicato la prassi di riferimento UNI/PdR 92:2000[119]. Questo documento ha il compito specifico di fornire linee guida per il miglioramento delle attività di balneazione. La norma è molto dettagliata e copre una lunga serie di adempimenti e osservanze che ogni singolo stabilimento balneare deve rispettare per essere in conformità.
Un altro aspetto che merita particolare attenzione è la soddisfazione del cliente. Nonostante non siano ancora ampiamente diffusi, i questionari per la soddisfazione del cliente sono un elemento fondamentale della norma e sono indispensabili per un’analisi accurata delle politiche di qualità e di miglioramento.
L’implementazione di queste buone pratiche non solo migliora la qualità dei servizi offerti, ma può anche evidenziare e valorizzare l’aspetto concorrenziale del settore. In questo modo, ogni operatore può confrontarsi con gli altri su un terreno di gioco equo e trasparente, migliorando continuamente la propria offerta e rispondendo in modo sempre più efficace alle esigenze dei clienti.
Particolare attenzione, inoltre, è rivolta al cliente, nonostante non ci risultino di larghissima diffusione i questionari per la soddisfazione del cliente, riportati come parte integrante della norma e indispensabili per una attenta analisi delle politiche di qualità e miglioramento.
Nell’allegato 2, vengono presentate alcune delle domande tipiche contenute nei questionari per la soddisfazione del cliente. Queste domande sottolineano l’importanza di un tale strumento per tutti gli operatori del settore, in quanto forniscono un feedback prezioso riguardo ai punti di forza e alle aree di miglioramento dei servizi offerti[120].
Attraverso l’analisi delle risposte ai questionari, gli operatori possono individuare gli aspetti che necessitano di maggiore attenzione e lavorare per migliorare la qualità dei servizi erogati. Inoltre, questi questionari consentono di valutare direttamente l’esperienza dei clienti, offrendo un quadro realistico delle prestazioni del servizio e delle aspettative del mercato.
3.3 . La concorrenza nelle politiche europee
L’Unione Europea, nell’arco della sua esistenza, ha costantemente perseguito e consolidato un modello di politica basato sulla libera concorrenza, riconosciuta come un elemento fondamentale e imprescindibile per il corretto funzionamento del mercato interno. Questo approccio si riflette in una serie di normative che promuovono la libera circolazione dei servizi all’interno dell’UE, come la Direttiva sui servizi del 2006[121] e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[122].
La portata di tali principi di libera concorrenza e di libera circolazione non si limita a specifici settori, ma si estende a tutte le aree di attività economica, tra cui le concessioni balneari[123]. Questo settore, che si occupa dell’accesso e della gestione di risorse limitate e di grande valore come le coste, si trova al centro di una serie di tensioni e sfide. Da un lato, l’obiettivo delle politiche europee è di favorire la concorrenza tra le imprese, al fine di stimolare l’innovazione e l’offerta di servizi di alta qualità. Dall’altro, è essenziale garantire un accesso equo a queste risorse per tutte le imprese europee, indipendentemente dalla loro dimensione o dal paese di origine[124].
Nell’attuazione di queste politiche nel settore delle concessioni balneari, però, i risultati ottenuti possono variare notevolmente a seconda del contesto specifico. Prendiamo l’esempio della Spagna[125], dove l’introduzione di aste pubbliche per l’assegnazione delle concessioni balneari ha avuto l’effetto di stimolare la concorrenza e di favorire una diversificazione dei servizi offerti. Tuttavia, questa politica ha anche sollevato una serie di questioni e di polemiche, dovute all’aumento dei prezzi per l’accesso alle spiagge e alle difficoltà incontrate dalle piccole imprese locali nel competere con le grandi catene e i gruppi internazionali.
In Francia[126], d’altra parte, le autorità hanno cercato di trovare un equilibrio tra l’esigenza di promuovere la concorrenza e quella di proteggere le imprese locali e l’ambiente. Hanno quindi introdotto una regolamentazione più stringente e un sistema di assegnazione delle concessioni basato su punti, che premia le imprese che adottano pratiche sostenibili e innovative.
Questi esempi dimostrano che l’applicazione delle politiche di concorrenza nel settore delle concessioni balneari è un processo delicato e complesso, che richiede una gestione attenta e ponderata. Mentre la concorrenza può certamente stimolare l’innovazione e migliorare la qualità dei servizi offerti, è fondamentale garantire che tutti gli operatori abbiano la possibilità di competere in modo equo e che l’accesso alle preziose risorse costiere non venga monopolizzato da pochi grandi attori. Inoltre, è necessario considerare attentamente le esigenze locali e ambientali, per evitare che la promozione della concorrenza porti a effetti indesiderati come l’aumento eccessivo dei prezzi o la distruzione di ecosistemi costieri fragili[127].
Un altro esempio può essere quello del Portogallo[128], dove la concorrenza nel settore delle concessioni balneari è stata stimolata attraverso un sistema di gare d’appalto. Questo sistema ha permesso di migliorare la qualità dei servizi offerti, ma ha anche sollevato preoccupazioni riguardo all’accessibilità delle spiagge per la popolazione locale e ai potenziali impatti ambientali dell’espansione delle infrastrutture balneari.
In Grecia[129], il governo ha cercato di promuovere la concorrenza tra le imprese balneari attraverso una serie di misure, tra cui la liberalizzazione del settore e l’introduzione di standard di qualità più elevati. Tuttavia, questi sforzi hanno incontrato resistenze da parte delle imprese locali, che temevano che le nuove politiche potessero favorire le grandi catene internazionali a discapito delle piccole imprese familiari.
Infine, in paesi come la Croazia[130] e il Montenegro[131], dove il turismo costiero è una componente chiave dell’economia, la questione della concorrenza nel settore delle concessioni balneari è di particolare rilevanza. In questi paesi, le autorità stanno cercando di equilibrare l’esigenza di promuovere la concorrenza e l’innovazione con la necessità di proteggere l’ambiente e di mantenere l’accesso alle spiagge aperto e accessibile a tutti.
In conclusione, la questione della concorrenza nel settore delle concessioni balneari è una sfida complessa, che richiede un equilibrio tra una serie di obiettivi e interessi diversi. Se gestita correttamente, la concorrenza può portare a benefici significativi, tra cui l’innovazione, l’aumento della qualità dei servizi e la diversificazione dell’offerta. Tuttavia, è fondamentale che queste politiche siano attuate in modo tale da garantire un accesso equo e non discriminatorio alle risorse costiere, proteggere l’ambiente e tenere conto delle esigenze e delle specificità locali[132].
3.4 . La concorrenza nel contesto italiano
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, nel contesto italiano, le concessioni balneari sono regolate dal Codice della Navigazione e da varie leggi e regolamenti nazionali e regionali. Tradizionalmente, queste concessioni sono state assegnate a imprese locali per lunghi periodi, spesso senza una vera e propria concorrenza[133]. Tuttavia, negli ultimi anni, in risposta alle pressioni dell’UE, l’Italia ha cercato di introdurre maggiori elementi di concorrenza nel settore[134]. Questo processo, tuttavia, è stato complicato da resistenze politiche e legali, così come da considerazioni sociali e ambientali.
L’Italia si trova di fronte a una serie di sfide uniche nell’implementazione delle politiche di concorrenza nel settore delle concessioni balneari. Primo fra tutti, vi è il problema della “continuità aziendale”, ovvero la preoccupazione che un’eccessiva concorrenza possa minare la stabilità delle imprese balneari esistenti e causare perdite di posti di lavoro[135].
A questo proposito molti esponenti della categoria di imprenditori balneari hanno espresso grande preoccupazione per le recenti politiche europee che minano le consolidate posizioni delle imprese;
“L’emendamento rischia di mandare in liquidazione, a partire dal primo gennaio 2024, l’attuale modello balneare italiano, assicurando negli anni un livello di eccellenza e di valorizzazione del territorio costiero. Un modello portato al successo da 30mila micro e piccole imprese – dice Stefano Zerini, presidente Cna balneari della Versilia – da famiglie che hanno investito nell’attività risorse economiche e lavoro assiduo, e che in Versilia conta circa 500 imprese, creando un sistema di forte attrattività turistica, uno dei più importanti in Italia. A repentaglio verrebbe messo anche l’intero indotto dell’economia turistica costiera interessata dal provvedimento e in particolare le imprese della nautica, della ristorazione, del commercio e della ricettività che insistono sul demanio, non solo marittimo, con l’offerta di servizi turistici e ricreativi”.
“Esiste ancora la possibilità, però – spiega Zerini – di tutelare la reale continuità aziendale delle attuali imprese balneari e di rilasciare nuove concessioni grazie alla disponibilità di aree per nuove iniziative imprenditoriali che emergerà, con ogni certezza, dalla mappatura prevista nel Disegno di legge Concorrenza. Chiediamo al Parlamento il massimo impegno per individuare le soluzioni necessarie alla salvaguardia del settore. Cna Balneari si attiverà a tutti i livelli per una modifica radicale del provvedimento del Governo[136]”.
Inoltre, vi è la preoccupazione che la liberalizzazione del settore possa favorire le grandi catene o le imprese estere a discapito delle piccole imprese locali, che svolgono un ruolo importante nell’economia costiera italiana[137].
Infine, c’è il problema della protezione dell’ambiente costiero, che è particolarmente sensibile in Italia a causa della sua ricca biodiversità e del suo patrimonio culturale[138]. Molti temono che una concorrenza eccessiva possa portare a un’espansione incontrollata delle attività balneari e a un deterioramento dell’ambiente[139].
Questi problemi richiedono soluzioni su misura che tengano conto delle specificità del contesto italiano e che bilancino l’obiettivo della concorrenza con altre considerazioni importanti.
3.5 Il (mancato) dialogo tra Italia ed Europa sulla concorrenza
Il mancato dialogo tra le istituzioni europee e l’Italia in merito alla concorrenza nel settore delle concessioni balneari può essere attribuito a una serie di fattori[140]. In primo luogo, vi è una differenza di vedute tra le due parti: mentre l’UE promuove la libera concorrenza come un valore assoluto, l’Italia ha una visione più mitizzata che tiene conto di altre considerazioni come la protezione delle imprese locali e dell’ambiente.
La necessità di ripercorrere la storia di questa controversia in Italia, che si protrae da circa 80 anni, coinvolgendo governi di ogni orientamento politico, è fondamentale per comprendere appieno la sua complessità. Purtroppo, si tratta di una storia caratterizzata da favoritismi e particolarismi, creando una situazione unica nell’Unione Europea[141].
Nel mese di febbraio del 2023, sono stati approvati quattro emendamenti al decreto mille proroghe[142] riguardanti le concessioni balneari. Questi emendamenti hanno prolungato la validità delle concessioni per un anno, impedendo di fatto ai comuni di pubblicare i bandi entro il mese di giugno dello stesso anno. Inoltre, sono stati approvati due emendamenti che hanno spostato il termine per la mappatura delle concessioni balneari dalla fine di febbraio alla fine di luglio 2023, consentendo così il mantenimento delle strutture amovibili per l’intera stagione 2023.
La motivazione ufficiale dietro queste decisioni, al di là delle pressioni delle lobby dei sindacati e degli imprenditori balneari, è duplice. In primo luogo, si intende effettuare la mappatura del demanio marittimo e istituire un tavolo tecnico tra i ministeri competenti e le associazioni di categoria per concordare i contenuti della riforma, che è già stata avviata dal governo Draghi. In secondo luogo, le concessioni balneari attualmente in vigore sarebbero dovute scadere il 31 dicembre 2022, e i primi bandi pubblici per le nuove concessioni avrebbero dovuto essere aperti a partire da gennaio 2023.
I bandi dovrebbero affidare i 19,2 milioni di metri quadri di spiaggia a imprese e imprenditori capaci e desiderosi di rispettare le nuove regole che saranno introdotte dopo il parere del suddetto tavolo tecnico, nel DDL concorrenza 2023. Per ottenere l’uso del demanio marittimo, sarà necessario soddisfare una serie di parametri che saranno certamente onerosi, ma indispensabili per garantire, ad esempio, il libero accesso alle persone disabili.
Sarà fondamentale affrontare la questione del “diritto di insistenza” introdotto nel 1992, che è stato all’origine di tutte le future contestazioni europee. Tale diritto stabiliva che i titolari di concessioni avessero la precedenza rispetto ai nuovi pretendenti e che le concessioni fossero rinnovate automaticamente ogni 6 anni. Questa norma legislativa ha di fatto paralizzato l’accesso a nuove concessioni, favorendo quella che è stata definita la lobby degli stabilimenti balneari. I titolari di concessioni sono stati quasi impossibilitati a perderle, a meno che non rinunciassero volontariamente. È importante ricordare che nel 2006 la direttiva europea sui servizi ha reso obbligatorie procedure pubbliche trasparenti e imparziali per l’assegnazione di nuove concessioni, in nome del libero commercio e della leale concorrenza. Da quel momento è iniziata la battaglia in Italia per eludere tale normativa dell’UE[143].
Nel 2009, la Commissione europea ha inviato una prima moratoria all’Italia, criticando la disciplina italiana sulle concessioni demaniali marittime e avviando la procedura di infrazione n. 2008/4908 nei confronti del paese. In questa procedura, è stata evidenziata l’incompatibilità del sistema italiano di concessioni con il diritto comunitario, in particolare per quanto riguarda il principio della libertà[144]. Il “diritto di insistenza” è stato considerato discriminatorio nei confronti delle imprese provenienti da altri Stati dell’Unione, ostacolando la parità di trattamento tra i diversi operatori economici e rendendo estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso delle altre imprese a tali concessioni. La Commissione ha chiesto al governo italiano di fornire le proprie osservazioni entro due mesi.
Nel 2012, il parlamento italiano ha approvato una nuova legge che prorogava le stesse concessioni fino al 2020[145][146]. Nonostante ciò, nel 2016 l’Unione Europea ha aperto un’altra procedura di infrazione. Tuttavia, la legge di bilancio del 2018[147] ha nuovamente prorogato il termine delle concessioni fino al 2034. Questo susseguirsi di leggi italiane e procedure di infrazione dell’UE è stato momentaneamente fermato dal Consiglio di Stato, che ha stabilito una scadenza improrogabile delle concessioni nel 2023[148].
Le ragioni di questa resistenza del parlamento italiano nel legislare in maniera decisiva su questa materia sono molteplici. Sebbene l’adozione di tariffe competitive basate sui valori di mercato sarebbe un’entrata preziosa per lo Stato, il fatto che ci siano in gioco 52.619 contratti di concessione costituisce un considerevole bacino di voti[149]. Inoltre, c’è un potente gruppo di imprenditori che nessuna forza politica ha davvero intenzione di mettere in discussione. Inoltre, la questione degli indennizzi per coloro che perdono la concessione rappresenta un ulteriore ostacolo per trovare un accordo. Tali indennizzi saranno a carico del nuovo concessionario e dovranno tener conto del valore economico dell’impresa, includendo gli investimenti materiali e immateriali, nonché compensazioni per l’avviamento commerciale. Questa valutazione dovrà essere effettuata da periti terzi. Per i concessionari uscenti, inoltre, durante la gara dovrà essere prevista una clausola di premialità, e la durata delle gare sarà determinata in base alla possibilità di recuperare gli investimenti. C’è anche la spinosa questione della valutazione degli immobili costruiti su aree demaniali[150].
In conclusione, la situazione delle concessioni balneari in Italia è un intreccio complesso di leggi, procedure di infrazione dell’UE e interessi politici ed economici. Finora, il parlamento italiano ha dimostrato una certa resistenza nel prendere decisioni decisive su questa materia. Sebbene l’adozione di una legislazione chiara e in linea con le norme europee potrebbe portare benefici economici e promuovere una sana concorrenza, l’influenza politica degli attori coinvolti e il numero significativo di voti in gioco hanno reso difficile raggiungere un consenso.
La questione degli indennizzi per i concessionari uscenti rappresenta un ulteriore ostacolo, poiché determinare il valore economico di un’impresa e garantire un equo risarcimento è complesso e richiede l’intervento di esperti terzi. Inoltre, la valutazione degli immobili costruiti sulle aree demaniali è un tema controverso che richiede una soluzione equa e trasparente[151].
Nonostante le procedure di infrazione avviate dall’Unione Europea e le richieste di adeguamento alle norme comunitarie, il dibattito sulle concessioni balneari in Italia rimane irrisolto. Le decisioni adottate fino ad ora hanno prorogato i termini e mantenuto lo status quo, alimentando le critiche e le contestazioni da parte della Commissione europea.
È evidente che la questione delle concessioni balneari in Italia richiede una soluzione definitiva e una riforma adeguata che garantisca un accesso equo e trasparente alle nuove concessioni, promuova la concorrenza leale e rispetti le norme europee. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, sarà necessario superare gli interessi particolaristici e le pressioni politiche ed economiche che hanno caratterizzato questa lunga controversia.
Per comprendere appieno la questione delle valutazioni degli immobili costruiti su aree demaniali, è fondamentale iniziare con l’art. 8 della TUE (Testo Unico sull’Edilizia) che stabilisce che tutte le attività edilizie, comprese quelle su aree demaniali, sono soggette a un regime autorizzativo. Le aree demaniali sono considerate beni pubblici, destinati a soddisfare interessi collettivi e facenti capo direttamente allo Stato o ad altre entità territoriali. Inoltre, l’art. 822 e seguenti del Codice Civile stabiliscono che tali beni, oltre a essere inalienabili, non possono essere oggetto di diritti a favore di terzi. Quest’ultimo articolo costituisce il fondamento che esclude la possibilità per i privati di avere diritti personali di qualsiasi natura sulle aree demaniali. È importante sottolineare che il demanio non è un insieme unitario, ma è suddiviso in demanio necessario e demanio accidentale. Il demanio necessario comprende i beni totalmente sottratti alla proprietà privata, mentre il demanio accidentale include i beni che possono essere privati ma che appartengono automaticamente agli enti territoriali. In ogni caso, per l’edificazione su tali territori, è sempre necessario ottenere un permesso edilizio. Per comprendere meglio il concetto di demanialità, che implica sempre una duplice appartenenza alla collettività e all’ente esponenziale, è importante considerare che gli enti territoriali devono garantire il mantenimento delle caratteristiche specifiche del bene e la sua effettiva fruibilità. Pertanto, la titolarità dei beni demaniali da parte dello Stato o degli enti territoriali non è fine a sé stessa, ma comporta l’assunzione di oneri di governance finalizzati a rendere effettivo il godimento e l’uso pubblico del bene. Da questa premessa legislativa deriva che la presentazione della domanda per il rilascio di un permesso edilizio su un’area demaniale può essere presentata sia dai proprietari che da soggetti legittimati.
Queste considerazioni evidenziano quanto la materia sia complessa e coinvolga numerosi attori, poiché gli interessi in gioco sono spesso diversificati e molteplici. Se un privato che ne ha titolo può presentare una domanda di permesso edilizio, le amministrazioni coinvolte nel procedimento possono essere molteplici, spesso richiedendo l’utilizzo del procedimento della conferenza dei servizi per consentire l’espressione delle diverse volontà delle pubbliche amministrazioni coinvolte. Ancora più complessa è la procedura per le concessioni di titolo edilizio sul demanio marittimo (vale la pena ricordare che ogni stabilimento balneare è costruito su suolo demaniale, marittimo o altro): infatti, per tali concessioni, è sempre necessario ottenere l’autorizzazione marittima, come specificato da una sentenza del Consiglio di Stato che evidenzia la presenza di due diverse finalità di tutela: da un lato, la riserva all’ente locale del governo e dello sviluppo del territorio in materia di edilizia, relativamente alla concessione ad edificare; dall’altro, la salvaguardia degli interessi pubblici connessi al demanio marittimo per quanto riguarda l’autorizzazione demaniale.
La complessità della valutazione degli immobili su aree demaniali è evidente anche nella pratica delle concessioni sul demanio marittimo. Ogni stabilimento balneare, infatti, è costruito su suolo demaniale marittimo e richiede il rilascio di autorizzazioni specifiche. La sentenza del Consiglio di Stato sottolinea che tali concessioni implicano la necessità di considerare due obiettivi di tutela distinti. Da un lato, l’ente locale è responsabile del governo e dello sviluppo del territorio in materia di edilizia, riguardante la concessione per la costruzione. Dall’altro lato, è necessaria la tutela degli interessi pubblici correlati al demanio marittimo, in relazione all’autorizzazione demaniale.
Questo implica che la procedura per ottenere una concessione edilizia su suolo demaniale marittimo richiede il rispetto di specifici requisiti e l’ottenimento di autorizzazioni da parte delle autorità competenti. L’intera pratica coinvolge una serie di passaggi e procedure che richiedono il coinvolgimento di diverse amministrazioni pubbliche, al fine di garantire il rispetto delle finalità di tutela sia del territorio edilizio che del demanio marittimo.
In conclusione, la valutazione degli immobili costruiti su aree demaniali è una questione complessa che coinvolge l’applicazione di norme giuridiche specifiche, l’ottenimento di autorizzazioni edilizie e demaniali, nonché la partecipazione di diverse autorità amministrative. La duplice appartenenza dei beni demaniali alla collettività e agli enti territoriali richiede l’adozione di misure di governance adeguate per garantire il godimento pubblico del bene e il rispetto degli interessi
In Italia, tuttavia, anche nel caso di realizzazione di opere su aree demaniali si applica il regime del silenzio assenso, il che determina un’altra evidente contraddizione con i rigorosi presupposti previsti dall’art. 20 del TUE. Quest’articolo stabilisce che, in presenza di vincoli idrogeologici, paesaggistici, ambientali o culturali, non è possibile rilasciare il titolo edilizio per “silentium“.
Un’altra questione degna di approfondimento, utile per esplorare a fondo la questione delle concessioni, riguarda le sanzioni: chi è responsabile degli abusi? Non il proprietario, ma colui che ha ottenuto la concessione del bene. Questo ha portato a lunghe e complicate controversie nel corso degli anni, contribuendo a diffondere l’idea che gli abusi su suolo demaniale siano quasi impuniti. La questione è stata risolta dal TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Molise con una dichiarazione recente che afferma:
“Il proprietario dell’immobile rientra tra i soggetti passivi delle sanzioni urbanistiche ed edilizie; solo nella particolare ipotesi di abusi su demanio o beni appartenenti al patrimonio dello Stato o enti pubblici, il proprietario è totalmente esonerato dal procedimento sanzionatorio. In questi casi specifici, le sanzioni demolitorie possono essere legittimamente irrogate solo nei confronti del responsabile dell’abuso[152]“.
Inoltre, gli enti proprietari possono riottenere la disponibilità del bene mediante un proprio provvedimento dopo un abuso, comminando sanzioni fino alla revoca della concessione.
Fino a quando la riforma delle concessioni non subirà modifiche e fino a quando continueranno a sussistere problemi di varia natura tra la complessa giurisdizione italiana e i principi sanciti dal diritto europeo, ai quali l’Italia aderisce, ritengo che ci sarà una confusione che potrà solo generare caos, andando a discapito delle leggi economico-finanziarie e di tutela del paesaggio, oltre che della sostenibilità.Inoltre, vi è una mancanza di comprensione reciproca delle specificità e dei problemi di ciascuna parte. L’UE potrebbe non essere pienamente consapevole delle sfide uniche che l’Italia affronta nel settore delle concessioni balneari, mentre l’Italia potrebbe non aver pienamente compreso o accettato le ragioni dietro le politiche di concorrenza dell’UE.
Il mancato dialogo tra le istituzioni europee e l’Italia ha creato una serie di problemi e sfide. Ad esempio, la decisione dell’UE[153] di avviare procedure d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme sulla concorrenza nel settore delle concessioni balneari ha causato tensioni e incertezza. D’altra parte, la resistenza dell’Italia a introdurre più concorrenza nel settore ha portato a ritardi e complicazioni nella riforma delle concessioni balneari, a scapito sia degli operatori balneari che dei turisti[154].
Questi problemi evidenziano la necessità di un dialogo più aperto e costruttivo tra le due parti per trovare soluzioni condivise e sostenibili.
3.6 Proposte per un dialogo costruttivo tra Italia ed Europa sulla concorrenza
Un dialogo costruttivo tra Italia ed Europa sul tema della concorrenza nel settore delle concessioni balneari potrebbe passare attraverso vari canali. Questi potrebbero includere incontri bilaterali tra i rappresentanti delle istituzioni europee e italiani, consultazioni con le parti interessate (come gli operatori balneari e le organizzazioni ambientaliste), e l’uso di strutture dell’UE come il Comitato delle Regioni o il Comitato Economico e Sociale Europeo[155].
Sebbene gli occhi dell’Europa siano puntati sull’Italia[156], soprattutto in relazione alle azioni del nuovo governo, la presidente del Consiglio ha di recente rassicurato il commissario Thierry Breton che l’Italia applicherà rapidamente la legislazione europea e le autorità nazionali si impegneranno ad allineare la normativa italiana alle disposizioni comunitarie. Tuttavia, alla luce dei precedenti, una semplice promessa potrebbe non essere sufficiente. La portavoce ha sottolineato che “effettueremo un monitoraggio molto rigoroso della situazione e saremo in costante contatto con le autorità italiane[157]”.
D’altra parte, nonostante il tema delle concessioni balneari sia tornato in cima all’agenda politica, soprattutto grazie all’interesse manifestato dal governo Meloni, non sembra che verrà incluso nel disegno di legge concorrenza che sarà discusso oggi in Consiglio dei Ministri.
La questione delle concessioni balneari, con la sua complessità e le sue implicazioni economiche, è un argomento che richiede una discussione approfondita e una soluzione adeguata. Nonostante gli sforzi del governo italiano nel rassicurare l’Europa sul proprio impegno a conformarsi alle norme comunitarie, resta da vedere se saranno intraprese azioni concrete per risolvere la controversia e garantire una gestione equa e trasparente delle concessioni balneari. Il monitoraggio stretto da parte delle autorità europee sottolinea l’importanza di mantenere una comunicazione costante e di agire in conformità con le direttive e le regole stabilite a livello europeo[158].
La questione delle concessioni balneari in Italia rappresenta una sfida sia dal punto di vista normativo che politico, poiché coinvolge interessi economici, sociali e ambientali. La sua inclusione o esclusione dal disegno di legge concorrenza può avere implicazioni significative sul futuro delle concessioni e sull’accesso equo al demanio marittimo. È necessario affrontare questa questione con serietà e determinazione al fine di garantire un sistema di gestione delle concessioni che sia conforme alle norme europee, promuova la concorrenza leale e tuteli i diritti di tutti gli attori coinvolti, compresi gli imprenditori, i cittadini e l’ambiente costiero.
Nel particolare, la sentenza della Corte di giustizia Ue, ha chiesto “parametri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati[159]“, rimarcando anche che “i giudici nazionali e le autorità amministrative sono tenuti ad applicare le norme pertinenti di diritto dell’Unione, disapplicando le disposizioni di diritto nazionale non conformi alle stesse”, ma è proprio sul principio della scarsità delle risorse che fa leva l’attuale maggioranza.
La delega per la mappatura delle spiagge scadrà il prossimo 27 luglio, per cui è stata avviata un’istruttoria che in teoria dovrebbe coinvolgere l’Agenzia del demanio e la Capitaneria. I dati, che arrivano anche tramite l’utilizzo di droni, saranno confrontati con quelli riguardanti la mappatura ‘amministrativa’, ovvero preparati dalle regioni già da tempo[160].
L’attuale ministro dell’Economia Giorgetti ha però evidenziato che vi è grande disparità di afferenza dei dati da parte delle Regioni, per cui non ci sono riscontri omogenei. Il dossier sarà sul tavolo interministeriale che sarà convocato a breve. Ne faranno parte il Mit, il Mimit, il Mef e le associazioni di categoria e sarà in capo a palazzo Chigi, come previsto dal dl Milleproroghe.
La strategia del governo è quella di puntare sul dialogo con la Commissione europea.
A conforto di quanto discusso nell’incontro dell’aprile scorso (2023) tra la presidente del Consiglio Meloni e il commissario europeo per il Mercato interno e i servizi Breton, l’Unione Europea ha desistito da un nuovo richiamo all’Italia. Ma a una prima rassicurazione sulla tempestività con la quale “le autorità nazionali in Italia avrebbero appliaato rapidamente la legislazione europea” e “proceduto ad allineare la legislazione nazionale italiana alle norme europee”, vi è stato un rapido cambiamento di vedute “Nessuna delle due parti ha preso impegni riguardo ai prossimi passi”[161].
Non essendovi alcun ultimatum’ o dead-line prefissata, ancora una volta l’esecutivo prenderà il tempo necessario, e non è difficile prevedere nuovi contenziosi, anche all’interno della sbandierata “volontà di dialogo”, il governo italiano vuole ancora capire quali saranno gli spazi di manovra, con la consapevolezza che la sponda di Breton potrebbe venir meno a causa delle pressioni nei confronti del commissario, valutando anche l’opzione del doppio binario, ovvero quello di procedere alla distinzione fra concessioni pre e post Bolkenstein.
Tra le possibili soluzioni vi è anche l’ipotesi di avviare le gare con dei ‘paletti’, ovvero garantendo chi ha fatto degli investimenti. La partita è innanzitutto politica: mentre la attuale maggioranza si è schierata apertamente sulla necessità di procedere alla mappatura mostrando una volontà di tutela delle imprese balneari, l’opposizione attacca l’esecutivo, anche se in verità nessuno dei governi che si sono succeduti negli anni è mai stato in grado di porre una soluzione seria e definitiva al problema.
L’interesse dei titolari di concessione è ben rappresentato dalle notazioni giuridiche presentate dalla associazione “la base balneare” in collaborazione con “donnedamare” in una nota legale esposta a margine della trattativa con l’attuale governo che argomenta la tesi della esclusione dalla applicazione della Direttiva Servizi. o direttiva Bolkestein. delle concessioni demaniali marittime[162].
I titolari di concessioni demaniali marittime sostengono diverse ragioni per escludere l’applicazione della Direttiva Servizi a tali concessioni. Esaminiamo in modo più dettagliato i principali punti sollevati:
Inizialmente, i titolari di concessioni sottolineano la necessità di procedere a un’armonizzazione preventiva delle normative esistenti nei vari Stati membri in materia di concessioni demaniali. Essi argomentano che l’applicazione della Direttiva Servizi richiederebbe un’approvazione unanime, che non è stata ottenuta nel caso della Direttiva Bolkestein. Attualmente, i principali Stati membri interessati presentano una diversità di normative interne che rende difficile l’applicazione pratica dell’obiettivo perseguito dalla Direttiva Bolkestein. Secondo i sindacati di categoria, su 27 Stati membri, la Direttiva Servizi troverebbe effettiva applicazione solo in sei di essi, evidenziando la complessità dell’armonizzazione normativa necessaria.
In secondo luogo, i titolari di concessioni demaniali marittime argomentano che tali concessioni non rientrano nella categoria di concessioni di servizi, bensì di beni. Essi fanno riferimento a una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di luglio 2016, che stabilisce che le concessioni non riguardano una prestazione di servizi specifica fornita dall’ente aggiudicatore, ma piuttosto l’autorizzazione a svolgere un’attività economica in un’area demaniale. Questa distinzione sostanziale tra concessioni di beni e concessioni di servizi è cruciale per sostenere l’esclusione delle concessioni demaniali marittime dall’ambito di applicazione della Direttiva Servizi.
Il terzo motivo sollevato riguarda la necessità di stabilire un regime giuridico differenziato tra le concessioni demaniali già rilasciate e le nuove concessioni. Si fa notare che le concessioni demaniali marittime esistenti hanno già seguito una procedura di selezione conformemente all’articolo 37 del codice della navigazione e all’articolo 18 del regolamento esecutivo ad esso associato. Pertanto, queste concessioni hanno già rispettato le disposizioni dell’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che non richiede ulteriori procedure selettive ripetute nel tempo. In sostanza, le concessioni demaniali marittime già esistenti sarebbero già in linea con le norme europee e non richiederebbero modifiche o adattamenti aggiuntivi.
Infine, viene evidenziata la necessità di condurre una mappatura preventiva al fine di valutare l’esistenza o meno di una “scarsità delle risorse”, che costituisce un presupposto fondamentale per l’applicazione dell’articolo 15 della Direttiva Servizi. Tale mappatura mira a determinare l’effettiva disponibilità delle risorse demaniali marittime e a stabilire se vi sia una reale scarsa disponibilità di spazi per nuove concessioni. Secondo i titolari delle concessioni, la mappatura preventiva è necessaria per valutare in modo accurato la situazione e determinare se esiste una reale “scarsità delle risorse” che giustifichi l’applicazione dell’articolo 15 della Direttiva Servizi. La mappatura consentirebbe di identificare le aree demaniali marittime già assegnate e quelle ancora disponibili, fornendo una base solida per le decisioni sul rilascio di nuove concessioni.
Queste ragioni, sollevate dai titolari di concessioni demaniali marittime, evidenziano l’importanza di considerare attentamente le peculiarità di tali concessioni e la necessità di un approccio adeguato nella loro regolamentazione. È fondamentale tenere conto delle differenze normative tra gli Stati membri e delle specificità delle concessioni demaniali marittime, che non rientrano semplicemente nella categoria di concessioni di servizi.
La complessità della questione richiede un’analisi dettagliata e una valutazione equilibrata, al fine di garantire un quadro normativo che tuteli gli interessi delle imprese balneari, preservi il patrimonio demaniale marittimo e si conformi alle norme europee. È necessario trovare un equilibrio tra la necessità di garantire un’adeguata concorrenza e il rispetto delle peculiarità delle concessioni demaniali marittime, al fine di promuovere la sostenibilità e il benessere delle comunità locali. Solo attraverso un approccio olistico e un dialogo costruttivo sarà possibile affrontare le sfide legate alle concessioni demaniali marittime e individuare soluzioni efficaci per tutte le parti interessate.
Per superare le attuali divergenze, è fondamentale che sia l’Italia che l’UE siano disposte a fare concessioni e a cercare compromessi. L’UE potrebbe, ad esempio, riconoscere che l’applicazione delle norme sulla concorrenza deve tener conto delle specificità nazionali e regionali, e offrire più flessibilità nell’interpretazione e nell’applicazione di queste norme.
D’altra parte, l’Italia potrebbe impegnarsi a fare passi concreti verso una maggiore liberalizzazione del settore delle concessioni balneari, ad esempio attraverso l’introduzione di aste pubbliche o di criteri di selezione più trasparenti e non discriminatori.
Inoltre, entrambe le parti potrebbero impegnarsi a collaborare più strettamente nell’elaborazione di norme e politiche per il settore, al fine di garantire che queste rispondano sia alle esigenze del mercato unico che a quelle delle comunità costiere italiane.
La questione della concorrenza nel settore delle concessioni balneari rappresenta una sfida complessa e delicata, che richiede un equilibrio tra vari obiettivi e interessi. Un dialogo costruttivo tra Italia ed Europa su questo tema è non solo possibile, ma anche necessario per garantire un settore balneare sostenibile, equo e competitivo. Se gestito correttamente, questo dialogo potrebbe portare a soluzioni innovative che beneficiano sia le imprese balneari che i turisti, e che contribuiscono alla salvaguardia del prezioso patrimonio costiero italiano.
Riflettendo sulla complessa questione delle concessioni balneari in Italia, un episodio emblematico che viene in mente riguarda la città di Forte dei Marmi. Questa località balneare, celebre per le sue spiagge di sabbia fine e le sue strutture turistiche di lusso, ha visto nel corso degli anni un incremento esponenziale del valore economico delle sue concessioni balneari, arrivando a cifre che sfiorano i milioni di euro. Questo fenomeno sottolinea l’importanza economica delle concessioni balneari, ma apre anche una serie di questioni riguardanti l’equità, la sostenibilità e l’efficienza del sistema.
La presente tesi ha condotto un’indagine approfondita sul sistema delle concessioni balneari in Italia, analizzando le sue radici storiche, la sua evoluzione normativa, le problematiche attuali e le possibili soluzioni future. Il quadro che è emerso è uno di grande complessità, in cui s’intrecciano questioni di diritto, economia, storia e ambiente.
Da un punto di vista economico, la tesi ha evidenziato le contraddizioni del sistema delle concessioni balneari. Da un lato, le concessioni rappresentano una fonte di reddito significativa per molte comunità costiere e per l’economia italiana in generale. Dall’altro, il sistema attuale presenta vari problemi, tra cui l’inefficienza, l’opacità e la tendenza a favorire l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi.
In questo contesto, la tensione tra le istituzioni italiane e quelle europee ha giocato un ruolo cruciale. L’Unione Europea, con la sua spinta verso la liberalizzazione e l’armonizzazione, ha sollevato una serie di sfide e di domande riguardanti la gestione delle spiagge italiane. Allo stesso tempo, le specificità del contesto italiano – tra cui la sua lunga tradizione di balneazione e la sua ricchezza di diversità regionali – hanno reso difficile l’adozione di soluzioni uniformi.
Nonostante queste difficoltà, la tesi ha mostrato che esistono possibilità concrete di miglioramento. Da un lato, attraverso una maggiore trasparenza e una gestione più equa delle concessioni, sarebbe possibile ridurre le disuguaglianze economiche e promuovere un uso più sostenibile delle risorse costiere. Dall’altro, attraverso un dialogo più aperto e costruttivo tra Italia ed Europa, sarebbe possibile trovare un equilibrio tra le esigenze di liberalizzazione e le specificità del contesto italiano.
In conclusione, nonostante le numerose sfide, il sistema delle concessioni balneari in Italia ha il potenziale per evolvere in una direzione positiva, combinando efficacia economica, equità sociale e sostenibilità ambientale.
Come auspicio finale, si spera che questa tesi possa contribuire al dibattito su questa tematica, stimolando riflessioni e proposte per un miglioramento del sistema delle concessioni balneari. Le spiagge italiane rappresentano una risorsa preziosa, non solo dal punto di vista economico, ma anche culturale e ambientale. Pertanto, la loro gestione richiede un approccio equilibrato e sostenibile che tenga conto di tutti questi aspetti.
In termini economici, le concessioni balneari rappresentano un settore importante dell’economia italiana, generando entrate significative sia a livello locale che nazionale. Tuttavia, è fondamentale assicurare che queste risorse siano distribuite in modo equo e che il sistema delle concessioni contribuisca al benessere collettivo piuttosto che all’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi. In questo senso, la tesi propone di esplorare nuovi modelli di gestione, come ad esempio le cooperative di balneari o le concessioni a tempo determinato, che potrebbero favorire una maggiore equità e sostenibilità.
Inoltre, è essenziale rafforzare il dialogo tra Italia ed Europa. La Direttiva Bolkestein, nonostante le polemiche e le resistenze, ha offerto l’opportunità di riflettere sul sistema delle concessioni balneari e di cercare soluzioni innovative. Per far ciò, è necessario un dialogo aperto e costruttivo, che tenga conto delle specificità del contesto italiano ma che non perda di vista gli obiettivi di liberalizzazione e armonizzazione promossi dall’Unione Europea.
Infine, in un’epoca di crescente consapevolezza ambientale, è fondamentale promuovere una gestione sostenibile delle spiagge. Certificazioni come la Bandiera Blu e la norma ISO 13009 possono rappresentare strumenti preziosi per incentivare le buone pratiche e per migliorare la qualità dei servizi offerti dai balneari.
In conclusione, l’auspicio è che la presente tesi possa contribuire a promuovere un sistema delle concessioni balneari che sia non solo economicamente efficace, ma anche socialmente equo e ambientalmente sostenibile. Le sfide sono numerose, ma le opportunità non lo sono di meno. Come l’esempio di Forte dei Marmi dimostra, le spiagge italiane rappresentano una risorsa preziosa che merita di essere gestita con cura e responsabilità.
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[8] Legge 145/2018, 4 ottobre 2018, Disposizioni per la promozione e lo sviluppo del settore marittimo nazionale. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Recuperato il 27 aprile 2023, da https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/4/18G00136/sg
[9] Nomisma. (2023). Concessioni demaniali e imprese balneari in Italia. Recuperato il 27 aprile 2023, da https://www.mondobalneare.com/wp-content/uploads/2023/02/Gestione-Valorizzazione-demanio-costiero_Nomisma-presentazione-dati-completi.pdf.
[10] Ibid
[11] Ibid
[12] Ibid
[13] Ibid
[14] Ibid
[15] Ibid
[16] Il Piano di Utilizzo dei Litorali (PUL) è uno strumento di pianificazione territoriale finalizzato a regolamentare e disciplinare l’uso delle aree costiere e delle zone costiere adiacenti, al fine di tutelare l’ambiente e promuovere lo sviluppo economico e turistico del territorio. Questo strumento viene elaborato dalle autorità competenti, solitamente le Regioni, sulla base di un’analisi delle caratteristiche del territorio, delle esigenze della comunità locale e degli operatori economici, nonché delle normative e delle direttive nazionali e comunitarie in materia di ambiente e di gestione delle coste.
Il PUL prevede una serie di prescrizioni e di obiettivi per l’uso delle aree costiere, come ad esempio la definizione delle destinazioni d’uso del suolo, delle norme di edificazione e di occupazione, delle modalità di accesso e di fruizione del territorio e delle modalità di gestione e manutenzione delle infrastrutture e dei servizi pubblici.
La finalità principale del PUL è quella di garantire la tutela ambientale delle aree costiere, garantendo al contempo uno sviluppo sostenibile delle attività turistiche ed economiche legate al mare. Attraverso questo strumento, si cerca quindi di bilanciare le esigenze di conservazione dei beni comuni naturali e culturali delle aree costiere con quelle del settore economico, per creare una situazione di equilibrio e di sviluppo sostenibile nel lungo termine.
[17] Borghi, R. (2018). Il sistema delle concessioni balneari in Italia: storia, regolamentazione e prospettive future. Rivista di Diritto Pubblico, 47(3), 563-589.
[18] Giacomazzi, F. (2017). L’evoluzione delle politiche di gestione delle concessioni balneari in Italia dagli anni ’60 ad oggi. Rivista di Diritto Pubblico, 38(2), 315-338.
[19] Come invece diversamente previsto, ad esempio, nella dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 secondo la quale il diritto di proprietà era “inviolabile e sacro”, nonché all’art. 29 dello Statuto Albertino
[20] Santise, G. (2016). Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo [Hermeneutical coordinates of administrative law]. Giappichelli Editore. pp. 121e ss.
[21] G. Dezio, le concessioni demaniali alla luce delle recenti prospettive di riforma, in Il diritto amministrativo – Il diritto amministrativo Anno XV – n. 05 – Maggio 2023
[22] Rientrano nel patrimonio indisponibile (art. 826 c.c.) le acque minerali e termali, le cave e le torbiere, le cose di interesse archeologico e paleontologico, nonché la fauna selvatica
[23] Corriere della Sera. (2019, 26 giugno). Gli stabilimenti balneari: la storia dei luoghi di villeggiatura. Living. Recuperato il 27 aprile 2023, da https://living.corriere.it/architettura/stabilimenti-balneari-storia/.
[24] Cerrato, M. (2014). La regolamentazione delle concessioni balneari in Italia: un percorso storico e normativo. Rivista Giuridica dell’Ambiente, 29(3), 221-240.
[25] Ibid
[26] Lapini, S. (2016). La gestione sostenibile delle risorse costiere italiane: un’analisi delle politiche e delle normative sulle concessioni balneari. Pianificazione Territoriale, 32(2), 87-104.
[27] Antonioli Corigliano, M., & Presenza, A. (2005). Il mare d’inverno: L’economia del turismo sulle coste italiane. Milano: FrancoAngeli.
[28] REGIO DECRETO 30 marzo 1942, n. 327. (1942). Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione. (042U0327) (GU Serie Generale n.93 del 18-04-1942). Recuperato il 27 aprile 2023, da https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1942/04/18/042U0327/sg
[29] Battilani, P. (2009). Vacanze di pochi, vacanze di tutti: l’evoluzione del turismo europeo. Milano: Franco Angeli. ISBN: 9788846459510.
[30] Sassatelli, M. (2007). Becoming Italians: Tourism and the National Character in Postwar Italy. In Cultural Tourism in a Changing World (pp. 88-108). Channel View Publications.
[31] Festa, G., & Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia. (1962). L’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia dalla sua fondazione. Roma: O.N.P.M.I.
[32] Lussana, F. (2018). Tourism and the Fascist Regime in Italy. In The Routledge Handbook of Transport in History and Culture (pp. 197-213). Routledge.
[33] La revoca di un provvedimento di autorizzazione o concessione è prevista non solo, in una prospettiva gradualistica, come sanzione più grave rispetto ad infrazioni ripetute o abituali di determinate trasgressioni dei doveri di comportamento incombenti sul titolare, ma anche come sanzione, unica e definitiva, per violazioni di particolare gravità che, ancorché commesse una sola volta, siano nella loro oggettività, ed in considerazione dei loro effetti, atte a determinare una così grave compromissione del bene Dezio, protetto, da essere ritenute significative anche nella loro unicità e quindi tali da determinare la decadenza del soggetto dal beneficio concesso.
[34] Legge 431/1985. (1985). Legge 8 agosto 1985, n. 431 – Norme per la salvaguardia delle zone di particolare interesse ambientale, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 5 agosto 1981, n. 431. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
[35] La Bandiera Blu è un riconoscimento internazionale, istituito nel 1987 Anno europeo dell’Ambiente, che viene assegnato ogni anno in 49 paesi, inizialmente solo europei, più recentemente anche extra-europei, con il supporto e la partecipazione delle due agenzie dell’ONU: UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) e UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo) con cui la FEE ha sottoscritto un Protocollo di partnership globale e riconosciuta dall’UNESCO come leader mondiale nel campo dell’educazione ambientale e dell’educazione allo sviluppo sostenibile. Bandiera Blu è un eco-label volontario assegnato alle località turistiche balneari che rispettano criteri relativi alla gestione sostenibile del territorio.
Obiettivo principale di questo programma è quello di indirizzare la politica di gestione locale di numerose località rivierasche, verso un processo di sostenibilità ambientale. Foundation for Environmental Education. (1999). Bandiera Blu. Recuperato da http://www.bandierablu.org/common/index.asp
[36]La norma ISO 13009:2015 è uno standard internazionale sviluppato dall’Organizzazione Internazionale per la Normazione (ISO) che fornisce requisiti e raccomandazioni per la gestione delle spiagge e degli stabilimenti balneari. L’obiettivo principale di questa norma è garantire la qualità, la sostenibilità e la sicurezza delle strutture e dei servizi offerti ai bagnanti. Organizzazione Internazionale per la Normazione. (2015). ISO 13009:2015 – Turismo e servizi correlati — Requisiti e raccomandazioni per la gestione delle spiagge. Recuperato da https://www.iso.org/standard/52366.html
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[48] Legambiente. (2022). Rapporto Spiagge 2022. Roma, Italia: Legambiente.
[49] Legambiente. (2020). Rapporto Spiagge 2020. Roma, Italia: Legambiente.
[50]Jona, L. (2021) Concessioni balneari, Quanto Fatturano e quanto pagano allo stato le società che gestiscono gli stabilimenti più costosi d’italia, Il Fatto Quotidiano. Disponibile su: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/06/23/concessioni-balneari-quanto-fatturano-e-quanto-pagano-allo-stato-le-societa-che-gestiscono-gli-stabilimenti-piu-costosi-ditalia/6234841/
[51] FQ Millennium (2020) “Spiaggie regalate e i sindaci si ribellano”, FQ Millennium, (66)
[52] Gli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) rappresentano uno strumento attraverso il quale si intende fornire a professionisti e imprese un riscontro accurato e trasparente sul loro livello di affidabilità fiscale. Introdotti con il decreto legge n. 50/2017, a partire dal periodo d’imposta 2018 gli ISA sostituiscono definitivamente gli studi di settore e i parametri.
[53] Ai contribuenti considerati più “virtuosi”, sulla base del punteggio ISA, sono riconosciuti una serie di particolari vantaggi. In particolare, con provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate ogni anno sono definiti i diversi punteggi in base ai quali è possibile accedere alle agevolazioni, anche con riferimento alle annualità pregresse
[54] Costa, P., & Zavattaro, L. (2020). The management of beach concessions in Italy: A study on governance models, business strategies, and sustainability practices. Ocean & Coastal Management, 192, 105215.
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