Principio di immodificabilità soggettiva del partecipante alla gara

1. Nelle gare pubbliche vige il principio di immodificabilità soggettiva del partecipante alla procedura, il quale comporta – per quanto riguarda i soggetti associati – che è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari dei concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta. Eccezioni a tale principio sono individuate dall’art. 37, commi 18 e 19, del codice degli appalti. In sintesi, il codice prevede che se viene meno il mandatario originario (per le varie cause ivi indicate) il rapporto contrattuale può proseguire con l’ATI solo se un altro operatore economico in possesso dei requisiti si costituisce come nuovo mandatario o altrimenti si estingue. Invece se viene meno il mandante il rapporto con l’ATI prosegue comunque, o con la sostituzione di quello o con l’esecuzione della prestazione, già affidata al mandante stesso, da parte del mandatario o degli altri mandanti (se ci sono).
2. Per quanto riguarda specificamente il caso in cui l’operatore economico contraente sia colpito da interdittiva antimafia ulteriori previsioni si rinvengono negli artt. 94 e 95 del codice antimafia di cui al D. L. vo n. 159 del 2011. Il codice antimafia detta (art. 95 comma 1) una disciplina sostanzialmente sovrapponibile a quella del codice appalti nel caso di interdittiva a carico dell’impresa mandante. Per il resto il codice antimafia detta invece (art. 94 comma 2) la regola generale del recesso dal contratto: così che se si ritenesse di dover applicare questa regola anche al caso della impresa mandataria di un RTI sussisterebbe un contrasto con la previsione del codice appalti che invece consente la prosecuzione del rapporto previa sostituzione del mandatario. In precedenza la normativa di riferimento (art. 11 comma 2 DPR n. 252 del 1998) facoltizzava (cioè non imponeva) in generale l’Amministrazione a recedere dal contratto con soggetto colpito da interdittiva, senza vero contrasto dunque con quanto previsto dal codice appalti.
3. Il codice appalti non opera alcun rinvio (né dinamico né statico) al codice antimafia per quanto concerne la disciplina degli effetti dell’interdittiva sui contratti di appalto stipulati da soggetti associati e appunto disciplinati dall’art. 37; quando l’art. 37 comma 19 richiama “i casi previsti dalla normativa antimafia” esso opera infatti un rinvio dinamico solo per individuare le varie ipotesi sostanziali di incapacità a contrarre derivanti appunto dalle norme antimafia (decadenze, sospensioni, divieti, interdizioni), ipotesi che il codice appalti accomuna a quelle di fallimento, morte, interdizione civilistica etc.. Fermo restando il rilievo che le due diverse normative non risultano reciprocamente bene coordinate, a giudizio del Collegio, infatti, l’art. 94 del codice antimafia nel testo vigente non può che riferirsi alla sola ipotesi in cui il soggetto colpito da interdittiva sia contraente in forma individuale. A tale risultato interpretativo si perviene osservando che le norme antimafia non contemplano espressamente il caso dell’interdittiva a carico della impresa mandataria di una ATI. In applicazione del generale canone ermeneutico secondo cui la norma generale posteriore non prevale sulla speciale anteriore, non si può ritenere che la norma antimafia (generale, perchè riguarda contratti, contributi, concessioni etc.) abbia inciso sulla previsione recata dalla normativa appalti in caso di interdittiva della mandataria, previsione che è a sua volta già speciale e già derogatoria. Non deve infatti dimenticarsi che, come si è visto sopra, la normativa di cui all’art. 37 comma 18 D. l. vo n. 163 del 2006 – oltre ad essere intrinsecamente speciale per quel che concerne gli specifici appalti ivi disciplinati e l’aggiudicazione degli stessi a concorrenti associati – comporta nell’ipotesi della sopravvenuta incapacità della mandataria una deroga al regime generale dell’immodificabilità del concorrente associato disegnato da quel codice: di talché non può ipotizzarsi che la normativa generale antimafia possa aver (silenziosamente, oltretutto) abrogato in parte qua una norma avente simili caratteristiche. Sul piano testuale, un relativo supporto alla tesi qui sostenuta si ricava anche dalla rubrica del citato art. 95 del codice antimafia (Disposizioni relative ai contratti pubblici), dalla quale risulta come quel Legislatore, certo non troppo coerentemente, ha ritenuto di intervenire sulla problematica dei concorrenti associati nei pubblici appalti solo con la previsione – essa sì speciale rispetto alla regola generale del recesso – sulle mandanti colpite da interdittiva. A parte questo rilievo testuale, la tesi della prevalenza nell’ipotesi considerata delle norme conservative dettate dal codice appalti trova soprattutto valido riscontro sul piano sistematico. E’ infatti evidente che la responsabilità dell’impresa soggetta ad infiltrazione non può che essere personale e soggettiva, in difetto di prova contraria, e non può quindi automaticamente propagarsi a carico di altri autonomi soggetti imprenditoriali: sicchè ragionevolmente il Legislatore – nel bilanciamento dei contrapposti interessi – ha inteso contemperare il prosieguo dell’iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all’ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso consentendo appunto la prosecuzione dell’appalto purchè, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini l’allontanamento e la sterilizzazione della impresa in pericolo di condizionamento mafioso. Pertanto deve concludersi che le disposizioni sulla sostituzione della mandataria divenuta incapace di cui all’art. 37, comma 18, del codice appalti si applicano anche nei casi in cui l’incapacità consegue all’adozione di una interdittiva antimafia.

Avv. Giovanni Dato

N. 00034/2016REG.PROV.COLL.
N. 00675/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 675 del 2015, proposto da:
Dussmann Service S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Filippo Martinez, Antonio Coppola, con domicilio eletto presso Antonio Coppola in Palermo, Via Messina 7/D;
contro
Azienda Ospedaliera Per L’Emergenza Ospedale Cannizzaro, rappresentato e difeso dall’avv. Nicola Seminara, con domicilio eletto presso Domenico Cantavenera in Palermo, Via Notarbartolo, 5;
nei confronti di
Pfe S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Umberto Ilardo, con domicilio eletto presso Nino Bullaro in Palermo, Via Galileo Galilei 9;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SICILIA – SEZ. STACCATA DI CATANIA: SEZIONE III n. 01267/2015, resa tra le parti, concernente appalto – affidamento del servizio di ausiliariato dell’azienda ospedaliera – stipula contratto – inefficacia;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Per L’Emergenza Ospedale Cannizzaro e di Pfe S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 novembre 2015 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati F. Martinez, N. Seminara e U. Ilardo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
L’Azienda ospedaliera Cannizzaro nel novembre 2013 ha affidato, all’esito di una gara nella cui graduatoria Dussmann Service s.r.l. si classificò al secondo posto, l’espletamento di servizi ausiliari al RTI avente Co.Lo.Coop. come mandataria e PFE s.p.a. come mandante.
Dopo la stipula del contratto, nell’aprile 2014 la competente Prefettura ha emesso una informativa antimafia interdittiva nei confronti della mandataria del Raggruppamento aggiudicatario.
L’Azienda ha fatto recesso dal contratto e successivamente ha interpellato Dussmann per il subentro.
In seguito, in adesione a parere redatto da un legale di fiducia, con delibera 2821/2014 l’Azienda è andata in diverso avviso e ha invitato PFE a costituirsi in raggruppamento con altra mandataria ai fini della prosecuzione del rapporto.
Dussmann ha impugnato tale deliberazione con ricorso proposto avanti al TAR Catania, sostenendo che in base alla normativa di cui al codice antimafia l’Azienda era obbligata a far cessare ogni rapporto contrattuale con quel Raggruppamento.
Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale ha respinto il gravame, rilevando la coerenza del comportamento tenuto dall’Azienda rispetto alle specifiche previsioni dettate dal codice degli appalti.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla Impresa soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma previa sospensione dell’esecutività.
Si è costituita in resistenza l’Azienda ospedaliera.
Si è altresì costituita la PFE che ha domandato il rigetto dell’appello.
Con ordinanza 452 del 2015 questo Consiglio ha respinto l’istanza cautelare.
Le Parti hanno depositato memorie e note di replica, insistendo nelle
già rappresentate conclusioni.
All’udienza del 18 novembre 2015 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello non è fondato e va pertanto respinto.
Con l’unico motivo di impugnazione l’appellante sostiene che qualora l’impresa mandataria di una ATI affidataria di un servizio sia colpita da informativa antimafia l’Amministrazione – ai sensi dell’art. 94 comma 2 del codice antimafia di cui al D. L. vo n. 159 del 2011 – altro non può fare che recedere definitivamente da ogni rapporto contrattuale con quel raggruppamento.
Secondo l’appellante, dunque, in caso di informativa interdittiva a carico della mandataria sono non applicabili le diverse previsioni contenute nell’art. 37 comma 18 del codice degli appalti.
Il mezzo non merita, a giudizio del Collegio, favorevole considerazione.
Come è noto, nelle gare pubbliche vige il principio di immodificabilità soggettiva del partecipante alla procedura, il quale comporta – per quanto riguarda i soggetti associati – che è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari dei concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta.
Eccezioni a tale principio sono individuate dall’art. 37 del codice degli appalti il quale così prevede ai commi 18 e 19:
“18. In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto.
19. In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.”.
In sintesi, il codice prevede che se viene meno il mandatario originario ( per le varie cause ivi indicate) il rapporto contrattuale può proseguire con l’ATI solo se un altro operatore economico in possesso dei requisiti si costituisce come nuovo mandatario o altrimenti si estingue.
Invece se viene meno il mandante il rapporto con l’ATI prosegue comunque, o con la sostituzione di quello o con l’esecuzione della prestazione, già affidata al mandante stesso, da parte del mandatario o degli altri mandanti ( se ci sono).
Per quanto riguarda specificamente il caso in cui l’operatore economico contraente sia colpito da interdittiva antimafia ulteriori previsioni si rinvengono negli artt. 94 e 95 del codice antimafia di cui al D. L. vo n. 159 del 2011.
L’art. 94 così recita:
“ 1. Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.
2. Qualora il prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91 comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
3. I soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi.
4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche nel caso in cui emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione.”
L’art. 95 così dispone al comma 1:
“1. Se taluna delle situazioni da cui emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91, comma 6, interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un’associazione o raggruppamento temporaneo di imprese, le cause di divieto o di sospensione di cui all’articolo 67 non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto.”.
Come è evidente, il codice antimafia detta ( art. 95 comma 1) una disciplina sostanzialmente sovrapponibile a quella del codice appalti nel caso di interdittiva a carico dell’impresa mandante.
Per il resto il codice antimafia detta invece ( art. 94 comma 2) la regola generale del recesso dal contratto: così che se si ritenesse di dover applicare questa regola anche al caso della impresa mandataria di un RTI sussisterebbe un contrasto con la previsione del codice appalti che come si è visto sopra consente invece la prosecuzione del rapporto previa sostituzione del mandatario.
Prima di affrontare la questione interpretativa deve evidenziarsi che la stessa trova origine solo con l’emanazione del codice antimafia: in precedenza infatti la normativa di riferimento ( art. 11 comma 2 DPR n. 252 del 1998) facoltizzava ( cioè non imponeva) in generale l’Amministrazione a recedere dal contratto con soggetto colpito da interdittiva, senza vero contrasto dunque con quanto previsto dal codice appalti.
Tanto chiarito, sotto un primo profilo la tesi dell’appellante è così compendiabile:
– il codice appalti opera un rinvio dinamico alle norme antimafia;
– il codice antimafia in caso di interdittiva impone il recesso dal contratto di appalto con qualsivoglia soggetto singolo o associato ( in questo caso se è colpita la mandataria) ;
– fa eccezione alla regola solo il caso in cui l’interdittiva colpisce la mandante.
Questa impostazione ermeneutica non può essere seguita perché il codice appalti non opera alcun rinvio ( né dinamico né statico) al codice antimafia per quanto concerne la disciplina degli effetti dell’interdittiva sui contratti di appalto stipulati da soggetti associati e appunto disciplinati dall’art. 37.
Quando l’art. 37 comma 19 richiama “ i casi previsti dalla normativa antimafia” esso opera infatti un rinvio dinamico solo per individuare le varie ipotesi sostanziali di incapacità a contrarre derivanti appunto dalle norme antimafia ( decadenze, sospensioni, divieti, interdizioni), ipotesi che il codice appalti accomuna a quelle di fallimento, morte, interdizione civilistica etc..
Quindi la tesi del rinvio non è praticabile per quanto riguarda la disciplina degli effetti sul contratto della perdita della capacità a contrarre.
Sotto un diverso profilo l’appellante sostiene che in ogni caso la norma antimafia, in quanto speciale, prevale sulla previsione generale del codice appalti ancorché questa resti pacificamente vigente per regolare gli altri casi di perdita della soggettività da parte di uno degli imprenditori associati ( fallimento morte etc.).
Vero è che il codice antimafia non disciplina espressamente gli effetti dell’interdittiva sulla impresa mandataria: tuttavia, osserva l’appellante, il fatto che il codice antimafia esenta la P.A. dal recesso obbligatorio nel caso di mandante interdetta, comporta ( esclusione unius inclusione alterius) che la mandataria interdetta rientri nella regola generale del recesso doveroso.
Anche questo mezzo non risulta fondato.
Fermo restando il rilievo che le due diverse normative non risultano reciprocamente bene coordinate, a giudizio del Collegio, infatti, l’art. 94 del codice antimafia nel testo vigente non può che riferirsi alla sola ipotesi in cui il soggetto colpito da interdittiva sia contraente in forma individuale.
A tale risultato interpretativo si perviene osservando che le norme antimafia – come si è più volte detto – non contemplano espressamente il caso dell’interdittiva a carico della impresa mandataria di una ATI.
Ne consegue – secondo la tesi dell’appellante – che l’estinzione del rapporto con quella ATI dipende dall’applicazione anche a tale fattispecie della regola generale del recesso obbligatorio della PA dai contratti conclusi con imprenditori colpiti da interdittiva.
Tanto precisato, questa tesi interpretativa non può essere seguita.
Infatti, in applicazione del generale canone ermeneutico secondo cui la norma generale posteriore non prevale sulla speciale anteriore, non si può ritenere che la norma antimafia ( generale, perchè riguarda contratti, contributi, concessioni etc.) abbia inciso sulla previsione recata dalla normativa appalti in caso di interdittiva della mandataria, previsione che è a sua volta già speciale e già derogatoria.
Non deve infatti dimenticarsi che, come si è visto sopra, la normativa di cui all’art. 37 comma 18 D. l. vo n. 163 del 2006 – oltre ad essere intrinsecamente speciale per quel che concerne gli specifici appalti ivi disciplinati e l’aggiudicazione degli stessi a concorrenti associati – comporta nell’ipotesi della sopravvenuta incapacità della mandataria una deroga al regime generale dell’immodificabilità del concorrente associato disegnato da quel codice: di talché non può ipotizzarsi che la normativa generale antimafia possa aver (silenziosamente, oltretutto) abrogato in parte qua una norma avente simili caratteristiche.
Sul piano testuale, un relativo supporto alla tesi qui sostenuta si ricava anche dalla rubrica del citato art. 95 del codice antimafia (Disposizioni relative ai contratti pubblici), dalla quale risulta come quel Legislatore, certo non troppo coerentemente, ha ritenuto di intervenire sulla problematica dei concorrenti associati nei pubblici appalti solo con la previsione – essa sì speciale rispetto alla regola generale del recesso – sulle mandanti colpite da interdittiva.
A parte questo rilievo testuale, la tesi della prevalenza nell’ipotesi considerata delle norme conservative dettate dal codice appalti trova soprattutto valido riscontro sul piano sistematico.
E’ infatti evidente che la responsabilità dell’impresa soggetta ad infiltrazione non può che essere personale e soggettiva, in difetto di prova contraria, e non può quindi automaticamente propagarsi a carico di altri autonomi soggetti imprenditoriali: sicchè ragionevolmente il Legislatore – nel bilanciamento dei contrapposti interessi – ha inteso contemperare il prosieguo dell’iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze afferenti alla sicurezza e all’ordine pubblico connesse alla repressione dei fenomeni di stampo mafioso consentendo appunto la prosecuzione dell’appalto purchè, a mezzo di pronte misure espulsive, si determini l’allontanamento e la sterilizzazione della impresa in pericolo di condizionamento mafioso.
Pertanto deve concludersi che, come del resto evidenziato dal TAR con richiamo ad ampia giurisprudenza conforme, le disposizioni sulla sostituzione della mandataria divenuta incapace di cui all’art. 37 comma 18 del codice appalti si applicano anche nei casi in cui l’incapacità consegue all’adozione di una interdittiva antimafia ( ad es. V Sez. n. 169 del 2015 e n. 986 del 2015, nonché IV Sez. n. 3344 del 2014).
Del resto, come assai acutamente rileva la Difesa dell’Azienda, a ben vedere sul piano strettamente ed esclusivamente formale non sussiste, tra i due corpi normativi qui considerati, alcuna insanabile divergenza.
Infatti nel caso di ATI con mandataria infiltrata le previsioni del codice appalti riguardano il rapporto sostanziale di affidamento dell’appalto, del quale consentono a certe condizioni la prosecuzione dopo l’estromissione della mandataria stessa: ma tale prosecuzione del rapporto sostanziale implica sempre – in chiave bifasica – il previo recesso della PA dal contratto originariamente stipulato ( in linea con le previsioni antimafia) e la sostituzione di questo con altro contratto, come appunto di fatto avvenuto nel caso all’esame.
L’appello va pertanto respinto.
Le spese del giudizio sono compensate, avuto riguardo alle incertezze che hanno contrassegnato il comportamento dell’Amministrazione e alla complessità della questione trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa spese e onorari di questo grado del giudizio tra tutte le Parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Antonino Anastasi, Consigliere, Estensore
Vincenzo Neri, Consigliere
Giuseppe Mineo, Consigliere
Alessandro Corbino, Consigliere

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)