Un Ente può sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma di legge per violazione della competenza legislativa concorrente della Regione, anche laddove la Regione contesti detta tesi: ciò in quanto ricorre una questione di diritto oggettivo che non è soggetta allo scrutinio in punto di legittimazione attiva.
Il potere espropriativo dell’Amministrazione non è condizionato dalla circostanza che i beni sui quali lo stesso si esercita siano soggetti a procedura fallimentare.

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dei commi 3, 9 10 e 13 del vigente testo dell’art. 33 del. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 nella parte in cui non prevedono che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio sia preceduto dall’intesa tra lo Stato e la regione Campania con riferimento ai parametri di cui agli artt. 117, comma 2, lettera m) e comma 3 della Costituzione e da una specifica valorizzazione del ruolo del comune con riferimento all’art. 118 comma 1 della Costituzione;

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità del seguente inciso contenuto nel comma 12 dell’art. 33 del vigente testo dell’art. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 “tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8.

L’emissione degli strumenti finanziari di cui al presente comma non comporta l’esclusione dai limiti relativi al trattamento economico stabiliti dall’ articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214” con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione, 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione.

Pubblicato il 23/05/2017
N. 02407/2017REG.PROV.COLL.
N. 06886/2016 REG.RIC.
N. 08347/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 6886 del 2016, proposto dal Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Anna Pulcini, Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso lo studio Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza, 50/A;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati, costituitisi in giudizio;
Commissario Straordinario del Governo per la Bonifica Ambientale e la Rigenerazione Urbana dell’Area Bagnoli – Coroglio, curatela del fallimento della società Bagnolifutura in liquidazione s.p.a., Salvatore Nastasi non costituiti in giudizio;
Società Invitalia, Agenzia Nazionale Attrazione Investimenti e Sviluppo D’Impresa s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna 32;
Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Lacatena, Maria D’Elia, Almerina Bove, con domicilio eletto presso la Regione Campania Ufficio di .Rappresentaza.Regione Campania in Roma, via Poli N.29;
nei confronti di
Verdi Ambiente e Società Aps Onlus, Associazione Cittadini Per Bagnoli non costituiti in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 8347 del 2016, proposto dalla curatela del fallimento della società Bagnolifutura s.p.a. in liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gennaro Terracciano, con domicilio eletto presso lo studio Gennaro Terracciano in Roma, piazza S. Bernardo 101;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato,costituitosi in giudizio;
nei confronti di
Società Invitalia Agenzia Nazionale per l’Attrazone degli Investimenti s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna 32;
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi, Anna Pulcini, con domicilio eletto presso lo studio Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza 50/A;
Commissario Straordinario di Governo per la Bonifica Ambientale e la Rigenerazione Urbana non costituito in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6886 del 2016:
della sentenza del T.a.r. per la Campania – Sede di Napoli- Sezione I n. 1471/2016.
quanto al ricorso n. 8347 del 2016:
della sentenza del T.a.r. per la Campania –Sede di Napoli- Sezione I n. 3754/2016.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del Ministero dello Sviluppo Economico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti della società Invitalia, Agenzia Nazionale Attrazione Investimenti e Sviluppo d’Impresa s.p.a. della Regione Campania e del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato dello Stato F. Fedeli, e gli avvocati F.M. Ferrari, F. Cintioli, G. Lo Pinto, R. Panariello su delega di Lacatena, Bove, D’Elia G. Terracciano,;
Visto l’art. 36, comma 2, del codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Ricorso r.g.n. 6886/2016 proposto avverso la sentenza r.g.n. 1471 del 22 marzo 2016;

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 1471 del 22 marzo 2016 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Sede di Napoli – ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante comune di Napoli teso ad ottenere l’annullamento dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3.9.2015 e del 15.10.2015, rispettivamente di nomina del Commissario straordinario di governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio e di adozione di interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio.
2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, la società Invitalia Agenzia nazionale per l’attrazione di investimenti s.p.a.(d’ora in poi Invitalia) la Regione Campania, il Commissario Straordinario del Governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione dell’area di Bagnoli, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si erano costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso in quanto inammissibile e comunque infondato;
la società originaria controinteressata Invitalia costituendosi aveva eccepito l’incompetenza territoriale del giudice adito e nel merito, l’infondatezza del ricorso, mentre l’associazione di promozione sociale denominata “Verdi, ambiente e società” e l’associazione denominata “Cittadini per Bagnoli”erano intervenute ad adiuvandum (e la controinteressata Invitalia aveva contestato l’ammissibilità del detto intervento).
3. Il T.a.r., con la sentenza impugnata ha immediatamente rilevato che:
a) con il decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, cosiddetto “decreto Sblocca – Italia” convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164, erano state adottate “misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività” ed in particolare, all’articolo 33 del suddetto decreto legge erano state dettate disposizioni per disciplinare la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale, con particolare riferimento al comprensorio Bagnoli – Coroglio;
b) detta normativa era stata modificata dal decreto legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 125 ed in attuazione di essa, con specifico riferimento all’area di rilevante interesse nazionale Bagnoli-Coroglio, con decreto del presidente del consiglio dei ministri in data 3 settembre 2015, era stato nominato il commissario straordinario del governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana di tale area mentre con successivo decreto del presidente del consiglio dei ministri in data 15 ottobre 2015, era stata disciplinata la cabina di regia di cui al comma 13 dell’articolo 33 del decreto-legge richiamato, nominato il soggetto attuatore previsto ai commi 6 e 12 dello stesso articolo 33, già individuato per legge nell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti società per azioni, definiti i compiti del soggetto attuatore, i primi interventi e i relativi finanziamenti, i rapporti tra il commissario straordinario e il soggetto attuatore ed era stata trasferita al soggetto attuatore la proprietà delle aree e degli immobili interessati dagli interventi, precedentemente in proprietà della società per azioni Bagnoli Futura in fallimento;
b1) detto provvedimento, in applicazione del comma 12 del citato articolo 33, aveva disciplinato la costituzione di una società per azioni allo scopo della salvaguardia e riqualificazione delle aree e degli immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio;
c) le censure proposte dall’appellante comune di Napoli erano volte a sostenere l’illegittimità costituzionale delle suindicate disposizioni di legge, da cui sarebbe –in tesi- discesa, in via derivata, l’illegittimità degli atti amministrativi impugnati;
d) nelle more della trattazione del ricorso, era intervenuta la conversione in legge, con legge 25 febbraio 2016, n. 21 del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative” e l’art. 11 bis del suddetto decreto-legge, sotto la rubrica “Proroga di termini in materia ambientale”, aveva apportato modificazioni ad alcune delle disposizioni di legge di cui la parte originaria ricorrente aveva contestato la legittimità costituzionale.
3.1. Il T.a.r., in via preliminare, ha poi:
a) respinto la eccezione di incompetenza eccepita dalla società originaria controinteressata Invitalia;
b) parimenti disatteso la eccezione di inammissibilità dell’intervento “ad adiuvandum” spiegato dalle associazioni intervenute nel processo sollevata dalla società originaria controinteressata Invitalia.
3.2. Nel merito, la sentenza impugnata ha:
a) partitamente scrutinato le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della normativa costituente la base giuridica dei provvedimenti impugnati dichiarandole manifestamente infondate, non rilevanti, ovvero genericamente formulate ed in particolare ha:
I) respinto –in quanto manifestamente infondate- le composite questioni sollevate nel primo motivo di ricorso attingente il decreto legge in se e per sé considerato e volto a contestare la sussistenza dei presupposti per il ricorso alla decretazione d’urgenza;
II) dichiarato improcedibile la prima articolazione della questione sollevata nella seconda doglianza ed incentrata sulla supposta violazione del principio costituzionale di sussidiarietà, (articolo 118 comma 1 della Costituzione), in quanto era sopravvenuta la riscrittura del comma 12 dell’art. 33 da parte del d.L. “mille proroghe” 30 dicembre 2015, n. 210 convertito in legge 25 febbraio 2016, n. 21 e la nuova formulazione della legge non prevedeva più il coinvolgimento dei privati nei programmi di rigenerazione urbana, mediante la partecipazione al capitale della società di scopo in precedenza prefigurata, il che implicava il venir meno dell’interesse alla delibazione della doglianza;
II) dichiarato inammissibile la seconda articolazione della questione sollevata nella seconda doglianza incentrata sulla supposta violazione delle prerogative regionali (articolo 114 della Costituzione), sostenendo che il Comune non fosse legittimato a dolersi di tale supposta evenienza;
III) del pari dichiarato improcedibile la questione sollevata nella terza doglianza (incentrata sull’asserita violazione dell’articolo 117 comma 1 della Costituzione e degli articoli 102, 104, 24, 42 della Costituzione da parte, specificamente, del comma 12 dell’art. 33 con riferimento al fallimento della società Bagnoli Futura ed alla previsione che alla procedura fallimentare venisse riconosciuto, a cura della società di scopo costituita dal soggetto attuatore, un importo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, il cui rimborso era legato all’incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti) in quanto era sopravvenuta la riscrittura del comma 12 dell’art. 33 da parte del d.L. “mille proroghe” 30 dicembre 2015, n. 210 convertito in legge 25 febbraio 2016, n. 21;
IV) dichiarato manifestamente infondata la questione sollevata nella quarta doglianza, in quanto la specificità assoluta dell’area implicava la ragionevolezza della legge provvedimento che aveva dichiarato il sito di Bagnoli di rilevante interesse nazionale, al fine del conferimento a un organo statale del potere di bonifica e rigenerazione urbanistica dell’area;
V) evidenziato che l’ultimo argomento introdotto dalla difesa del comune, in relazione a una pretesa violazione del “giudicato fallimentare” era stato accennato solo genericamente.
4. Il Comune di Napoli originario ricorrente rimasto soccombente, ha impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico.
Ripercorse le tappe salienti del risalente contenzioso e richiamata la normativa che – a suo dire- collideva con le tesi esposte nella impugnata decisione ha dedotto che:
a) (primo motivo)la declaratoria di improcedibilità resa con riferimento ad alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate, era stata pronunciata dal T.a.r. ex officio senza che al comune originario ricorrente fosse stato dato l’ avviso ai sensi del comma III dell’ art. 73 del c.pa.: la sentenza era pertanto nulla, e tale avrebbe avrebbe dovuto essere dichiarata con rinvio al T.a.r. medesimo, ex art. 105 del c.p.a.;
b) nel merito, ha riproposto tutte le questioni di illegittimità costituzionale disattese dal T.a.r., attualizzandole rispetto al la motivazione reiettiva contenuta nella sentenza, e segnatamente ha dedotto che:
I)(secondo motivo) l’avversato decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133 violava l’art. 77 della Costituzione (sia in quanto v’era ivi contenuta una congerie di disposizioni disomogenee tali da far ritenere che l’art. 33 contestato fosse una “norma intrusa” sia perché privo dei requisiti di urgenza in quanto vigeva nel sistema una disposizione ad hoc, rappresentata dall’art. 252 del d.Lgs n. 152/1996 -);
II) (terzo motivo) del pari risultavano violati l’art. 117c. II lett. M e l’art. 118 della Costituzione che prescrivevano il rispetto del principio di sussidiarietà;
III) (quarto motivo,erroneamente rubricato n. 2) era stata omessa alcuna statuizione (e per ciò solo la sentenza era viziata ex art. 112 c.p.c.) in ordine alla censura concernente la violazione degli artt. 114 e 117 comma III della Costituzione in punto di rispetto del principio di leale collaborazione: erroneamente, sul punto, era stato semplicemente affermato dal T.a.r. che il comune non aveva legittimazione a sollevare la questione;
IV) (quinto motivo, erroneamente rubricato n. 4) il T.a.r. erroneamente aveva considerato “generiche” le doglianze incentrate sulla violazione del precetto di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione agli artt. 102,104 e 24 della Costituzione; la avversata disciplina legislativa era intervenuta mentre era già stato dichiarato il fallimento della società Bagnolifutura s.p.a.: si era quindi retroattivamente intervenuti, ledendo i diritti di coloro i quali erano coinvolti nella procedura fallimentare (e tra essi il Comune odierno appellante, quale attore in rivendica, nei confronti della curatela, di opere di urbanizzazione secondaria realizzate dalla Società di trasformazione urbana fallita) prevedendo strumenti di soddisfacimento del ceto creditorio di incerta natura;
V) (sesto motivo, erroneamente rubricato n. 5) in ultimo, il T.a.r aveva respinto con considerazioni generiche (id est: la sussistenza di un grave stato di degrado dell’area) l’ultimo motivo del ricorso di primo grado (incentrato sulla violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 con della Costituzione) mediante il quale si era contestato che una legge-provvedimento potesse considerare le aree comprese nel comprensorio Bagnoli-Coroglio di rilevante interesse nazionale prevedendo una regolamentazione ad hoc del relativo procedimento di approvazione del Programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana: il degrado del sito era un dato “storicizzato” sul quale, in precedenza, le amministrazioni centrali erano rimaste inerti (come dimostrato dalla circostanza che gli Accordi di Programma Quadro 2003-2007 non erano riusciti a risolvere la problematica) e pertanto non poteva costituire il presupposto per un intervento normativo di urgenza.
5. In data 5.9.2016 la società originaria controinteressata Invitalia si è costituita depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello ed in data 24.2.2017 ha depositato documenti.
6. In data 5.9.2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello ed in data 24.2.2017 ha depositato documenti.
7. In data 23.9.2016 la Regione Campania si è costituita depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello.
8. In data 6.3.2017 la società originaria controinteressata Invitalia ha depositato una articolata memoria, e dopo avere riepilogato le più salienti tappe della vicenda procedimentale e giurisdizionale ha chiesto che il ricorso in appello venisse dichiarato inammissibile od infondato.
9. In data 6.3.2017 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.
10. In data 6.3.2017 la Regione Campania ha depositato una articolata memoria, chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.
11. In data 14. 3.2017 il Comune di Napoli ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
11.Alla odierna udienza pubblica del 6 aprile 2017 causa è stata trattenuta in decisione.

Ricorso r.g.n. 8347/2016 proposto avverso la sentenza r.g.n. 3754 del 20 luglio 2016;

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 3754 del 20 luglio 2016 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Sede di Napoli – ha respinto il ricorso –corredato da motivi aggiunti – proposto dalla odierna parte appellante Fallimento Bagnolifutura s.p.a. in liquidazione, teso ad ottenere l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.10.2015, recante l’ adozione di interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio.
2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, la società Invitalia Agenzia nazionale per l’attrazione di investimenti s.p.a. (d’ora in poi Invitalia) il Commissario Straordinario del Governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione dell’area di Bagnoli, si erano costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso in quanto inammissibile e comunque infondato; il comune di Napoli ne aveva invece chiesto l’accoglimento, facendo presente di avere proposto analogo e separato ricorso;
la società originaria controinteressata Invitalia costituendosi aveva eccepito l’incompetenza territoriale del giudice adito e nel merito, l’infondatezza del ricorso, mentre l’associazione di promozione sociale denominata “Verdi, ambiente e società” e l’associazione denominata “Cittadini per Bagnoli”erano intervenute ad adiuvandum (e la controinteressata Invitalia aveva contestato l’ammissibilità del detto intervento).
3. Il T.a.r., con la sentenza impugnata – dopo avere dato atto che il T.a.r. del Lazio in origine adito aveva declinato la propria competenza ed il ricorso era stato tempestivamente riassunto innanzi al T.a.r. della Campania – ha in via preliminare rilevato che la legittimazione della società odierna appellante a proporre il ricorso era incontestabile, in quanto la predetta società per azioni Bagnolifutura, interamente pubblica e attualmente in liquidazione, era stata costituita con la partecipazione del comune di Napoli, al 90%, della regione Campania, al 7,5% e della provincia di Napoli, al 2,5%, con finalità di trasformazione urbana; in particolare, lo scopo della società medesima, (costituita nel 2002) riposava nella progettazione e realizzazione di interventi di trasformazione urbana da realizzare nell’area industriale di Bagnoli-Coroglio, già appartenente alla Ilva società per azioni e alla Eternit società per azioni (detta area era pervenuta in proprietà a Bagnolifutura per conferimento da parte del comune di Napoli, nell’ambito di una complessa procedura per la bonifica del sito, già dichiarato di interesse nazionale); era poi seguita una intricata vicenda contenziosa in esito alla quale il Tribunale di Napoli, con sentenza numero 188 del 2014, aveva dichiarato il fallimento della società Bagnolifutura, nominando un collegio di curatori anche per assicurare la corretta gestione delle aree di proprietà della società, ed i terreni di proprietà di Bagnolifutura, erano stati altresì sottoposti a sequestro giudiziario, nel corso di un’indagine penale sulla bonifica mai eseguita.
3.1. Il primo Giudice ha quindi ricostruito quale fosse la disciplina contestata, nei medesimi termini già illustrati prima, in con riferimento alla sentenza n. 1471 del 22 marzo 2016.
3.1. Il T.a.r., con la prima parte “di merito” della sentenza impugnata ha:
a) scrutinato le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei primi due motivi di ricorso nei confronti della normativa costituente la base giuridica dei provvedimenti impugnati e dichiarato le medesime manifestamente infondate in quanto:
I) esse, per il tramite della asserita violazione del d.p.r. numero 327 del 2001(testo unico sull’espropriazione) nel sostenere la invalidità derivata del provvedimento impugnato erano volte a denunciare la forma di espropriazione “de facto” inverata attraverso il meccanismo di trasferimento delle proprietà previsto dal dPCM (articolo 6, comma 1, e 7) attuativo dell’articolo 33 del decreto legge, in quanto lesiva degli interessi dei creditori contestandosi la circostanza che ivi non era quantificato alcun indennizzo a fronte del trasferimento dei beni, e la aleatorietà delle modalità di rimborso;
II) ma la specificità della situazione del sito di interesse nazionale oggetto del provvedimento consentiva di dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate in riferimento alla censura di violazione del procedimento dettato dal testo unico sulle espropriazioni e alla omessa espressa attribuzione di poteri ablatori alle autorità procedenti;
III) era stato infatti soddisfatto il presupposto formale scolpito nella Costituzione -che affidava alla legge la possibilità di disciplinare le procedure espropriative-; la deroga al normale procedimento espropriativo dettato dal testo unico n. 327/2001 non poteva essere ritenuta in contrasto con la legalità costituzionale; e non risultava violato l’articolo uno del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 in quanto si era al cospetto di una legge che aveva stabilito l’acquisizione dei beni da parte di un organo statale per una causa di pubblica utilità (la bonifica degli stessi in vista del risanamento ambientale e a tutela della salute pubblica) e la previsione di un indennizzo commisurato al valore di mercato dei beni: l’invocato articolo uno del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosceva infatti agli Stati il diritto di emanare leggi necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale.
b) quanto alla dedotta questione di illegittimità riposante nella omessa previsione dell’indennizzo, la decisione sulla fondatezza di queste censure doveva dipendere necessariamente dalla valutazione delle sopravvenienze normative.
3.2. E proprio con riferimento a tale profilo, nella seconda parte della impugnata decisione, il T.a.r. ha rilevato che:
a) il comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge era stato completamente modificato dall’articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito nella legge 25 febbraio 2016, numero 21, e la riscrittura della disposizione aveva determinato la completa soppressione della società di scopo aperta ai privati,in origine prevista; era stato altresì modificato il meccanismo di indennizzo della curatela fallimentare di Bagnolifutura;
b) in particolare, il novellato comma 12 aveva riconosciuto alla procedura fallimentare un importo, corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non superiore a 15 anni.
3.3. Tenuto conto della sopravvenuta modifica legislativa, il T.a.r. ha quindi ritenuto che:
a) era venuta meno la procedibilità della questione di legittimità costituzionale contenuta nel ricorso introduttivo ed incentrata sulle modalità di corresponsione dell’indennizzo contenute nel testo originario del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133;
b) erano del pari improcedibili le questioni contenute nei motivi III e IV del ricorso di primo grado, (laddove era stato evocato il parametro di cui all’articolo 47 della Costituzione in materia di tutela del risparmio ed era stata denunciata la violazione dei principi generali in materia di procedure di insolvenza, con riferimento a specifici articoli della legge fallimentare, violazione dell’articolo 1376 del codice civile e dei principi generali in materia di costituzione delle società per azioni):
b1) ciò, in quanto la determinazione dell’indennizzo spettante alla curatela fallimentare avrebbe dovuto avvenire in attuazione dei criteri introdotti dalla nuova formulazione del comma 12 del decreto legge, e pertanto doveva essere esclusa l’attualità dell’interesse a censurare un meccanismo di rimborso oramai impraticabile per legge;
c) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale evocata nel quinto motivo di censura (laddove era stata sostenuta la violazione degli articoli 3, 97, 24, 113 della Costituzione da parte del comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge, avendo tale ultima norma azzerato tutti i poteri degli organi del fallimento) esprimendo il convincimento per cui non era sostenibile una sorta di immunità della massa attiva fallimentare rispetto alla procedura espropriativa.
3.4. Nell’ultima parte della impugnata sentenza, infine, il T.a.r. ha dato atto che la parte odierna appellante aveva proposto un ricorso per motivi aggiunti in seno al quale:
a) aveva sostenuto che la sopravvenuta disciplina legislativa(articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, convertito nella legge 25 febbraio 2016, numero 21) che aveva modificato il comma 12 dell’articolo 33 della legge 164 del 2014 non mutava l’attualità ed il permanente interesse sotteso alle censure già proposte nel ricorso introduttivo, in quanto non introduceva un nuovo meccanismo di rimborso in favore della procedura fallimentare a fronte del trasferimento coattivo dei beni del fallimento in quanto l’emissione di strumenti finanziari era configurata come unica alternativa di indennizzo;
b) aveva dedotto un nuovo motivo d’illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 in quanto contrastante con la novella di cui al decreto legge numero 210 del 2015 (che aveva in parte modificato le modalità di liquidazione dell’indennizzo, configurate mediante strumenti finanziari della durata di 15 anni): il decreto impugnato, infatti, prevedeva quale modalità di rimborso l’attribuzione di azioni da parte di una società di scopo.
3.5. Il T.a.r. anche di tali nuove questioni ha dichiarato l’infondatezza manifesta, deducendo che:
a) da un canto, la modifica del decreto legge rafforzava la legittimità costituzionale della normativa in quanto:
I) l’eliminazione di ogni riferimento alla costituzione di una società di scopo, aperta a soggetti privati, contribuiva a ritenere ravvisabile una legittima espropriazione per legge di aree inquinate per finalità di bonifica, di risanamento ambientale, di tutela della salute, riconducibili ad un prevalente interesse pubblico;
II) la commisurazione dell’indennizzo al valore di mercato delle aree corrispondeva pienamente al paradigma dettato dall’articolo 42, terzo comma della Costituzione, oltre che ai principi recati dal protocollo addizionale alla C.E.D.U.;
III) la novella legislativa, prevedendo il versamento alla curatela fallimentare di strumenti finanziari rimborsabili entro il termine di 15 anni, consentiva di superare le perplessità sulla certezza dell’indennizzo e sui tempi della corresponsione di esso;
b) per altro verso, ben a ragione la parte originaria ricorrente aveva segnalato la incoerenza del provvedimento impugnato con la sopravvenuta modifica normativa, laddove il decreto governativo riconosceva alla procedura fallimentare un importo da versare mediante azioni o altri strumenti finanziari che avrebbero dovuto essere emessi dalla società di scopo aperta ai privati, ma detta “nuova censura” era inammissibile per carenza di interesse in quanto:
I) l’avvenuta abrogazione della norma che prevedeva la costituzione di tale società di scopo determinava l’inattualità delle disposizioni del provvedimento impugnato destinate ad aprire nuovi sub-procedimenti per la costituzione della società di scopo, per il trasferimento a questa società dei beni immobili espropriati, per l’emissione di azioni o altri strumenti finanziari da parte della società di scopo da corrispondere alla curatela fallimentare;
II) ciò, in quanto, i futuri sub-procedimenti, ancora non avviati, avrebbero dovuto necessariamente conformarsi al nuovo contesto giuridico (ed ove invece, per avventura fossero stati in futuro emessi atti esecutivi del provvedimento impugnato in contrasto con la norma primaria sopravvenuta, essi avrebbero potuto essere impugnati deducendo detto vizio).
4. La curatela del fallimento della società Bagnolifutura s.p.a. in liquidazione, originaria ricorrente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione, criticandola sotto ogni angolo prospettico.
4.1. Ripercorse le tappe salienti del risalente contenzioso e richiamata la normativa che – a suo dire- collideva con le tesi esposte nella impugnata decisione ha fatto innanzitutto presente che la declaratoria di improcedibilità resa con riferimento ad alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate, era errata, atteso che la modifica al testo originario del comma 12 dell’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, avvenuta in corso di giudizio mercè l’ articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, convertito nella legge 25 febbraio 2016, numero 21 non elideva le censure prospettate in quanto (considerazioni, queste, via via reiterate nei singoli motivi di censura e soprattutto nella settima doglianza):
I) permaneva la criticità rappresentata dalla previsione di un indennizzo del quale non erano stati definiti i contorni;
II) permaneva l’assenza di poteri espropriativi in capo al soggetto attuatore ed al Commissario;
III) permaneva altresì la “esautorazione” degli organi del fallimento e la minorazione dei diritti di difesa dei creditori.
4.2. Nel merito, dopo avere rappresentato che essa non criticava il lodevole interesse manifestato dal Governo a risolvere l’annoso problema dello stato critico in cui versava l’area di Bagnoli, ma mirava a tutelare gli interessi della curatela confliggenti con il concreto “disegno” contenuto nelle disposizioni legislative sottese all’impugnato decreto, l’odierna appellante ha proposto sette specifiche censure, deducendo che:
a) (prime due censure) né l’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133 né gli artt. 6 e 7 del contestato DPCM, pur prevedendo quest’ultimo che “L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti s.p.a. e’ autorizzata a provvedere alla trascrizione del presente decreto ai
sensi e ai fini di cui all’art. 2644 c.c. ” avevano conferito poteri espropriativi in capo al soggetto attuatore ed al Commissario e pertanto:
il DPCM violava gli artt. 1,8,9,10,11,12,13 del dPr n. 327/2001;
II) la legge ad esso sottesa violava l’art. 43 della Costituzione;
il T.a.r. aveva disatteso la censura erroneamente richiamando l’art. 42 della Costituzione;
IV) la prescrizione di legge, invece, violava proprio il terzo comma dell’art. 42 suddetto, e prevedeva una forma di indennizzo “incerto” in quanto non previamente quantificato, e concerneva beni non rientranti tra quelli indicati dall’art. 43 della Carta Fondamentale;
V) ne risultava stravolta la sequenza-tipo del procedimento espropriativo (vincolo preordinato all’esproprio; dichiarazione di pubblica utilità; decreto di esproprio) in quanto il trasferimento della proprietà (di regola momento finale e consequenziale a quelli prima indicati) precedeva invece ogni altro “passaggio”;
VI) ciò in quanto l’approvazione del programma di rigenerazione urbana (che costituiva variante e dichiarazione di pubblica utilità) era successivo alla trascrizione del passaggio della proprietà delle aree (art. 33 commi 10 e segg.);
b) (terza censura) l’avversato DPCM, (art. 7:”A fronte del trasferimento delle aree e immobili di cui al precedente art. 3, la societa’ di scopo di cui al comma 1 riconosce alla procedura fallimentare della Bagnoli Futura s.p.a. in fallimento un importo determinato sulla base del valore di mercato di dette aree e immobili stimato dall’Agenzia del demanio ai sensi del citato comma 12 dell’art. 33 del decreto-legge n. 133 del 2014. 3. L’importo determinato ai sensi di quanto previsto dal comma precedente viene versato alla procedura fallimentare, anche mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla medesima societa’ per azioni di scopo o, anche congiuntamente, con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti s.p.a.” ) in punto di rimborso era coerente con la precedente stesura del testo normativo (“ Alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura S.p.A. e’ riconosciuto dalla societa’ costituita dal Soggetto Attuatore un importo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti rilevato dall’Agenzia del Demanio alla data del trasferimento della proprieta’, che potra’ essere versato mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla societa’, il cui rimborso e’ legato all’incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita’ indicate con il decreto di nomina del Soggetto Attuatore”) ma non con la nuova versione dell’art. 33 medesimo, successivo al rimaneggiamento avvenuto mercè il decreto c.d. “milleproroghe” (“ alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa e’ riconosciuto un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprieta’. Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8.”) e pertanto:
I) l’indennizzo non era “previamente quantificato” ed era aleatorio non soltanto con riferimento alla sua quantificazione, ma anche nel quomodo della sua corresponsione: il concetto di “strumento finanziario” ex art. 1 del d.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 era ampio e variegato;
II) costituiva ultrapetizione, se non pura illazione, la affermazione del T.a.r. secondo cui tale termine “strumento finanziario” doveva coincidere con quello di “obbligazioni”;
III) anche eventuali obbligazioni emesse dal Invitalia s.p.a. , in ogni caso, non avrebbero integrato una forma di ristoro contraddistinta dal carattere della certezza;
d) (quarta quinta e sesta censura) il T.a.r non aveva colto l’interesse della curatela a rimarcare che la disciplina di cui al più volte citato art. 33 (anche nella versione novellata) ledeva l’art. 47 della Costituzione in quanto si poneva in conflitto con plurime disposizioni della legge fallimentare esautorando gli Organi della procedura fallimentare (art. 31 e 104 della legge fallimentare) in quanto:
I) la procedura di fallimento, di regola, era soggetta ad una tempistica stringente che nel caso di specie veniva incomprensibilmente dilatata;
II) né il curatore né gli altri organi (anche il Tribunale) avrebbero potuto spiegare alcuna attività di vigilanza (art. 104 della legge fallimentare in tema di programma di liquidazione dell’attivo) a fronte di una previsione per cui i beni erano espropriati al fallimento, in “cambio” di “strumenti finanziari” non meglio precisati, da rimborsare solo in esito alla cessione dei beni;
la dinamica prevista dall’art. 33 di “rimborso” del fallimento (“Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma .”)era incompatibile con la gestione della procedura fallimentare;
si prevedeva quindi, nella sostanza, che il curatore divenisse “obbligazionista” od “azionista”, ma la legge fallimentare, salve limitate eccezioni, non riconosceva al curatore compiti di gestione attiva dei beni del fallito (art. 104 della legge fallimentare in tema di esercizio provvisorio dell’impresa, che deve essere autorizzato dal Giudice);
la tempistica era poi imprevedibile (art. 7 comma 4 del dPCM: “4. Le azioni o gli altri strumenti finanziari di cui al precedente comma potranno essere richiesti a rimborso dai legittimi titolari
solo successivamente all’incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti e, comunque,in misura non superiore alle somme effettivamente incassate, secondo le modalita’ che verranno individuate con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.”);
inoltre la tempistica di quindici anni prevista nell’ultima stesura della norma collideva con la pacifica applicabilità anche alle procedure fallimentari della legge sulla ragionevole durata del processo n. 89/2001,in quanto precipitato dell’art. 6 par. I della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo: posto che il tempo massimo stimato per una procedura fallimentare difficoltosa era pari a sette anni, era paventabile che allo scadere del settimo anno (sui quindici previsti quale tetto massimo dalla norma in esame di cui all’art. 33) sarebbero state presentate richiesta di indennizzo, con gravi danni all’erario;
il trasferimento dei beni senza immediato indennizzo (come “disegnato” dal Legislatore nel caso di specie) in realtà era ipotizzabile soltanto nel caso di concordato fallimentare: sarebbe stato logico prevedere che il Soggetto Assuntore presentasse una tale proposta;
la prescrizione di legge secondo cui “dalla trascrizione del decreto di trasferimento e alla consegna dei suddetti titoli, tutti i diritti relativi alle aree e agli immobili trasferiti, ivi compresi quelli inerenti alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa, sono estinti e le relative trascrizioni cancellate ”era incompatibile con il soddisfacimento dei creditori, anticipando gli affetti della chiusura della procedura fallimentare (condizionata dall’avvenuto riparto dell’attivo) ad una fase in cui non era neppure preconizzabile l’an ed il quantum dell’indennizzo;
VIII) né era comprensibile la sorte delle ipoteche iscritte sui beni costituenti la massa attiva e destinati ad essere trasferiti nella titolarità della società Invitalia s.p.a.;
IX) ne risultava violato l’art. 2741 cc e vulnerato il diritto di difesa dei creditori ipotecari ad impugnare l’atto di cessione dei beni assistiti da garanzia reale;
X) e tali circostanze apparivano vieppiù gravi in quanto ascrivibili ad una legge ad hoc, dal che si desumeva che la contestata previsione legislativa violava i limiti di razionalità delle c.d. “leggi provvedimento”;
e) la modifica del testo originario dell’art. 33 non elideva alcuna delle riscontrate criticità “genetiche” ed applicative ed anzi rendeva l’originario dPCM in parte incoerente con la vigente disciplina legislativa, per cui il T.a.r. l’avrebbe dovuto annullare il dPCM impugnato tout court, senza che si dovesse attendere l’emissione dei decreti attuativi della “novella”.
5. In data 7.11.2016 il Comune di Napoli si è costituito depositando atto di stile ed ha chiesto l’accoglimento dell’appello
6. In data 8.11.2016 la società originaria controinteressata Invitalia si è costituita depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello.
7. In data 14.11.2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello ed in data 24.2.2017 ha depositato documenti.
8. In data 18.11.2016 il Comune di Napoli ha depositato una articolata memoria deducendo che l’appello proposto dalla curatela fallimentare era fondato in quanto, tra l’altro, l’azione amministrativa impugnata ledeva gli interesse dei creditori della
9. In data 26.11.2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato una articolata memoria, nell’ambito della quale, dopo avere ripercorso le principali tappe infraprocedimentali della risalente vicenda (pagg. 1-24)deducendo che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per genericità, o comunque respinto in quanto infondato, sottolineando che peraltro l’are area era allo stato sprovvista di una destinazione urbanistica definitiva, e che si era in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità “ope legis” discendente dalla qualificazione del comprensorio quale “area di rilevante interesse nazionale”.
10. In data 28.11.2017 la società originaria controinteressata Invitalia ha depositato una articolata memoria, chiedendo che l’appello venisse respinto.
11. Alla camera di consiglio dell’1 dicembre 2016 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione la trattazione della causa è stata rinviata al merito.
12. In data 22.2.2017 la parte appellante ha depositato documenti relativi ai fatti di causa.
13. In data 3.3.2017 la parte odierna appellante ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
14. In data 6.3.2017 la società originaria controinteressata Invitalia ha depositato una ulteriore memoria, ribadendo le proprie difese.
15. In data 16.3. 2017 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato una memoria di replica, facendo presente che a breve sarebbero state intraprese le attività di caratterizzazione del sito e che le censure appellatorie obliavano la circostanza che il progettato intervento era l’unico rimedio per potere fare riacquistare valore alle aree: la “data di trasferimento della proprietà” riguardava il parametro – e non i tempi- della quantificazione dell’indennizzo; per altro verso, le prerogative della curatela sarebbero state garantite della possibilità di impugnare gli atti adottati dal Soggetto Attuatore.
16. Alla odierna udienza pubblica del 6 aprile 2017 causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1. Entrambi i suindicati ricorsi in appello devono essere riuniti in quanto, sebbene non volti ad impugnare la medesima sentenza, essi sono inscindibilmente connessi sotto il profilo oggettivo e soggettivo posto che in primo grado sono stati impugnati da parti processuali diverse i medesimi atti e sono state prospettate censure in larga parte coincidenti, tanto che le due suindicate sentenze recano motivazioni in più parti identiche.
1.1. Ritiene il Collegio di anticipare il proprio convincimento secondo il quale:
a) la particolarità dei riuniti ricorsi riposa nella circostanza per cui sono stati impugnati atti amministrativi deducendo vizi che riposano (in massima parte, e salvo quello che di qui a breve si dirà) nella illegittimità derivata dei medesimi discendente dalla incostituzionalità della norma di legge che di tali provvedimenti costituisce la fonte;
b) tutte le questioni di legittimità costituzionale prospettate sono quindi all’evidenza rilevanti nell’odierno giudizio (sul punto si tornerà brevemente di seguito);
c) talune delle questioni di legittimità costituzionale prospettate non appaiono manifestamente infondate, nei sensi che di seguito si chiariranno.
1.2.Preliminarmente il Collegio evidenzia che:
a) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);
b) le parti concordano in ordine alla ricostruzione fattuale e cronologica della vicenda infraprocedimentale siccome descritta nella parte in fatto delle decisioni di primo grado impugnate, per cui, anche al fine di non appesantire il presente elaborato, ed in ossequio al principio di sinteticità, si farà integrale riferimento sul punto alle affermazioni del T.a.r. (art. 64 comma II del c.p.a.): in particolare non si procederà ad elencare le molteplici iniziative pubbliche, anche sfociate in Accordi di programma rimasti inattuati, precedenti al fallimento della società Bagnolifutura;
c) le censure proposte dalle parti appellanti sono in talune parti tra loro coincidenti, per cui sarà possibile un esame congiunto di talune di esse medesime, evidenziando volta per volta le sfaccettature differenziate e dando partita risposta a queste ultime: le parti odierne appellanti hanno proposto altresì autonome doglianze che non presentano punti di contatto, e che necessitano di esame separato;
d) i riuniti appelli sono senz’altro ammissibili in quanto propongono critiche dettagliate e specifiche alle argomentazioni contenute nelle impugnate decisioni, il che implica la reiezione delle eccezioni di inammissibilità dei medesimi per asserita genericità sollevate dalla difesa erariale.
2. Ciò premesso, e venendo all’esame del merito delle doglianze proposte, seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), è evidente che in ordine logico è prioritario l’esame del primo motivo di doglianza proposto dal Comune di Napoli, secondo il quale la declaratoria (parziale) di improcedibilità resa dal T.a.r. con riferimento ad alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate, era stata resa ex officio senza che all’originario ricorrente fosse stato dato avviso ex art. 73 comma III del c.p.a.: dal che ne dovrebbe conseguire che la sentenza, resa in violazione del principio del contraddittorio, andrebbe annullata con rinvio al T.a.r. medesimo, ex art. 105 del c.p.a.
2.1. La fragilità e non favorevole delibabilità della doglianza è evidente sia in punto di fatto che di diritto, in quanto:
a) per un verso la difesa erariale, nella propria memoria di replica depositata in primo grado il 17.2.2016 alle pagg. 2-5 ha citato la “novella” di cui al decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, poi convertito nella legge 25 febbraio 2016 numero 21 evidenziando che ciò conduceva ad un “superamento” delle preoccupazioni paventate dal Comune (e ciò implica che la incidenza di detta novella legislativa sul permanere dell’interesse a ricorrere in capo al Comune di Napoli non costituiva tematica rilevata dal primo Giudice ex officio) ;
b) secondariamente, e più radicalmente, il principio che regola il processo amministrativo è quello secondo il quale “iura novit curia”.
Nel caso di specie, l’appellante comune di Napoli censurava i provvedimenti impugnati in quanto affetti da una asserita invalidità derivata discendente dalla supposta illegittimità costituzionale della disciplina primaria: è del tutto evidente che ogni modifica alla disciplina primaria censurata dovesse essere vagliata dal Giudice, e ciò non necessitava di alcun “avviso” od indicazione alle parti;
c) la censura è pertanto intrinsecamente non persuasiva, senza che neppure sia necessario fare riferimento alle condivisibili considerazioni con le quali a più riprese la giurisprudenza di legittimità ha perimetrato il ricorrere della violazione del contraddittorio (vedasi Cassazione civile, sez. trib., 29/11/2016, n. 24199 Cassazione civile, sez. trib., 23/05/2014, n. 11453 Cassazione civile sez. III 12 marzo 2010 n. 6051).
2.2. Sotto altro profilo, entrambe le parti appellanti non hanno un diretto interesse a dolersi della circostanza che –nel merito- il T.a.r. abbia dichiarato improcedibili le doglianze da esse articolate in quanto superate dalla intervenuta modifica, in corso di giudizio, della avversata normativa legislativa sottesa agli atti amministrativi impugnati: il Collegio infatti valuterà il persistente interesse a proporre l’impugnazione e la non manifesta infondatezza delle censure di legittimità costituzionale proposte facendo riferimento proprio al testo dell’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133 siccome modificato dal l’ articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, convertito nella legge 25 febbraio 2016, numero 21.
3. Sempre in via preliminare va immediatamente evidenziato l’avviso del Collegio secondo il quale non sarà necessario immorare di volta in volta sulla dimostrazione della rilevanza nella presente causa delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in quanto:
a) come prima chiarito la particolarità dell’odierno giudizio è rappresentata dalla circostanza che nei confronti degli atti amministrativi impugnati sono state sollevate in assoluta prevalenza doglianze di illegittimità derivata dalla asserita incompatibilità costituzionale della normativa legislativa presupposta;
b) ciò implica che anche laddove una delle questioni di legittimità costituzionale prospettate venga sollevata – e successivamente favorevolmente delibata dal Giudice delle leggi- ciò produrrebbe la illegittimità totale ovvero parziale degli atti amministrativi impugnati;
c) ciò al contempo, dimostra a monte il rilievo che tali questioni assumono nel presente giudizio e (salvo quello che si dirà con riferimento a singole questioni) l’interesse delle parti a prospettarle.
4. Il Collegio è persuaso della circostanza che sia opportuno esaminare immediatamente taluni argomenti critici che si appalesano certamente non accoglibili, per poi maggiormente concentrarsi sulle prospettazioni che abbisognano di un maggiore approfondimento.
4.1. A tale proposito, si evidenzia immediatamente che, ad avviso del Collegio:
a) la settima doglianza articolata dalla curatela del Fallimento Bagnolifutura s.p.a. tendente ad ottenere – comunque ed in ogni caso – la declaratoria di illegittimità del contestato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.10.2015, in quanto collidente con la sopravvenuta modifica legislativa della norma-fonte del medesimo non appare favorevolmente delibabile (ammesso che la parte appellante abbia un immediato interesse a dedurla) in quanto:
I) il dPCM impugnato reso in data 15.10.2015 (ed anche quello del 3.9.2015 impugnato dal comune di Napoli) è stato effettivamente emesso sulla scorta di un dato legislativo (la primigenia versione dell’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133 ) successivamente “superato” dalle modifiche apportate al medesimo dal decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, convertito nella legge 25 febbraio 2016 numero 21 ;
II) il testo dello stesso, però, non reca disposizioni in toto incompatibili con la vigente versione della suindicata norma;
III) per il vero nel dPCM si fa riferimento ad una “società di scopo” che risulta ormai soppressa; del pari ivi si ipotizza (art. 7) un quomodo del rimborso utilizzandosi il termine “anche” che non compare più nella stesura definitiva della norma primaria;
IV) e purtuttavia, quanto alle modalità del rimborso, il testo del dPCM (art. 7 comma 3 “L’importo determinato ai sensi di quanto previsto dal comma precedente viene versato alla procedura fallimentare, anche mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla medesima societa’ per azioni di scopo o, anche congiuntamente, con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti S.p.A.”), che si legava alla voce verbale “potrà” contenuta nell’originario testo del comma 12 dell’art. 33 (“Alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura S.p.A. e’ riconosciuto dalla societa’ costituita dal Soggetto Attuatore un importo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti rilevato dall’Agenzia del Demanio alla data del trasferimento della proprieta’, che potra’ essere versato mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla societa’, il cui rimborso e’ legato all’incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita’ indicate con il decreto di nomina del Soggetto Attuatore”) è comunque compatibile con la perentoria prescrizione contenuta nel novellato testo della norma primaria (comma 12:“ alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa e’ riconosciuto un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprieta’. Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8”); per altro verso, il venir meno della società di scopo (oltre a “rispondere” ai desiderata delle parti appellanti, che avevano insistentemente rimarcato l’incongruità della detta previsione ormai soppressa) implica un mutamento soggettivo che non si riverbera sulla oggettività della procedura delineata in quanto tali incombenze sono state attribuite direttamente al Soggetto Attuatore, ed è stata elisa la prescrizione relativa alla costituzione –da parte di quest’ultimo- di una società di scopo aperta ai privati;
V) ciò che più giova precisare, però, è che entrambe le suindicate disposizioni necessitavano di ulteriori provvedimenti attuativi, non ancora emanati per cui il contestato dPCM non ha prodotto alcuna “lesione” e, per quanto di seguito si dirà, non potrà produrne in seguito;
VI) anche il quarto comma dell’art. 7 del dPCM citato (“4. Le azioni o gli altri strumenti finanziari di cui al precedente comma potranno essere richiesti a rimborso dai legittimi titolari solo successivamente all’incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti e, comunque, in misura non superiore alle somme effettivamente incassate, secondo le modalita’ che verranno individuate con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”) appare inattuale, in quanto “superato” dalla novella legislativa soprariportata che fissa un termine finale (certo, e non subordinato ad alcun evento) per il rimborso, ed anche in questo caso (ma sul punto si dovrà nuovamente tornare) si tratta dell’elisione di una prescrizione non determinante, e soprattutto certamente favorevole per la curatela appellante;
il dPCM impugnato, quindi, ratione temporis era conforme al testo originario della norma primaria vigente al momento in cui fu emanato ( si vada Cons. Stato Sez. IV, 21-8-2012, n. 4583;Cass. civ. Sez. VI, 22-2-2012, n. 2672), e successivamente è divenuto incompatibile, in parte, con la novella legislativa, le cui disposizioni implicano la non permanente attualità delle prescrizioni contenute nel dPCM con essa incompatibili;
VIII) la portata conformativa della sentenza di primo grado, in parte qua pienamente condivisa dal Collegio, implica la conseguenza che giammai le primigenie disposizioni contenute nel dPCM impugnato reso in data 15.10.2015 e divenute incompatibili con la sopravvenuta legislazione primaria che del medesimo dPCM costituisce presupposto legittimante potranno trovare applicazione (stante la immediata portata precettiva della modifica legislativa) ed implica altresì che, in carenza di alcuna attuazione delle sopravvenienze normative (allo stato, come chiarito dalla appellata Invitalia s.p.a. nelle proprie memorie difensive non è stata neppure effettuata la trascrizione delle aree) la parte appellante non abbia interesse ad ottenere il parziale annullamento del dPCM per incompatibilità sopravvenuta con le nuove disposizioni.
4.1.1. Va pertanto disattesa la doglianza volta ad affermare la illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 per sopravvenuta incompatibilità con la versione definitiva della normativa di legge allo stesso sottesa.
5. Passando quindi alla disamina delle questioni di legittimità costituzionale proposte avverso le disposizioni normative di rango primario sottese ai provvedimenti impugnati si osserva quanto di seguito.
5.1. Il Collegio ritiene che siano manifestamente infondate, sia le questioni di legittimità costituzionale articolate dal Comune di Napoli nel primo motivo dell’appello (laddove si contesta il ricorso alla decretazione d’urgenza) sia quelle contenute nel sesto motivo dell’appello della curatela del fallimento della società Bagnolifutura e nell’ultimo motivo dell’appello proposto dal Comune, (l’argomento critico è connesso soltanto “logicamente” a quello prima evocato) laddove, in sostanza, ci si duole dell’avvenuto superamento dei limiti di ammissibilità delle c.d. “leggi-provvedimento”.
5.1.1. Va in proposito premesso che nessuna delle parti appellanti si è spinta a contestare:
I) la assoluta particolarità -e forse irripetibilità – della condizione fattuale e giuridica dell’area di Bagnoli-Coroglio;
II) la necessità che si proceda ad una urgente bonifica ambientale di detta area;
III) la risalenza della problematica, ed il conclamato insuccesso (che, addirittura, l’amministrazione comunale “imputa” alle amministrazioni centrali) di ogni iniziativa pregressa tesa a bonificare –per poi riqualificare- il sito;
IV) la situazione di stallo riscontrabile al momento della emanazione del contestato decreto-legge anche con riferimento alla bonifica dell’area.
5.1.2. Ciò che l’amministrazione comunale di Napoli contesta è invece il “legame” tra bonifica ambientale e riqualificazione urbana contenuto nel decreto impugnato, e l’uso della decretazione di urgenza quanto a tale ultimo profilo; la curatela contesta le modalità prestabilite nel decreto legge (e del dPCM) per raggiungere un obiettivo finale (bonifica e riqualificazione del sito) che essa stessa ritiene necessario.
5.1.3. Ciò posto, ad avviso del Collegio, l’argomento dell’amministrazione comunale con il quale si contesta il ricorso alla decretazione di urgenza appare intrinsecamente contraddittorio, in quanto: a) dapprima ci si duole della circostanza che le disposizioni di cui all’art. 33 del contestato decreto-legge numero 133 del 2014 abbiano “esteso “ il concetto di bonifica, sino a trasmodare (secondo paragrafo del Preambolo al decreto legge) in quello di rigenerazione urbana, con previsione ad hoc di strumenti di governo del territorio ( ai sensi dell’ultimo cpv del comma 10 dell’art. 33 del decreto suddetto);
b) indi si sostiene che il previgente art. 252 del d.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 nulla di tutto ciò prevedesse;
c) infine si contesta la ravvisata urgenza culminata nella scelta di procedere mediante lo strumento della decretazione d’urgenza, facendo presente che v’era già uno strumento normativo (appunto il citato art. 252 del d.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006) in grado di soddisfare le esigenze ambientali. 5.1.3.1.Invero, delle due l’una: o il citato art. 252 del d.Lgs. n. 152/2006 era sovrapponibile alle neointrodotte disposizioni (e qui si sarebbe potuto dubitare dell’urgenza del provvedere) ovvero esso non lo era (ed allora non ha spessore la critica in ordine all’an del ricorso alla decretazione d’urgenza).
Ora, posto che la semplice lettura della disposizione art. 252 del d.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 consente di affermare che ivi era disciplinata essenzialmente (verrebbe fatto di affermare unicamente) la procedura di bonifica, non pare al Collegio che l’argomento critico del comune di Napoli sia sul punto favorevolmente delibabile anche in chiave di non manifesta infondatezza.
5.1.4. Ma detta critica appare anche collidere con il dato rappresentato dal sicuro degrado dell’area: per l’appellante comune, il degrado era “storicizzato”, e ciò consentiva di non ritenere urgente la previsione di un intervento organico: ma l’emergenza ambientale o è riscontrabile (e ciò, si ripete, non è contestato da alcuno) o non lo è; e se lo è, allora l’urgenza è in re ipsa, ed anzi, ogni ulteriore ritardo aggrava la situazione dell’area.
In conclusione pare al Collegio sia è sufficiente sul punto richiamare le argomentazioni contenute nella decisione della Corte Costituzionale, 30 aprile 2015, n. 72 per pervenire ad un giudizio di manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità prospettato.
5.1.5 Analoga sorte va riservata alla tesi dell’amministrazione comunale volta a criticare la eterogeneità delle misure contenute nel decreto legge, in quanto:
a) nuovamente, a tale proposito, la sentenza della Corte Costituzionale prima indicata fornisce utili coordinate ermeneutiche per la declaratoria di infondatezza manifesta della questione;
b) il T.a.r. ha ben chiarito il legame che intercorre tra superamento dell’emergenza economica e superamento delle situazioni di degrado ambientale che investono aree estese della penisola;
c) a quanto affermato dal primo Giudice (e contestato dal Comune solo attraverso l’estrapolazione di opinioni emerse nel corso del dibattito parlamentare) può aggiungersi che il legame teleologico tra il primo ed il secondo preambolo del decreto-legge è del tutto evidente, e che costituisce (soltanto) una rispettabile opinione non supportata da evidenze di alcun genere quella secondo cui l’art. 33 sarebbe una norma “intrusa” in quanto prevederebbe una connessione tra urbanistica e bonifica non in realtà sussistente;
d) l’argomento critico è in realtà – ad avviso del Collegio -frutto di una non condivisibile sovrapposizione di profili distinti: se si muove dalla condivisione della evidenza per cui la bonifica e la riqualificazione di vaste aree del territorio possono concorrere al miglioramento della situazione economica complessiva , tanto basta a confutare l’argomento della “eterogeneità di materia” escludendone la fondatezza: il quomodo di tale riqualificazione è argomento rientrante nella lata discrezionalità legislativa e, semmai, il supposto “straripamento di competenza” in materia urbanistica dovrà essere affrontato sotto distinti angoli prospettici (come del resto ci si accinge a fare); ma rimasto incontestato il legame intercorrente tra risanamento di aree degradate e misure atte a favorire la ripresa economica, la censura incentrata sulla eterogeneità delle disposizioni contenute nel decreto legge è certamente infondata;
e) infine, il preambolo del decreto-legge conteneva il riferimento alla tutela degli ecosistemi, e certo, appare arduo affermare che non sia questa (tra le altre) la finalità della avversata disposizione di legge.
5.2. A questo punto della esposizione ci si può limitare a richiamare la giurisprudenza del Giudice delle leggi ( muovendo dalle fondamentali decisioni n. 29 del 1995 e n. 360 del 1996 che per la prima volta hanno dichiarato incostituzionale una disposizione di un decreto legge per il vizio di reiterazione) laddove si è affermato che «la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimità costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell’àmbito applicativo costituzionalmente previsto» (sentt. nn. 29 del 1995 e 171 del 2007; peraltro, si è detto «il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità» deve «risultare evidente», e tale difetto di presupposti, «una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge»).
E nel caso di specie, ad avviso del Collegio, v’è l’evidenza del contrario: è incontestabile che sussistessero i presupposti dell’urgenza e che la norma in esame non sia distonica rispetto agli obiettivi della decretazione d’urgenza.
5.3. Sotto altro profilo, si è con evidenza al di fuori dal perimetro applicativo delle affermazioni contenute nella sentenza n. 220 del 2013 laddove si è escluso che determinate materie, per loro intrinseca natura (in quel caso l’ordinamento delle province e le loro circoscrizioni territoriali: artt. 117, comma 2, lett. p); 133, comma 1; 114, commi 1-2, Cost.), possano formare oggetto di decretazione d’urgenza in quanto logicamente e giuridicamente incompatibili con la natura straordinaria e provvisoria del provvedimento.
5.3.1. Sarà infine permesso al Collegio formulare una considerazione, che ben si attaglia agli argomenti sinora esposti, ma che per il vero si manifesta di portata più ampia: appare sintomatico che nessuna delle parti appellanti abbia sollevato perplessità sulla disposizione del contestato art. 33 del decreto (il comma 11) che può definirsi la norma-manifesto della citata disposizione con la quale è stata “fotografata” normativamente la condizione di eccezionale problematicità sotto il profilo ambientale dell’area (“11. Considerate le condizioni di estremo degrado ambientale in cui versano le aree comprese nel comprensorio Bagnoli-Coroglio sito nel Comune di Napoli, perimetrate ai sensi dell’articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 agosto 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 23 agosto 2014, le stesse sono dichiarate con il presente provvedimento aree di rilevante interesse nazionale per gli effetti di cui ai precedenti commi”): ciò ad avviso del Collegio dimostra vieppiù che nel merito nessuna parte ha veramente da obiettare sulla specificità della situazione presa in esame dal Legislatore e sotto il profilo logico rende – a monte- non persuasive le censure sulle misure eccezionali adottate e sul ricorso alla decretazione d’urgenza.
5.4. Si osserva inoltre che in ordine alla circostanza che le censurate disposizioni di cui all’ art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133 siano ascrivibili al novero delle leggi-provvedimento (o “leggi puntuali” come definite da qualificata dottrina) non v’è da dubitare, ad avviso del Collegio.
5.4.1. E’ ben noto che a più riprese la Corte Costituzionale – nell’ammettere in via di principio la praticabilità di tale modo di legiferare nel sistema giuridico italiano- ha stabilito che il limite è quello della ragionevolezza e che (vedasi le coordinate interpretative tracciate dalla Consulta nelle decisioni nn. 376/1995, 282/2005, 103/2007, 267/2007, 241/2008) con la legge provvedimento non è possibile esercitare un potere atipico rispetto al novero dei poteri amministrativi tipizzati, diretto a incidere in via retroattiva e in senso sfavorevole sulle posizioni consolidatesi per effetto di decisioni irreversibili”.
5.4.2. Ora, il sesto motivo dell’appello della curatela fallimentare (che neppure labialmente fa riferimento ad alcuno dei casi di illegittimità intrinseca delle leggi-provvedimento siccome enucleabili dall’insegnamento della Corte Costituzionale) e l’ultimo motivo dell’appello del comune contengono in nuce le ragioni della valutazione di manifesta infondatezza delle questioni ivi prospettate allorchè la stessa appellante curatela fallimentare (assai lealmente, è bene precisarlo) da atto della anomalia, e, verrebbe fatto di dire, della straordinarietà delle problematiche riscontrabili nell’area industriale di Bagnoli-Coroglio, e della non riuscita di ogni precedente tentativo di risolvere l’emergenza ivi creatasi (mentre il Comune sostiene la irrilevanza della circostanza, trattandosi di dato c.d. “storicizzato).
5.4.3. Se così è, la contestazione mossa allo strumento della legge-provvedimento va dichiarata manifestamente infondata, in quanto a fronte di una condizione eccezionale appare già prima facie non illogico od arbitrario che il Legislatore sia intervenuto con misure urgenti ed organiche preordinate a superare il risalente stato di pericoloso degrado (nel rispetto, pare al Collegio, del principio di ragionevolezza e non arbitrarietà e sullo scrutinio stretto di costituzionalità cui tali leggi sono soggette, v. rispettivamente le sentenze nn. 85/2013, 143/1989, 346/1991, 429/1995 e nn. 85/2013, 20/2012, 137/2009, 241/2008, 267/2007, 2/1997) e recando le contestate disposizioni le indicazioni necessarie ai fini della preliminare valutazione della legittimità costituzionale dei criteri posti a base della scelta legislativa e delle relative modalità di attuazione: sentenze nn. 85/2013, 270/2010, 137/2009, 267/2007 e 492/1995).
5.4.4. Tutt’altra –e più delicata- questione involve la intrinseca compatibilità costituzionale delle misure ivi contenute: queste ultime, però, o sono illegittime (in quanto collidenti con valori costituzionali) o non lo sono, e se non lo fossero, sarebbe illogico che lo divenissero perché la legge che le ha previste era una legge-provvedimento.
Ciò in quanto la assoluta specificità delle caratteristiche del degrado insistente sull’area (per estensione, provenienza, risalenza, etc) rende in sè e per sè non censurabile il ricorso allo strumento della legge-provvedimento, mentre la valutazione con la quale si è – in seno al contestato art. 33 del decreto legge- legata la bonifica ambientale alla rigenerazione urbana:
rientra nella lata discrezionalità legislativa;
II) è coerente con il preambolo del decreto –legge medesimo ( disposizioni in materia ambientale, per la… salvaguardia degli ecosistemi) e si inquadra altresì nell’incipit del contestato art. 33 del decreto-legge a più riprese richiamato (“attengono alla tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione nonche’ ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione le disposizioni finalizzate alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale”).
6. Con riferimento alle questioni prospettate nella penultima censura contenuta nell’appello del comune, osserva, poi, il Collegio che:
a) l’originario terzo motivo del ricorso di primo grado (pagg. 40-42 dell’atto introduttivo del gravame) invocava la asserita incompatibilità dell’art. 33 decreto –legge con l’art. 117 comma I della Costituzione, e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo evocando la circostanza che era stato dichiarato con sentenza il fallimento della società Bagnoli Futura e che il comune era coinvolto nella procedura quale attore in rivendica;
b) il T.a.r. ha correttamente evidenziato che non era né chiaro né specifico il parametro di illegittimità indicato e che neppure era specificata la lesività di singole prescrizioni dell’art. 33 del decreto legge suddetto;
c) il Collegio ritiene che la sentenza sia pienamente condivisibile;
d) l’appellante comune ha riproposto la censura, ed essa si lega intimamente ad alcune di quelle sollevate (con analitica e specifica indicazione) nel riunito appello proposto dalla curatela del fallimento della società Bagnoli Futura, per cui tale ultima doglianza verrà scrutinata allorchè, di qui a breve, verranno prese in esame le doglianze contenute nel riunito appello.
7. Restano a questo punto da scrutinare la terza e la quarta censura (in realtà la rubrica dei motivi di appello risente di un errore di scrittura, in quanto la quarta doglianza è rubricata sotto il n. 2) proposte dal Comune di Napoli: in ordine alle stesse – che necessitano di un esame congiunto – il Collegio è persuaso che una articolazione della censura non sia manifestamente infondata e debba essere di conseguenza rimessa al vaglio del Giudice delle leggi.
Il Collegio chiarirà il proprio convincimento successivamente alla disamina di alcune doglianze contenute nel riunito appello proposto dalla curatela.
8. Proprio venendo all’esame delle questioni di legittimità costituzionale prospettate nel riunito ricorso in appello proposto dalla curatela del fallimento della società Bagnoli Futura s.p.a. ritiene il Collegio per comodità espositiva di raggruppare le tematiche oggetto di approfondimento in relazione ai versanti di censura.
8.1. Verranno quindi in primo luogo esaminati tutti gli argomenti critici mercè i quali la appellante curatela ha prospettato l’illegittimità delle disposizioni di legge suindicate per contrasto con le prescrizioni costituzionali (art. 42 e 43 Cost.) e sovranazionali (art. 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 per il tramite dell’art. 117 primo comma, della Costituzione) e con i principi vigenti in materia di espropriazione per pubblica utilità.
In seguito verrà esplorata la consistenza degli argomenti critici volti a dimostrare l’illegittimità delle disposizioni di legge suindicate per contrasto con le prescrizioni costituzionali (art. 24 e 48 Cost.) in tema di diritto di difesa e di tutela del risparmio, che si supportano nell’affermazione della interferenza delle disposizioni in parola con la procedura giurisdizionale fallimentare avviatasi.
8.2. Una premessa è doverosa, con riferimento ad entrambe le tematiche oggetto di approfondimento.
8.2.1. La parte appellante, che con i motivi aggiunti di primo grado aveva già ribadito il proprio persistente interesse alla impugnazione anche a seguito delle modifiche introdotte con la legge 25 febbraio 2016, n. 21 di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 ha riproposto in appello tutti i profili di dubbio di compatibilità costituzionale, ma taluni di essi appaiono effettivamente privi di attualità tenuto conto proprio delle modifiche apportate con la suindicata legge: il Collegio esaminerà pertanto tutte le censure chiarendo immediatamente quali di esse appaiano manifestamente infondate proprio alla luce della novella modificatrice.
8.3. Quanto al primo dei versanti critici come sopra individuati (e cioè alla “materia espropriativa”) si osserva che:
a) per costante giurisprudenza di legittimità e di merito, applicativa degli insegnamenti del Giudice delle leggi, il ristoro deve essere “certo” e “serio”, ma può non coincidere con il valore venale del bene (tra le tante, ancora di recente, Corte Costituzionale, 22/4/2016, n. 90: ”l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, comma 3, Cost. non deve costituire una integrale o una irrisoria riparazione per la perdita subita, ma deve rappresentare un serio ristoro, che abbia un ragionevole legame con il valore di mercato del bene”);
b) muovendo da tale dato di partenza, tutte le censure incidenti sulla “certezza” dell’indennizzo, e sulla aleatorietà della quantificazione (salvo quanto di seguito si dirà) sono manifestamente infondate in quanto:
I) a tutto concedere, il testo originario del comma 12 dell’art. 33 del decreto legge citato (“alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura S.p.A. e’ riconosciuto dalla societa’ costituita dal Soggetto Attuatore un importo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti rilevato dall’Agenzia del Demanio alla data del trasferimento della proprieta’, che potra’ essere versato mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla societa’, il cui rimborso e’ legato all’incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita’ indicate con il decreto di nomina del Soggetto Attuatore.”) poteva sollevare perplessità;
II) infatti ivi si prevedeva un “ importo determinato sulla base del valore di mercato delle aree e degli immobili” (il che comunque di per sé non collideva con l’autorevole insegnamento) e soprattutto si specificava che il rimborso sarebbe rimasto legato” all’incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita’ indicate con il decreto di nomina del Soggetto Attuatore” il che ridondava sul requisito della “certezza” del ristoro;
III) la novellata disciplina ha eliso entrambe le criticità in quanto il testo vigente della disposizione prevede che: “alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa e’ riconosciuto un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprieta’ “: si è, quindi, al cospetto di una disposizione che, con riferimento alla quantificazione dell’indennizzo risponde in pieno al superiore insegnamento, ed anzi è perfino più favorevole di quanto in tesi sarebbe stato possibile disporre, in quanto vi è un perentorio riferimento al valore di mercato e quest’ultimo non è assunto a mero dato di partenza (Corte Costituzionale, 10/06/2011, n. 181 “fermo restando che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato e che non sempre è garantita dalla Cedu una riparazione integrale, e che l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Restano assorbiti gli ulteriori profili dedotti in riferimento all’art. 3 cost. -sentt. n. 5 del 1980, 223 del 1983, 355 del 1985, 1022, 1165 del 1988, 173 del 1991, 261 del 1997, 348, 349 del 2007, 236 del 2009);
IV) per altro verso, la novellata disposizione ha escluso che il rimborso sia (più) legato ad alcun dato aleatorio ed incerto essendosi ivi previsto che “tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8.”: vi è quindi una tempistica certa, seppur dilatata nel tempo e pari a 15 anni (quest’ultimo profilo verrà di seguito nuovamente esaminato)e non condizionata ad alcun evento aleatorio il che conduce a scardinare i dubbi sulla “certezza” dell’indennizzo, almeno quanto al profilo sinora esaminato;
V) si rammenta in ultimo che per costante giurisprudenza ( tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 30/07/2013, n. 4006 ) “non incide sulla legittimità del decreto di esproprio la circostanza che lo stesso non abbia indicato la misura della indennità espropriativa, dato che la definizione delle questioni connesse alla determinazione ed alla liquidazione della indennità espropriativa costituisce un posterius rispetto all’adozione dell’atto ablatorio definitivo, come tale non incidente sulla sua legittimità.”.
8.3.1. Le corrispondenti censure sono pertanto manifestamente infondate, mentre anticipa il Collegio il proprio convincimento di non manifesta infondatezza della connessa articolazione della doglianza riposante nell’elemento (ulteriore) di incertezza dell’indennizzo discendente dalla circostanza che l’importo del medesimo è destinato ad essere versato attraverso “strumenti finanziari”; tale connesso argomento formerà oggetto di separata disamina nella ultima parte del presente provvedimento, con il quale verrà rimesso alla Corte Costituzionale il giudizio sulla compatibilità costituzionale di detta previsione.
8.4. Con altre – e più radicali- censure l’appellante curatela ipotizza il contrasto della richiamata disposizione (anche nel testo novellato) con l’art. 42 comma 3 della Costituzione e con il successivo art. 43 della Costituzione.
8.4.1. Il sospetto di incostituzionalità muove dalla circostanza per cui:
a) i beni contemplati nell’art. 33 citato non rientrerebbero tra quelli contemplati nell’art. 43 della Carta Fondamentale;
b) la dichiarazione di pubblica utilità coincide con un momento successivo (vedasi il comma 10 del citato articolo “Il programma di rigenerazione urbana, da attuarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, e’ adottato dal Commissario straordinario del Governo, entro 10 giorni dalla conclusione della conferenza di servizi o dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri di cui al comma 9, ed e’ approvato con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. L’approvazione del programma sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, fermo restando il riconoscimento degli oneri costruttivi in favore delle amministrazioni interessate. Costituisce altresi’ variante urbanistica automatica e comporta dichiarazione di pubblica utilita’ delle opere e di urgenza e indifferibilita’ dei lavori. Il Commissario straordinario del Governo vigila sull’attuazione del programma ed esercita i poteri sostitutivi previsti dal programma medesimo”) rispetto a quello del passaggio della titolarità dei beni (vedasi il comma 10 del citato articolo “: con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro la data del 30 settembre 2015, e’ trasferita al Soggetto Attuatore, con oneri a carico del medesimo, la proprieta’ delle aree e degli immobili di cui e’ attualmente titolare la societa’ Bagnoli Futura S.p.A. in stato di fallimento. La trascrizione del decreto di trasferimento al Soggetto Attuatore produce gli effetti di cui all’articolo 2644, secondo comma, del codice civile.”);
c) non si prevede la apposizione sui detti beni di alcun vincolo preordinato all’esproprio;
b) né al Soggetto Attuatore né al Commissario di Governo sarebbe stato conferito alcun potere espropriativo;
c) vi sarebbe una consistente devianza rispetto alla schema classico plurifase del procedimento di espropriazione e ciò sarebbe tanto più grave se si consideri che l’art. 1 comma 4 del d.PR n. 327/2001 prevede che “Le norme del presente testo unico non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, con specifico riferimento a singole disposizioni.”.
8.5. Osserva in proposito il Collegio quanto segue:
a) l’art. 43 della Costituzione appare evocato non del tutto pertinentemente in quanto, esso riguarda la “riserva” od il “trasferimento” di beni produttivi omogenei, e nella fattispecie non ricorre tale evenienza;
b) l’art. 42 della Costituzione è invece il parametro –unico o quantomeno prevalente, ad avviso del Collegio- cui fare riferimento, unitamente alle disposizioni sovranazionali di cui all’ art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed all’ art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 per il tramite dell’art. 117 primo comma, della Costituzione);
c) il Collegio concorda con la tesi del T.a.r. –fatta propria anche dalle parti appellanti- secondo la quale mercè le avversate disposizioni è stato disegnato un procedimento speciale (verrebbe fatto di dire “eccezionale”) di natura espropriativa (la questione è stata esplorata in parte, allorchè si è esaminato l’argomento critico incentrato sulla natura di legge –provvedimento da attribuire all’art. 33 del contestato decreto-legge);
d) è ben vero che nella fattispecie in esame il trasferimento della proprietà precede –e non invece segue, come di consueto- i passaggi che di regola costituiscono presupposto essenziale di tale ultimo segmento procedimentale (id est: dichiarazione di pubblica utilità);
e) è altresì vero però che:
I) già in un recente passato il Giudice delle leggi ha esaminato un istituto che comportava uno sviamento dallo schema canonico del modulo di esercizio del potere espropriativo ed ha ritenuto che tale particolarità non fosse di per sé idonea a condurre alla declaratoria di incostituzionalità del medesimo: ci si riferisce alla sentenza del 30 aprile 2015 n. 71 laddove l’art. 42 bis del T.U. espropriazione è stato classificato come una “sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma”; nel respingere le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, 113 della Costituzione, in detta occasione la Corte Costituzionale, ha osservato, tra l’altro, che, “se pure il presupposto di applicazione della norma sia « l’indebitautilizzazione dell’area » — ossia una situazione creata dalla pubblica amministrazione in carenza di potere (per la mancanza di una preventiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o per l’annullamento o la perdita di efficacia di essa) — tuttavia l’adozione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito appositamente dalla norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con l’adozione di tale atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino”; “
II) da ciò si ricava che la devianza rispetto allo schema-tipo della espropriazione per pubblica utilità non è in se e per se indice di illegittimità della disciplina “anomala” e, peraltro, la stessa parte appellante ha la lealtà di non sottacere che sono state nel tempo innumerevoli le disposizioni che si sono contraddistinte per un consistente scostamento rispetto allo schema canonico che contraddistingue l’esercizio del potere espropriativo ( ed è superfluo sottolineare che a più riprese ciò è avvenuto senza che vi sia stata deroga espressa alle disposizioni del Testo Unico, e che comunque la disposizione di cui l’art. 1 comma 4 del d.P.R. n. 327/2001 non integra parametro costituzionale violato);
III) nel caso in esame il vincolo all’esproprio è stato de facto imposto direttamente con la disposizione di cui all’art.33 del decreto legge, in quanto, all’evidenza, è stato considerato condizione per potere pervenire alla bonifica ed al risanamento dell’area, e parimenti non può dirsi che il soggetto attuatore sia privo del potere espropriativo; rectius: anche il potere espropriativo discende ed è stato esercitato mercè la stessa previsione di legge; la dichiarazione di pubblica utilità segue l’apprensione del compendio alla mano pubblica, ma essa riguarda il programma rigenerativo da intraprendere, e segue logicamente la fase della bonifica, come si evince in termini chiari dalla distinzione contenuta nel comma 8 del citato art. 33.
8.5.1. Alla stregua delle superiori osservazioni il Collegio ritiene manifestamente infondate anche tali articolazioni delle censure ed i relativi sospetti di illegittimità costituzionale delle disposizioni citate, non potendosi rinvenire nella eccentricità rispetto allo schema espropriativo canonico alcuna lesione di valori costituzionalmente protetti né incompatibilità con le prescrizioni di cui agli artt. 42 e 43 della Carta Fondamentale che contemplano il potere espropriativo in chiave funzionalistica ma rimettono alla legge il compito di disciplinarne la modalità di esercizio.
8.5.2. Una precisazione, in ultimo, è doverosa: l’appellante curatela ha sollevato –in seno alle censure sinora esplorate- anche un profilo critico che si lega strettamente al parametro costituzionale di cui all’art. 24 della Carta Fondamentale, concernente le conseguenze discendenti dalla immediata trascrizione del decreto di trasferimento dei beni al Soggetto Attuatore (comma 12: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro la data del 30 settembre 2015, e’ trasferita al Soggetto Attuatore, con oneri a carico del medesimo, la proprieta’ delle aree e degli immobili di cui e’ attualmente titolare la societa’ Bagnoli Futura S.p.A. in stato di fallimento. La trascrizione del decreto di trasferimento al Soggetto Attuatore produce gli effetti di cui all’articolo 2644, secondo comma, del codice civile.”): di esso, in quanto connesso strettamente al secondo versante critico dell’appello si sarà conto immediatamente di seguito.
9. Continuando nella disamina dell’appello della curatela restano a questo punto da esplorare le questioni di costituzionalità che riguardano la interferenza della disciplina contenuta nell’art. 33 del decreto-legge citato con le disposizioni della legge Fallimentare, e laddove il parametro costituzionale evocato è quello di cui all’art. 47 della Costituzione.
9.1. Come correttamente posto in luce dalla difesa del Soggetto Attuatore nella propria memoria, per il vero la curatela evoca una pluralità di disposizioni (appunto contenute nella legge Fallimentare) ed evidenzia che il decreto con esse interferirebbe rendendo (più) difficile e complesso il compito degli Organi del Fallimento.
9.1.1.L’approccio critico si fonda su una evidenza difficilmente contestabile: il Collegio non intende schermare la disamina con la considerazione che, in fondo, le censure non appaiono perfettamente in linea con il presupposto di fatto a più riprese enunciato nell’appello secondo cui la curatela ha ben chiara la eccezionalità della condizione del sito, condivide l’esigenza del Legislatore di agire con urgenza, e ne contesta unicamente le modalità. E ritiene che le considerazioni (di evidente buon senso) contenute nelle memorie delle parti appellate (secondo cui, visto l’interesse tutelato dalla curatela, e considerato che la bonifica e rigenerazione dell’area è l’unica condizione perché alle aree in oggetto – costituenti la massa attiva fallimentare- sia attribuito un qualche valore) introducano elementi di puro merito non delibabili dal Collegio (e tali sono anche quelli prospettati invece dalla curatela, secondo cui la via più corretta sarebbe stata quella di prevedere una forma di concordato fallimentare, etc, non potendosi sindacare gli obiettivi del Legislatore) ed a fortiori non valutabili in sede di disamina della compatibilità costituzionale di una disposizione di legge
9.2. Vale, però, in proposito, una considerazione:
a) costituisce principio immanente dell’ordinamento dal quale non può decamparsi quello per cui l’assetto proprietario di un’area non può paralizzare l’esercizio di poteri pubblicistici;
b) tale principio è stato in un risalente passato affermato dalla giurisprudenza ( si veda ad esempio T.A.R. Milano, -Lombardia-, 11 settembre 1985, n. 676 “il divieto generale statuito dall’art. 51 l. fall. di inizio e prosecuzione di azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento non incide sui procedimenti autoritativi – quali la procedura di esproprio e di occupazione – che danno luogo a rapporti non contrattuali che in nessun modo possono essere ricondotti alla categoria delle azioni esecutive”);
c) che il fallimento dichiarato nel corso di una procedura espropriativa non condizioni lo svolgersi della medesima, e che, di converso, l’Amministrazione possa esercitare detto potere pubblicistico anche su beni di pertinenza di soggetti già dichiarati falliti e, quindi, quando la procedura è già in corso, costituisce quindi ius receptum del quale non può dubitarsi.
9.3. Alla stregua di tale considerazione, sfugge al Collegio la interferenza del parametro costituzionale evocato (art. 47 della Costituzione) in relazione a tutte le problematiche riguardano il supposto “esautoramento” degli organi del Fallimento: le modalità di gestione della procedura potranno forse divenire più complicate (circostanza, questa, recisamente contestata dal soggetto attuatore e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) ma non si vede in qual modo le disposizioni della suddetta legge violino il diritto al risparmio consacrato nell’art. 47 della Costituzione: di tali eterogenee censure va affermata la manifesta infondatezza.
9.3.1.Per chiudere sul punto, con un argomento critico sapientemente formulato la curatela fallimentare ha sostenuto la fondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa alla porzione dell’art. 33 comma 12 del decreto –legge nella parte in cui si prevede che “alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa e’ riconosciuto un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprieta’. Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma L’emissione degli strumenti finanziari di cui al presente comma non comporta l’esclusione dai limiti relativi al trattamento economico stabiliti dall’ articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.
9.3.2. Ad avviso della curatela appellante, la disposizione suindicata interferirebbe con una prescrizione della legge fallimentare che rimette al Giudice (e soltanto a questi) il potere di autorizzare la continuazione delle attività del fallito (art. 104 “Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori.
Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la durata.
Durante il periodo di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori è convocato dal curatore, almeno ogni tre mesi, per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio.
Se il comitato dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio, il giudice delegato ne ordina la cessazione.
Ogni semestre, o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio, il curatore deve presentare un rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria. In ogni caso il curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato dei creditori di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio.
Il tribunale può ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento laddove ne ravvisi l’opportunità, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il curatore ed il comitato dei creditori.
Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.
I crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1).
Al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II”) e quindi inciderebbe sul giudicato fallimentare (ed anche, si può ipotizzare, con gli artt. 101 comma II e 104 della Carta Fondamentale, sebbene tali parametri non siano stati dalla curatela evocati).
9.4. Ora, è ben noto al Collegio che le procedure concorsuali sono finalizzate alla liquidazione dell’attivo ed alla ripartizione dello stesso tra i creditori: ed in tale ottica, il potere discrezionale di autorizzare la gestione provvisoria dei beni del fallito (sebbene l‘esperienza giudiziaria insegni che vi si ricorra con sempre maggiore frequenza) è rimesso alla discrezionalità giudiziale: ad avviso della difesa della curatela, una disposizione quale quella in parola renderebbe necessaria ed indefettibile tale autorizzazione, elidendo di fatto il potere discrezionale giudiziale: e ciò a fronte di una procedura già pendente al momento della entrata in vigore della citata disposizione.
9.4.1. Senonchè, è agevole osservare che la fattispecie ipotizzata dalla curatela in nulla si differenzia da una evenienza espressamente normata dal Regio decreto 16.3.1942, n.267 e succ mod. in quanto i commi 2 e 3 dell’art. 42 prevedono che “sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”. Orbene, laddove accada che al fallito pervengano –successivamente alla dichiarazione di fallimento – beni riposanti in strumenti finanziari, si producono esattamente le stesse conseguenze che la curatela attribuisce alla norma di legge in contestazione: non sembra al Collegio che l’effetto della medesima attinga valori costituzionalmente protetti.
9.5. Quanto all’ulteriore argomento di supposta illegittimità della contestata disposizione incentrato sulla considerazione secondo cui la immediata cancellazione dei titoli che integrano cause legittime di prelazione violerebbe il diritto di difesa dei creditori privilegiati, pare al Collegio che essa muova da un fraintendimento del dato legislativo.
9.5.1. Premette il Collegio che la circostanza che non si sia proceduto sino a data odierna alla trascrizione del decreto (evocata sotto opposti angoli prospettici sia dall’appellante curatela che dal Soggetto Attuatore) non riveste alcuna rilevanza, non potendosi da essa far discendere (come preteso dalle parti) né che ciò sia dimostrativo della esattezza delle censure di irrazionalità del testo di legge contestato né, al contrario, della inverosimiglianza dei timori paventati dalla curatela.
9.5.2. Ciò che giova rilevare, è che la vigente disposizione di cui al più volte citato art. 12 dell’art. 33 del d.L. infatti, richiama il comma secondo dell’art. 2944 del codice civile, facendo quindi salve le trascrizioni antecedenti alla trascrizione del decreto, e stabilisce poi che “dalla trascrizione del decreto di trasferimento e alla consegna dei suddetti titoli, tutti i diritti relativi alle aree e agli immobili trasferiti, ivi compresi quelli inerenti alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa, sono estinti e le relative trascrizioni cancellate.”: soltanto dalla consegna dei titoli rappresentativi del valore dei beni espropriati, quindi, viene prevista la cancellazione delle trascrizioni e delle iscrizioni antecedenti a quella del decreto di trasferimento, per cui non sembra al Collegio che la norma collida con alcuno dei principi costituzionali posti a tutela del credito e del diritto al risparmio, né con la salvezza delle cause legittime di prelazione ex art. 2721 del codice civile.
10. A questo punto della esposizione restano inesplorate due problematiche (soltanto lambite sinora, in quanto connesse ad argomenti critici che si ritiene di avere invece compiutamente scrutinato) “di confine” tra i versanti critici evocati dalla curatela.
10.1.Si rammenta infatti che, ad avviso di parte appellante:
a) non vi sarebbe “certezza” del ristoro in quanto lo stesso sarebbe erogato con “strumenti finanziari” per natura aleatori, il che inciderebbe su tale requisito dell’indennizzo (art. 42 della Costituzione);
b) la abnorme durata della procedura fallimentare conseguente al termine di quindici anni contenuto nel decreto violerebbe il precetto di cui all’art. 111 della Costituzione ed all’art. 6 par. I della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in tema di ragionevole durata del processo, tenuto conto della circostanza che la disposizione di legge ordinaria che di tale precetto costituisce attuazione (la legge n. n. 89/2009 sarebbe pacificamente applicabile anche alle procedure fallimentari ed è precipitato dell’art. 6 par. I della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo).
10.1.2.Il Collegio ha già anticipato che ritiene non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità indicato sub a) e che di seguito chiarirà le ragioni del proprio convincimento e provvederà a rimettere la relativa questione alla Corte Costituzionale.
10.2. Quanto all’evocato profilo di cui alla lettera b) si rileva quanto di seguito:
a) a ragione la curatela fa presente che per costante giurisprudenza (tra le tante Cassazione civile, sez. VI, 9/1/2017, n. 221) la procedura fallimentare è soggetta alle prescrizioni dettate in tema di irragionevole durata del processo dalla legge n. 89 del 2001;
b) ed il Collegio è altresì consapevole della circostanza che per la consolidata giurisprudenza di legittimità ( tra le tante Cassazione civile, sez. VI, 19/5/2015, n. 10233 Cassazione civile, sez. VI, 28/5/2012, n. 8468) “una procedura fallimentare deve avere una durata stimata di 5 anni, che può aumentare fino a massimo 7 nel caso in cui il procedimento presenti particolari difficoltà; superato questo limite scatta l’equa riparazione della legge Pinto per eccessiva durata”, secondo lo “standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo”;
c) senonchè ritiene il Collegio che la censura proposta appare logicamente subordinata rispetto a quella richiamata sub lettera a) e sulla quale il Collegio provvederà immediatamente di seguito ad investire dello scrutinio la Corte Costituzionale in quanto, laddove detta questione di legittimità costituzionale sollevata dal Collegio venisse accolta, verrebbe meno il dato normativo rilevante sotteso alla questione che si sta esaminando;
d) la curatela, infatti, ricava dal seguente inciso contenuto nel comma 12 dell’art. 33 del vigente testo dell’art. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 “tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore” la conseguenza che la procedura fallimentare non potrà avere una durata inferiore a quindici anni;
e) ma laddove venisse dichiarata la illegittimità costituzionale del detto inciso, sotto il profilo rimesso dal Collegio di seguito, appare evidente che verrebbe meno (o quantomeno dovrebbe essere attentamente riconsiderata, e sotto presupposti diversi) la premessa maggiore della questione di illegittimità evocata dalla curatela (la tempistica del rimborso a quindici anni sarebbe superiore di ben otto anni rispetto alla durata massima della procedura fallimentare);
f) il Collegio ritiene pertanto che la questione prospettata non possa allo stato essere esaminata, in quanto non immediatamente rilevante nell’odierno giudizio perchè logicamente subordinata rispetto a quella sollevata immediatamente di seguito (per una fattispecie analoga, si veda Consiglio di Stato, Sezione IV ordinanza collegiale n. 4765 del 17 novembre 2016, capo 2.2.)
11. Può adesso essere esaminata la residua parte delle critiche proposte dal Comune; come si è rilevato in precedenza, la terza e la quarta censura (in realtà, si ripete, la rubrica dei motivi di appello risente di un errore di battitura, in quanto la quarta doglianza è rubricata sotto il n. 2) proposte dal Comune di Napoli devono essere esaminate congiuntamente: ivi si lamenta la violazione delle prerogative regionali e comunali in materia di urbanistica, e la violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato (soprattutto con riferimento alla posizione della Regione Campania): il dubbio di costituzionalità attinge la valenza di variante urbanistica e di dichiarazione di pubblica utilità delle opere e di urgenza e indifferibilità dei lavori, che l’art. 33, comma 10, del d.L. n. 133 del 2014, attribuisce al programma di rigenerazione urbana.
11.1. Tutte le censure sono rilevanti – per le già chiarite ragioni – ed anche ammissibili.
E’ ben vero infatti che –quanto all’asserita lesione delle competenze regionali – costituisce elemento da non trascurare la circostanza che la regione Campania (il soggetto, in tesi, asseritamente “leso” nelle proprie prerogative) non soltanto non ha proposto alcun ricorso ma, anzi, sia in primo grado che nell’odierno grado di giudizio ha chiesto che gli appelli venissero respinti; purtuttavia, traendo spunto da quanto dalla Corte Costituzionale affermato in materia di conflitti di attribuzione (“la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto» -ex plurimis, sentt. nn. 195 del 2007, 99 del 1991, 285 del 1990 e 110 del 1970) non pare al Collegio che il comune risenta di alcun limite nel sollevare (anche) la detta questione in via incidentale in un giudizio pendente.
E’ ben vero – si ripete- che, nel caso di specie, il soggetto asseritamente “leso” in via primaria (e cioè la Regione) è presente nel processo e contraddice la tesi dell’appellante comune che propone la questione di legittimità costituzionale incentrata anche sulla ipotetica lesione delle prerogative regionali: e purtuttavia, sol che si ponga mente locale alla circostanza che il Giudice potrebbe sollevare la questione anche d’ufficio, non sembra al Collegio che possa ravvisarsi una limitazione alla legittimazione del comune di Napoli a sollevare problematiche di rispetto delle competenze costituzionali spettanti alla Regione; il Collegio ritiene che il secondo periodo del capo 12 della impugnata sentenza del T.a.r. n. 1471 del 2016 esprima considerazioni in via di principio condivisibili avuto riguardo al concetto di legittimazione attiva che è condizione dell’”interesse” a proporre il ricorso nel processo amministrativo, ma che non si attagliano alla ipotesi in cui il soggetto impugnante prospetti una questione di costituzionalità della norma di legge sottesa al provvedimento amministrativo impugnato.
11.1. Il Collegio provvederà pertanto a scrutinare le questioni proposte sia con riferimento al parametro di cui all’articolo 117, comma 2, lettera m) e comma 3 della Costituzione che con riguardo alla asserita violazione dell’articolo 118, commi 1 e 2 della Costituzione (sono stati parimenti evocati gli articoli 114 e 120 della Costituzione).
11.2. Il Collegio è persuaso della non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità prospettato, con riferimento alla circostanza che (commi 3, 9 e 13 dell’art. 33 del decreto legge a più riprese citato) l’approvazione del programma di rigenerazione urbana non è presidiato dalla previsione della necessaria intesa tra Stato e Regione nonché da un più adeguato coinvolgimento procedimentale del comune.
11.2.1. Invero secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, l’urbanistica e l’edilizia devono essere ricondotte alla materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., materia di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio (da ultimo, Corte cost. ordinanza n. 314 del 2012; sentenza n. 309 del 2011, vedi anche sentenze n. 362 e n. 303 del 2003).
Per altro verso, la Corte Costituzionale ha chiarito da tempo risalente che il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio: ciò giustifica l’eventuale emanazione di disposizioni legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni già assegnate agli enti locali (sent. n. 286/97). Dunque non è precluso alle leggi nazionali ovvero anche regionali di prevedere la limitazione di alcune competenze comunali in considerazione di “concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio” (Corte cost. n. 378/00 cit.). Le leggi regionali sono tenute cioè a valutare “la maggiore efficienza della gestione a livello sovracomunale degli interessi coinvolti” (Corte cost. n. 286/97). E’ rimasto inoltre chiarito (sent. n. 478/02), in relazione ai poteri urbanistici dei Comuni, come la legge nazionale e regionale possa modificarne le caratteristiche o l’estensione, ovvero subordinarli a preminenti interessi pubblici, alla condizione di non annullarli o comprimerli radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, v. le sentenze n. 378/00, n. 357/98, n. 286/97, n. 83/97 e n. 61/94). Assai rilevanti in proposito, sono certamente le pronunce in merito alle leggi regionali sul cd. “piano casa” (fra cui Corte cost. n. 46/2014, che giudica legittima l’imposizione regionale di limitazioni alla potestà ed all’autonomia pianificatoria comunale, ove collegate a specifici presupposti e circoscritte entro confini ben determinati).
La problematica, come è agevole riscontrare, ruota intorno ai concetti di necessità ed adeguatezza (si veda anche Corte Costituzionale, 24/07/2015, n. 189” Invero, questa Corte -ex plurimis, sentenze n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003- ha ritenuto -fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003- che, nell’art. 118, primo comma, Cost., vada rinvenuto un peculiare elemento di flessibilità, il quale – nel prevedere che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – introduce un meccanismo dinamico incidente anche sulla stessa distribuzione delle competenze legislative- diretto appunto a superare l’equazione tra titolarità delle funzioni legislative e titolarità delle funzioni amministrative.”).
Ritiene il Collegio che, manifestamente, in via teorica possano essere rinvenuti nella fattispecie in esame i presupposti per l’accentramento statuale, e che sia vano in proposito, il generico richiamo del Comune ad una pregressa inerzia degli Organi centrali, che, anche laddove dimostrato, non può essere considerato fattore legittimante il proseguire della inerzia medesima.
Senonchè, tali presupposti non hanno trovato continuità – nel disegno legislativo- attraverso il coinvolgimento pieno dell’Ente regionale e la valorizzazione del ruolo del comune nell’esercizio della funzione di governo del territorio.
11.2.2. Sarà consentito in proposito richiamare uno stralcio della motivazione contenuta nella recente decisione (accoglitiva in quel caso, e proprio con riferimento ad una disposizione – l’art. 29, comma 1 – contenuta nel medesimo decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 oggetto della presente disamina) della Corte Costituzionale, dell’ 11 dicembre /2015, n. 261.
11.2.3. In detta occasione (il ricorso era stato proposto da una Regione) sembra significativo che la Corte Costituzionale si sia così espressa:
“L’intervento normativo in questione trova, per questo verso, la sua base di legittimazione nel meccanismo ormai comunemente designato come «chiamata in sussidiarietà»: vale a dire nel principio – reiteratamente affermato da questa Corte – in forza del quale, allorché sia ravvisabile un’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo Stato è abilitato, oltre che ad accentrare siffatto esercizio ai sensi dell’art. 118 Cost., anche a disciplinarlo per legge, e ciò anche quando quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale. In tal caso, i principi di sussidiarietà e di adeguatezza, in forza dei quali si verifica l’ascesa della funzione normativa, dal livello regionale a quello statale, convivono con il normale riparto di competenze delineato dal Titolo V della Costituzione e possono giustificarne una deroga (ex plurimis, sentenze n. 374 e n. 88 del 2007, n. 303 del 2003).
Sempre alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, affinché detta deroga possa ritenersi legittima è necessario – stante la rilevanza dei valori in gioco – per un verso, che la valutazione dell’interesse unitario sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata e rispondente a ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto; per altro verso, che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate nello svolgimento delle funzioni allocate in capo agli organi centrali, in modo da contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni stesse (ex plurimis, sentenze n. 179 e n. 163 del 2012, n. 232 del 2011). Più in particolare, la legislazione statale di questo tipo «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (-sentenze n. 278 del 2010, n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003-.”. Ancora, la Corte ha precisato che “la sussistenza di un’esigenza di esercizio unitario della funzione di pianificazione ora indicata, idonea a giustificare la sua attrazione a livello statale, non è contestata dalla Regione ricorrente. Quest’ultima si duole, invece, specificamente del fatto che non sia prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nelle procedure di adozione del piano: aspetto sul quale la norma censurata rimane, in effetti, completamente silente”.
11.2.2. Ora, se la sussidiarietà “ascendente” è ammissibile ove proporzionata e rispondente a ragionevolezza e se, in tale ultimo caso, è legittima laddove “siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate” e che esse vadano rinvenute nella intesa, pare al Collegio che i dubbi sollevati dal Comune abbiano fondamento, in quanto:
a) è ben vero che sono condivisibili le considerazioni del T.a.r. relative alla circostanza che la versione novellata dell’art. 33 del più volte citato decreto-legge ha espunto la prescrizione originaria del comma 12 (“Il Soggetto Attuatore costituisce allo scopo una societa’ per azioni, il cui capitale azionario potra’ essere aperto ad altri soggetti che conferiranno ulteriori aree ed immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio meritevoli di salvaguardia e riqualificazione, previa autorizzazione del Commissario straordinario del Governo”) che aveva suscitato (si veda il ricorso di primo grado del Comune appellante) in massimo grado le critiche della amministrazione comunale originaria ricorrente;
b) ed è parimenti vera la circostanza la prescrizione normativa di cui all’art. 33 prevedeva, sin dal momento in cui venne convertita dall’ articolo 1, comma 1, della Legge 11 novembre 2014, n. 164 al comma 13 il coinvolgimento della regione e del comune;
c) la stesura del testo della citata disposizione, venne successivamente modificata e l’ articolo 11, comma 16-quater, lettera c), del D.L. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 125 potenziò il coinvolgimento delle amministrazioni locali interpolando il comma 13 (”13. Al fine di definire gli indirizzi strategici per l’elaborazione del programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana del comprensorio Bagnoli-Coroglio, assicurando il coinvolgimento dei soggetti interessati, nonche’ il coordinamento con ulteriori iniziative di valorizzazione del predetto comprensorio, anche con riferimento alla sua dotazione infrastrutturale, e’ istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un’apposita cabina di regia, presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri all’uopo delegato e composta dal Commissario straordinario, da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti, nonche’ da un rappresentante, rispettivamente, della regione Campania e del comune di Napoli. Alle riunioni della cabina di regia possono essere invitati a partecipare il Soggetto Attuatore, nonche’ altri organismi pubblici o privati operanti nei settori connessi al predetto programma.13.2. Ai fini della puntuale definizione della proposta di programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana, il Soggetto Attuatore, sulla base degli indirizzi di cui al comma 13, acquisisce in fase consultiva le proposte del comune di Napoli, con le modalita’ e nei termini stabiliti dal Commissario straordinario. Il Soggetto Attuatore esamina le proposte del comune di Napoli, avendo prioritario riguardo alle finalita’ del redigendo programma di rigenerazione urbana e alla sua sostenibilita’ economico-finanziaria. Il comune di Napoli puo’ chiedere, nell’ambito della conferenza di servizi di cui al comma 9, la rivalutazione delle sue eventuali proposte non accolte. In caso di mancato accordo si procede ai sensi del terzo periodo del comma 9 “);
d) successivamente alle modifiche introdotte dal c.d. decreto milleproproghe tale prescrizione è rimasta immutata;
e) tuttavia, tale coinvolgimento è limitato alla previsione della necessaria presenza del Comune e della Regione in conferenza di servizi e, successivamente, nella c.d. “cabina di regia”: ma da un lato non è prevista l’intesa dello Stato con la Regione, dall’altro il comune è – nei fatti- parificato agli altri enti che intervengono a vario titolo nel procedimento.
11.2.3. Ulteriori indicazioni utili che militano per la non manifesta infondatezza della questione si rinvengono in altre pronunce della Corte Costituzionale.
Esemplificativamente, a tale proposito, si può citare la decisione del 22 luglio 2011, n. 232 (che lo stesso comune appellante richiama nel proprio atto di appello) laddove è stato significativamente affermato che “la Corte (ex plurimis, sentenze n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003) ha ritenuto (fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003) che, nell’art. 118, primo comma, Cost., vada rinvenuto un peculiare elemento di flessibilità, il quale – nel prevedere che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – introduce un meccanismo dinamico (incidente anche sulla stessa distribuzione delle competenze legislative) diretto appunto a superare l’equazione tra titolarità delle funzioni legislative e titolarità delle funzioni amministrative. La Regione ricorrente (trascurando di dare rilievo alla compresenza, nella specie, di una molteplicità di materie che possono essere incise dalla normativa censurata, le quali ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e Regioni) basa invece la sua censura sulla acritica e categorica affermazione, di ordine generale, della insuperabilità di tale rigida corrispondenza, che questa Corte ha costantemente negato (fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003), ritenendo coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà il fatto che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere”; è ammissibile che lo Stato possa allocare funzioni amministrative nelle materie di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 117 della Costituzione, avocandole a se stesso, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost. – pur solo ove ricorrano i presupposti dell’esercizio unitario delle funzioni amministrative; per costante affermazione di questa Corte – poiché la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato -, in relazione al principio di legalità sostanziale (per tutte, sentenza n. 6 del 2004), tale scelta deve giustificarsi in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (ex plurimis sentenze n. 278 del 2010, n. 76 del 2009, n. 165 e n. 88 del 2007, n. 214 del 2006, n. 151 del 2005). E, dunque, proprio in ragione della rilevanza dei valori coinvolti, una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. può essere giustificata solo se la valutazione dell’interesse unitario sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.”
11.3. Il Collegio sottolinea quindi che:
a) non appare manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalità prospettato dal Comune, sol che si consideri che la più recente giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, 11/02/2016, n. 21) evidenzia che nella ipotesi di intreccio di competenza legislativa statale esclusiva (in questo caso in materia di ambiente) e competenza legislativa concorrente (in questo caso in materia di governo del territorio) si impone la previsione di procedure concertative e di coordinamento orizzontale, e tale omissione di “alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni”, vìolerebbe il principio di leale collaborazione;
b) nella sentenza suindicata si afferma altresì che “una tale collaborazione può dirsi adeguatamente attuata solo mediante la previa acquisizione dell’intesa nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, da considerare luogo di espressione e insieme di sintesi degli interessi regionali e statali coinvolti” (sentt. nn. 50 del 2005, 50, 168 del 2008, 237 del 2009, 334 del 2010, 80, 171 del 2012, 44 del 2014, 1 del 2016);
c) nel caso di specie si è al cospetto di un intreccio tra la materia ambientale – di competenza esclusiva dello Stato- (e si rammenta che la Corte costituzionale ha infatti avuto modo di precisare in passato che «…Come più volte precisato da questa Corte, la gestione dei rifiuti è ascrivibile alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla legislazione esclusiva dello Stato -ex multis, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009-. In questo ambito, «non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente», anche se le Regioni possono stabilire «per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela più elevati», pur sempre nel rispetto «della normativa statale di tutela dell’ambiente» -sentenza n. 61 del 2009-. Al contempo, «i poteri regionali “non possono consentire, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili […] di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio […]» -sentenza n. 54 del 2012-…» -sentenza 2 dicembre 2013, n. 285”) e quella del governo del territorio.
d) la disciplina “generale” contenuta nel citato art. 33 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 ( si veda il comma 2, che costituisce la norma-manifesto “garantendo comunque la partecipazione degli enti territoriali interessati alle determinazioni in materia di governo del territorio,” ed il comma 3 “le aree di rilevante interesse nazionale alle quali si applicano le disposizioni del presente articolo sono individuate con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza Stato-Regioni. Alla seduta del Consiglio dei Ministri partecipano i Presidenti delle Regioni interessate.” ed il comma 9 in punto di deliberazione in conferenza di servizi e procedura di superamento del dissenso rimessa al Consiglio dei Ministri con la presenza del Presidente della Regione interessata ed il comma 13, quanto al comprensorio di Bagnoli-Coroglio) non garantisce l’adeguato coinvolgimento dell’Ente regionale nei termini declinati dalle pronunce del Giudice delle leggi prima menzionate, che richiedono il raggiungimento della intesa dovendo trovare applicazione il principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte (da ultimo, sentenza n. 1 del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze, qualora non risulti possibile comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante un criterio di prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del legislatore statale, «purché agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008) e che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell’intesa» (sentenza n. 1 del 2016).
e) il principio suindicato è stato di recente ribadito, infine, nella decisione della Corte Costituzionale, 25 novembre 2016 n. 251.
11.4. Ritiene in conclusione il Collegio che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 33 del decreto legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 e successive modifiche in relazione all’articolo 117, comma 2, lettera m) e comma 3 della Costituzione nonché in relazione all’art. 118 comma 1 della costituzione nella parte in cui (commi 3, 9 10 e 13 del predetto articolo 33) si prevede che il programma di rigenerazione urbana- con gli effetti che ne derivano in termini di governo del territorio – sia approvato in carenza di preventiva intesa con la regione Campania e senza specifica valorizzazione del ruolo del comune.
12 Devono adesso essere chiarite le ragioni per le quali il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione della compatibilità costituzionale del seguente inciso contenuto nel comma 12 dell’art. 33 del vigente testo dell’art. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 “Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8. L’emissione degli strumenti finanziari di cui al presente comma non comporta l’esclusione dai limiti relativi al trattamento economico stabiliti dall’ articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214” con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione, 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione.
12.1. La curatela appellante (ma anche il comune di Napoli, seppur in termini più sfumati e generici) ha fatto presente che tale formulazione della norma primaria (anche nell’ ultima versione, modificata dal c.d. “decreto millepropreghe”) non darebbe “certezza” del ristoro in quanto lo stesso è destinato ad essere erogato mediante non meglio precisati “strumenti finanziari”, per loro natura aleatori, e ciò inciderebbe sull’indefettibile requisito della “serietà e certezza” dell’ indennizzo (art. 42 della Costituzione).
12.2. Premette il Collegio che è ben noto che per condivisa e costante giurisprudenza (tra le tante Corte Conti reg., -Sicilia- sez. giurisd., 04/07/2005, n. 149, Cassazione civile, sez. I, 28/11/2003, n. 18200, Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/1997, n. 1207), sulla falsariga dei fondamentali insegnamenti della Corte Costituzionale, si è costantemente affermato che fra più interpretazioni possibili delle norme giuridiche positive, l’interprete deve privilegiare solo quella più conforme alla Costituzione.
12.3. Il Collegio condivide tale insegnamento, che fa proprio, ed è questa la ragione per la quale non ha ritenuto –ex officio- di sollevare la questione di legittimità costituzionale del comma 12 del citato art. 33 in riferimento all’art. 24 della Costituzione nella parte in cui esso prevede che “alla procedura fallimentare della societa’ Bagnoli Futura Spa e’ riconosciuto un importo corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprieta’.
12.3.1. Infatti, sebbene taluni incisi contenuti nelle memorie delle parti appellate ( nell’affermare che nessuna parte può dolersi della circostanza che la determinazione del valore sia stata affidata ad un Organo della cui neutralità non può dubitarsi) lascino intendere che detta determinazione dell’Agenzia del demanio sia definitiva e non sia contestabile (con gli strumenti processuali previsti dal d.P.R n. 327/2001, art. 54) non è questa ad avviso del Collegio la interpretazione che di detta porzione della norma può e deve essere data: il testo della stessa è compatibile con la circostanza che avverso la determinazione dell’Agenzia del demanio siano esperibili gli ordinari rimedi di opposizione alla stima, ed è questa la (unica) lettura “costituzionalmente compatibile” che della richiamata disposizione deve essere fornita, mentre una interpretazione opposta, volta a sostenere che la detta determinazione sia definitiva e non contestabile giudizialmente integrerebbe un chiaro vulnus al diritto di difesa dei titolari delle aree espropriate (si evidenzia peraltro che la nota di Invitalia prot. 18357 del 3.11.2016 depositata in atti dal Fallimento Bagnoli Futura preconizza proprio il possibile esperimento dell’azione ex art. 54 del d.P.R n. 327/2001).
12.4.Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale incentrata sulla erogazione dell’indennizzo mercè “strumenti finanziari” invece, non v’è –ad avviso del Collegio- possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, essendo qualsivoglia approccio esegetico inibito dal carattere perentorio della norma, nonché dalla mancanza nell’ordinamento di norme e principi, la cui tenuta costituzionale si possa dire certa al punto consentire di colmare le lacune o emendare le norme con l’ausilio dell’analogia.
12.4.1.Invero il T.a.r, allorchè ha disatteso la censura fondata sulla indeterminatezza del concetto di “strumenti finanziari” contenuto nella disposizione censurata e prima riportato per esteso ha cercato di fornire una interpretazione costituzionalmente compatibile di detto inciso, attribuendo agli “strumenti finanziari” ivi indicati un significato coincidente con quello di “ strumenti obbligazionari”.
12.4.2. Senonchè tale opzione ermeneutica prospettata dal T.a.r. non appare appagante ed anzi sembra al Collegio non condivisibile.
12.4.3. Essa, a ben guardare, può trarre conforto unicamente da un dato di natura “logica”: la iniziale versione della richiamata disposizione di cui all’art. 33 comma 12 del decreto- legge n. 133/2014 prevedeva che il controvalore delle aree potesse essere corrisposto “mediante azioni o altri strumenti finanziari”; tale dizione, rimasta immutata a seguito della conversione in legge (ed attualmente cristallizzata nell’impugnato dPCM del 15.10.2015) è stata modificata dall’articolo 11-bis, comma 3, lettera a), del D.L. 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 febbraio 2016, n. 21 ed è stato espunto il riferimento alle “azioni”.
12.4.4. Senonchè, tale dato non è decisivo, e non può condurre all’affermazione secondo cui l’indennizzo sarebbe corrisposto mercè la corresponsione di obbligazioni.
12.4.5. In disparte la circostanza che la curatela evidenzia che anche lo strumento obbligazionario in se considerato è per sua stessa natura aleatorio (affermazione questa, difficilmente contestabile e che possiede in verità, portata dirimente) la nozione di strumento finanziario si ricava testualmente dall’art. 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58 (recante Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) che così testualmente stabilisce (nella parte di interesse): “2. Per “strumenti finanziari” si intendono:
a) valori mobiliari;
b) strumenti del mercato monetario;
c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;
d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o puo’ avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facolta’ consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap” e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento puo’ avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
g) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, contratti a termine (“forward”) e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento puo’ avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f) che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;
i) contratti finanziari differenziali;
j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, contratti a termine sui tassi d’interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o puo’ avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facolta’ consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonche’ altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (60).
2-bis. Il Ministro dell’economia e delle finanze, con il regolamento di cui all’articolo 18, comma 5, individua:
a) gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera g), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine;
b) gli altri contratti derivati di cui al comma 2, lettera j), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine (61).
3. Per “strumenti finanziari derivati” si intendono gli strumenti finanziari previsti dal comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j), nonche’ gli strumenti finanziari previsti dal comma 1-bis, lettera d)”.
A fronte di tale estesa indicazione non sembra possibile ricondurre tale concetto alla più limitata nozione di diritto obbligazionario, nei termini resi dal T.a.r.: il dato legislativo di riferimento appare infatti preclusivo di qualsiasi lettura riduttiva e perimetrativa.
12.4.6. Muovendo da tale punto di partenza, appare al Collegio che entrambi i versanti di critica prospettati da parte appellante non siano manifestamente infondati in quanto:
a) il concetto di indefettibilità dell’indennizzo, e di serietà e certezza dello stesso riguarda non soltanto la formale previsione legislativa ed il parametro di quantificazione (che sotto tale profilo, come si è già chiarito nella sentenza non definitiva prima menzionata appare immune da mende, ed anzi, prevedendo un indennizzo corrispondente al valore di mercato appare addirittura più favorevole, per la curatela proprietaria delle aree, rispetto alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui il valore di mercato è un dato “tendenziale”- tra le tante Corte Costituzionale, 10 giugno 2011, n. 181 -) ma la effettività di quest’ultima;
b) non sembra assicurare tali requisiti la previsione in parola, in quanto pone il soggetto espropriato nella delicata condizione di potere ricevere quale controvalore dell’area sottrattagli strumenti finanziari di natura aleatoria, che se cartolarmente possono corrispondere al valore stimato rischiano di subire –sin dal momento della erogazione- oscillazioni tali da ridurne il valore reale;
c) simili strumenti finanziari non possono essere utilizzati –almeno senza il consenso del destinatario- quale strumento di pagamento: e ciò si ricava dal diritto dei contratti, ma anche e soprattutto dal comma 4 del medesimo art.1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58 “.I mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari. Sono strumenti finanziari ed, in particolare, contratti finanziari differenziali, i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza, anche mediante operazioni di rinnovo automatico (c.d. “roll-over”). Sono altresi’ strumenti finanziari le ulteriori operazioni su valute individuate ai sensi dell’articolo 18, comma 5” e dalla giurisprudenza civile (Cassazione civile, sez. II, 2/12/2011, n. n. 25837 secondo cui può essere qualificata “moneta” soltanto il mezzo di pagamento, universalmente accettato, che è espressione delle potestà pubblicistiche di emissione e di gestione del valore economico, in conformità degli obiettivi stabiliti dall’ordinamento nazionale e sovranazionale, con la conseguenza che la “moneta della Repubblica della Terra” — denominata “dhana” — non costituisce uno strumento di pagamento ex art. 1, comma 4,d.lg. 24 febbraio 1998 n. 58, ma si atteggia a prodotto finanziario ovvero ad investimento a titolo oneroso, riguardante l’offerta al pubblico di azioni o quote di partecipazione, rappresentative di un valore economico garantito da capitali di imprese.)
12.5. Se l’indennizzo è finalizzato a ristorare la parte che subisce la espropriazione del pregiudizio subito, e se lo stesso deve essere (tra gli altri requisiti) “certo”, non può essere considerato tale quello che si risolve nella corresponsione di uno strumento aleatorio: ed infatti, non si è dubitato sinora, né in dottrina né in giurisprudenza in ordine alla circostanza che l’indennizzo debba essere erogato in denaro, o comunque con altro mezzo di pagamento.
In ipotesi di cessione negoziale non potrebbe dubitarsi della libera derogabilità a tale principio, rimessa alla determinazione dei paciscenti.
Una disposizione imperativa di legge che ciò disponga in via autoritativa pare collidere con il principio della certezza dell’indennizzo (si veda: Cassazione civile, sez. III, 12/01/2012, n. 312, Cass., SS.UU. 18 dicembre 2007 n. 26617)
12.6. Per completezza si osserva che neppure –ad avviso del Collegio – potrebbe utilizzarsi in chiave di declaratoria della manifesta infondatezza della questione sollevata la circostanza che la giurisprudenza amministrativa ha in passato riconosciuto la praticabilità nel sistema di prescrizioni di legge generale (regionale, nel caso di specie) che prevedano forme di acquisizione di aree alternative alla espropriazione (c.d. “cessione perequativa” e c.d. “cessione compensativa”) con la corresponsione di un corrispettivo (per la cessione) in volumetria (diritto edificatorio) o in aree in permuta (anziché in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l’area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso in cui venisse espropriata) : ciò in quanto è evidente – e si è chiarito a più riprese nella sentenza non definitiva prima citata – che la prescrizione normativa suindicata si pone al di fuori di detto schema in quanto inserita in un vero e proprio procedimento espropriativo, seppure “speciale” e semplificato.
13. Alla stregua delle superiori argomentazioni, si ritiene altresì rilevante e non manifestamente infondata la questione della compatibilità costituzionale del seguente inciso contenuto nel comma 12 dell’art. 33 del vigente testo dell’art. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164: “Tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8. L’emissione degli strumenti finanziari di cui al presente comma non comporta l’esclusione dai limiti relativi al trattamento economico stabiliti dall’ articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214” con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione, 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione.
14. Conclusivamente, il Collegio, definitivamente pronunciando sui riuniti appelli:
a) respinge le eccezioni di inammissibilità dei riuniti appelli per la asserita genericità delle censure ivi contenute prospettata dalla difesa erariale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
b) respinge la eccezione di nullità della sentenza n. 1471 del 22 marzo 2016 proposta dal comune di Napoli;
c) respinge nei sensi di cui alla motivazione le censure incentrate sulla asserita illegittimità sopravvenuta dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3.9.2015 e del 15.10.2015, rispettivamente di nomina del Commissario straordinario di governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio e di adozione di interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio;
d) respinge la domanda cautelare di sospensione della provvisoria esecutività della impugnata decisione n. 3754 del 20 luglio 2016 avanzata dalla curatela fallimentare sotto l’assorbente profilo della assoluta carenza di periculum in mora, in quanto l’unico profilo di sospettata illegittimità costituzionale da questa sollevato e rimesso alla Corte Costituzionale relativo all’ art. 33 comma 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 concerne una porzione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 di non immediata applicazione e la provvisoria esecutività del detto decreto non è quindi idonea ad arrecare alcun pregiudizio alla curatela appellante.
14.1. Non definitivamente pronunciando sui riuniti appelli:
I) respinge, allo stato, per difetto di attuale rilevanza la questione di costituzionalità dell’art. 33 comma 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164, in relazione all’art. 111 della Costituzione ed all’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 par. I della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in tema di ragionevole durata del processo;
II) dichiara manifestamente infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 33 comma 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 prospettate nei riuniti appelli, ad eccezione:
a) di quella concernente i commi 3, 9 10 e 13 del vigente testo dell’art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 nella parte in cui non prevedono che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio sia preceduto ( riguardando il governo del territorio) dall’intesa tra lo Stato e la regione Campania con riferimento ai parametri di cui agli artt. 117, comma 2, lettera m) e comma 3 della Costituzione nonché da una specifica valorizzazione del ruolo del comune con riferimento all’art. 118 comma 1 della Costituzione;
b) di quella concernente l’erogazione dell’indennizzo mediante il versamento di “strumenti finanziari” con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione, 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui riuniti ricorsi in appello li respinge in parte, nei sensi di cui alla motivazione che precede;
non definitivamente pronunciando sui riunti ricorsi in appello, come in epigrafe proposti, visti gli artt. 134 Cost., art. 1 della l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art 23 della l. 111 marzo 1953 n. 87:
a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dei commi 3, 9 10 e 13 del vigente testo dell’art. 33 del. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 nella parte in cui non prevedono che l’approvazione del programma di rigenerazione urbana quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio sia preceduto dall’intesa tra lo Stato e la regione Campania con riferimento ai parametri di cui agli artt. 117, comma 2, lettera m) e comma 3 della Costituzione e da una specifica valorizzazione del ruolo del comune con riferimento all’art. 118 comma 1 della Costituzione;
b ) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità del seguente inciso contenuto nel comma 12 dell’art. 33 del vigente testo dell’art. decreto-legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 “tale importo e’ versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, emessi su mercati regolamentati dal Soggetto Attuatore, anche al fine di soddisfare ulteriori fabbisogni per interventi necessari all’attuazione del programma di cui al comma 8. L’emissione degli strumenti finanziari di cui al presente comma non comporta l’esclusione dai limiti relativi al trattamento economico stabiliti dall’ articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214” con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione, 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione.
Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che a cura della Segreteria della Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato la presente sentenza non definitiva sia notificata alle parti in causa ed al presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Fabio Taormina

Antonino Anastasi
IL SEGRETARIO