Accesso ai documenti di natura privatistica

1. In via generale, in base alla disciplina contenuta negli artt. 22 e ss. Legge n. 241/1990, il diritto di accesso può esercitarsi anche rispetto a documenti di natura privatistica purché concernenti attività di pubblico interesse; tale è l’attività esecutiva di un appalto. D’altro canto, l’attività amministrativa, soggetta all’applicazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, è configurabile non solo quando l’Amministrazione esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegue le proprie finalità istituzionali e provvede alla cura concreta di pubblici interessi mediante un’attività sottoposta alla disciplina dei rapporti tra privati.
2. Il diritto di accesso agli atti amministrativi previsti dalla legge n. 241/1990 si estende anche alla relazione riservata del collaudatore dei lavori pubblici appaltati dall’Amministrazione, prevista nell’art.100 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350.
3. Ai fini dell’accesso c.d. defensionale ai documenti amministrativi, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio non rileva che quest’ultimo sia già pendente o da introdurre.
4. Invero, il testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto e relative controdeduzioni del direttore dei lavori non sono affatto atti assimilabili a valutazioni “defensionali”: integrano dato “storico” che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto: non v’è ragione di precluderne l’accessibilità.

Avv. Giovanni Dato

N. 00326/2016REG.PROV.COLL.
N. 02042/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2042 del 2015, proposto da:
Eur Spa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;
contro
Drees & Sommer Ag, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Matteo Mazzone, con domicilio eletto presso Matteo Mazzone in Roma, Via Giovanni Antonelli, 45; Società Italiana Per Condotte D’Acqua Spa;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA – SEZIONE III BIS n. 02395/2015, resa tra le parti, concernente diniego di accesso agli atti relativi all’appalto dei lavori di costruzione del nuovo centro congressi di Roma Eur;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Drees & Sommer Ag;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Clarizia e Mazzone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha deciso (accogliendolo parzialmente) il ricorso proposto dall’odierna parte appellata Drees & Sommer A.G. in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’associazione temporanea con la S.p.a. Ecosfera,e volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità del diniego di accesso (lettera raccomandata a.r. in data 7 febbraio 2013, prot. n. 201300859) opposto dal Responsabile Unico del procedimento dell’Eur S.p.a. con riferimento ad alcuni atti relativi all’appalto dei lavori di costruzione del Nuovo Centro Congressi di Roma Eur.
La vicenda processuale può essere così ricostruita.
L’odierna parte appellata aveva proposto nel 2013, innanzi al Tar, il ricorso n. 02504/2013.
Ivi, l’appellata aveva illustrato le ragioni sottese alla richiesta facendo presente che a seguito di gara espletata nel dicembre 2007 l’Eur S.p.a., con contratto stipulato in data 21 aprile 2008, aveva affidato all’associazione temporanea tra le imprese Drees & Sommer A.G. e Ecosfera S.p.a. l’appalto del servizio di “Construction Management” relativo alla realizzazione del Nuovo Centro Congressi di Roma Eur (c.d. Nuvola dell’architetto Massimiliano Fuksas).
Detto servizio consisteva nel fornire assistenza tecnica al direttore dei lavori ai fini di una efficiente gestione dei rapporti contrattuali con l’impresa appaltatrice dell’opera, nonché nell’espletamento delle attività di misurazione, contabilità, pianificazione, controllo della qualità e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori.
In base al contratto stipulato, l’ATI per il corrispettivo pattuito di € 6.407.862,78, avrebbe dovuto rendere la sua prestazione per una durata complessiva di 42 mesi, di cui 36 per l’espletamento materiale del servizio di Construction Management e 6 per l’assistenza al collaudo dell’opera una volta realizzata.
Tuttavia che l’andamento dei lavori di costruzione del Nuovo Centro Congressi – affidati in appalto alla società Condotte d’Acqua – aveva subito sin dall’inizio una serie di gravi ritardi rispetto alle previsioni del programma di esecuzione contrattuale, per varianti progettuali, proroghe del termine di esecuzione dei lavori disposte dall’Eur S.p.a., ritardi nella esecuzione dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice, etc..
Ciò aveva comportato come conseguenza la forte contrazione della produzione mensile di cantiere rispetto a quella stabilita nel programma contrattuale di esecuzione dei lavori, determinando una grave e pregiudizievole sottoutilizzazione del personale tecnico che l’Ati in forza del contratto di servizio stipulato con l’Eur S.p.a., era obbligata a impiegare quotidianamente ai fini dell’espletamento del servizio assunto.
Tali circostanze avevano causato all’Ati danni e aggravi economici per i quali essa aveva dapprima invano formalizzato numerose domande di ristoro economico (c.d. riserve) e poi intrapreso nei confronti dell’Eur S.p.a. un giudizio davanti al competente Tribunale civile al fine di vedere soddisfatte le sue pretese risarcitorie.
Detti danni e maggiori oneri in argomento si erano protratti dal gennaio 2008 (inizio del servizio) fino al 4 agosto 2010, data in cui l’Eur S.p.a. aveva unilateralmente dichiarato “caducato” il contratto, sul rilievo che successivamente all’aggiudicazione del servizio era emerso che in sede di partecipazione alla gara (conclusasi nel mese di dicembre del 2007) l’Ati difettava di alcuni requisiti richiesti dal bando.
Tale parallela vicenda era stata altresì oggetto di scrutinio giudiziale: il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 932/2012 gravata per Cassazione (la Cassazione aveva respinto il mezzo) aveva stabilito la giurisdizione del giudice ordinario (così annullando la decisione del Tar che aveva annullato il provvedimento di caducazione del contratto adottato dall’Eur S.p.a. e disposto la reintegrazione dell’Ati nel contratto).
Premesso in fatto tale insistito contenzioso, la odierna appellata aveva illustrato la propria necessità di acquisire copia di una serie di atti e documenti intercorsi tra l’Eur S.p.a. e l’impresa Condotte d’Acqua appaltatrice dei lavori nel corso dell’appalto.
La conoscenza di detti atti avrebbe consentito alla stessa Ati di dimostrare per tabulas in sede giudiziale che la causa dell’anomalo andamento dei lavori e dei conseguenti maggiori oneri economici da essa sostenuti era ascrivibile in via esclusiva al committente Eur S.p.a..
Con la decisione n. 8846/2013 del 15.10.2013, il Tar del Lazio aveva escluso l’accoglibilità del mezzo.
Il Tar aveva in proposito osservato che l’odierna appellata aveva sostenuto che l’interesse all’accesso era finalizzato alla difesa in giudizio dei propri interessi.
Senonchè tale causa legittimante, ad avviso del Tar, non poteva ritenersi applicabile nei confronti della predetta: questa, nella sostanza, intendeva introdursi in rapporti interni intercorsi tra la Eur e la Impresa Condotte d’Acqua appaltatrice dei lavori, allo scopo di precostituirsi prove nel giudizio della stessa attuale istante instaurato in sede civile per l’accertamento di responsabilità che pone a base della sua domanda risarcitoria azionata dinanzi lo stesso giudice civile.
Oltre alla circostanza che trattavasi di un rapporto cui la odierna appellata era nella sostanza estranea, i mezzi di prova diretti a sostenere le domande proposte davanti al giudice civile non potevano essere forniti attraverso una domanda di accesso che restava disciplinata dall’art. 116 c.p.a..
Dalla detta disposizione si evinceva che le disposizioni relative al “rito in materia di accesso” si riferivano ai documenti amministrativi e che tale concetto (ai sensi del novellato art. 22 l. n. 241/1990) doveva unicamente riferirsi a quelli relativi ad uno specifico procedimento e concernenti attività di pubblico interesse.
Il mezzo, conclusivamente, era stato integralmente disatteso.
La originaria parte ricorrente aveva impugnato la detta decisione criticandola sotto ogni profilo e riproponendo alcune delle tesi rappresentate al Tar in primo grado.
Aveva ripercorso, anche cronologicamente, la sottesa vicenda relativa alla selezione evidenziale aggiudicatasi, ed ha fatto presente che essa avrebbe dovuto proseguire il servizio “fino a quando l’opera non fosse stata ultimata” mentre l’appalto “a monte” aggiudicato da Eur SPA a Condotte d’Acqua prevedeva che quest’ultima avrebbe dovuto terminare i lavori entro il febbraio 2011 (mentre i detti lavori non erano a tutt’oggi terminati).
L’Ati originaria ricorrente aveva subito un grave danno dalle condotte poste in essere da Eur SPA: aveva formalizzato numerose domande di ristoro economico (c.d. riserve) ma l’’Eur SPA non aveva inteso attivare il procedimento di accordo bonario ex art. 240 del dLgs n. 163/2006.
Essa conseguentemente si proponeva di intentare un giudizio risarcitorio (erroneamente, il Tar aveva ritenuto che il detto giudizio fosse stato già incardinato).
Gli atti intercorsi tra Eur SPA e Condotte d’Acqua erano all’appellante indispensabili in quanto, avrebbero dimostrato:
l’andamento anomalo dell’appalto a monte; la non correttezza dalla condotta tenuta da Eur SPA; la rilevanza eziologica di tale condotta sui danni subiti dall’odierna appellante.
La reiezione del Tar era errata non soltanto perché aveva ritenuto, contrariamente al vero, che il procedimento civile risarcitorio fosse già stato attivato (ed invece la documentazione richiesta si appalesava indispensabile per intentarlo), ma anche perché non aveva fatto buongoverno della nozione di documento amministrativo ricavabile ex art. 22 della legge n. 241/1990 ed aveva ritenuto dirimente, in senso negativo, che la documentazione richiesta afferisse al rapporto privatistico intercorso tra Eur SPA e Condotte d’Acqua.
Entrambi detti capisaldi reiettivi erano errati.
Quanto al primo di essi, la nozione di documento amministrativo ricavabile ex art. 22 della legge n. 241/1990 ricomprendeva atti di natura privatistica (se correlati al perseguimento di fini pubblicistici) e afferiva anche a rapporti in relazione ai quali il richiedente era rimasto soggetto terzo;
se l’istante era formalmente estranea al rapporto privatistico intercorso tra Eur SPA e Condotte d’Acqua, non lo era di fatto, posto che le stesse condotte ostruzionistiche e dilatorie imposte da Eur SPA a Condotte d’Acqua si erano riverberate, a cascata, sulla propria posizione: in ogni caso l’attività di Eur SPA era correlata ai fini isttituzionali e pubblicistici dell’Ente, per cui l’accesso non poteva essere negato, tanto più che non tratta vasi di documenti “sensibili”.
In via subordinata aveva chiesto che venisse riconosciuto il proprio diritto ad accedere agli atti amministrativi posti in essere dall’appellata Eur SPA e costituenti la premessa causale delle determinazioni negoziali cui essa aveva originariamente chiesto di potere accedere ( atti elencati ai nn.1,2,4,e 7 della premessa in fatto dell’atto di appello).
L’odierna appellante aveva depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del mezzo, per plurime ragioni, ed anche la declaratoria di inammissibilità perché il mezzo di primo grado non era stato notificato alla contro interessata Condotte d’acqua.
Alla camera di consiglio del 29 aprile 2014 la causa era stata trattenuta in decisione dal Collegio, che ha reso la sentenza n. 4308/2014 depositata il 26/08/2014.
Mercè la detta sentenza n. 4308/2014, (resa sul ricorso n. 9447/2013) la Sezione ha ravvisato una posizione di controinteresse in capo alla società Condotte d’Acqua ed ha evidenziato che questa non era stata intimata mercè il ricorso di primo grado: ha quindi annullato, ex art. 105 del cpa, la sentenza gravata in quanto non v’era stata integrità del contraddittorio nel corso del processo di primo grado.
La odierna appellata società Drees & Sommer, ha quindi , riassunto il ricorso R.G. n. 2504/2013 innanzi al Tar del Lazio, notificandolo alla “Società Italiana per le Condotte d’Acqua S.p.A.”.
Il Tar, verificata la completezza del contraddittorio e considerata la circostanza che la precedente sentenza del T.A.R. era stata annullata integralmente dal Consiglio di Stato (che non si era pronunciato sul merito della causa, ma l’aveva rimessa integralmente al giudice di prime cure) ha scrutinato la pretesa fatta valere, ed ha parzialmente accolto il mezzo.
Ha ritenuto infatti che l’odierna appellata fosse latrice di una “situazione giuridicamente rilevante” (che giustificava l’accesso e che non si esauriva nel c.d. accesso defensionale) e che la stessa fosse munita dei requisiti di concretezza ed attualità (la tesi di parte ricorrente si sostanziava nella considerazione per cui le vicende del rapporto tra la stazione appaltante e l’impresa appaltatrice dei lavori avrebbero avuto effetti, più o meno diretti, sul contratto di Construction Management, intercorrente tra la stessa stazione appaltante e l’ATI, per cui soprattutto le lungaggini dovute alle varianti in corso d’opera nell’esecuzione del primo rapporto, avrebbero avuto ricadute sulla scelta di caducare il contratto di servizi).
Ad avviso del Tar tale tesi (destinata ad essere vagliata da parte del Giudice competente non essendo il Giudice dell’accesso tenuto a sindacare funditus esattezza e concludenza della linea defensionale che postula la necessaria ostensione dell’atto) rendeva rilevanti i documenti richiesti relativamente ai nn. da 1 a 5 dell’istanza di accesso.
E’ stata quindi disposta l’ostensione della seguente documentazione:
1) provvedimenti con i quali gli organi dell’EUR s.p.a. avevano approvato perizie di varianti tecniche e/o suppletive al progetto posto a base del contratto di appalto stipulato con l’impresa appaltarice dei lavori; 2) provvedimenti concernenti la concessione di proroghe del termine contrattuale di ultimazione dei lavori; 3) disposizioni con cui sono stati contestati all’impresa appaltatrice ritardi nell’esecuzione dei lavori e le relative risposte; 4) provvedimenti (ordini di servizio, verbali, lettere etc.…) con cui sono state disposte sospensioni e riprese dei lavori; 5) lettere con cui l’impresa lamentava situazioni impeditive o di rallentamento del regolare andamento dei lavori dipendenti dal progetto dei lavori o da altre cause e/o contestava tali inadempimenti, omissioni o mancate cooperazioni da parte di EUR s.p.a.
Il Tar ha invece disatteso la richiesta, con riferimento alla documentazione descritta ai punti nn. 6) e 7) dell’istanza di accesso (concernenti il “testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto e relative controdeduzioni del direttore dei lavori” nonché gli “atti concernenti il procedimento di accordo bonario concluso con l’impresa appaltatrice Condotte s.p.a. ai sensi dell’art. 240 D.lgs. 163/2006, già art. 31 bis l. 109/1994 -proposta formulata dall’apposita commissione; verbale di accordo bonario stipulato con l’impresa appaltatrice)”.
Ad avviso del Tar, infatti, per le categorie di atti di cui ai punti 6 e 7 della richiesta di accesso il diniego opposto era legittimo (Adunanza Plenaria 13 settembre 2007 n. 11): l’art. 13, comma 5 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, equiparando le relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, anch’essi non ostensibili, perché riferiti ad un contenzioso potenziale o attuale con l’appaltatore e investiti dalle stesse esigenze di riservatezza che tutelano le ragioni di ordine patrimoniale della stazione appaltante, rappresentava un’implicita conferma del legislatore alla correttezza della tesi che vieta l’ostensibilità delle relazioni.
La sottrazione all’accesso delle predette relazioni non aveva la sola funzione di favorire il perfezionamento dell’accordo bonario, né il divieto di ostensione perdeva ragion d’essere con l’esaurimento della fase precontenziosa; al contrario, venuta meno la possibilità dell’accordo bonario, le relazioni del direttore dei lavori mantenevano la loro caratteristica di strumento di tutela degli interessi della stazione appaltante, del quale l’amministrazione disponeva nell’eventuale contenzioso che l’appaltatore intendesse istaurare per il riconoscimento delle riserve e per il pagamento del prezzo integrale dell’opera.
Conclusivamente, il ricorso di primo grado è stato accolto solo in parte.
Avverso la sentenza n. 02395/2015 la originaria parte resistente rimasta parzialmente soccombente ha proposto un articolato appello.
Ivi ha ripercorso anche cronologicamente l’andamento della controversia facendo presente che:
a)con sentenza n. 12075/2009 (rimasta inimpugnata)l’aggiudicazione dell’appalto “accessorio” in favore della odierna appellata era stata annullata: detta sentenza, infatti, aveva disposto l’annullamento del provvedimento in data 11 gennaio 2008 con il quale era stata disposta l’aggiudicazione in favore della ATI Drees & Sommer AG;
b)in ossequio a tale pronuncia il 4.8.2010 la odierna appellante aveva comunicato all’appellata di avere preso atto della avvenuta caducazione del contratto di appalto;
c)che l’appellata a ciò si era opposta, impugnando la nota del 4.8.2010 : il detto processo era stato definito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 932/2012 declinatoria della giurisdizione; detta sentenza era divenuta definitiva dopo che la Corte di cassazione aveva respinto (sent. n. 18190/2013)l’impugnazione proposta.
d) l’odierna appellata Drees & Sommers aveva quindi proposto ricorso per decreto ingiuntivo, opposto dall’odierna appellante, innanzi al tribunale Ordinario: ed in sede di opposizione l’appellante aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo, tra l’altro, la condanna alla restituzione dei documenti dalla stessa detenuti.
Ad avviso di Eur S.p.a. la sentenza oggi gravata, recante n. 02395/2015 era del tutto errata: immotivatamente il Tar aveva “sconfessato” la precedente decisione recante n. 08846/2013 che aveva integralmente disatteso il ricorso originario (e che non era stata incisa, nel merito, dalla sentenza n. 4308/2014 del 26/08/2014 di questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato).
Nell’appello ha sostenuto che gli atti dell’appalto stipulato tra Eur SPA e Condotte d’Acqua non interferivano minimamente con le pretese di parte appellata che rispetto a detto negozio giuridico era del tutto estranea.
Il Tar non aveva colto che era Eur SPA, ad essere attrice in un giudizio risarcitorio nei confronti di parte appellata;la vicenda relativa alla caducazione del contratto tra Eur SPA e parte appellata, era stata definita dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18190/2013 sfavorevole all’appellata;
Il Tar non aveva colto che il giudizio che l’appellata aveva asseritamente in animo di attivare era del tutto distinto dall’appalto stipulato tra Eur SPA e Condotte d’Acqua. Drees & Sommers non era subappaltatore di Condotte d’Acqua (punto II.2.a. dell’appello);
Era ben vero che il Giudice del’accesso non poteva sindacare funditus la pretesa giuridica sottesa all’accesso: ma in questa fattispecie si era al cospetto dell’assoluta assenza di alcuna posizione di interesse qualificato.
Quanto al profilo temporale, (punto II.2.c. dell’appello) i documenti antecedenti al 4.8.2010 erano già in possesso di parte appellata.
Il 4.8.2010 l’appellata Drees & Sommers aveva cessato ogni rapporto negoziale con l’appellante amministrazione Eur SPA e, pertanto nulla aveva da pretendere.
Si era al cospetto di una attività di diritto privato (punto II.4.a. dell’appello). l’art. 22 lett. e della legge n. 241/1990 faceva riferimento, invece, ad una (insussistente, nel caso di specie) “ attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
Doveva essere chiaro (ed il Tar ciò non aveva percepito) che non si era al cospetto di un accesso riguardante una procedura evidenziale, ma di una richiesta di ostensione relativa alla esecuzione di un appalto da parte di un soggetto terzo.
L’accoglimento della richiesta di accesso pregiudicava la pretesa risarcitoria intentata dall’appellante, in via riconvenzionale (essa era stata destinataria di decreti ingiuntivi richiesti da parte appellata) innanzi al Tribunale civile: rientrando in cantiere, infatti, l’appellata poteva eludere le proprie responsabilità per avere sottratto ad Eur SPA documentazione relativa alla propria attività (pag. 29 dell’appello).
Inoltre (pag. 30 e segg, punto III.2.1 dell’appello) l’appellata era già in possesso almeno di parte della documentazione richiesta.
Ed anzi, era l’appellante a non essere in possesso di parte della detta documentazione, in quanto archiviata informaticamente, accessibile soltanto da parte dell’appellata, e non resa disponibile su supporto cartaceo.
I documenti di cui il Tar aveva ammesso l’ostensione (punti 1-5 della richiesta) non dovevano essere invece ostesi, soprattutto con riferimento a quelli formati in data successiva al 4.8.2010.
Parte appellata ha depositato una articolata memoria contenente anche un appello incidentale.
Nella prima parte di essa (pagg. 1-24) ripercorso analiticamente il contenzioso anche infraprocedimentale, ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato.
Essa si lamentava –e vantava una pretesa risarcitoria- della condotta di Eur Spa e dell’andamento anomalo dell’appalto, che l’aveva costretta a subire ingenti perdite; per lo stesso torno di tempo, una pretesa analoga era stata vantata da Condotte d’Acqua nei confronti di Eur Spa: e la lite tra tali due soggetti era terminata con un accordo bonario, nell’ambito del quale Condotte d’Acqua aveva avuto corrisposti Euro 19.650.967, 50 (danni procurati dall’inizio dei lavori sino al 31.3.2010) : era ovvio che per parte appellata volesse accedere a detta documentazione, in quanto il proprio petitum si fondava sulla stessa situazione “denunciata” vittoriosamente da Condotte d’Acqua.
Né era vero che l’appellante non fosse in possesso della documentazione da essa richiesta ed ostesa dal Tar.
Semmai era vero che dal 6.8.2010 all’appellata Drees & Sommers era stato inibito di accedere al cantiere.
Parte appellata –una volta ottenuto l’accesso- non aveva la possibilità di “eludere le proprie responsabilità “ (come infondatamente sostenuto dall’appellante) non giudizio risarcitorio conseguente alla opposizione a decreto ingiuntivo promossa da Eur Spa, perché in quel giudizio era preclusa la produzione di alcun documento.
Alle pagg. 24 e segg. della memoria ha incidentalmente gravato il capo di sentenza che ha escluso l’ostensibilità della documentazione di cui ai punti 6 e 7 della propria richiesta.
Ha in proposito sostenuto che la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 11/2007 (relativa alla previsione di cui all’art. 13 comma 5 del TUCP) citata dal Tar non si attagliava alla fattispecie: il testo delle riserve iscritte dall’appaltatore nel registro di contabilità (punto n. 6 della richiesta) e delle controdeduzioni ex art. 190 del dPR 207/2010 non erano equiparabili ad un “parere legale”.
E neppure i documenti di cui al punto n. 7 della richiesta, lo erano (trattavasi degli atti sottesi all’accordo bonario, ex art. 240 del TUCP).
Con successiva memoria di replica ha ribadito e puntualizzato le proprie difese facendo presente che parte appellante non aveva dato esecuzione alla sentenza di primo grado, seppur destinataria di ben due istanze.
Alla camera di consiglio del 16 giugno 2015 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione il petitum cautelare è stato respinto con ordinanza n.. 02644/2015 alla stregua delle seguenti considerazioni “rilevato che l’appello principale non appare supportato dal requisito del periculumin mora, considerato che è rimasto incontestato che nel giudizio civile allo stato pendente è preclusa alcuna ulteriore produzione documentale;
rilevato altresì che quanto al fumus, neppure l’appello appare confortato da decisivi elementi (si veda Cons. Stato Sez. V, 08-06-2000, n. 3253) e che comunque lo stesso potrà essere approfonditamente esaminato nel corso della camera di consiglio del 15 dicembre 2015 cui sin d’ora si rinvia la trattazione definitiva della causa. ”.
Con memoria depositata il 27.11.2015 l’appellante ha ribadito e puntualizzato le proprie difese.
Alla odierna camera di consiglio del 15 dicembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello principale è infondato.L’appello incidentale è solo parzialmente fondato nel merito, con riferimento alla documentazione richiesta di cui al n. 6 della domanda di accesso: la sentenza merita quindi soltanto parziale riforma, nella parte in cui ha escluso la ostensibilità delle riserve apposte nel registro di contabilità (n. 6 della richiesta).La sentenza va nella restante parte confermata.
1.1.Al fine di sgombrare il campo da doglianze manifestamente infondate se non anche pretestuose,per concentrare la disamina sulle tematiche di rilevante interesse, rileva il Collegio che:
a)la “prima” sentenza di primo grado del Tar (n. 8846/2013)è stata annullata dalla Sezione in via preliminare, ai sensi dell’art. 105 del cpa: è stato pertanto vanificato e posto nel nulla (in quanto il processo di primo grado non si era svolto correttamente) l’intero iter motivo della detta decisione; il Collegio di primo grado adito in sede di riassunzione ha ricominciato ab imis il processo, e non era in nulla vincolato dalle conclusioni raggiunte nella sentenza annullata.
Non può pertanto ravvisarsi “contraddizione “ alcuna della “seconda “ sentenza, oggetto dell’odierna impugnazione, con il primo decisum che è “nato morto” ed è tamquam non fuisset.
b)l’appello incidentale è parzialmente infondato nel merito: la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11/2007 (citata dal Tar per respingere in parte la richiesta di accesso formulata dall’odierna appellata) è stata correttamente applicata, per quanto concerne la documentazione di cui al punto n. 7 della richiesta .
b1) La questione rimessa alla Adunanza Plenaria dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana concerneva proprio la diversità di orientamenti delle Sezioni giurisdizionali sull’ostensibilità delle relazioni del direttore dei lavori e del collaudatore.
La soluzione prescelta –che il Collegio condivide e dalla quale non ravvisa motivo per discostarsi- è stata quella della non ostensibilità delle relazioni in passato patrocinata dalla V Sezione (Cons. Stato V, 26 aprile 2005, n. 1916) anche dopo l’eliminazione del termine “riservato” dall’ art. 31 bis della legge n. 109/1994 operato dalla legge n. 166/2002 , che ha definito tale circostanza “insignificante” – “sia perché è ben chiaro a quali documenti si riferisce l’articolo 10 del regolamento ( DPR n. 554/1999 ), sia perché il collaudo delle opere pubbliche è ancora disciplinato dall’ articolo 100 del regio decreto 25 maggio 1895 n. 350, che definisce “segreta” la relazione del collaudatore.
Detta soluzione, è stata prescelta (vedasi capi 7 e segg.in diritto, da intendersi richiamati per intero e trascritti in questa sede ) anche alla luce delle disposizioni che, nel tempo, hanno disciplinato l’accordo bonario fra committente e appaltatore, nel quale si inserisce l’acquisizione delle anzidette relazioni.
L’attualità di detta conclusione persiste anche nell’attuale quadro normativo e da essa il Collegio non si discosta.
L’appello incidentale è infondato, in parte qua. Si anticipa che lo stesso,invece, come meglio si chiarirà di seguito, è parzialmente fondato, nella parte in cui mira ad ottenere l’ostensione delle riserve apposte nel registro di contabilità (punto 6 della richiesta).
2.1. Possono adesso essere esaminate le tematiche di merito prospettate nell’appello principale.
2.2. I due connessi quesiti sui quali il Collegio è chiamato a pronunciarsi attengono alla riconducibilità della documentazione relativa alla fase esecutiva di un appalto bandito da una amministrazione pubblica al concetto di documento amministrativo ed al possibile rilievo preclusivo della natura privatistica del rapporto negoziale nell’ambito dei quali detti atti sono stati emessi.
2.2.1. La questione, seppur con sfumature diverse non è nuova, e su di essa la giurisprudenza si è già soffermata.
Muovendo in passato dal consolidato approdo secondo il quale la disciplina legale della estensibilità dei documenti amministrativi pone anzitutto – sul piano oggettivo- un rapporto di regola/eccezione, nel senso che la regola è data dall’accesso, mentre le specifiche eccezioni, analiticamente indicate, costituiscono ipotesi derogatorie (la cui ratio che accomuna tali eccezioni è data dall’essere le stesse preordinate alla protezione di dati riservati in possesso dell’amministrazione -la cui divulgazione arrecherebbe pregiudizio alla tutela di interessi superindividuali-, ovvero alla protezione della riservatezza di soggetti terzi) il Consiglio di Stato ha affermato che “la ditta subappaltatrice dell’impresa titolare di un contratto di appalto di opere pubbliche (nella specie, lavori di ristrutturazione del centro storico di un comune), ha diritto di accesso, ai sensi dell’art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241, alla copia del registro di contabilità, trattandosi di documentazione che, pure se afferente a rapporti interni tra Stazione appaltante e appaltatore, e quindi formalmente privatistica, cionondimeno attiene al contratto e all’ esecuzione dei lavori, e quindi ad un ambito di rilevanza pubblicistica, giacchè attraverso l’ esecuzione delle opere, l’amministrazione mira essenzialmente a perseguire le proprie finalità istituzionali” (Cons. Stato Sez. V, 08-06-2000, n. 3253).
Sulla stessa linea di tendenza si è collocata la giurisprudenza di merito (ex aliis T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, 18-01-2011, n. 68, T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 11-02-2010, n. 373, T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 08 febbraio 2007 n. 209).
Se quindi, può affermarsi che in via generale in base alla disciplina contenuta negli artt. 22 e ss. L n. 241/90, il diritto di accesso può esercitarsi anche rispetto a documenti di natura privatistica (tale opinamento risulta in linea con quanto in passato affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio che ha ritenuto che ai sensi del citato art.22 sono soggette all’accesso tutte le tipologie di attività delle pubbliche amministrazioni e, quindi, anche gli atti disciplinati dal diritto privato, atteso che essi rientrano nell’attività di amministrazione in senso stretto degli interessi della collettività e che la legge non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato” -AP, 22 aprile 1999, n. 4). purché concernenti attività di pubblico interesse, la risposta che in passato la giurisprudenza ha specificamente fornito è quella per cui tale sia l’attività esecutiva di un appalto.
D’altro canto, l’attività amministrativa, soggetta all’applicazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, è configurabile non solo quando l’Amministrazione esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegue le proprie finalità istituzionali e provvede alla cura concreta di pubblici interessi mediante un’attività sottoposta alla disciplina dei rapporti tra privati (cfr. 6 dicembre 1999, n. 2046; vedi anche A.P. n. 4/99 cit.).
Con decisione della Sezione IV, che il Collegio condivide, è stato, inoltre, ritenuto che il diritto di accesso agli atti amministrativi previsti dalla legge n. 241/1990 si estende anche alla relazione riservata del collaudatore dei lavori pubblici appaltati dall’Amministrazione, prevista nell’art.100 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350 (27 aprile 1999, n. 743)
Se tali dati non possono considerarsi controversi, parimenti non pare pregnante in senso ostativo la considerazione secondo cui i mezzi di prova diretti a sostenere le domande proposte davanti al giudice civile sono quelli propri del sistema probatorio esperibile dinanzi allo stesso giudice e non possono essere forniti attraverso una domanda di accesso che resta disciplinata dall’art. 116 c.p.a..
Premesso che il Collegio non ha intenzione di discostarsi dal consolidato (e logico) principio secondo il quale (si veda Cons. Stato Sez. VI, 03-02-2011, n. 783)
ai fini dell’accesso cd. defensionale ai documenti amministrativi, cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio non rileva che quest’ultimo sia già pendente o da introdurre ciò che parte appellante principale omette di sottolineare riposa in una semplice constatazione.
E’ ben vero che il giudice competente a decidere una causa (nel caso di specie, avuto riguardo alla futura domanda risarcitoria proposta il giudice civile) ha piena libertà di decidere l’an ed il quomodo delle prove ammissibili in giudizio.
Ma è altrettanto vero che (soprattutto in un sistema processuale quale quello italiano fondato su regimi preclusivi ed incentrato su una limitata modificabilità del petitum articolato nell’atto introduttivo del giudizio) chi intende agire in giudizio necessita della conoscenza piena della documentazione utile non soltanto per richiederne, poi, l’ammissione, qual mezzo di prova, ma, anche per articolare compiutamente ( e non “al buio” o genericamente) lo stesso petitum.
L’accesso, insomma non è (o non è soltanto) uno strumento per difendersi in un processo: è, a monte, uno strumento per verificare se conviene iniziare il detto processo, che possibilità di esito vittorioso si anno, come debba formularsi il petitum.
Tali affermazioni inducono alla reiezione dell’appello principale, ivi comprese tutte le argomentazioni in punto di “terzietà” rapporto in relazione al quale si invoca l’ostensione degli atti, e di “barrage temporale” (atti formati in data successiva al 4.8.2010, coincidente con la interruzione dei rapporti tra parte appellante ed appellata): l’appellata vuole dimostrare che i danni alla stessa asseritamente causati dipendono dalla condotta di parte appellante, e che la prova di ciò si rinverrebbe nei ritardi documentati, anche in parte, dalla acquisendo documentazione).
2.3.Il Giudice dell’accesso, come è noto, non è (e non deve essere, anche quando per avventura –il che non è nel caso di specie- la instauranda azione che ci si propone di avanzare ricadesse sotto la propria giurisdizione) il giudice della “pretesa principale” azionata o da azionare.
Egli respinge la pretesa se la stessa gli appaia platealmente infondata, temeraria, od emulativa (e ciò non ritiene il Collegio nel caso di specie) e la accoglie negli altri casi, in quanto la trasparenza e l’ostensione degli atti è la regola, e la non ostensione è l’eccezione.
L’appellata sostiene che a cagione di ritardi nella complessiva esecuzione dell’appalto essa subì dei danni: la possibile refluenza dei rapporti tra l’appellante e Condotte Acqua appare a tal fine evidente, e negare l’accesso implicherebbe escludere che parte appellata eserciti con completezza la propria difesa (il che implica, in teoria, che visionati i documenti e per avventura resa edotta che la propria pretesa ipotizzata nei confornti dell’appellante sia infondata, ometta di iniziare una lite civile che la vedrebbe probabile soccombente)
2.3.1. Parte appellante per il vero evidenzia alcune “specificità” della presente vicenda processuale che in concreto, a suo avviso, dovrebbero indurre il Collegio a discostarsi da tale consolidato opinamento.
2.3.2.Nessuna di esse, però,appare al Collegio particolarmente pregnante né milita in senso favorevole all’accoglimento dell’appello.
2.3.3. In particolare –come già posto in luce in sede cautelare- non si vede come l’accesso accordato possa influire sulla causa pendente. Parte appellata ha chiarito – e l’affermazione è rimasta incontestata, con le conseguenze ex art. 64 del cpa- che nella causa civile già in corso né essa né l’odierna appellante può più spiegare alcuna produzione documentale in qunto già spedita in decisione; in ogni caso la presente pronuncia affermativa del diritto di accesso sarebbe un atto liberamente valutabile dal Giudice della domanda risarcitoria, che resterebbe libero di valutarne la possibile rilevanza nella detta controversia
2.4.Quanto alla tesi per cui parte appellata sarebbe già in possesso della richiesta documentazione ciò –anche ove vero, il che è contestato recisamente- non esonera l’appellante a fornirla sottraendosi dal proprio obbligo.
2.4.1. L’appellante, poi, nega di trovarsi in possesso della ostesa documentazione: anche tale circostanza non appare al Collegio documentata, né, per il vero spiegabile.
Si evidenzia ad ogni buon conto che non è stato neppure dettagliato quale della richiesta documentazione non sia in possesso dell’appellante: fermo il principio “ad impossibilia nemo tenetur”, la circostanza, ove dedotta e soprattutto provata, potrà trovare soluzione in sede di ottemperanza alla decisione del Tar integralmente confermata da questa Sezione, ove riproposta in sede esecutiva.
3.Conclusivamente, l’appello principale va disatteso.
4. Come già fatto presente nel superiori capi, l’appello incidentale, (infondato nella parte in cui chiedeva l’accesso agli atti sottesi all’accordo bonario, stante la ricompresibilità degli stessi nella complessiva linea defensionale prescelta dall’Amministrazione, e quindi non ostensibili) va accolto con riguardo alla richiesta di cui al punto n. 6.
Invero, il testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto e relative controdeduzioni del direttore dei lavori non sono affatto atti assimilabili a valutazioni “defensionali”: integrano dato “storico” che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto: non v’è ragione di precluderne l’accessibilità(si veda Cons. Stato Sez. V, 08-06-2000, n. 3253 già prima citata).
4.1. L’appello incidentale va quindi in parte accolto, con esclusivo riferimento al punto n. 6 della richiesta di accesso, e, in parziale riforma della gravata decisione, deve essere accolto in parte qua il mezzo di primo grado e deve essere autorizzato l’accesso anche con riferimento a tale porzione della istanza.
5. Conclusivamente, l’appello principale va integralmente disatteso, mentre l’appello incidentale va accolto soltanto in parte e, per l’effetto, in parziale riforma della gravata decisione, va accolto il mezzo di primo grado, anche nella parte in cui chiedeva l’ostensione della documentazione di cui al punto n. 6 della richiesta di accesso. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse all’evidenza vanno integralmente compensate tra tutte le parti, anche in considerazione della parziale reciproca soccombenza
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,respinge integralmente l’appello principale. Accoglie in parte l’appello incidentale e per l’effetto, in parziale riforma della gravata decisione, accoglie in parte il ricorso di primo grado, e dispone l’ostensione anche della documentazione di cui al punto n. 6 della richiesta di parte appellata ed appellante incidentale.Conferma per il resto l’impugnata decisione.
Spese del doppio grado integralmente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)