Ai sensi dell’art. 16, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio, onde non può ammettersi, in mancanza dell’inserimento nel permesso di costruire di una clausola che ne riservi la rideterminazione, che l’Amministrazione comunale possa, in epoca successiva, e a distanza di alcuni anni, in relazione all’aggiornamento delle sue componenti, provvedere ad una nuova liquidazione, richiedendo somme a conguaglio, atteso che la riliquidazione può consentirsi solo quando vi sia rilascio di nuovo titolo edilizio in relazione alla scadenza dell’efficacia temporale del precedente e per il completamento con mutamento di destinazione d’uso delle opere assentite in origine.”;
Il principio generale della irretroattività delle determinazioni successive, non assume portata generale, ma potrebbe essere liberamente derogato dalle parti in sede convenzionale attraverso la prefissata determinazione, ex ante, dell’importo dei medesimi rendendo così insensibile il titolo edilizio ad eventuali rincari delle tariffe degli oneri, successivi alla data di stipula delle convenzioni negoziali eventualmente intervenute tra comune e privato istante, ma antecedente alla data di rilascio dei titoli edilizi;
I criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362-1371 c.c. sono applicabili per l’interpretazione non solo dei provvedimenti amministrativi, ma anche degli accordi di cui all’art. 11, l. 241/90, giusto il richiamo del comma secondo ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti “per quanto compatibili”: tra tali criteri, v’è anche quello di buona fede, -art. 1366 cc-;
Pubblicato il 07/03/2018
N. 01475/2018REG.PROV.COLL.
N. 03577/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3577 del 2017, proposto dal Comune di Milano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Paola Cozzi, Maria Lodovica Bognetti, Giuseppe Lepore, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio N. 15;
contro
società Coima Sgr s.p.a. (già Hines Italia Sgr s.p.a.), Le Varesine s.a r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Pier Giuseppe Torrani, Marta Spaini, Angelo Clarizia, Maria Sala, Guido Alberto Inzaghi, con domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la LOMBARDIA –Sede di MILANO- SEZIONE II n. 457/2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle società Coima Sgr s.p.a. (già Hines Italia Sgr s.p.a.) e Le Varesine s.a r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Cozzi, Clarizia, Spaini, Torrani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 457 del 27 febbraio 2017 il T.a.r. per la Lombardia –Sede di Milano – ha accolto il ricorso proposto dalla odierna parte appellata società Coima SGR s.p.a., già Hines Italia Sgr s.p.a., in proprio e quale gestore del Fondo Comune d’Investimento Immobiliare “Porta Nuova Varesine”, società Le Varesine s.r.l., già Varesine s.r.l. volto ad ottenere:
a) l’accertamento dell’insussistenza del credito di € 9.786.588,50 asseritamente vantato nei confronti delle predette originarie ricorrenti dal Comune di Milano a titolo di conguaglio degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all’invito di pagamento P.G. 271670/2016 del 19 maggio 2016 della Direzione Centrale Sviluppo del Territorio, Settore Sportello Unico per l’edilizia, Servizio interventi in attuazione strumenti urbanistici, Unità organizzativa n. 1;
b) l’affermazione del diritto delle originarie ricorrenti medesime allo svincolo delle fideiussioni rilasciate “a garanzia delle quote afferenti all’importo di conguaglio del costo totale degli oneri calcolati sulla base delle nuove tariffe” e alla ripetizione degli importi stessi, nonché l’annullamento – in parte qua, della deliberazione del Consiglio comunale di Milano n. 73 del 21 dicembre 2007e delle DD.I.I.AA. di cui ai ricorsi 2619/2008, 1748/2009, 2124/2009, 2565/2009 e connessa nota comunale Sportello S.U.E. 18 settembre 2008.
2. Il comune di Milano si era costituito chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato.
3. Con la sentenza gravata il T.a.r., ha innanzitutto dedotto in punto di fatto che:
a) alle società originarie ricorrenti era stato recapitato con un invito di pagamento P.G. 271670/2016 del 19 maggio 2016 della Direzione Centrale Sviluppo del Territorio, Settore Sportello Unico per l’Edilizia, Servizio Interventi in Attuazione Strumenti Urbanistici, Unità Organizzativa n. 1, con riguardo ai contenuti della Convenzione urbanistica stipulata in data 21 dicembre 2006 tra la società Varesine s.r.l. ed il Comune di Milano.
b) l’area situata in Milano tra le Vie Galilei, Melchiorre Gioia e Viale della Liberazione (c.d. ex Varesine), originariamente adibita a scalo ferroviario, era stata oggetto di un progetto di intervento edilizio che aveva dato vita a diversi contenziosi, conclusisi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2800/2004; previa delibera di Giunta comunale n. 509124/2006 del 26 maggio 2006, che ne aveva approvato gli elementi essenziali sia a livello edificatorio che ambientale, in data 21 dicembre 2006 era stata stipulata una Convezione urbanistica tra la società Varesine s.r.l. e il Comune di Milano, in esecuzione della decisione del Consiglio di Stato n. 2800/2004 e in base all’art. 11 della legge n. 241 del 1990;
c) quanto agli oneri di urbanizzazione, la Convenzione aveva previsto che gli stessi avrebbero dovuto essere assolti tramite la realizzazione di determinate opere, quali ad esempio opere stradali con relativi sottoservizi e illuminazione pubblica, opere di allacciamento dell’area al resto del quartiere, sistemazione a verde degli spazi di proprietà comunale, spostamento di un collettore fognario e sistemazioni viabilistiche, puntualmente stimate con specifico riferimento ai costi di esecuzione; la predeterminazione del debito urbanizzativo ingenerato dal progetto Varesine aveva fatto salva soltanto l’eventualità di un conguaglio nel caso in cui il costo delle opere a scomputo fosse risultato inferiore all’importo degli oneri di urbanizzazione, da determinarsi a opere completate: tuttavia con la i di urbanizzazione rispetto a quelli originariamente dovuti in applicazione delle tabelle in vigore alla data di sottoscrizione della Convenzione;
d) la interlocuzione tra le originarie parti ricorrenti e l’Amministrazione, finalizzata ad ottenere il non ricalcolo della somma era stata vana, e in data 20 ottobre 2008 erano stati presentati i primi titoli edilizi – ossia delle dd.ii.aa. – relative agli Edifici 1, 2 e 3 del progetto: in tale occasione, al solo fine di poter proseguire l’iter edilizio, le appellate avevano calcolato gli oneri concessori secondo i valori di cui alla deliberazione n. 73/2007, evidenziando di non voler prestare acquiescenza e riservandosi di agire in giudizio– non provvedendo alla diretta corresponsione dell’importo monetario asseritamente dovuto, ma consegnando al Comune, che le ha aveva accettate, polizze assicurative di valore corrispondente-; analogo procedimento era stato seguito anche con riguardo ai titoli edilizi presentati nell’anno 2009 (da cui erano scaturiti i ricorsi rubricati al R.G. nn. 1748/2009, 2124/2009 e 2565/2009); all’atto della proposizione del ricorso di primo grado oggetto del presente giudizio non tutte le opere a scomputo risultavano terminate e/o collaudate, come pure i lavori privati, in tal modo risultando impossibile procedere anche al conguaglio previsto dalla Convenzione.
3.2. Il T.a.r ha quindi fatto presente che il ricorso di primo grado era stato affidato a tre complesse censure:
a) violazione dei principi di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 (e della previgente legge n. 10 del 1977), dei principi e degli artt. 38, 46 e 48 della legge regionale n. 12 del 2005 e della Deliberazione del Consiglio comunale di Milano n. 73/2007 e violazione ed erronea applicazione della Convezione stipulata tra le parti il 21 dicembre 2006, nonchè violazione dei principi di certezza dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, della buona fede e del principio del legittimo affidamento e la violazione degli artt. 1321 c.c. e 1375 c.c.;
b) in via subordinata, illegittimità della richiesta di pagamento per violazione del dovere di buona fede oggettiva e del principio del legittimo affidamento, unitamente all’attuale inesigibilità delle somme richieste;
c) in via di ulteriore subordine, infondatezza della pretesa creditoria per erronea determinazione delle somme e carenza di prova, per illegittimità della richiesta di pagamento per carenza di motivazione ed istruttoria, per contraddittorietà e irragionevolezza e per violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990.
3.3. Il T.a.r. ha quindi scrutinato la censura prospettata in via principale, e l’ha accolta, deducendo che:
a) la richiesta comunale, fondata sull’applicazione dei parametri aggiornati con la delibera consiliare n. 73/2007, era in contrasto con il carattere vincolante e intangibile della Convenzione, appartenente al novero degli accordi procedimentali ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, anche con riguardo alle partite economiche nella stessa contenute, al fine di preservare l’equilibrio contrattuale, non unilateralmente modificabile da una sola delle parti;
b) ciò in quanto dagli obblighi assunti in sede convenzionale si ricavavano i termini e i criteri per determinare gli oneri di urbanizzazione, che escludevano il ricorso ai criteri aggiornati contenuti nella delibera n. 73/2007, come stabilito pure con la legge regionale n. 4 del 2008 e altresì auspicato dal Consiglio comunale di Milano con l’approvazione dell’ordine del giorno n. 136/2008 perché:
I) l’intervento era stato ricondotto, dagli stessi contraenti, ad una “fattispecie di ristrutturazione urbanistica di area degradata, ai sensi dell’art. 31, lett. e) della L. 457/1978 e dell’art. 27, lett. f) della L.R. n. 12/2005” (cfr. pag. 2, punto 4, della Convenzione: all. 3 al ricorso);
II) dalle singole clausole convenzionali emergeva che le parti private si erano impegnate a progettare e a realizzare – a proprie spese e a scomputo degli oneri contributivi di urbanizzazione – le opere espressamente indicate nella medesima Convenzione (cfr. art. 4.1), ed in particolare le opere stradali direttamente pertinenti l’intervento (art. 4.2), di opere di allacciamento dell’area al sistema degli spazi pubblici del quartiere Garibaldi Repubblica (art. 4.3), di una parte delle attrezzature pubbliche, di interesse pubblico e generali (art. 4.4, lett. c, d, e, f);
III) dette opere erano state puntualmente stimate negli allegati da 10 a 17 alla Convenzione (all. 17-25 al ricorso) e il loro costo non avrebbe potuto mai superare l’importo dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione (art. 4.8); laddove invece il costo delle opere fosse risultato inferiore, l’operatore privato sarebbe tenuto ad effettuare il conguaglio (art. 4.9);
c) da ciò discendeva quindi la illegittimità della pretesa del Comune di Milano di applicare ai titoli edilizi attuativi della Convenzione stipulata il 21 dicembre 2006,- seppure formatisi successivamente all’entrata in vigore della delibera consiliare n. 73/2007- gli importi degli oneri di urbanizzazione aggiornati, in quanto ciò rappresentava una non consentita modificazione unilaterale degli accordi convenzionali;
d) neppure era favorevolmente delibabile la tesi del Comune di Milano, secondo cui era ravvisabile una esplicita volontà delle parti di procedere a quantificare l’ammontare degli oneri di urbanizzazione soltanto in sede di rilascio dei singoli titoli edilizi (art. 4.8), in quanto frutto di una lettura parziale della disposizione, atteso che:
I) la circostanza che l’importo definitivo degli oneri avrebbe dovuto essere computato nell’ambito delle singole procedure non esprimeva implicitamente, ma univocamente, la volontà delle parti di assoggettare i vari interventi da realizzare alle tariffe in vigore al momento della loro attuazione, visto che, almeno il contraente privato, nemmeno poteva prevederne il futuro aggiornamento;
II) tale pattuizione, invece, era finalizzata chiarire che soltanto all’esito del completamento della procedura si sarebbe potuto stabilire l’entità dell’intervento (compreso il suo preciso valore monetario);
III) inoltre, il costo delle opere a scomputo risultava correlato all’entità degli oneri, già orientativamente quantificabili sulla base dei computi metrici estimativi allegati alla Convenzione (artt. 4.8 e 4.9): e la quantificazione a livello orientativo degli oneri non potendo essere equiparata ad una totale assenza di riferimenti a livello di importi monetari, evidenziava, seppure in modo non puntuale, l’ordine di grandezza da prendere in considerazione dalla parte onerata, in modo da consentirle di poter valutare in maniera adeguata la portata dei propri obblighi in relazione alle complessive pattuizioni contrattuali;
IV) a fronte del predetto quadro convenzionale, e stante la realizzazione delle opere a carico della parte privata, non era consentito al Comune mettere in discussione quanto puntualmente e compiutamente pattuito in occasione della stipulazione della Convenzione urbanistica.
3.4. Nell’ultima parte della sentenza il T.a.r. ha irrobustito la motivazione accoglitiva del ricorso di primo grado, deducendo che:
a), se rispondeva al vero che la quota di contributo per il rilascio del permesso di costruire commisurata agli oneri di urbanizzazione aveva carattere generale, in quanto dovuta a prescindere dall’esistenza o dalla necessarietà delle opere di urbanizzazione, e doveva essere determinata senza tener conto né della concreta utilità che riceveva il beneficiario del provvedimento, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione (ex multis, Consiglio di Stato, VI, 15 luglio 2013, n. 3788), era del pari innegabile che l’incremento nel tempo delle tariffe previste per gli oneri di urbanizzazione rispondesse alla finalità precipua di assicurare l’adeguatezza delle dotazioni economiche disponibili all’amministrazione al fine della realizzazione delle dotazioni infrastrutturali;
b) laddove –come nel caso di specie- il Comune aveva concordato con il privato di rinunciare a percepire tale quota in denaro in vista della diretta realizzazione da parte di questi delle opere necessarie e convenzionalmente individuate, l’onere a carico del privato era da ritenere integralmente assolto mediante l’assunzione dell’obbligazione alla realizzazione delle opere, sempreché questa fesse poi effettivamente seguita dall’esatto adempimento di quanto pattuito e l’effettuazione di un conguaglio, non previsto nell’accordo, era priva di giustificazione causale ed integrava pagamento indebito;
c) inoltre, il complessivo comportamento comunale era in contrasto con i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, certamente applicabili alle convenzioni urbanistiche sottoposti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto all’interno delle Convenzioni di urbanizzazione risultava prevalente il profilo della libera negoziazione;
d) emergeva quindi la necessità di salvaguardare l’equilibrio del rapporti contrattuali anche in fase di esecuzione.
3.5. Il ricorso è stato quindi accolto, con assorbimento delle restanti doglianze proposte in via subordinata, ed è stato disposto l’annullamento della nota comunale impugnata – invito di pagamento P.G. 271670/2016 del 19 maggio 2016 – e quindi dichiarata l’insussistenza del credito di € 9.786.588,50 vantato dal Comune di Milano nei confronti delle originarie ricorrenti a titolo di conguaglio degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in relazione agli interventi edilizi scaturenti dall’attuazione della Convenzione stipulata in data 21 dicembre 2006, mentre,quanto alla richiesta di svincolo delle fideiussioni, il Comune vi aveva proceduto in data 10 novembre 2016 (all. 56 del Comune).
4. L’amministrazione comunale originaria resistente rimasta soccombente ha impugnato la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità e dopo avere analiticamente ripercorso le principali tappe del procedimento ha dedotto che:
a) la sentenza di primo grado non aveva rettamente interpretato le disposizioni della convenzione intercorsa tra le parti, nella parte in cui queste neppure avevano determinato compiutamente le opere da eseguire;
b) la indeterminatezza delle pattuizioni ivi contenute, e l’assenza di alcuna esplicita indicazione in ordine alla previsione (eccezionale, in quanto derogatrice di disposizioni di legge) di una immodificabile pattuizione in punto di quantificazione degli oneri di urbanizzazione, impediva di ritenere che non si applicasse il principio generale per cui la deliberazione di modifica della quantificazione –purchè intervenuta prima del rilascio dei titoli edilizi- trovasse applicazione automatica a questi ultimi;
c) nel caso di specie, tutti i titoli edilizi in forza dei quali erano state eseguite le opere (cinque D.i.a. risalenti al 2008 ed al 2009) erano successivi alla delibera consiliare n. 73/2007 per cui gli importi degli oneri di urbanizzazione aggiornati dalla delibera medesima dovevano applicarsi alla vicenda edificatoria in oggetto.
5. In data 1.6.2017 la società Coima SGR s.p.a., originaria ricorrente si è costituita depositando una memoria, nell’ambito della quale, dopo avere chiesto la reiezione dell’appello, in quanto infondato, ha riproposto i motivi del ricorso di primo grado rimasti assorbiti, deducendo, in particolare che:
a) la pretesa dell’appellante amministrazione comunale di applicare al rapporto cristallizzato nella convenzione la sopravvenuta delibera era infondata alla luce delle pattuizioni contenute nella convenzione medesima ed il punto 4.9 della convenzione (possibilità di richiedere un conguaglio)aveva portata limitata e specifica;
b) la richiesta di pagamento avanzata dall’ amministrazione comunale era illegittima per violazione del dovere di buona fede oggettiva e del principio del legittimo affidamento;
c) la quantificazione delle somme dovute era comunque errata.
6. In data 30.6.2016 la società Coima SGR s.p.a ha depositato una ulteriore memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
7. Alla camera di consiglio del 6 luglio 2017 fissata per la delibazione della domanda cautelare, sull’accordo delle parti la trattazione della controversia è stata differita al merito.
8. In data 12.1.2018 l’appellante comune di Milano ha depositato una memoria ribadendo le proprie difese, ed in data 24.1.2018 ha depositato una ulteriore memoria di replica.
9. In data 15.1.2018 l’appellata società ha depositato una memoria ribadendo le proprie difese,
8. Alla odierna pubblica udienza del 15 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è fondato e va accolto, con conseguente riforma dell’impugnata sentenza e reiezione del ricorso di primo grado, e salvezza degli atti impugnati, mentre quanto alla riproposta censura del ricorso di primo grado concernente la esatta determinazione dell’importo dovuto, in relazione alle problematiche sollevate dalla società appellata in ordine alla esattezza dei calcoli, non trovandosi al cospetto di atti definitivi (quanto alla concreta determinazione dell’importo) trattasi di problematica da compiutamente definire in sede procedimentale e pertanto, la censura va dichiarata inammissibile.
1.1. Come si evince dalla narrativa in fatto, si controverte in ordine alla applicabilità dei parametri relativi agli oneri concessori aggiornati con la delibera consiliare n. 73/2007 alle D.i.a. presentate dalla ditta appellata tra il 2008 ed il 2009 e consequenziali alla convenzione urbanistica stipulata in data 21 dicembre 2006 tra la società Varesine s.r.l. e il Comune di Milano.
1.2. Al fine di esattamente perimetrare l’oggetto del giudizio, e le tematiche scrutinabili dal Collegio, si osserva che:
a) con il ricorso di primo grado, la parte odierna appellata aveva proposto tre motivi di ricorso:
I) il primo di essi, in realtà conteneva una duplice prospettazione, secondo la quale:
Ia) la convenzione stipulata tra le parti “bloccava” all’epoca della stipula detta determinazione, per cui era illegittima la pretesa comunale fondata su una delibera successiva;
Ib) il quadro normativo nazionale e regionale vigente non avrebbe facultizzato il comune a calcolare gli oneri concessori secondo i valori di cui alla deliberazione n. 73/2007;
II) il secondo di essi era incentrato sulla violazione del principio di buona fede tenuto conto delle pattuizioni contenute nella convenzione;
III) il terzo motivo era volto a sostenere che la pretesa del comune fosse errata, in quanto incentrata su stime precarie e non ancora definitive, ed in quanto inficiata da irrimediabili errori.
b) con la sentenza appellata il T.a.r. ha scrutinato – ed accolto- la censura di cui al n. Ia dell’elenco suindicato, non si è pronunciata sulla censura di cui al n. Ib (sebbene prioritaria sotto il profilo logico) ed ha espressamente assorbito il secondo e il terzo motivo di ricorso.
c) la parte originaria ricorrente ed odierna appellata con la memoria di costituzione in appello depositata il 1.6.2017 non ha proposto appello incidentale avverso la sentenza (sotto il profilo del vizio ex art. 112 cpc in riferimento alla articolazione del primo motivo del ricorso di primo grado di cui al n. Ib dell’elenco) mentre ha espressamente riproposto il secondo e il terzo motivo del ricorso di primo grado, già proposti in primo grado in via subordinata all’accoglimento del primo motivo e ritenuti assorbiti dalla sentenza oggetto dell’appello;
d) la memoria, tuttavia, contiene argomenti critici anche relativi a tale profilo: non vi è quindi alcuna preclusione ad esaminare l’articolazione del primo motivo del ricorso di primo grado di cui al n. Ib dell’elenco (Consiglio di Stato, sez. V, 6 ottobre 2009, n. 6094 “nel processo amministrativo d’appello, nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su una specifica ed autonoma domanda, con conseguente violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, l’appellato, risultato vittorioso in ordine ad una domanda, non è costretto a cominciare ex novo un giudizio di primo grado né è tenuto a proporre una formale impugnazione incidentale, mancando il presupposto della soccombenza, ma può riproporre in grado di appello la domanda non esaminata, mediante uno scritto difensivo che la richiami esplicitamente e superi la presunzione di rinuncia sancita dall’art. 346 c.p.c.; tale principio si applica anche quando la sentenza di primo grado abbia accolto la domanda di annullamento dell’atto lesivo, senza esaminare la contestuale domanda volta ad ottenere il conseguente risarcimento del danno, e l’appellato riproponga la domanda non esaminata, nel corso del giudizio di appello proposto dall’Amministrazione o dal controinteressato soccombente in primo grado.” ;Consiglio di Stato, sez. V, 26 novembre2013, n. 5604 “la statuizione del giudice di primo grado d’improcedibilità del ricorso a lui proposto non è assimilabile ad un omesso esame o ad una dichiarazione di assorbimento, le quali sole legittimano ex art. 101 comma 2, c.p.a. la riproposizione in appello dei motivi mediante memoria, atteso che la dichiarazione in questione trae fondamento dal riscontro del sopravvenuto difetto d’interesse alla pronuncia nel merito di una domanda -art. 35 comma 1 lett. c, c.p.a.-, dando luogo ad una soccombenza su una questione pregiudiziale, ostativa all’esame nel merito; si tratta, più precisamente, di una soccombenza virtuale, visto l’esito negativo dell’altrui impugnazione, ma che è destinata a concretizzarsi una volta riproposta quest’ultima mediante appello principale, rendendo conseguentemente necessaria l’incrociata contro-impugnazione nelle forme dell’appello incidentale, al fine di impedire la formazione del giudicato interno sulla questione negativamente risolta in primo grado.”
2. Dovendo, quindi, riesaminare l’intera controversia, a partire dal profilo dell’inquadramento giuridico, si osserva che:
a) sotto il profilo normativo, la regola generale a più riprese enunciata da questo Consiglio di Stato (tra le tante Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2014, n. 3009 ) è quella per cui “ai sensi dell’art. 16, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio, onde non può ammettersi, in mancanza dell’inserimento nel permesso di costruire di una clausola che ne riservi la rideterminazione, che l’Amministrazione comunale possa, in epoca successiva, e a distanza di alcuni anni, in relazione all’aggiornamento delle sue componenti, provvedere ad una nuova liquidazione, richiedendo somme a conguaglio, atteso che la riliquidazione può consentirsi solo quando vi sia rilascio di nuovo titolo edilizio in relazione alla scadenza dell’efficacia temporale del precedente e per il completamento con mutamento di destinazione d’uso delle opere assentite in origine.”; tale principio è pienamente condiviso dai giudici di primo grado (tra le tante T.A.R. Lecce, -Puglia, sez. III, 5 febbraio 2015, n. 482 “le delibere comunali di adeguamento degli oneri di urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente per i permessi di costruire rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore; di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigente all’epoca del rilascio del permesso di costruire, è illegittima la pretesa dell’Amministrazione comunale di addossare al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento.”;
b) nel caso di specie, è incontestato che la delibera determinativa dell’importo degli oneri (non contestata in seno all’odierno procedimento, ma impugnata in seno al ricorso r.g.n.r. 2619/2008 tuttora pendente innanzi al T.a.r.) in forza della quale il comune ha calcolato gli oneri concessori ( deliberazione n. 73/2007) è divenuta esecutiva il 8.1.2008, e le Dia sono state rilasciate in epoca successiva;
c) la tesi principale dell’appellata (non scrutinata dal T.a.r.), secondo la quale, tale principio subirebbe una deroga tout court nel caso di specie, a cagione della preventiva stipulazione di una convenzione, non persuade in quanto:
I) la legislazione nazionale non contiene alcun principio in tal senso (si veda: Consiglio di Stato, sez. V, 15 dicembre 2016, n. 5292 “nel sistema risultante dal combinato disposto dell’art. 28 comma 1, l. 17 agosto 1942, n. 1150 e dagli artt. 3 e 5, l. 28 gennaio 1977, n. 10, non è rinvenibile un principio che dia titolo al soggetto, che ha stipulato una convenzione di lottizzazione col Comune, di non corrispondere al medesimo -in denaro, in aree cedute o in opere di urbanizzazione realizzate- beni di valore complessivamente superiore a quanto dovuto per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria; pertanto, l’eventuale quantificazione degli oneri concessori convenuta consensualmente dalle parti in misura superiore a quella che deriverebbe dalla stretta applicazione della disciplina legislativa non si traduce in un vizio che determina la nullità della correlata clausola negoziale”);
II) il comma 7 bis dell’art. 38 della Legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n.12 aggiunto dall’articolo 1 della l.r. n. 4 del 14-03-2008e successivamente sostituito dall’ articolo 15 della L.R. n. 4 del 13 marzo 2012 (“. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purchè completa della documentazione prevista. Nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data dell’approvazione medesima. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la corresponsione al comune della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti, deve essere fatta all’atto del rilascio del permesso di costruire, ovvero allo scadere del termine di quindici giorni previsto dal comma 7, primo periodo, nei casi di cui al comma 10”) non ha portata retroattiva (si veda la condivisibile tesi di cui a T.A.R. Milano,-Lombardia-, sez. II, 2 dicembre 2010, n. 7461: “La previsione di cui all’art. 38, c. 7 bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005, così come modificata dalla l. reg. Lombardia n. 4 del 14 marzo 2008 non trova, invero, applicazione nel caso di specie.
Il provvedimento impugnato ha, difatti, correttamente calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione sulla base del criterio previsto dall’accordo stipulato tra il Comune di Milano e la Ida s.p.a. il 21 gennaio 2008 il quale, a sua volta, ha dato applicazione alla normativa all’epoca vigente -secondo cui gli oneri sono determinati sulla base delle tariffe vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire o del perfezionamento della d.i.a-, non essendo ancora entrate in vigore le modifiche apportate all’art. 38 della l. reg. Lombardia n. 12/2005 dalla l. reg. Lombardia n. 4/2008.
L’art. 7.3 della convenzione stipulata tra il Comune di Milano e la Ida s.p.a. per l’attuazione del programma integrato di intervento – approvato in data 2.4.2007, con delibera del Consiglio Comunale n. 20/07 – ha, invero, stabilito che l’importo degli oneri di urbanizzazione “sarà quantificato in base ai valori vigenti al momento del rilascio dei titoli abilitativi edilizi, in coerenza, in particolare, con quanto previsto dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 73/2007 del 21.12.2007 e suoi eventuali adeguamenti ed integrazioni”.
Questa previsione ha forza di legge tra le parti, ai sensi dell’art. 1372 c.c., ed è insensibile ai mutamenti legislativi intervenuti successivamente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n. 1032).
L’art. 38, c. 7 bis, l. reg. Lombardia n. 12/2005 – nel prevedere che “nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data della approvazione medesima” – dispone, invero, solo per il futuro: esso non può, pertanto, trovare applicazione laddove, come è accaduto nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore sia già stato approvato il programma integrato di intervento e sia già stata stipulata la relativa convenzione, nella quale sia stato previsto il criterio per la determinazione degli oneri in conformità alle disposizioni a quell’epoca vigenti.
Né opera il meccanismo di inserzione automatica delle clausole previsto dall’art. 1339 c.c. poiché si verte in tema di diritti disponibili (cfr. la giurisprudenza in tema di scomputo dagli oneri di urbanizzazione dovuti dei costi sostenuti per l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione, secondo cui la parte promettente ben può liberamente assumere impegni patrimoniali più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge: Cons. Stato, sez. V, 29 settembre 1999, n. 1209; sez. IV, 28 luglio 2005, 4015; Tar Lombardia, Milano, sent. n. 196/2010).”;
III) la pretesa della parte appellata collide proprio con la seconda articolazione del primo motivo (quello accolto dal T.a.r. e sul quale a breve ci si soffermerà) in quanto la convenzione del 2006 non è stata oggetto di contestazione in merito al corretto formarsi della volontà di parte;
IV) la precisa dizione della suindicata disposizione di cui al comma 7 bis dell’art. 38 della Legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n.12 (“nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale”) non si attaglia al caso in esame, trattandosi di una semplice convenzione urbanistica inassimilabile ad un piano attuativo (si veda, ancora di recente Consiglio di Stato, sez. IV, 3 gennaio 2017, n. 4 in ordine alle differenze, anche e soprattutto concettuali, che comportano una differenziata competenza anche in ordine alla predisposizione dei medesimi: “mentre il piano urbanistico attuativo e lo schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione (di competenza del Consiglio comunale), la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento-atto unilaterale di approvazione), la cui sottoscrizione deve essere effettuata dal dirigente del Comune, ex art. 107, comma 3, lett. c), t.u. enti locali, il quale, se non ha un potere di modifica o integrazione delle clausole, che inciderebbe sul contenuto stesso della potestà pianificatoria precedentemente esercitata dal Consiglio comunale tuttavia, ove ritenga che le clausole contrattuali in sé considerate, ovvero lo stesso piano urbanistico attuativo, contrastano con disposizioni di legge, ben può rimettere le sue osservazioni all’organo competente, onde sollecitarne una ulteriore valutazione ed, eventualmente, l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241”);
d) per altro verso, neppure appare in tal senso utilmente invocabile a sostegno della pretesa della società appellata l’Ordine del giorno consiliare in quanto, per un verso, quest’ultimo non potrebbe possedere portata vincolante in deroga a prescrizioni di legge, e per altro verso, esso non smentisce che la delibera approvativa della nuova tabella di determinazione degli oneri si potesse applicare alle convenzioni già sottoscritte che rinviavano al momento del rilascio dei titoli per la contabilizzazione degli oneri (ed il punto 4.9. della Convenzione contiene proprio tale previsione, come meglio sarà puntualizzato di seguito);
f) il primo punto fermo dal quale muovere, è quindi il seguente: il quadro normativo ratione temporis applicabile non prevedeva che la sussistenza di una convenzione impedisse l’applicazione del principio generale, secondo il quale il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, sia determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio;
g) ciò comporta la infondatezza della censura di violazione di legge già proposta in seno al primo motivo di ricorso di primo grado, e non compiutamente scrutinata dal T.a.r. .
2.1. A fronte dell’enunciato principio generale, secondo cui il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio, (che, laddove applicato alla lettera, e senza eccezioni, indurrebbe ad accogliere tout court l’appello del Comune), tuttavia, deve darsi atti di una duplice circostanza, a più riprese affermata dalla consolidata giurisprudenza:
a) il principio generale della irretroattività delle determinazioni successive, non assume portata generale, ma potrebbe essere liberamente derogato dalle parti;
b) al contempo – per quel che più importa in seno al presente procedimento,- potrebbe essere derogato in sede convenzionale il principio della determinazione degli oneri in coincidenza con il momento del rilascio dei titoli edilizi: ciò, attraverso la prefissata determinazione, ex ante, dell’importo dei medesimi (e rendendo così insensibile il titolo edilizio ad eventuali rincari delle tariffe degli oneri, successivi alla data di stipula delle convenzioni negoziali eventualmente intervenute tra comune e privato istante, ma antecedente alla predetta data di rilascio dei titoli edilizi).
2.1.1. Ove sotto il profilo teorico si assuma verificata una evenienza quale quella in ultimo citata è necessaria una delicata opera interpretativa del dato pattizio (tra le tante: T.A.R. Catania, -Sicilia-, sez. I, 26/09/2011, n. 2310 “in tema di rideterminazione degli oneri concessori stabiliti in seno ad una convenzione di lottizzazione, stante la natura obbligatoria del rapporto tra il Comune e il titolare della concessione edilizia, e considerata la matura di detto accordo rientrante tra quelli procedimentali di cui all’art. 11 l. 7 agosto 1990 n. 241, è illegittima la modifica unilaterale dell’accordo, posto che ogni la sua rimodulazione richiede la manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla sua formazione.”); risulta quindi infondata la tesi avanzata principaliter dal comune di Milano, secondo cui il principio prima esposto (e “doppiato” dall’art. 44 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005) abbia natura inderogabile; occorre intendersi sul concetto di inderogabilità: può affermarsi che le parti possano determinare gli oneri dovuti, ove stipulino una convenzione sulla scorta della tabella vigente al momento della stipula della concessione (nel caso di specie la convenzione venne stipulata in data 21 dicembre 2006) e quindi, rendendo “neutro” il valore eventualmente ascrivibile ad una nuova tabella successivamente approvata, e “vigente” al momento del rilascio del titolo/titoli edilizi oggetto del programma convenzionale; e proprio l’art. 46 della L.R. Lombardia n. 12/05 ( “La convenzione, alla cui stipulazione è subordinato il rilascio dei permessi di costruire ovvero la presentazione delle denunce di inizio attività relativamente agli interventi contemplati dai piani attuati\1, oltre a quanto stabilito ai numeri 3) e 4) dell’articolo 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765 -Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150-, deve prevedere:
a) la cessione gratuita, entro termini prestabiliti, delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, nonché la cessione gratuita delle aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale previste dal piano dei servizi; qualora l’acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all’atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell’acquisizione di altre aree. I proventi delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a destinazione pubblica;
b) la realizzazione a cura dei proprietari di tutte le opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria o di quelle che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; le caratteristiche tecniche di tali opere devono essere esattamente definite; ove la realizzazione delle opere comporti oneri inferiori a quelli previsti [distintamente] per la urbanizzazione primaria e secondaria ai sensi della presente legge, è corrisposta la differenza; al comune spetta in ogni caso la possibilità di richiedere, anziché la realizzazione diretta delle opere, il pagamento di una somma commisurata al costo effettivo delle opere di urbanizzazione inerenti al piano attuativo, nonché all’entità ed alle caratteristiche dell’insediamento e comunque non inferiore agli oneri previsti dalla relativa deliberazione comunale1;
c) altri accordi convenuti tra i contraenti secondo i criteri approvati dai comuni per l’attuazione degli interventi.
2. La convenzione di cui al comma l può stabilire i tempi di realizzazione degli interventi contemplati dal piano attuativo, comunque non superiori a dieci anni.”) che disciplina le convenzioni urbanistiche, pur invocato dal comune di Milano, corrobora la tesi prima esposta dal Collegio.
2.2. Tale ultima evenienza, è proprio quella che – a dire dell’appellata società- ebbe a verificarsi e che è stata ritenuta sussistente dal T.a.r. (ed è fermamente contestata dal Comune di Milano).
2.3. Il “nodo” della causa, quindi, riposa proprio nell’accertamento della avvenuta – o meno- deroga negoziale a tale previsione di legge (sul principio generale, si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2922 “I contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere e gli stessi sono dovuti conformemente alla disciplina urbanistica vigente al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a., data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, pertanto l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi non può che avvenire in quel momento, in ossequio ad un’ordinaria logica di corrispettività.”, laddove questo Consiglio di Stato si è pronunciato proprio sull’applicabilità della delibera del comune di Milano che viene in rilievo nella odierna controversia, così statuendo: “La questione centrale, sulla quale si fondano le ragioni della decisione, va individuata nel momento dal quale possono essere applicate le nuove tariffe degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, stabilite dalla delibera n. 73 del 21 dicembre 2007 del Comune di Milano, in relazione alla presentazione da parte della società appellante, in data 21 dicembre 2007 allo sportello unico per l’edilizia, di una dichiarazione di inizio di attività per l’esecuzione di opere di completamento di un immobile, di sua proprietà, sito in Via dei Missaglia 89.
La scansione temporale dei fatti può essere sinteticamente riassunta. La delibera consiliare di approvazione delle nuove tariffe è stata adottata nella seduta del 21 dicembre 2007 ed è divenuta esecutiva in data 8 gennaio 2008. La DIA della società ricorrente è stata presentata, completa di tutti gli allegati e dei conteggi degli oneri, in data 21 dicembre 2007, e quindi il suo iter formativo si è concluso allo scadere del termine di trenta giorni di cui al comma 1 dell’art. 23 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ossia dopo l’intervenuta efficacia della delibera comunale.
Di fronte a detta situazione, il Comune ha ritenuto di poter applicare le nuove tariffe a “tutte le denuncie di inizio attività che acquistano efficacia dopo l’entrata in vigore della citata deliberazione e quindi presentate dopo l’8.12.2007” e pertanto anche alla DIA presentata dalla società appellante. Al contrario, la Blue Milano s.r.l. ritiene che il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione vada fatto in relazione alla situazione di diritto esistente al momento della presentazione della dichiarazione, in forza del combinato disposto degli artt. 42, 44 e 48 della Legge regionale Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 “Legge per il governo del territorio”.
In merito a quest’ultima affermazione, la Sezione ritiene corretta la ricostruzione operata dal T.A.R. che ha evidenziato l’irrilevanza delle disposizioni regionali.
Infatti, l’art. 42 commi 2 e 3, in tema di denuncia di inizio attività, stabilisce che “Nel caso in cui siano dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il relativo calcolo è allegato alla denuncia di inizio attività e il pagamento è effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa, fatta comunque salva la possibilità per il comune di richiedere le eventuali integrazioni.
La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”.
Si tratta di una disposizione che riguarda le modalità di adempimento, e non il perfezionamento della denuncia di attività. Infatti, se la norma dovesse essere letta come attributiva di efficacia alla DIA in raccordo al suo momento di presentazione, si assisterebbe alla singolare circostanza che il pagamento sarebbe dovuto anche se, nel corso del termine di trenta giorni, l’amministrazione dovesse intervenire con l’ordine motivato di blocco dei lavori.
L’art. 44 comma 12, in materia di oneri di urbanizzazione, in merito agli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d’uso su edifici esistenti, prevede che “per quanto attiene all’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il contributo dovuto è commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente e alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti, determinata con le modalità di cui ai commi 8 e 9”, e dispone al comma 13 che “L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività.”
Si tratta di un caso molto particolare, non valido nella situazione in scrutinio, e che non appare irragionevole differenziare dal regime ordinario di DIA, atteso che il mutamento di destinazione d’uso è ex lege oggetto di disciplina regionale.
Infine, l’art. 48 comma 7, sul costo di costruzione, afferma che “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”.
Anche in relazione a tale ultima disposizione, valgono le considerazioni sopra espresse sulle conseguenze irragionevoli che deriverebbero dalla ricostruzione proposta dall’appellante.
Nessuna delle disposizioni indicate è quindi destinata ad incidere sulla vicenda in scrutinio, che deve quindi essere esaminata solo in rapporto alla disciplina generale, fondata sul testo unico dell’edilizia.
Proprio in ragione di tale evenienza, occorre evidenziare che, in disparte l’annosa questione sulla ricostruzione dell’istituto, in termini pubblicistici, come è l’orientamento di questa Sezione, o in termini privatistici, dove si fa risaltare l’azione del cittadino, il testo normativo (art. 23 comma 1 del testo unico sull’edilizia) permette la realizzazione delle opere solo allo spirare del termine di trenta giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere, deve convenirsi con la ricostruzione del giudice di primo grado che vede un nesso tra l’intervenuta efficacia, data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, e l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi, che non può che avvenire in quel momento, in rispetto di un’ordinaria logica di corrispettività.
Ciò comporta che fino al momento dell’attribuzione di efficacia, secondo ed ultimo momento della realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, come qui esaminato, ma come anche potrebbe essere il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica.
Deve quindi ritenersi corretta l’interpretazione adottata dal Comune di Milano nell’atto principalmente gravato, del quale va quindi confermata la legittimità.”.).
2.4. Il criterio cui si atterrà il Collegio, “risente” ovviamente del dato giuridico a monte: invero, a fronte di un dato normativo che prevede che l’ammontare degli oneri sia quantificato al momento del rilascio del titolo edilizio, ed a fronte di un dato “temporale” incontestato riposante nella circostanza che nel caso di specie tutti i titoli edilizi furono rilasciati dal Comune di Milano in epoca successiva alla deliberazione del Consiglio comunale di Milano n. 73 del 21 dicembre 2007 (le cinque Dia, tutte singolarmente impugnate dalla ditta odierna appellata in via autonoma, innanzi al T.a.r. –ed i cui processi sono ancora pendenti vennero rilasciate tra il 2008 ed il 2009) per ritenere (come sostenuto dall’appellata) l’inapplicabilità di detta delibera ai titoli successivamente rilasciati, occorrerebbe rinvenire un dato negoziale univoco, che corrobori la deroga dei paciscenti al regime legale; il criterio, risente altresì di una “chiave di lettura”, dalla quale il Collegio non intende decampare: per costante opinione della Dottrina e della giurisprudenza amministrativa (tra le tante T.A.R. Perugia, -Umbria-, sez. I, 11/09/2013, n. 475) “i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362-1371 c.c. sono applicabili per l’interpretazione non solo dei provvedimenti amministrativi, ma anche degli accordi di cui all’art. 11, l. 241/90, giusto il richiamo del comma secondo ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti “per quanto compatibili”: tra tali criteri, v’è anche quello di buona fede, -art. 1366 cc-, che nel caso di specie, assume particolare valore, in quanto si salda alla ratio dell’art. 16 del 16, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; invero la ratio per la quale si vuole che il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, sia determinato e liquidato all’atto del rilascio del titolo edilizio, è quello di cautelare il privato istante, facendo sì che questi non sia esposto ad incrementi di costo non prevedibili: è evidente che tale ratio si estenda alla affine ipotesi in cui il privato ottenga tale titolo successivamente, ma in forza di una convenzione che abbia già definito l’assetto patrimoniale futuro.
3. Il T.a.r., accogliendo la (seconda, in ordine logico) articolazione del primo motivo del ricorso di primo grado ha ritenuto, che tale ipotesi si fosse inverata nel caso di specie.
3.1. Osserva in contrario senso il Collegio, che:
a) la convenzione stipulata in data 21 dicembre 2006 è carente di una specifica clausola che contenga una quantificazione degli oneri di urbanizzazione che la parte avrebbe dovuto corrispondere e che, soprattutto, specifichi che detta determinazione resti insensibile ad eventuali modifiche;
b) l’art. 4 per il vero contiene una descrizione delle opere seppure ricavabile tramite operazioni aritmetiche;
c) i computi metrici allegati ai progetti di massima, quantificano (seppure indicativamente) il costo delle relative opere;
d) l’art 4.8 della convenzione specifica però che gli oneri di urbanizzazione “saranno computati nell’ambito delle singole procedure edilizie”;:
e) secondo l’art. 4.9 della convenzione, l’appellata si è impegnata a realizzare a scomputo le opere di cui agli artt. 4.2, 4.3 e 4.4, lettera c), d), e) e f), fermo restando che “qualora il costo di tali opere fosse inferiore all’importo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria complessivamente considerati e come sopra computati (nell’”ambito delle singole procedure edilizie” art. 4.8) l’operatore potrà procedere alla realizzazione, a scomputo del contributo di una o più delle opere descritte al precedente punto 4.6 ovvero verserà al Comune di Milano gli importi dovuti a conguaglio. Le parti potranno infine individuare ulteriori infrastrutture o attrezzature pubbliche, di interesse pubblico o generale localizzate in prossimità dell’intervento da realizzare a scomputo e fino alla concorrenza dei residui oneri di urbanizzazione …” (art. 4.9).
3.2. Ad avviso del Collegio, dalla complessiva lettura dell’atto negoziale, emerge che:
I) la quantificazione, degli importi dovuti non sia del tutto definita;
II) era prevista una possibilità di futuro conguaglio;
III) giammai è stata indicata espressamente la insensibilità della determinazione contenuta in convenzione ad eventuali future determinazioni, e quindi giammai è stato espressamente specificato che la indicazione di cui alla convenzione derogava al principio generale di legge;
IV) la specificazione per cui gli oneri di urbanizzazione “saranno computati nell’ambito delle singole procedure edilizie” non può che significare che il momento determinativo è quello del rilascio dei titoli: ciò implica l’operatività del “corollario” di legge, per cui deve tenersi conto delle variazioni medio tempore intervenute.
3.3. Quanto sinora detto appare conforme ad un convincimento espresso in tempo assai recente dalla Sezione, e dal quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi (ci si riferisce alla sentenza 2369 del 22 maggio 2017, da intendersi qui espressamente richiamata).
4. Se quindi è rimasta smentita, ad avviso del Collegio, la tesi ricorsuale dell’appellata (il che implica la riforma sul punto della sentenza del T.a.r. ed il rigetto anche di questa doglianza contenuta nel ricorso di primo grado) ciò non esaurisce il compito del Collegio, cui spetta scrutinare l’ulteriore riproposto motivo, con il quale la ditta sostiene che – a tutto concedere- avrebbe dovuto esaminarsi la questione tenendo conto del principio di buona fede e dell’affidamento da essa riposto nella circostanza che la pattuizione convenzionale restasse insensibile a successive modifiche.
4.1. Ad avviso del Collegio, il suindicato canone ermeneutico potrebbe venire in rilievo, nel caso di specie, tenuto conto sia degli artt. 1366, 1375, 1337,1338 cc (pacificamente applicabili al rapporto convenzionale ex art. 11 della legge n. 241/1990) che, più in generale, avuto riguardo alla peculiare posizione del soggetto che richiede il rilascio del titolo abilitativo ad edificare.
4.2.Quanto al primo profilo, è sufficiente richiamare la recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. III, 26/05/2014, n. 2693 “l’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, le cui regole si applicano agli accordi integrativi di provvedimento di cui all’art. 11, l. 7 agosto 1990 n. 241, è violato non solo quando una parte agisce con il doloso proposito di recare pregiudizio all’altra, ma anche quando la condotta da essa tenuta non è comunque improntata alla diligente correttezza e al senso di solidarietà sociale.”).
Quanto al secondo profilo, il richiedente deve essere messo immediatamente in condizione di conoscere quale sia il “corrispettivo” preteso dall’Amministrazione, e ciò in quanto tale quantificazione condiziona l’iniziativa economica del richiedente predetto: peraltro, ove poi non si dia corso all’attività edificatoria il richiedente avrebbe diritto a richiedere la ripetizione, in quanto altrimenti si avrebbe un esborso sine causa (T.A.R. Trieste, -Friuli-Venezia Giulia-, sez. I, 04/06/2014, n. 252 “è pacifico che allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla P.A., ex art. 2033 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente. La coerente applicazione della seconda parte della norma comporta altresì che l’ “accipiens” è tenuto a corrispondere, oltre al debito principale, anche gli interessi legali, e con decorrenza, dovendosi presumere la buona fede, dalla data della domanda, vale a dire dalla data in cui di dette somme non dovute è stata chiesta la ripetizione e non dalla data della loro corresponsione.”).
L’art. 16 del, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 contiene il principio della anticipata predeterminazione dal quale discende che è fatto divieto per le Amministrazioni pretendere l’erogazione di somme aggiuntive (T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. II, 26/04/2017, n. 946 “nell’esercizio dei propri poteri pianificatori, le Amministrazioni Comunali non possono imporre ai privati, che intendano dare esecuzione alle previsioni di piano, l’obbligo di corrispondere somme aggiuntive rispetto a quanto da essi dovuto a titolo di contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 e, in Regione Lombardia, dell’art. 43 della l. rg. n. 12 del 2005. Ciò in quanto tale obbligo non ha copertura legislativa e si pone, dunque, in contrasto con l’art. 23 Cost., il quale vieta l’imposizione di prestazioni personali e patrimoniali che non siano previste dalla legge. Le uniche eccezioni a questa regola possono aversi nell’ambito della pianificazione attuativa, allorquando privato e Comune stipulino una convenzione urbanistica che accede al piano. In questo caso, l’eccezione si spiega in quanto gli obblighi aggiuntivi di cui il privato si fa carico non sono imposti unilateralmente dal Comune, ma sono da lui assunti liberamente, nell’esercizio della propria autonomia negoziale. Non è, invece, possibile prevedere tali obblighi già in sede di piano di governo del territorio, giacchè in tale sede il Comune esercita un potere autoritativo rispetto al quale il privato, lungi dall’assumere volontariamente, la posizione d’obbligo ivi prevista, versa in uno stato di mera soggezione.”).
4.3. Non ritiene, però, il Collegio che il suindicato richiamo alla “buona fede” giovi alla parte appellata.
4.3.1. Invero il principio della predeterminazione degli oneri in capo al richiedente il titolo abilitativo edilizio, comprende ed ingloba quello per cui nella determinazione dei medesimi si tiene conto delle delibere comunali antecedenti al rilascio del titolo.
4.3.2. Il richiedente può cautelarsi da modifiche in aumento, richiedendo (immediatamente dopo la sottoscrizione della convenzione, per traslare il principio al caso di specie) il titolo abilitativo, ma sa bene che ove trascorra del tempo dalla richiesta di rilascio del medesimo, verranno applicate alla sua richiesta le delibere medio tempore intervenute; al contempo, avrebbe potuto cautelarsi da tale evenienza pretendendo che venisse inserita nella convenzione una clausola negoziale espressa in tal senso.
4.3.3. In carenza di tale espressa pattuizione, opera la previsione di legge, e quest’ultima contrasta con la tesi della appellata, che va pertanto anche sul punto respinta, sia perché la convenzione non contiene una clausola espressa in tal senso, sia perché, operando in materia un principio generale previsto dalla legge, siccome interpretata dalla costante giurisprudenza, essa non può invocare uno stato di buona fede “soggettiva” contrastante con tali emergenze.
5. Conclusivamente, l’appello va accolto, ed in riforma della sentenza impugnata va respinto il ricorso di primo grado, con salvezza degli atti impugnati, mentre (come rilevato all’inizio della presente motivazione) con riferimento alla esatta quantificazione delle somme dovute, non trovandosi al cospetto di atti definitivi (quanto alla concreta determinazione dell’importo) trattasi di problematica da compiutamente definire in sede procedimentale, la censura di primo grado riproposta in appello è inammissibile per difetto di attualità della lesione.
6. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse possono essere compensate tra le parti a cagione della complessità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui alla motivazione che precede e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, in parte respinge, ed in parte dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Spese processuali del doppio grado compensate .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Fabio Taormina
Antonino Anastasi
IL SEGRETARIO