Principi in punto di prova della data di edificazione di un immobile
1. Per incontroversa giurisprudenza civile i dati catastali, per la loro natura meramente indiziaria, non hanno rilievo decisivo in materia di rivendica, considerata la prova rigorosa richiesta ex art. 948 c.c.. Per costante giurisprudenza amministrativa la rilevanza, che al decorso del tempo può riconoscersi relativamente alla tutela dell’affidamento al mantenimento dell’opera abusivamente realizzata, deve comunque ritenersi subordinata al rigoroso accertamento di molteplici presupposti, tra cui la prova, di cui è onerata la parte ricorrente, del periodo di realizzazione del manufatto in modo ragionevolmente certo, non essendo ammissibile una consulenza c.d. esplorativa, volta cioè ad acquisire al processo elementi di prova che devono invece essere introdotti dalle parti in applicazione della regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. e accolta, seppure con significativi temperamenti, dall’art. 64 c.p.a.. Inoltre, nelle controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, tanto che la prova per testimoni è del tutto residuale.
2. Da tali condivisibili principii giurisprudenziali discende che: a) la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi; b) essi resistono a dati quali quelli risultanti dagli estratti catastali, ovvero alla prova testimoniale; c) è onere del privato che contesti il dato dell’Amministrazione fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, “superando” quella fornita dalla parte pubblica.
Avv. Giovanni Dato
N. 00511/2016REG.PROV.COLL.
N. 09059/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9059 del 2006, proposto da:
Magia S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Pasquale Papa, Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso Ferdinando Scotto in Roma, Via Alessandro III, 6;
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Tarallo, Edoardo Barone, Bruno Crimaldi, Fabio Maria Ferrari, Antonio Andreottola, Annalisa Cuomo, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; Regione Campania, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Lidia Buondonno, con domicilio eletto presso Ufficio Di Rappresentanza Regione Campania in Roma, Via Poli,29;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA –Sede di NAPOLI- SEZIONE I n. 10719/2005, resa tra le parti, concernente approvazione variante generale al prg di Napoli-classificazione di aree ed immobili
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Racco su delega dell’avvocato Scotto, Panariello su delega dell’avvocato Buondonno, Crimaldi e Lo Manto su delega dell’avvocato Cuomo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli – ha respinto il ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellante società Magia s.r.l., volto ad ottenere l’annullamento del D.P.G.R. n. 323 dell’11.6.2004 di approvazione della variante generale al PRG di Napoli nella parte in cui ivi si classificava il fabbricato A di pertinenza della società originaria ricorrente come “unità di spazio scoperto concluse relative a unità edilizia di base – giardini, orti e spazi pavimentati pertinenti a unità edilizia di base”e di ogni altro atto, regionale e comunale, presupposto, connesso e consequenziale.
L’odierna appellante, premesso di essere proprietaria di un complesso immobiliare sito in Napoli alla via Posillipo 54 , costituito da sei corpi di fabbrica prospicienti lo specchio d’acqua denominato “Riva Fiorita” e di retrostanti grotte naturali presenti nel costone tufaceo della collina di Posillipo, aveva lamentato l’errata classificazione dell’edificio contraddistinto con la lettera A ad opera dell’impugnato atto di approvazione della variante generale al PRG (unità di spazio scoperto concluse relative a unità edilizia di base – giardini, orti e spazi pavimentati pertinenti a unità edilizia di base”).
Ritenendo che il medesimo dovesse avere la stessa classificazione urbanistica dei fabbricati circostanti (unità edilizie novecentesche originarie o di ristrutturazione a struttura autonoma), era insorta prospettando articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
In sintesi, si era sostenuto che la scelta consiliare –comunque viziata da difetto di motivazione in quanto non erano state confutate le deduzioni istruttorie dalla stessa formulate- si fondasse su un eclatante errore istruttorio, avendo l’amministrazione ritenuto che il fabbricato preesistente fosse una semplice tettoia:invece, come dimostrato dalla perizia tecnica giurata, il fabbricato in esame esisteva almeno dagli anni ’20.
Il Tar ha disatteso integralmente il mezzo, avendo osservato che dalle richiamate planimetrie catastali e dai diversi rilievi aerofotogrammetrici in atti, si evinceva come, in un primo momento (anni 1960-1975), il fabbricato in questione non comparisse ( a differenza degli altri corpi di fabbrica cui coerentemente viene attribuita la classificazione di unità edilizie novecentesche originarie o di ristrutturazione a struttura autonoma ).
Successivamente (cartografia del 1983) esso era in maniera costante descritto in termini di tettoia-capannone, in quanto riportato con il simbolo della diagonale.
I supporti peritali difensivi si concentravano nello sforzo di dimostrare la pre-esistenza di un edificio in una zona tendenzialmente coincidente con quella dell’odierno manufatto, sì da farne discendere la prova di una coincidenza di identità tra gli stessi in ragione di una pregressa attività edilizia su cui si sarebbero innestate successivi interventi ricostruttivi e manutentivi.
Ma pur nella piena attendibilità di una pre-esistente opera edificatoria nella zona in esame, nondimeno le vicende edilizie di quest’ultima (per effetto delle demolizioni susseguitesi nel tempo, della significativa dispersione dell’originaria struttura edilizia e delle plurime ricostruzioni di edifici non coincidenti) ad avviso del Tar, non consentivano di pervenire ad una conclusione di riconducibilità del fabbricato A all’edificio originario.
Quanto al contestato difetto di motivazione, esso non sussiteva, in quanto la sufficienza motivazionale delle controdeduzioni emerge univocamente dal riferimento ai dati fattuali ed alle valutazioni logiche-giuridiche che ne sorreggono le conclusioni.
Il mezzo è stato pertanto integralmente disatteso.
L’ odierna appellante, già ricorrente rimasto soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con l’Amministrazione ed ha sostenuto che il provvedimento gravato era illegittimo in quanto (primo motivo) fondato su risultanze inattendibili.
Soltanto in base a questi dati il Tar aveva affermato l’assenza del fabbricato nel periodo 1960/1975 e la presenza soltanto di una tettoia/capannone a partire dal 1983.
Invece nelle foto acquisite – e compulsate dalla difesa- dal 1958 al 1974, il fabbricato era costantemente presente.
Le risultanze catastali nulla potevano provare in contrario senso: era stato accertato che l’immobile non era stato denunciato in catasto dai proprietarii, ma ciò non poteva comportare che se ne inferisse la inesistenza.
L’appellante ha puntualizzato e ribadito le proprie censure depositando articolate memorie.
Il Comune di Napoli ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del mezzo perché infondato: la istruttoria era stata completa ed accurata, e si fondava su documentazione inattaccabile; l’ombra proiettata da un manufatto e rinvenibile in una foto aerea del 1929 non era riconducibile proprio a “quel” manufatto e non consentiva di convenire con la tesi difensiva secondo cui si era al cospetto di un immobile ricostruito nel ’40 su preesistente manufatto risalente agli anni’20 e parzialmente crollato.
La Regione Campania in data 29 ottobre 2015 ha depositato una nota di udienza chiedendo di essere estromessa dal processo in quanto questo aveva ad oggetto atti emessi dall’Amministrazione comunale, cui essa era estranea.
Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2015 la causa è stata cancellata dal ruolo su richiesta di parte appellante.
Il 22.10.2015 l’appellante ha depositato documentazione; il 29 ottobre 2015 l’appellante e la Regione Campania hanno depositato memorie ribadendo le rispettive difese.
In data 2 novembre 2015 il Comune di Napoli si è costituito con nuovi difensori.
Alla odierna pubblica udienza dell’1 dicembre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va pertanto respinto, e non ritiene il Collegio necessario l’espletamento di ulteriori incombenti istruttorii.
1.1. Va disposta la estromissione dal giudizio della Regione Campania, effettivamente estranea alla controversia in corso, riguardante unicamente un’attività amministrativa ascrivibile al comune di Napoli
1.1.1. Ciò premesso, come esposto nella parte in fatto della presente decisione, si controverte in ordine alla classificazione imposta dal Comune al fabbricato in oggetto, ed il punto centrale riposa nella epoca di realizzazione del medesimo e sulla coincidenza del manufatto risalente asseritamente esistente, con quello odierno.
1.2 Rammenta il Collegio che:
a) per incontroversa giurisprudenza civile (tra le tante Cassazione civile sez. II 18/02/2013 n. 3980 “i dati catastali, per la loro natura meramente indiziaria,non hanno rilievo decisivo in materia di rivendica, considerata la prova rigorosa richiesta ex art. 948 c.c. -nella specie, la Corte ha confermato la decisione del giudice di appello secondo la c.t.u. doveva ritenersi insufficiente, perché fondata solo sui dati catastali non convalidati da altri elementi probatori-);
b)per costante giurisprudenza amministrativa (che può agevolmente essere traslata alla odierna fattispecie) “la rilevanza, che al decorso del tempo può riconoscersi relativamente alla tutela dell’affidamento al mantenimento dell’opera abusivamente realizzata, deve comunque ritenersi subordinata al rigoroso accertamento di molteplici presupposti, tra cui la prova, di cui è onerata la parte ricorrente, del periodo di realizzazione del manufatto in modo ragionevolmente certo, non essendo ammissibile una consulenza c.d. esplorativa, volta cioè ad acquisire al processo elementi di prova che devono invece essere introdotti dalle parti in applicazione della regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. e accolta, seppure con significativi temperamenti, dall’art. 64 c.p.a.”( ex aliis T.A.R. Perugia –Umbria- sez. I 02/08/2013 n. 411);
c) Nelle controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, tanto che la prova per testimoni è del tutto residuale” (T.A.R. Torino sez. II 27/03/2013 n. 390, T.A.R. Perugia sez. I 02/11/2011 n. 354).
1.2. Da tali condivisibili principii giurisprudenziali discende che:
a) la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi;
b)essi resistono a dati quali quelli risultanti dagli estratti catastali, ovvero alla prova testimoniale;
c)è onere del privato che contesti il dato dell’Amministrazione fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, “superando” quella fornita dalla parte pubblica.
1.3. Nel caso di specie, la situazione che si riscontra, è la seguente:
a)ad avviso del comune il fabbricato non risulta esistente nel periodo che va dal 1960 al 1975 e, successivamente, a partire dal 1983 “compare” ed è descritto nella cartografia quale tettoia capannone;
b)parte appellante ritiene che, invece, vi siano dei rilievi –di provenienza militare, e pertanto di provata attendibilità, che militerebbero per una contraria conclusione, e segnatamente dimostrerebbero che il fabbricato era presente nel periodo 1958-1974,e coinciderebbe, per posizione ed ubicazione, con quello che nel rilievo cartografico del 1983 cui fa riferimento il comune viene “classificato” come tettoia/capannone.
1.3.1. Secondo parte appellante, poi, le cartografie utilizzate dal comune di Napoli sarebbero inattendibili, in quanto non risulterebbero rappresentati (nei rilevi del 1962 e del 1975) altri manufatti (di proprietà altrui) certamente esistenti.
2. Osserva in proposito il Collegio che tali rilievi apodittici, la insistita affermazione che non si fosse unicamente in presenza di una tettoia, etc, sono recessivi rispetto al principio di prova fornito dell’Amministrazione e relativo alla sussistenza di una mera tettoia/capannone.
2.1. Sarebbe dovuta essere parte appellante a fornire granitica prova della inattendibilità della documentazione fornita dall’Amministrazione, ma ciò non è in realtà avvenuto, né ci si trova al cospetto di dati diversamente “interpretabili” rispetto alle conclusioni sottese al diniego.
2.2. Il Collegio riconosce lo sforzo probatorio svolto da parte appellante (ed anche in ragione di ciò ritiene superfluo disporre ulteriori incombenti istruttorii): senonchè, dalla documentazione da questa versata in atti (identica a quella di primo grado, nella sostanza) ed anche dalla perizia giurata di parte che l’appellante ha prodotto , non si evince la preesistenza dell’immobile al 1917, e soprattutto, non si evince la ininterrotta presenza del detto immobile, nella consistenza (seminterrato, etc) ipotizzata da parte appellante.
Quanto alla supposta inattendibilità della documentazione utilizzata dal Comune (e dal Tar), essa in realtà è apoditticamente affermata: è semmai parte appellante (pag 3 della memoria versata in atti) a sorvolare elegantemente sulle incongruenze ricavabili dalla documentazione da essa stessa prodotta, attribuendole “alla fisiologia”, in simili casi, e spingendosi ad affermare che le incongruenze, ove non “plateali”, sarebbero superabili.
Restano poi soltanto asserite, e mai provate, le presunte attività ricostruttive che a più riprese sia ante che post eventi bellici sarebbero state poste in essere sull’immobile, delle quali non esiste alcuna prova, né titolo abilitativo.
2.2.1. In sintesi: la stessa parte appellante nella propria istanza originaria proposta innanzi al Comune di Napoli aveva fatto presente che il detto fabbricato “A” risalisse agli anni ’40 e fosse stato costruito su un muro preesistente (risalente agli anni ’20) crollato medio tempore; nel successivo sviluppo processuale ha addirittura “anticipato” la nascita del detto fabbricato; ammette che esso sarebbe stato più volte crollato e ricostruito; della esatta coincidenza del supposto immobile con quello preesistente non v’è comunque prova; esso non “compare” in alcuna cartografia per un lungo torno di tempo, e comunque nel 1983 –unico dato certo -esso risulta essere pertinenza.
2.3. In armonia con i superiori orientamenti, in simile condizione di assenza di probatio la reiezione del mezzo si impone, né si vede quale ulteriore incombente istruttorio sarebbe utile esperire e/o su quale oggetto dovrebbe vertere la invocata CTU che l’appellante sostiene sarebbe possibile disporre
2.3.1.Benchè non spieghi rilievo dirimente, poi, ma meramente aggiuntivo e di contorno (ogni immobile ha una sua “storia”, e non è possibile traslare a piacimento sull’uno o sull’altro distinto corpo di fabbrica conclusioni che si riferiscono ad altre unità immobiliari) non può sottacersi che le tesi dell’appellante società riguardanti appunto il complesso di plessi prospicienti l’area “Riva Fiorita” hanno trovato smentita nella sentenza della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato recante n. 02478/2015.
Ivi, accogliendosi l’appello del Ministero, è stato rilevato che (capo 4 della richiamata decisione) “l’area dove risultano allocati gli immobili oggetto delle domande di condono edilizio è gravata – come ricordato- da più vincoli di tutela e si presenta come di grande pregio paesaggistico, va osservato come la Soprintendenza, nell’esprimere parere negativo sulla domanda di condono, non si sia limitata ad effettuare una mera, apodittica affermazione di incompatibilità sotto il profilo paesaggistico dei manufatti de quibus, potendosi rinvenire nella valutazione negativa molteplici ragioni logico-giuridiche che danno sufficiente contezza non solo del disvalore paesaggistico dei manufatti in questione, ma anche delle ulteriori ragioni giustificative del diniego espresso.
Nella propria valutazione negativa, la Soprintendenza non si è limitata solo a constatare lo stato di fatiscenza e di degrado attuale degli immobili oggetto della domanda di condono, ma ha richiamato espressamente la relazione tecnica illustrativa del responsabile del procedimento sugli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizione contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e delle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo (zona PI).
Da detta relazione tecnica, nonché dalla documentazione fotografica esaminata ( e versata in atti), la Soprintendenza ha potuto constatare ( ciò che si ricava ictu oculi dall’esame della predetta documentazione) la mancata ultimazione dei fabbricati sottoposti a domanda di condono, considerato che detti “organismi pressoché sprovvisti di muri perimetrali, privi di coperture e/o dotati di coperture provvisorie, al punto che, denegato il progetto di completamento allegato alla richiesta, il coordinatore del dipartimento Ambiente del Comune di Napoli si è trovato, irritualmente, nella necessità di dover prescrivere il tipo, la qualità e le modalità del completamento delle opere”.
Difetterebbe pertanto, come correttamente rilevato dalla Soprintendenza di Napoli, lo stesso presupposto giuridico ( ultimazione delle opere al 1° ottobre 1983) perché possa trovare applicazione la disciplina del condono edilizio ai sensi della legge n. 47 del 1985.
Né può essere condiviso l’assunto del Giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che il parere della Soprintendenza poteva concernere solo le parti oggetto della domanda di condono, e non invece i fabbricati oggetto della domanda di sanatoria nella loro interezza.
Infatti, è dallo stesso parere della commissione edilizia comunale del 18 gennaio 2012 che si evince come le modifiche oggetto della domanda di condono non fossero esclusivamente interne ( e cioè limitate all’incremento delle superfici per via della realizzazione di nuovi solai marcapiano) come desunto dal giudice di primo grado, ma riguardavano anche i profili esterni dei fabbricati ( ed in particolare il completamento di alcune falde di copertura, percepibili dall’esterno e quindi incidenti su profili paesaggistici).
In sostanza, come correttamente ritenuto dall’Autorità preposta alla tutela paesaggistica nel negativo parere reso, si tratta, da un lato, di immobili non funzionalmente ultimati, sprovvisti di murature perimetrali e che, in concreto, nella loro configurazione attuale, integrano “una situazione di incompatibilità con il vincolo paesaggistico, ciò anche in considerazione delle disposizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo, in particolare della zona P.I., al cui interno ricade il complesso”.
Quindi, neppure i fabbricati “principali” sarebbero stati ultimati al 1983.
3. Conclusivamente, l’appello va respinto nei sensi di cui alla motivazione che precede e per le assorbenti considerazioni ivi rassegnate . Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
4. Quanto alle spese processuali, esse seguono la soccombenza e pertanto l’appellante va condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura che appare equo quantificare in complessivi Euro duemila (€ 2000//00), oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la estromissione dal giudizio della Regione Campania.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali, in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura di complessivi Euro duemila (€ 2000//00), oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)