Alla Corte costituzionale la normativa circa l’elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo
1. Deve essere dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48 secondo comma, Cost. la questione di legittimità costituzionale degli artt. 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo comma della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (nel testo introdotto dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10) nella parte in cui prevede:
– che l’Ufficio elettorale nazionale, ricevuti gli estratti dei verbali da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali di cui al n. 2) dell’articolo 20 e dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi;
– che il riparto dei seggi fra le liste avviene in favore delle sole liste che abbiano superato sul piano nazionale la richiamata soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validamente espressi;
– che l’ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da parte dell’Ufficio elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati in applicazione delle previsioni di cui al precedente articolo 21 (e quindi, con applicazione della richiamata soglia di sbarramento).
Avv. Giovanni Dato
N. 03673/2016 REG.PROV.COLL.
N. 10641/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 10641 del 2015, proposto da Giorgia MELONI, Guido CROSETTO, Sergio Antonio BERLATO, Carlo FIDANZA, Cristiano ALLAM Magdi, Marco SCURRIA, Pasquale MAIETTA, Giovanni ALEMANNO, Antonio IANNONE, Sandro PAPPALARDO, Marco MARSILIO, Salvatore SIRIGU, Paola FRASSINETTI, Raffaele SPERANZON, Maurizio DELLI CARRI e Etelwardo SIGISMONDI, rappresentati e difesi dagli avvocati Federico Tedeschini, Elisabetta Rampelli e Fabiana Seghini, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7
contro
Ufficio Elettorale Centrale Nazionale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
nei confronti di
Forza Italia, Alberto CIRIO, Remo SERNAGIOTTO, Alessandra MUSSOLINI, Barbara MATERA, Salvatore CICU, rappresentati e difesi dall’avvocato Ignazio Abrignani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza delle Belle Arti, n. 8;
Nuovo Centrodestra (Ncd), rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia e Andrea GEMMA, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
Partito Democratico, Daniele VIOTTI e Roberto GUALTIERI, rappresentati e difesi dall’avvocato Vincenzo Cerulli Irelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Dora,1;
Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro (UDC), rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Galoppi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sistina, 42;
Nicola CAPUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Lambertie Claudio Maria Lamberti, con domicilio eletto presso Antonio Lamberti in Roma, viale dei Parioli, 67;
Lorenzo FONTANA, rappresentato e difeso dall’avvocato Luca Tozzi, domiciliato presso la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro 13;
Michela GIUFFRIDA, Marco ZULLO, Piernicola PEDICINI, Massimiliano SALINI, Lorenzo CESA, Movimento 5 Stelle non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione II-bis, n. 13214/2015
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’Interno, dell’Ufficio Elettorale Centrale Nazionale e di Partito Democratico e di Forza Italia e di Nuovo Centrodestra (Ncd) e di Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro (Ucd) e di Daniele Viotti e di Nicola Caputo e di Roberto Gualtieri e di Alberto Cirio e di Remo Sernagiotto e di Alessandra Mussolini e di Barbara Matera e di Salvatore Cicu e di Lorenzo Fontana e di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Tedeschini, Rampelli, dello Stato Grasso, Maria Athena Lorizio per delega di Cerulli Irelli, Antonio Lamberti, Claudio Maria Lamberti, Saragò per delega di Abrignani, Tozzi, Torrini per delega di Galoppi, e Clarizia;
FATTO
IL CONTESTO NORMATIVO NAZIONALE RILEVANTE AI FINI DELLA DECISIONE.
La presente ordinanza di rimessione ha ad oggetto la legittimità costituzionale della normativa vigente relativa all’elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo, cioè la legge 24 gennaio 1979, n. 18, così come modificata dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 – “Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia” -, nella parte in cui stabilisce che l’Ufficio elettorale nazionale “individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi” (articolo 21, comma 1, n. 1-bis) della legge 24 gennaio 1979, n. 18) e “procede al riparto dei seggi tra le liste di cui al numero 1-bis) in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista […]” (articolo 21, comma 1, n. 2 della medesima legge n. 18 del 1979).
Il sistema introdotto dalla legge italiana consegue all’esercizio della facoltà, prevista per gli Stati membri dell’Unione europea nell’Atto di Bruxelles (Allegato alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom del 20 settembre 1976, nel testo risultante a seguito della decisione del Consiglio 2002/772/CE, Euratom del 25 giugno 2002 e del 23 settembre 2002), di introdurre soglie di sbarramento nella misura massima del cinque per cento all’interno delle rispettive legislazioni nazionali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo.
I FATTI ALL’ORIGINE DELLA CONTROVERSIA E I MOTIVI
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e iscritto al n. 9609 dell’anno 2014, gli odierni appellanti, premesso di aver rivestito la qualità di candidati per la lista Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale alle elezioni del Parlamento europeo svoltesi il 25 maggio 2014, nonché di elettori, hanno impugnato l’atto di proclamazione dei candidati eletti, non avendo lo stesso assegnato alcun seggio alla propria lista, che pure era riuscita a conseguire a livello nazionale 1.006.513 voti, pari al 3,66 per cento, così ripartiti:
– I circoscrizione Italia nord occidentale: 254.453 (3,19%);
– II circoscrizione Italia nord orientale: 174.770 (3,07%);
– III circoscrizione Italia centrale: 260.792 (4,58%);
– IV circoscrizione Italia meridionale: 238.993 (4,15%);
– V circoscrizione Italia insulare: 75.029 (3,30%).
Gli appellanti hanno lamentato che tale esito fosse gravemente lesivo del loro diritto di elettorato attivo e passivo, invocando a supporto plurime disposizioni costituzionali e previsioni sancite a livello europeo e hanno chiesto al giudice adito l’annullamento del suddetto provvedimento di proclamazione degli eletti ed una nuova ripartizione dei seggi, senza fare applicazione della soglia di sbarramento al quattro per cento prevista dall’articolo 21, comma 1, n. 1-bis della legge n. 18 del 1979, previa rimessione della questione alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
All’interno dell’unico motivo contenuto nel ricorso sono stati evidenziati molteplici profili di incostituzionalità, connessi all’assunto per cui la legge elettorale italiana per il Parlamento europeo, introducendo una soglia di sbarramento, lederebbe l’uguaglianza e le libertà del diritto di elettorato attivo e passivo dei cittadini italiani con conseguente distorsione della rappresentanza in sede europea: verrebbe vanificata la preferenza espressa da più di un milione di elettori per la lista Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale in occasione delle elezioni del 25 maggio 2014.
Quest’ultima, infatti, in mancanza di detta soglia di sbarramento e stando ai risultati delle elezioni avrebbe ottenuto almeno tre seggi presso il Parlamento europeo ed il vulnus si sarebbe ripetuto anche con l’applicazione del criterio dei resti, registrando una cifra elettorale superiore ai resti delle altre liste che hanno raggiunto il 4 per cento.
Passando all’esame delle singole argomentazioni sviluppate:
– per quanto riguarda l’ordinamento costituzionale italiano, è stata sottolineata la violazione del principio di partecipazione democratica (articoli 1, 2 e 49 della Costituzione), del principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) e del principio fissato dall’articolo 48 della Costituzione, secondo cui “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”;
– per quanto riguarda l’ordinamento dell’Unione europea, l’accento è stato posto sugli articoli 10 e 11 della Costituzione e sui Trattati, in particolare, l’articolo 9 del Trattato sull’Unione europea, per il quale “La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale”, e l’articolo 10, comma 3 del medesimo Trattato, che conferisce a chi ne sia titolare “il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”.
Principi questi ritenuti non compatibili con la facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’Atto di Bruxelles di introdurre soglie di sbarramento nelle legislazioni nazionali per l’elezione dei parlamentari europei, alla luce, oltretutto, delle innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il giorno 1 dicembre 2007.
A sostegno della discriminatorietà delle soglie elettorali, verso cui ha optato il legislatore italiano, è intervenuta una duplice considerazione.
Da un lato, rileverebbe l’assegnazione di seggi parlamentari a stati con popolazioni di modeste dimensioni, tra cui basti citare Malta (416.000 abitanti), Lussemburgo (508.000 abitanti) e Cipro (840.000 abitanti), sulla base di un numero di voti inferiore a quello ottenuto in Italia dalla lista Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale.
Dall’altro, rileverebbe il trattamento riservato ad alcune minoranze linguistiche, che hanno una garanzia di elezione con un numero di voti inferiore a quello di liste sotto soglia ai sensi dell’articolo 12, commi 8 e 9 della l. 18 del 1979 (in base alle disposizioni appena richiamate “8. Ciascuna delle liste di candidati eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi dalla minoranza di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia può collegarsi, agli effetti dell’assegnazione dei seggi prevista dai successivi articoli 21 e 22, con altra lista della stessa circoscrizione presentata da partito o gruppo politico presente in tutte le circoscrizioni con lo stesso contrassegno. 9. A tale scopo, nella dichiarazione di presentazione della lista, deve essere indicata la lista con la quale si intende effettuare il collegamento. Le dichiarazioni di collegamento fra le liste debbono essere reciproche”).
Ai medesimi fini rileverebbe altresì la previsione dell’articolo 22, commi 2 e 3 della medesima legge n. 18 del 1979 (in base alle disposizioni appena richiamate, “2. Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo di liste con le modalità indicate nell’articolo 12, ai fini della assegnazione dei seggi alle singole liste che compongono il gruppo l’ufficio elettorale circoscrizionale provvede a disporre in un’unica graduatoria, secondo le rispettive cifre individuali, i candidati delle liste collegate. Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno ottenuto le cifre individuali più elevate. 3. Qualora nessuno dei candidati della lista di minoranza linguistica collegata sia compreso nella graduatoria dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, l’ultimo posto spetta a quel candidato di minoranza linguistica che abbia ottenuto la maggiore cifra individuale, purché non inferiore a 50.000”).
Veniva, altresì, confutata l’obiezione che, proiettando le dinamiche nazionali nel contesto europeo, insisteva sull’esigenza di evitare un’eccessiva frammentazione partitica in nome della governabilità e stabilità.
A tal proposito si è osservato che l’organismo assembleare europeo non è legato da alcun rapporto fiduciario con il potere esecutivo.
Inoltre, all’interno del Parlamento europeo i parlamentari sono suddivisi per gruppi politici e non nazionali. Non a caso, la stessa legge 24 gennaio 1979, n. 18 fa espresso riferimento ai membri spettanti all’Italia e non ai rappresentanti l’Italia.
Una conferma degli spiegati rilievi è stata rintracciata nelle pronunce della Corte costituzionale tedesca, la quale, dapprima, in data 9 novembre 2011, aveva accolto due distinti ricorsi volti a contestare la legittimità costituzionale della clausola di sbarramento del 5 per cento e del sistema delle liste bloccate, che disciplinavano l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti alla Germania, e successivamente, in data 26 febbraio 2014, aveva ribadito l’illegittimità costituzionale della soglia di sbarramento, che il legislatore nazionale aveva reintrodotto nella misura del 3 per cento.
In entrambi i casi, quella Corte ha affermato che la limitazione della rappresentanza violai principi di uguaglianza del voto e della pari opportunità tra i partiti politici.
All’udienza del 27 maggio 2015 il Tribunale amministrativo del Lazio, con ordinanza n. 7613/2015, sospendeva il giudizio “nelle more della decisione della Corte Costituzionale che ha trattenuto in decisione la questione di legittimità costituzionale degli art. 21, comma 1, n. 1 bis) e 2) della legge n. 18 del 1979, nella parte in cui introducono nelle consultazioni del Parlamento Europeo una soglia di sbarramento per le liste che non abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi, analoga a quella sollevata dai ricorrenti in questa sede e rimessa dal Tribunale di Venezia con ordinanza 9 maggio 2014”.
Con sentenza n. 110 del 15 giugno 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la suddetta questione.
Con la sentenza n. 13214/2015 (qui impugnata in appello) il Tribunale amministrativo del Lazio ha, infine, respinto il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
Con il ricorso in appello sono state riproposte le medesime contestazioni avverso la previsione del limite percentuale di cui all’articolo 21, comma 1, n. 1-bis) della legge 24 gennaio 1979, n. 18 necessario per accedere alla ripartizione dei seggi nel Parlamento europeo.
Le contestazioni e gli argomenti in parola sono stati affidati a un unico, complesso motivo di doglianza.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Interno e l’Ufficio elettorale nazionale presso la Corte di cassazione i quali hanno concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si è costituito in giudizio il Movimento politico ‘Forza Italia’, nonché i signori Alberto Cirio, Remo Sernagiotto, Alessandra Mussolini, Barbara Matera e Salvatore Cicu i quali hanno a propria volta concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si sono costituiti in giudizio i dottori Nicola Caputo e Lorenzo Fontana i quali ha anch’essi concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Si sono poi costituiti in giudizio il NCD (Nuovo Centrodestra), il PD (partito Democratico) e l’U.D.C. (Unione di Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), nonché l’onorevole Lorenzo Cesa i quali hanno anch’essi concluso nel senso della inammissibilità e/o dell’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 12 maggio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
ASPETTI GENERALI DELLA QUESTIONE
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da Giorgia Meloni in qualità di candidata all’elezione dei membri del Parlamento europeo tenutasi il 25 maggio 2014, nonché di elettrice nell’ambito della medesima tornata elettorale (e da altri candidati all’elezione dei membri del Parlamento europeo per la lista ‘Fratelli d’Italia – AN’, nonché da altri elettori) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti di proclamazione degli eletti adottati all’esito della richiamata tornata elettorale (secondo gli appellanti, in particolare, la normativa nazionale che disciplina le elezioni al Parlamento europeo risulterebbe sotto diversi aspetti lesiva del pertinente paradigma normativo eurounitario e costituzionale in particolare laddove fissa una soglia di sbarramento al 4 per cento dei voti validamente espressi).
Il Collegio ritiene che la questione sottoposta al suo giudizio non possa essere risolta se non previa sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale (rilevante e non manifestamente infondata) in ordine ad alcune disposizioni primarie rilevanti ai fini della risoluzione della res controversa.
In particolare, per le ragioni che di seguito si esporranno, viene fatto di dubitare, in riferimento agli articoli 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 21, primo comma, numeri 1-bis) e 2), della legge 24 gennaio 1979, n. 18, (‘Elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia’), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10 (‘Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia’), nonché del successivo articolo 22, primo comma per la parte in cui prevedono, per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, una soglia di sbarramento per le liste le quali non abbiano conseguito, sul piano nazionale, almeno il quattro per cento dei voti validamente espressi.
CIRCA LA RILEVANZA E CIRCA I DEDOTTI PROFILI
DI INAMMISSIBILITA’ DELLA QUESTIONE
2. Il Collegio osserva in primo luogo che la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate sub 1 sia rilevante ai fini della definizione del giudizio atteso:
– che gli appellanti hanno allegato (e sul punto non vi è contestazione) che la lista ‘Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale’ ha riportato, all’esito della tornata elettorale per cui è causa, nelle cinque circoscrizioni nazionali, un totale di 1.006.513 voti validi, pari al 3,66 per cento circa dei voti validamente espressi;
– che la lista in questione si è quindi attestata nel suo complesso al di sotto della soglia di sbarramento introdotta dalla legge n. 10 del 2009, in tal modo non conseguendo alcun seggio al Parlamento europeo;
– che tuttavia, in assenza delle previsioni di cui alla richiamata legge n. 10 del 2009 (i.e.: laddove la tornata elettorale si fosse svolta sulla base delle previgenti disposizioni di cui alla l. 18 del 1979), la lista in questione avrebbe ottenuto l’attribuzione – sulla base dei voti conseguiti – di alcuni seggi;
– che in particolare (e alla luce delle deduzioni svolte alle pagine da 17 a 19 dell’atto di appello e che non risultano contestate in atti), laddove si fosse fatta applicazione nel caso di specie del sistema dei quozienti interi e dei più alti resti (e senza applicazione delle soglie di sbarramento della cui legittimità qui si discute), la lista elettorale ‘Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale’ si sarebbe vista attribuire tre dei settantatre seggi complessivamente spettanti all’Italia nell’ambito del Parlamento UE;
– che, pertanto, la vicenda per cui è causa non può essere definita indipendentemente dalla risoluzione delle questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge la cui applicazione ha in concreto impedito alla lista elettorale ‘Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale’ di ottenere l’attribuzione di seggi.
2.1. Sempre per ciò che riguarda la rilevanza della questione di legittimità costituzionale che qui viene in rilievo (nonché per ciò che riguarda gli altri presupposti e condizioni per la proposizione della questione), il Collegio osserva che la Corte costituzionale è stata già investita per due volte dello scrutinio di costituzionalità delle disposizioni di cui qui si discute.
Tuttavia nessuna delle due pronunce (ambedue di inammissibilità) che hanno definito i relativi giudizi sembrano recare preclusioni alla proposizione della questione che qui viene sollevata.
2.1.1. Per quanto riguarda, in primo luogo, il caso deciso con la sentenza (di inammissibilità) della Corte costituzionale n. 271 del 2010, si osserva che il caso in questione risulta oggettivamente diverso da quello che qui viene in rilievo e che le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con tale pronuncia non incidono sulla rilevanza della questione che qui viene sollevata.
Si osserva al riguardo:
– che, nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 271 del 2010, non solo non veniva in rilievo la questione in se della legittimità costituzionale dell’introduzione della soglia di sbarramento di cui alla l. n. 10 del 2009, ma addirittura il presupposto stesso per la sottoposizione alla Corte della questione di legittimità costituzionale del riformulato articolo 21 della l. n. 18 del 1979 era appunto rappresentato dalla ritenuta (e qui non condivisa) manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame per la parte in cui la stessa introduce(va) la più volte richiamata soglia di sbarramento;
– che, nell’ambito del giudizio definito con la sentenza n. 271 del 2010, si faceva invero questione della controversa legittimità costituzionale del richiamato articolo 21 nella parte in cui non consente anche alle liste escluse dalla soglia nazionale di sbarramento di partecipare all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti (si tratta di una questione evidentemente diversa da quella che qui rileva, la quale involge in radice la legittimità costituzionale dell’introduzione di una soglia di sbarramento in quanto tale).
2.1.2. Per quanto riguarda, poi, il caso deciso con la sentenza (anch’essa di inammissibilità) della Corte costituzionale n. 110 del 2015, si osserva che il caso in questione risulta del pari oggettivamente diverso da quello che qui viene in rilievo e che, parimenti, le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con tale pronuncia non incidono sulla rilevanza della questione che qui viene sollevata.
Si osserva al riguardo:
– che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale (ordinario) di Venezia per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione. Al riguardo la Corte costituzionale ha osservato che il mero riferimento operato dal giudice rimettente all’interesse all’accertamento della pienezza del diritto di voto con riguardo alle future consultazioni per l’elezione del Parlamento Europeo, senza alcun’altra specifica indicazione, non può essere considerato motivazione sufficiente né plausibile dell’esistenza dell’interesse ad agire, idonea ai fini dell’ammissibilità dell’azione di legittimità costituzionale. Al riguardo la Corte costituzionale ha sottolineato che le vicende elettorali relative all’elezione dei membri italiani del Parlamento europeo possono (e debbono) essere sottoposte agli ordinari rimedi giurisdizionali (e, segnatamente, quelli previsti dagli articoli 130 e 132 Cod. proc. amm.), nel cui ambito può svolgersi ogni accertamento relativo alla tutela del diritto di voto nonché sollevarsi incidentalmente questione di costituzionalità delle norme che lo disciplinano;
– che il caso definito con la richiamata sentenza n. 110 del 2015 è evidentemente diverso da quello che qui rileva. Nel caso in esame, infatti, non solo la questione è stata sollevata nell’ambito di un giudizio proposto dai candidati direttamente e concretamente lesi dall’applicazione delle disposizioni della cui legittimità si discute; ma – per di più – la questione è stata sollevata nell’ambito di un giudizio ritualmente proposto dinanzi al giudice munito di giurisdizione e piena potestas decidendi in relazione alle posizioni giuridiche e alle pretese che vengono fatte valere.
2.2. Ancora per quanto riguarda la rilevanza ai fini del decidere della richiamata questione di legittimità costituzionale, il Collegio osserva che non può in alcun modo aderirsi alla lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 21 della l. 18 del 1979 proposta dagli appellanti.
Essi suggeriscono un’interpretazione della disposizione da ultimo richiamata secondo cui occorrerebbe comunque ammettere al riparto dei seggi le liste che (al pari di quella espressa dagli appellanti) non abbiano raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per cento, ma che abbiano comunque riportato i maggiori resti.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la proposta interpretazione collide in modo insanabile con la lettera del più volte richiamato articolo 21, comma 1, n. 2) della l. 18 del 1979 il quale limita in modo testuale ed espresso (e insuscettibile di interpretazioni di sorta) il riparto dei seggi alle sole liste di cui al precedente n. 1-bis) (i.e.: alle sole liste che abbiano superato la più volte richiamata soglia di sbarramento).
Pertanto, l’ipotizzata lettura costituzionalmente orientata della disposizione non può essere condivisa e la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dinanzi richiamate resta rilevante ai fini del decidere.
2.3. Il Collegio osserva altresì che si può qui prescindere dai motivi di appello rivolti avverso l’ordinanza del primo giudice n. 12581 del 2014 con la quale era stata ordinata l’integrazione del contraddittorio (così come delle eccezioni di inammissibilità e di infondatezza sollevate in relazione a tali motivi).
Al riguardo (e rinviando alla decisione di merito ogni ulteriore statuizione sul punto) ci si limita ad osservare che gli odierni appellanti – i quali avevano contestato già in primo grado la legittimità della richiamata ordinanza – hanno comunque proceduto ad integrare il contraddittorio entro il termine a tal fine fissato del 21 febbraio 2015 (in tal senso la documentazione versata agli atti del primo grado in data 4 marzo 2015).
2.4. Il Collegio osserva poi che si può qui prescindere dai motivi di appello con i quali si è censurato di fatto il comportamento del primo giudice il quale avrebbe impiegato un tempo eccessivo per definire il primo grado del presente giudizio, con conseguente violazione dei principi di concentrazione e celerità che necessariamente devono ispirare il rito elettorale.
Al riguardo (e rinviando anche in tal caso alla decisione di merito ogni ulteriore statuizione sul punto) ci si limita ad osservare che il motivo in questione – di cui è in ogni caso dubbia la stessa ammissibilità – non incide sul merito della res controversa.
2.5. Ancora per ciò che riguarda l’ammissibilità della dedotta questione di legittimità costituzionale, deve escludersi – contrariamente a quanto osservato dal Movimento politico ‘Forza Italia’ che tale questione (e con essa il ricorso in appello) sia inammissibile per carenza del requisito di incidentalità per avere nella sostanza gli appellanti introdotto una c.d. ‘lis ficta’.
Al riguardo ci si limita ad osservare che, pur risultando la dedotta questione di costituzionalità del tutto centrale ai fini della definizione della res controversa, non può tuttavia affermarsi che l’eventuale sentenza di accoglimento della Corte costituzionale sia idonea ad esaurire la tutela richiesta (in tal modo violando il generale divieto del ricorso diretto di costituzionalità).
Si osserva sotto tale aspetto:
– che vi è un’apprezzabile diversità nei petita e nelle causae petendi del ricorso principale (nel cui ambito si fa questione della legittimità dei verbali delle operazioni dell’Ufficio elettorale centrale nazionale e degli atti di proclamazione degli eletti) e del richiesto giudizio di costituzionalità (nel cui ambito si fa questione della conformità a Costituzione della disposizione di legge che ha introdotto una soglia di sbarramento del 4 per cento nell’ambito del procedimento per l’elezione dei membri italiani del Parlamento europeo);
– che, se (per un verso) è vero che per gli appellanti qualificatisi quali cittadini elettori l’eventuale vantaggio connesso all’invocata declaratoria di incostituzionalità si limiterebbe alla sola rimozione delle disposizioni censurate dall’ordinamento, per altro verso è ben diversa la posizione vantata dagli appellanti qualificatisi come candidati alla tornata elettorale per cui è causa. E’ evidente infatti che tali appellanti aspirino a conseguire un’utilità di carattere mediato (la proclamazione quali eletti e il conseguimento del seggio, previa verifica degli ulteriori presupposti e condizioni) che è ulteriore e diversa rispetto a quella – di carattere immediato e diretto – connessa all’invocata rimozione delle disposizioni sospette di incostituzionalità.
2.6. Ancora, non può essere condivisa l’eccezione sollevata dal dottor Nicola Caputo e dal dottor Lorenzo Fontana i quali ipotizzano l’inammissibilità della dedotta questione di legittimità costituzionale per carenza di un interesse concreto ed attuale alla sua proposizione.
I dottori Caputo e Fontana (i quali richiamano le statuizioni rese dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014) osservano che le elezioni che si sono svolte in applicazione delle disposizioni della cui legittimità qui si discute rappresenterebbero un ‘fatto concluso’, ragione per cui gli appellanti non potrebbero aspirare – neppure in caso di accoglimento della dedotta questione di legittimità costituzionale – a un diverso esito della medesima consultazione. Il che paleserebbe la carenza di interesse in capo a loro di dedurre la richiamata questione di legittimità costituzionale.
L’eccezione non può essere condivisa: i) sia perché gli appellanti aspirano a un atto di proclamazione degli eletti di diverso contenuto; ii) sia perché gli appellanti che sono cittadini elettori mirano a conseguire l’utilità di esprimere il proprio voto per le elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo con modalità pienamente espressive del principio di legittimazione democratica; iii) sia – infine – perché se si accedesse alla tesi prospettata dai dottori Caputo e Fontana si perverrebbe all’effetto (invero paradossale) per cui le disposizioni che regolano i procedimenti elettorali non potrebbero mai costituire oggetto di questione di costituzionalità in via incidentale (e ciò, in quanto una siffatta questione non potrebbe che essere dedotta nella vigenza del mandato dei candidati eletti nella vigenza delle disposizioni della cui legittimità si discute, il che comporterebbe la permanente carenza di un interesse diretto ed attuale a sollevare una siffatta questione).
2.7. Sempre per quanto riguarda l’ammissibilità della dedotta questione di costituzionalità, il Collegio osserva che la sua articolazione non implica la paventata invasione degli spazi decisionali riservati all’interpositio legislatoris, né postula una pronuncia di carattere additivo da parte della Corte costituzionale.
Al riguardo ci si limita ad osservare che, laddove venissero espunte dall’ordinamento le parti della novella del 2010 oggetto di censura, il meccanismo elettorale per le elezioni dei membri spettanti all’Italia del Parlamento europeo tornerebbe ad essere governato dalle disposizioni di cui alla l. n. 18 del 1979 nella sua originaria formulazione (i.e.: da un corpus normativo completo ed autoesecutivo), senza determinare lacune legislative di sorta che abbisognino di un (naturalmente, pur sempre possibile) ulteriore intervento del legislatore.
2.8. Il dottor Lorenzo Fontana ha poi eccepito l’inammissibilità dell’appello per omessa notifica nei propri confronti del ricorso di primo grado.
L’eccezione in questione appare prima facienon fondata in quanto l’integrazione del contraddittorio processuale nei confronti del dottor Fontana (nella sua qualità di candidato eletto per il Parlamento europeo) sembra essere stata correttamente operata dai ricorrenti in primo grado in attuazione dell’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale n. 12581/2014 (la quale aveva disposto tale integrazione – anche con il mezzo dei pubblici proclami – in favore “di tutti gli eletti che non risultano essere stati ritualmente chiamati in giudizio con il ricorso introduttivo”).
2.9. Il Nuovo Centrodestra ha eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto gli appellanti si sarebbero inammissibilmente limitati a riproporre i medesimi motivi di diritto già sollevati in primo grado con l’articolazione di censure generiche e lesive del principio di specificità dei motivi di censura.
Il motivo non può essere condiviso in quanto l’esame dei motivi articolati dagli odierni appellanti in entrambi i gradi del giudizio palesa che essi risultino caratterizzati da u sufficiente grado di specificità.
I motivi in questione, pur nella loro linearità, non difettano del requisito della specificità: ed infatti, nell’articolare tali motivi gli odierni appellanti hanno sic et simpliciter lamentato che le elezioni del 2014 per i membri italiani del Parlamento europeo si siano svolte sulla base di una disciplina primaria che sembra viziata sotto numerosi profili di incostituzionalità.
2.10. Neppure può essere condivisa l’eccezione sollevata dal Nuovo Centrodestra secondo cui l’appello in epigrafe sarebbe inammissibile per violazione del divieto di bis in idem, stante la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 926 del 2015 che ha dichiarato inammissibile l’appello n. 232/2015 proposto avverso l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 12581 del 2014 che aveva disposto l’integrazione del contraddittorio processuale di primo grado.
Il Collegio si limita ad osservare al riguardo che la richiamata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 926 del 2015 non ha definito in modo integrale il giudizio di primo grado, ma ha deciso sulla sola questione relativa alla diretta impugnabilità in giudizio dell’ordinanza con cui il primo giudice aveva disposto l’integrazione del contraddittorio processuale.
CIRCA LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA
3. Nel merito, il Collegio ritiene in primo luogo che le disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo, n. 1-bis) e 2) (per come risultanti dalla novella di cui alla l. 10 del 2009) e 22, comma primo della l. 18 del 1979 risultino lesivi del generale principio del fondamento democratico delle istituzioni rappresentative (articolo 1, secondo comma della Costituzione), del generale principio di ragionevolezza (tradizionalmente ricondotto all’ambito applicativo dell’articolo 3 della Costituzione), nonché del principio di adeguata rappresentatività del voto di cui all’articolo 48 della Costituzione.
Con la presente ordinanza di rimessione si darà invero per acquisita la conformità della scelta operata dal legislatore del 2010 con il pertinente paradigma disciplinare UE (e, in particolare, con il richiamato ‘Atto di Bruxelles’ del 1976 e successive modifiche).
Il Collegio ritiene quindi che possa essere rinviato al merito l’esame degli argomenti con cui gli appellanti dubitano della stessa conformità del richiamato ‘Atto di Bruxelles’ con i sopravvenuti principi e disposizioni di cui al Trattato di Lisbona (ratificato in Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130).
3.1. Non sfugge al Collegio il consolidato orientamento della Corte costituzionale secondo cui l’articolo 48 della Costituzione sancisce in primo luogo la salvaguardia delle prerogative del voto, non incidendo in modo diretto sulla disciplina dei sistemi elettorali, la quale resta demandata all’interpositio legislatoris e la cui disciplina non può ordinariamente costituire oggetto di scrutinio di costituzionalità, se non in caso di palese irragionevolezza.
Al riguardo il primo giudice ha correttamente richiamato l’orientamento secondo cui la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali rappresenta un ambito nel quale si esprime con un massimo grado di evidenza “la politicità della scelta legislativa”, la quale può pertanto essere ritenuta censurabile in sede di giudizio di costituzionalità solo quando risulti manifestamente irragionevole (sul punto –ex multis -_ Corte cost., ord. 260 del 2002).
Il Collegio ritiene tuttavia che le disposizioni censurate comportino una compressione dei principi di piena democraticità e pluralismo del sistema rappresentativo che non rinvengono un’adeguata ratio giustificatrice nel perseguimento di concomitanti finalità di interesse generale e che, quindi, sembrano travalicare i limiti propri del ragionevole esercizio dell’interpositio legislatoris.
3.2. La questione è stata affrontata (e risolta in senso diverso da quello qui proposto) dalla sentenza di questo Consiglio n. 4786/2011.
Qui di seguito si richiameranno le ragioni che avevano indotto questo Consiglio a dichiarare la manifesta infondatezza della questione (in quanto esaustivamente rappresentative delle ragioni a sostegno della legittimità costituzionale delle disposizioni introduttive della richiamata soglia di sbarramento) e, in seguito, le ragioni che inducono invece il Collegio a propendere per l’opposta soluzione.
3.2.1. Con la richiamata decisione del 2011 questo Giudice di appello aveva affermato
– che l’introduzione ad opera della l. 10 del 2009 della più volte richiamata clausola di sbarramento non colliderebbe con le coordinate costituzionali “in quanto persegue la ragionevole finalità di evitare un’eccessiva frammentazione della rappresentanza parlamentare attraverso l’esclusione delle forze politiche che non dimostrino sul campo il possesso di un’adeguata rappresentatività”;
– che il richiamato meccanismo rinviene un puntuale fondamento nella decisione del Consiglio 76/787 CECA/CEE/EURATOM, come modificata dalla decisione 25 giugno 2002 e 23 settembre 2002, 2002/772/CE la quale, appunto, riconosce la possibilità ai Paesi membri di introdurre una soglia minima di sbarramento per l’attribuzione dei seggi, entro il limite del cinque per cento dei suffragi validamente espressi, senza prevedere alcun tipo di correttivo a beneficio delle forze politiche che non la raggiungano;
– che la normativa comunitaria, lungi dal considerare il principio di proporzionalità incompatibile con la fissazione di una clausola di sbarramento, considererebbe l’introduzione del quorum quale correttivo utile onde accrescere la stabilità degli organi elettivi;
– che non condurrebbe ad un diverso esito la sottolineatura dei principi di libertà, pluralismo e rappresentatività democratica sanciti dal Trattati di Nizza e di Lisbona, “posto che detti cardini ordinamentali non toccano in modo specifico la materiale elettorale e, comunque, non ostano ad una scelta normativa tesa a razionalizzare la rappresentanza parlamentare con l’introduzione di un correttivo al principio di proporzionalità teso a scongiurare il rischio di dispersione del voto e di frammentazione delle forze politiche nazionali”;
– che la democraticità e il pluralismo del sistema rappresentativo non sarebbero lesi dalla previsione di quorum elettorali o di limitazioni alla rappresentanza delle forze politiche concorrenti in una competizione elettorale. Ciò, in quanto “il sistema della proporzionalità pura [è] uno dei possibili sistemi utilizzabili dal legislatore, suscettibile di deroga mediante temperamenti alla fedele traduzione in seggi dei consensi che favoriscano la governabilità e la razionalizzazione del consenso”;
– che la scelta di prevedere detta soglia di sbarramento nella misura del 4 per cento non inficerebbe poi l’eguaglianza del diritto di voto di cui è menzione all’articolo 48 della Costituzione e non innescherebbe una disparità di trattamento dei candidati in contrasto con l’articolo 51 della Costituzione. Ciò, in quanto “la differenziazione operata tra i candidati e le liste di appartenenza non è, infatti, frutto di una discriminazione legislativa aprioristica ma rappresenta la conseguenza fisiologica dell’espressione della volontà sovrana degli elettori”;
– che, in definitiva, “la scelta di fissare una soglia di rappresentatività mir[erebbe] al ragionevole scopo di assicurare la presenza in Parlamento europeo di forze politiche che abbiano un ruolo adeguato nel sistema politico nazionale e che, come tali, siano idonee a concorrere in modo adeguato al processo di formazione delle scelte politiche in ambito europeo”.
3.2.1. Ad avviso del Collegio gli argomenti dinanzi richiamati (i quali, si ripete, espongono in modo analitico ed esaustivo le ragioni che militerebbero per la legittimità costituzionale delle rinovellate disposizioni di cui agli articoli 21, comma primo, numeri 1-bis) e 2) e 22, comma primo della l. 18 del 1979) non sono condivisibili.
3.3. E’ vero che il più volte richiamato ‘Atto di Bruxelles’ (nella sua formulazione attuale) sembra legittimare – a talune condizioni – l’introduzione nell’ambito delle leggi elettorali nazionali per le elezioni al Parlamento europeo di soglie di sbarramento, ma ciò non vuol dire che siffatte previsioni siano sempre e comunque legittime, in specie quando risultino compressive dei principi costituzionali in tema di rappresentatività democratica senza che a ciò corrisponda lo scopo di perseguire in modo effettivo valori di pari rilievo.
Si osserva, in particolare, che la richiamata compressione (che comunque viene realizzata da disposizioni che privano larghe fasce dell’elettorato di adeguata rappresentanza – si tratta del ben 6,08 per cento dei voti validamente espressi nella tornata elettorale per cui è causa -) non può dirsi realmente giustificata dall’obiettivo di limitare la frammentazione delle forze politiche e quindi di garantire una maggiore stabilità agli organi elettivi.
E ciò per almeno due ragioni.
3.3.1. In primo luogo – come è stato condivisibilmente osservato dagli appellanti – il predicato obiettivo di garantire la stabilità degli organi elettivi non si attaglia al caso delle elezioni dei rappresentanti nazionali al Parlamento europeo, stante l’assenza di un vincolo propriamente fiduciario che caratterizza i rapporti fra il Parlamento e la Commissione europea.
Ed infatti, nonostante l’evoluzione degli ultimi decenni abbia rafforzato il ruolo del Parlamento europeo nella nomina della Commissione, non può individuarsi fra tali Istituzioni la sussistenza di un vincolo propriamente fiduciario (né il voto di approvazione di cui all’articolo 17 paragrafo 7 del TUE è in alcun modo assimilabile al voto di fiducia tipicamente riscontrabile nell’ambito delle forme di governo parlamentari).
Ne consegue che l’addotta giustificazione appare inconferente e comunque incongrua rispetto alla forma di governo delle Istituzioni europee e perciò che le disposizioni della cui legittimità costituzionale si discute sembrano recare una compressione ingiustificata e la sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di ampie fasce dell’elettorato senza che ciò risulti giustificato – e, in qualche misura, ‘controbilanciato’ – dalla predicata finalità di accrescere per tale via la stabilità degli organi elettivi legati da un vincolo fiduciario all’istituzione parlamentare (la fascia di elettorato coinvolta è pari al 6,08 per cento dei voti espressi nella tornata elettorale del 2014 [per un totale di 1.673.780] e al 13,22 dei voti espressi nella tornata elettorale del 2009 [per un totale di 4.037.31 voti – in tal senso la narrativa della sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2015 -]).
3.3.2. Non è inoltre irrilevante notare che la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht – BVerfG) ha per ben due volte fra il novembre del 2011 e il febbraio del 2014 dichiarato la contrarietà a Costituzione delle disposizioni nazionali che introducevano una soglia di sbarramento (dapprima nella misura del 5 per cento e successivamente nella più ridotta misura del 3 per cento) per le elezioni al Parlamento europeo.
Il BVerfG ha affermato al riguardo che l’introduzione di una siffatta soglia di sbarramento si pone in contrasto con il generale principio di uguaglianza e rappresenta un ostacolo a un’equa rappresentanza popolare nell’elezione del Parlamento UE (nell’ambito di un sistema che, secondo la stessa Corte costituzionale tedesca, non presenta invero il rischio di un “eccessivo pluralismo”).
Naturalmente, la pronuncia delBVerfG non rappresenta di per sé un indice univoco dell’illegittimità costituzionale nel diritto interno delle disposizioni qui oggetto di censura, ma in ogni caso essa reca importanti e analoghi argomenti in favore della tesi – qui condivisa – secondo cui la compressione del principio di rappresentanza popolare – il quale rinviene nella piena valorizzazione del voto un suo tipico corollario – non può essere ammessa, in Paesi di simile concezione della democrazia rappresentativa e comunque delle Istituzioni europee, se non in presenza di valide ragioni giustificatrici (tale non essendo il perseguimento del preteso obiettivo di stabilità degli organi elettivi in ambito UE).
3.3.3. Vi è una seconda ragione per cui alla compressione dei principi costituzionali in tema di rappresentatività democratica realizzata dalle disposizioni della cui legittimità si discute (disposizioni che introducono una soglia di sbarramento particolarmente elevata) non corrisponde lo scopo di perseguire valori di pari rilievo costituzionale (fra cui quello di perseguire la migliore governabilità in ambito UE).
La ragione in parola può essere agevolmente colta partendo dal dato della diversità in ambito UE dei sistemi elettorali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo e dal dato di fatto rappresentato dalla scelta (operata da numerosi Stati membri) di non avvalersi della possibilità da ultimo riconosciuta dalla decisione del Consiglio del 2002 di modifica della precedente decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, Euratom.
In particolare, sussistendo un panorama normativo comparativamente variegato in ambito UE, la scelta del legislatore nazionale di introdurre una soglia di sbarramento in misura particolarmente elevata (pari al 4 per cento)
– per un verso risulta comprimere in modo immediato e diretto il più volte richiamato principio della piena rappresentatività democratica del voto
– ma per altro verso non consente di raggiungere, nell’ambito nazionale, il predicato obiettivo della migliore governabilità (i.e.: il concomitante obiettivo che solitamente viene richiamato quale ragionevole contraltare dell’integrale affermazione del principio della piena rappresentatività). E ciò in quanto la scelta sul punto operata dal legislatore italiano (per così dire, in senso ‘monadologico’) non risulta comunque idonea a conseguire il richiamato obiettivo, ostandovi le concomitanti legislazioni degli altri stati membri i quali – decidendo di non introdurre una siffatta clausola – finiscono per emulsionare e per rendere inefficace la scelta in tal senso compiuta dal legislatore nazionale.
L’orientamento – che qui non è condiviso – il quale giustifica la richiamata compressione in ragione del conseguimento di una migliore governabilità sembra muovere dal non condivisibile intento di traslare sul piano UE ragioni, principi e metodiche che possono avere una ragione giustificatrice nella scala nazionale e in rapporto alla forma di governo interna, ma che la perdono del tutto se ricondotte sulla scala dell’Unione,che è a ventotto Stati.
4. Non può essere infine condiviso l’argomento del Movimento politico Forza Italia secondo cui sussisterebbe una insanabile contraddizione fra (da un lato) la negazione della centralità del Parlamento UE nell’ambito del procedimento legislativo eurounitario e (dall’altro) la censurata, mancata valorizzazione della volontà dell’elettorato nella sua composizione.
In senso contrario, è nota l’evoluzione dell’ordinamento UE che muove nella sempre maggiore valorizzazione sia del ruolo del Parlamento nel processo normativo UE (in tal senso la generalizzazione della c.d. ‘procedura di codecisione’ che oggi assurge al rango di procedura decisionale ordinaria ai sensi degli articoli 289 294 del TFUE), sia della piena democraticità e legittimazione democratica che deve caratterizzarlo (in tal senso l’articolo 14, paragrafo 2 del TUE, secondo cui il Parlamento UE “il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione” e secondo cui “La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro”
5. In definitiva, la scelta normativa tradottasi nell’adozione dei più volte richiamati articoli 21 e 22 della l. 18 del 1979 sembra porsi in contrasto
i) con l’articolo 1, comma secondo della Costituzione, per la parte in cui comporta l’introduzione di disposizioni che limitano in modo irragionevole e ingiustificato il presidio di democraticità rappresentato dalla piena valorizzazione del voto;
ii) con l’articolo 3 della Costituzione, per la parte in cui detta scelta normativa comporta un regolamento irragionevole dei diversi interessi e valori che vengono in rilievo, comportando una compressione dei principi di piena democraticità e pluralismo del sistema rappresentativo che non rinviene un’adeguata ratio giustificatrice nel perseguimento di concomitanti finalità di interesse generale.
iii) con l’articolo 48, secondo comma, della Costituzione (e segnatamente con il principio di eguaglianza del voto) per la parte in cui la ridetta scelta normativa finisce per determinare la sostanziale esclusione dalla rappresentanza politica di ampie fasce dell’elettorato senza che ciò risulti giustificato – e, in qualche misura, ‘controbilanciato’ – dalla predicata finalità di accrescere per tale via la stabilità degli organi elettivi legati da un vincolo fiduciario all’istituzione parlamentare.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3 e 48 secondo comma della Costituzione la questione di legittimità costituzionale degli articoli 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2) e 22, primo comma della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (nel testo introdotto dall’articolo 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10) nella parte in cui prevede;
– – che l’Ufficio elettorale nazionale, ricevuti gli estratti dei verbali da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali di cui al n. 2) dell’articolo 20 e dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista, individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi;
– che il riparto dei seggi fra le liste avviene in favore delle sole liste che abbiano superato sul piano nazionale la richiamata soglia di sbarramento del 4 per cento dei voti validamente espressi;
– che l’ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da parte dell’Ufficio elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati in applicazione delle previsioni di cui al precedente articolo 21 (e quindi, con applicazione della richiamata soglia di sbarramento).
Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, con gli atti e con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell’articolo 23 della legge dell’11 marzo1953, n. 87 (articoli 1 e 2 del regolamento della Corte Costituzionale 16 marzo 1956);
Dispone la sospensione del presente giudizio.
Spese al definitivo.
Manda alla Segreteria per ogni adempimento di competenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Claudio Contessa
Giuseppe Severini
IL SEGRETARIO