“Il dolo processuale revocatorio (artt. 394 e 395 c.p.c. art. 106 c.p.a.) presuppone un’attività intenzionalmente fraudolenta, che si concretizzi in artifici o raggiri soggettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del processo, a nulla rilevando la mera violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c. ovvero il solo mendacio, le false allegazioni o le reticenze; pertanto, non sono idonei a realizzare simile fattispecie, che richiede un’attività deliberatamente fraudolenta, la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, tutte condotte, queste, che semmai possono essere censurabili sotto il profilo della lealtà e correttezza processuale, ma che non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità;

ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, è decisivo il documento (trovato dopo la sentenza, che la parte non abbia potuto produrre in giudizio per cause di forza maggiore o per fatto dell’avversario), quando, se acquisito agli atti, sarebbe stato in astratto idoneo a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una diversa decisione, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare; è quindi  inammissibile il ricorso per revocazione fondato su documenti successivi al provvedimento impugnato in primo grado.”

 

 

Pubblicato il 13/11/2017

N. 05195/2017REG.PROV.COLL.

N. 03061/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3061 del 2014, proposto dalla società Carmine Galdieri & Figli s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Lorenzo Lentini, Alessandro Izzo, con domicilio eletto presso lo studio Srl Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini 30;

contro

Società Anas s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Vinti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia N. 88;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. IV – n. 809/2014, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione alla realizzazione area di servizio sul raccordo autostradale Salerno-Avellino.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Anas Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Lentini, Izzo e Buongiorno per Vinti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. L’odierna impugnante Ditta C. Galdieri & Figli s.p.a. censura in revocazione la sentenza della Sezione n. 809 del 20 febbraio 2014 per i motivi di cui all’ art. 395 cpc nn. 1, 2 e 4.

2. La complessa vicenda processuale per cui è causa può essere così sintetizzata.

2.1. Con il ricorso di primo grado l’odierna parte impugnante aveva gravato l’autorizzazione rilasciatale dalla società A.n.a.s. s.p.a., n. prot. CDG-0188286-P del 22.12.2009, con la quale essa era stata autorizzata “alla realizzazione e all’esercizio dell’Area di Servizio ubicata lungo Raccordo Autostradale Salerno – Avellino al km 6 + 048 direzione nord, comprendente i servizi di: – Distribuzione carburanti e Attività Accessorie – Ristoro e Market”, nella parte in cui erano stati fissati i seguenti corrispettivi: “€/cent 4, 697 per ogni litro di carburante immesso nell’impianto; – €/cent 4,697 per ogni kg di gas metano per autotrazione erogato; /cent 10,705 per ogni kg di lubrificante immesso nell’impianto, – 16% del fatturato netto (senza IVA) per le attività di Ristoro e Market per le Attività Accessorie al Servizio Distribuzione Carburanti; – 1% delle vendite di prodotti complementari (tabacchi, lotterie, giornali, etc.)”;

essa aveva altresì chiesto la rideterminazione dei corrispettivi indicati nell’autorizzazione impugnata, mediante la quantificazione di un canone fisso parametrato a quello richiesto dall’Anas per gli accessi agli impianti di distribuzione presenti su strade ordinarie; ovvero, in linea del tutto subordinata, attraverso la congrua riduzione delle percentuali richieste dall’Anas, sulla scorta dei parametri ex lege fissati.

2.1.1. Con il ricorso per motivi motivi aggiunti di primo grado essa aveva chiesto l’annullamento della delibera n. 241 resa nella seduta del 17.12.2008 dal Consiglio di Amministrazione della società Anas s.p.a., con cui si era deliberato “di autorizzare nei termini proposti, l’espletamento delle procedure di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l’apertura di Aree di Servizio su terreni di proprietà di terzi, di conferire ampio mandato al Presidente per porre in essere tutti gli atti conseguenti e necessari per dare attuazione alla presente delibera” nonché della delibera n. 27 resa nella seduta del 29.1.2009 dal Consiglio di Amministrazione dell’Anas s.p.a., con cui si era deliberato “di approvare nei termini proposti il provvedimento di Autorizzazione all’apertura di aree di servizio su terreni di proprietà di terzi lungo le autostrade e i Raccordi Autostradali in gestione diretta ANAS, nonché il relativo Disciplinare; di conferire, altresì, ampio mandato al Presidente per porre in essere tutti gli atti ritenuti opportuni o necessari per dare attuazione alla presente delibera”.

2.2. L’odierna impugnante aveva proposto numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il T.a.r. aveva parzialmente accolto (con riguardo al ricorso introduttivo), dichiarando invece improcedibili i motivi aggiunti.

3. Avverso la detta sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione seconda, n. 1581 del 1 agosto 2012 la società A.n.a.s. s.p.a. era insorta, proponendo un articolato appello e spiegando domanda cautelare; quest’ultima era stata accolta dalla Sezione (ordinanza n. 01757/2013) alla stregua delle considerazioni per cui “appare del tutto perplessa la ratio sottesa alla decisione del giudice di prime cure, che ha voluto privilegiare la condizione particolare del singolo imprenditore (così tutelando una situazione soggettiva determinata da una mancanza da parte della società, consistente nell’errata considerazione a monte dei costi da sostenere nell’ambito del piano di impresa) e contemporaneamente svilire le ragioni della libera concorrenza; considerato che i criteri usati per la determinazione del corrispettivo da versare in relazione alla realizzazione e all’esercizio dell’area di servizio in questione, come rinvenibili dall’art. 27 comma 8 del codice della strada, appaiono condivisibili, in relazione alla necessità di garantire omogeneità e parità di trattamento e di condizioni tra gli operatori autostradali”).

3.1. Assunta in decisione nel merito la causa all’udienza pubblica del 12 novembre 2013 la Sezione, con la sentenza 809/2014 oggetto della odierna impugnazione revocatoria, sulla falsariga del decisum cautelare ha accolto l’appello dell’Anas.

In particolare, dopo aver previamente ricostruito il quadro normativo, la Sezione ha affermato che “Dalla lettura delle norme, emergono alcuni indici che non paiono essere stati valutati dal giudice di prime cure.

Innanzi tutto, la tendenziale equiparazione, dal punto di vista del corrispettivo spettante all’ANAS, di autorizzazioni e concessioni, sull’ovvia considerazione che entrambe sono influenzate dagli stessi parametri (di cui al comma 8), con la sola differenza del regime, pubblico o privato, dell’area su cui insiste l’impresa. Pertanto, la valutazione delle eventuali differenze tra lo stato del concessionario e quello del destinatario dell’autorizzazione si riverberano unicamente sul canone, dovuto dai soli concessionari in quanto fruenti di un’area di suolo demaniale.

In secondo luogo, e in prosecuzione dell’ordine di ragioni appena esposto, la presenza di norme omogenee impone soluzioni che mirino a porre gli operatori in una condizione di parità concorrenziale. Il primo giudice ha evidenziato come, a seguito della sua istruttoria, sia emerso come l’ente abbia applicato le precedenti deliberazioni del Consiglio di Amministrazione di ANAS S.p.A. del 17 dicembre 2008 e del 29 gennaio 2009 con le quali, nel dichiarato intento di uniformare i corrispettivi in sede di rilascio di concessioni e autorizzazioni stradali, si è individuato un criterio diretto, costruito su base proporzionale e collegato al rapporto tra unità di valore economico e quantità di prodotti o servizi erogati, secondo lo schema concettuale indicato all’art. 27, comma 8, per cui, come sopra già rimarcato, il “valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava”.

Al contrario di quanto evidenziato dal T.A.R., che ha frammisto i profili di differenza tra le diverse situazioni (e relativi al possesso dell’area, nei limiti della rilevanza di cui appresso) e i profili di omogeneità, la Sezione non può che apprezzare (come peraltro già fatto in sede cautelare dove si è osservato che “i criteri usati per la determinazione del corrispettivo da versare in relazione alla realizzazione e all’esercizio dell’area di servizio in questione, come rinvenibili dall’art. 27 comma 8 del codice della strada, appaiono condivisibili, in relazione alla necessità di garantire omogeneità e parità di trattamento e di condizioni tra gli operatori autostradali”) il dato della garanzia del regime concorrenziale e dell’imparzialità, dato che l’eguale trattamento garantisce e che appaiono correttamente declinati nell’azione dell’amministrazione, che ha fatto adeguatamente riferimento ad un canone oggettivo (la proporzionalità) e automaticamente proporzionato (in quanto in funzione dei volumi di vendita conseguiti).

In terzo luogo, appare del tutto perplessa la soluzione adottata dal primo giudice che imponeva di considerare anche il valore dell’investimento economico sostenuto dal privato nella valutazione delle somme dovute. Come già sopra rilevato, va rimarcato come l’ipotesi dell’individualizzazione voluta dal T.A.R. si connoti per una posizione antitetica rispetto a quella scaturente dal rispetto dei canoni costituzionali della parità di trattamento e della libertà concorrenziale. La posizione appare inoltre perplessa perché comporta il rovesciamento della funzione stessa dell’imprenditore, che così non agisce organizzando i fattori produttivi a norma dell’art. 2082 cod.civ., ma si rivolge al giudice perché modifichi d’autorità questi stessi fattori (come la Sezione aveva già notato in sede cautelare evidenziando “che appare del tutto perplessa la ratio sottesa alla decisione del giudice di prime cure, che ha voluto privilegiare la condizione particolare del singolo imprenditore (così tutelando una situazione soggettiva determinata da una mancanza da parte della società, consistente nell’errata considerazione a monte dei costi da sostenere nell’ambito del piano di impresa), così svilendo le ragioni della libera concorrenza”.

Ciò che è invece vero, e che merita di essere salvato nella posizione assunta dal T.a.r., è che l’omogeneizzazione tra concessioni e autorizzazioni non può mai essere totale, esistendo un rilevante punto di differenziazione che attiene alla disponibilità dell’area su cui opera l’impresa. Ma tale diversità influisce unicamente sul diverso regime degli oneri, dove solo i concessionari sono tenuti a corrispondere un canone per l’occupazione del suolo demaniale”.

3.2.L’appello è stato conseguentemente accolto.

4. Con l’impugnazione revocatoria che viene alla decisione del Collegio l’odierna parte impugnante censura la sentenza per i tre suindicati profili scolpiti sub art.395 cpc.

4.1. In particolare, ha dedotto che:

a) l’Anas avrebbe tenuto una condotta fraudolenta e dolosa allorchè aveva indotto in errore la Sezione mendacemente tacendo che non era vero che, per garantire la parità di trattamento, aveva applicato alla odierna impugnante il criterio già utilizzato nei confronti delle società concessionarie di aree di servizio autostradali; tale ultima asserzione dell’Anas, infatti, aveva indotto il Collegio decidente a porre a fondamento della decisione detta pretesa esigenza di omogeneizzazione del trattamento (escluso, ovviamente, il canone di occupazione del suolo demaniale gravante sui concessionarii non proprietari del suolo pubblico e non anche sui soggetti latori dell’autorizzazione).

b) tale asserzione, però – come successivamente al passaggio in decisione della sentenza gravata era stato scoperto dalla odierna parte impugnante era mendace e falsa- come dimostrato dalle convenzioni 21.12.2011 e 19.12.2012;

c) tale condotta integrava dolo processuale e la documentazione acquisita dall’impugnante successivamente al passaggio in decisione della sentenza gravata di ciò integrava prova documentale decisiva (che l’impugnante non avrebbe potuto produrre prima in quanto trattavasi di documentazione non pubblica ed assistita da presidi di riservatezza).

c) con il terzo motivo di impugnazione (art. 395 n. 4) l’impugnante ha sostenuto che la sentenza fosse viziata da errore di fatto in quanto era stata omessa la valutazione delle difese ed eccezioni dalla medesima appellata formulate, e perché era stata affermata la veridicità di un fatto (“uguaglianza” delle royalties richieste ai concessionarii, rispetto a quelle richieste ai soggetti latori di autorizzazione) non acquisito agli atti (l’Anas aveva soltanto depositato la documentazione relativa alle condizioni praticate ai soggetti cui era stata accordata l’autorizzazione).

d) la sentenza meritava di essere annullata e, in sede rescissoria, caduto il presupposto di fatto e di diritto postulato dall’Anas e risultato non veritiero l’appello avrebbe dovuto essere respinto.

5. L’ intimata società Anas s.p.a. ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame in quanto palesemente infondato, e deducendo che:

a) la sentenza non era viziata da errore di fatto, avendo la Sezione accuratamente scandagliato tutti gli aspetti rilevanti della controversia;

b) quanto ai “nuovi documenti” prodotti dalla odierna parte impugnante, le censure erano financo temerarie, in quanto:

I) per un verso la parte odierna impugnante non aveva mai richiesto all’Anas alcun documento assimilabile a quello prodotto in sede revocatoria (né richiesto l’accesso a documentazione assimilabile);

II) secondariamente il “dolo processuale” non poteva essere integrato neppure da una condotta reticente: a fortiori nel caso di specie non si poteva ravvisare alcuna forma di mendacio/fraudolenza nella condotta dell’Anas.

III) per altro verso, neppure dalla documentazione prodotta potevano trarsi elementi per desumerne la rilevanza nella causa, e men che meno nei termini prospettati da parte impugnante.

IV) le condizioni praticate alla ditta erano identiche a quelle di altri 9 titoli autorizzativi afferenti la medesima fattispecie; le “convenzioni” 21.12.2011 e 19.12.2012 prodotte erano successive al rilascio del titolo autorizzatorio alla Ditta Galdieri (18 dicembre 2009, per una durata di 10 anni).

c) con portata ancora più radicale, doveva poi rilevarsi che:

I) quanto alla lettera invito 21.12.2011 (area Costa Gaia Sud)le previsioni ivi contenute non avevano trovato applicazione (era mancato il provvedimento di aggiudicazione definitiva); i valori erano soltanto importi minimi soggetti a rialzo; l’affidamento non riguardava il Servizio di Ristoro.

II) quanto alla documentazione 19.12.2012, essa riguardava alcune aree di servizio ubicate sulla Salerno- Reggio Calabria; parimenti nulla ivi era specificato con riferimento al Servizio-Ristoro; le condizioni ivi contenute erano inassimilabili alla procedura di cui era stata parte la odierna impugnante, in quanto scaturenti da una necessità straordinaria cui era stata fornita una risposta urgente (volontà espressa dal precedente Concessionario Tamoil Italia Spa di abbandonare il servizio).

6. All’adunanza camerale del 6 maggio 2014 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività della impugnata decisione la controversia è stata rinviata al merito.

7. In data 7 9.2017 la ricorrente in revocazione ha depositato copia degli atti di causa relativi al procedimento pendente innanzi al T.a.r. del Lazio recante r.g.n.3945/2016 nell’ambito del quale è stata emessa dal T.a.r. la sentenza non definitiva n. 319 del 10.1.2017

(oggetto di riserva di appello) ed una relazione tecnica integrativa a confutazione della memoria difensiva depositata dall’Anas il 2.5.2014, nell’ambito della quale, ha fatto presente che:

a) solo quattro degli undici gestori di Aree, Autorizzate sui Raccordi Autostradali (a tutto il 2017 avevano accettato il nuovo regime di royalties ( regime, peraltro, già dimezzato, rispetto a quello originario, dalla postuma Delibera ANAS n° 118/2014);

b) per i carburanti ed i lubrificanti le aliquote di royalties erano state determinate sulla base dei valori risultanti dalla UNA sola procedura ad evidenza pubblica conclusa, per le Aree di Servizio dell’A19 Palermo-Catania, completata nel 2006;

c) per le altre attività, (per le quali asseritamente non si disponeva di riferimenti recenti derivanti da affidamenti da parte con procedure ad evidenza pubblica) i corrispettivi erano stati determinati sulla base di non meglio precisati riferimenti di mercato, nonchè di quanto corrisposto da Autogrill S.p.A. per le attività di ristoro e market nelle Aree di Servizio ubicate lungo I’ Autostrada Palermo-Catania per il periodo 2007-2009;

d) detti dati erano assolutamente insufficienti ed inadeguati.

8. In data 18.9.2017 la società odierna ricorrente in revocazione ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese, e facendo presente che dall’attività istruttoria svolta in seno al procedimento pendente innanzi al T.a.r. del Lazio recante r.g.n.3945/2016 nell’ambito del quale era stata emessa dal T.a.r. la sentenza non definitiva n. 319 del 10.1.2017 era emerso che la società Anas s.p.a. non applicava condizioni uniformi a tutti i gestori ed operatori commerciali: v’erano differenze tra i compensi riconosciuti ai titolari di autorizzazioni ed ai titolari di concessioni (ai quali era applicato un canone aggiuntivo), ed addirittura tra gli stessi titolari di rapporti concessori si riscontravano regimi economici differenziati, in virtù di maggiori benefici riconosciuti a taluno; la odierna impugnante non aveva mai proposto in passato domanda di accesso alla documentazione detenuta da Anas s.p.a., in quanto v’erano profili di riservatezza, e l’accesso sarebbe stato negato.

9. In data 18.9.2017 la intimata società Anas s.p.a., ha depositato una memoria, deducendo che:

a) la nuova documentazione depositata dall’impugnante era inammissibile in quanto tardiva, ai sensi dell’art. 104 comma II del c.p.a. (norma questa che, in quanto applicabile al giudizio di appello, lo era a fortiori all’impugnazione revocatoria); peraltro le valutazioni del consulente di parte erano inconferenti, e comunque avrebbero potuto essere commissionate nei precedenti gradi di giudizio;

b) i corrispettivi stabiliti a far data dal 2015, in quanto successivi ai fatti di causa, non potevano essere assunti a tertium comparationis, né poteva rilevare la condotta di altri soggetti che come l’impugnante erano muniti di autorizzazione che avevano aderito al nuovo regime (o non lo avevano fatto) per ragioni rientranti nella esclusiva sfera delle rispettive strategie imprenditoriali;

c) non sussisteva alcun dolo processuale, né errore revocatorio.

10 . In data 28.9.2017 la intimata società Anas s.p.a., ha depositato una memoria di replica puntualizzando le proprie difese.

11. In data 28.9.2017 la società odierna ricorrente in revocazione ha depositato una memoria di replica facendo presente che dati contenuti nella consulenza tecnica erano ammissibili in quanto chiarificatori della fondatezza del ricorso in revocazione.

8. Alla odierna pubblica udienza del 19 ottobre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1.Il ricorso per revocazione è inammissibile e comunque sarebbe infondato, nei sensi di cui alla motivazione che segue.

1.1. Preliminarmente, il Collegio evidenzia che:

a) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);

b) in particolare, tutti gli argomenti contenuti negli scritti delle parti che si riferiscono a circostanze successive alla stessa pubblicazione della sentenza di appello, o addirittura alla proposizione del gravame revocatorio (id est, in particolare: il processo attualmente pendente innanzi al T.a.r. per il Lazio concernente i nuovi compensi deliberati dall’Anas)in quanto tesi ad introdurre nel presente procedimento circostanze ascrivibili ad eventi successivi, integrano elementi dei quali non si terrà conto nel prosieguo della esposizione;

c) la causa appare sufficientemente istruita, e le censure proposte sono in massima parte di natura giuridica, dal che discende la superfluità degli ipotizzati supplementi istruttori (verificazione);

2. Avuto riguardo alla natura delle censure proposte vanno innanzitutto precisati alcuni aspetti fattuali della odierna vicenda processuale:

a) la società odierna impugnante propose il ricorso di primo grado ed il ricorso per motivi aggiunti decisi dal T.a.r. per la Campania in senso ad essa favorevole con la sentenza n. 1581 del 1 agosto 2012 (e propose altro analogo ricorso, relativo ad altra area di servizio, sfociato nella sentenza n. 1582 del 1 agosto 2012 riformata dalla Sezione con la sentenza n. 2966 del 10 giugno 2014, del pari censurata in revocazione con il ricorso n.6382/2014 chiamato in decisione alla odierna udienza pubblica del 19 ottobre 2017);

 

a1) in detta occasione, essa ebbe ad impugnare, rispettivamente,

con il ricorso introduttivo l’autorizzazione rilasciatale dall’ANAS S.p.A., n. prot. CDG-0188286-P del 22.12.2009, con cui la predetta Ditta C. Galdieri & Figli S.p.A. era stata autorizzata “alla realizzazione e all’esercizio dell’Area di Servizio ubicata lungo Raccordo Autostradale Salerno – Avellino al km 6 + 048 direzione nord, comprendente i servizi di: – Distribuzione carburanti e Attività Accessorie – Ristoro e Market”, nella parte in cui venivano fissati i corrispettivi in una certa misura (“€/cent 4, 697 per ogni litro di carburante immesso nell’impianto; – €/cent 4,697 per ogni kg di gas metano per autotrazione erogato; /cent 10,705 per ogni kg di lubrificante immesso nell’impianto, – 16% del fatturato netto -senza IVA- per le attività di Ristoro e Market per le Attività Accessorie al Servizio Distribuzione Carburanti; – 1% delle vendite di prodotti complementari -tabacchi, lotterie, giornali, etc.)” chiedendo la rideterminazione dei corrispettivi indicati nell’autorizzazione impugnata, mediante la quantificazione di un canone fisso parametrato a quello richiesto dall’Anas per gli accessi agli impianti di distribuzione presenti su strade ordinarie; ovvero, in linea del tutto subordinata, attraverso la congrua riduzione delle percentuali richieste dall’Anas, sulla scorta dei parametri ex lege fissati;

II) con i motivi aggiunti la delibera n. 241 resa nella seduta del 17.12.2008 dal Consiglio di Amministrazione dell’Anas S.p.A., con cui si era deliberato “di autorizzare nei termini proposti, l’espletamento delle procedure di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l’apertura di Aree di Servizio su terreni di proprietà di terzi, di conferire ampio mandato al Presidente per porre in essere tutti gli atti conseguenti e necessari per dare attuazione alla presente delibera”; nonché della delibera n. 27 resa nella seduta del 29.1.2009 dal Consiglio di Amministrazione dell’Anas S.p.A., con cui si è deliberato “di approvare nei termini proposti il provvedimento di Autorizzazione all’apertura di aree di servizio su terreni di proprietà di terzi lungo le autostrade e i Raccordi Autostradali in gestione diretta ANAS, nonché il relativo Disciplinare; di conferire, altresì, ampio mandato al Presidente per porre in essere tutti gli atti ritenuti opportuni o necessari per dare attuazione alla presente delibera”;

b) a seguito della proposizione del ricorso introduttivo il T.a.r. dispose (in un processo parallelo, sfociato nella sentenza di primo grado n. 1582/2012) con ordinanza n. 1308 del 26 maggio 2011, incombenti istruttori ( all’esito dei quali la odierna impugnante propose il ricorso per motivi aggiunti): gli esiti dei detti incombenti istruttori vennero “utilizzati” anche nell’odierno processo, tanto che le parti processuali vi hanno fatto a più riprese ampio riferimento;

c) in nessuno degli atti di impugnazione veniva prospettato il vizio di disparità di trattamento, e neppure risulta che nel corso del processo di primo grado l’odierna impugnante abbia proposto richieste di accesso, ovvero sollecitato incombenti istruttori;

d) la sentenza di primo grado, venne appellata dalla società Anas s.pa. con ricorso in appello depositato in data 11.4.2013 ed ivi (soprattutto pagg. 15-19) era stata esposta la linea difensiva dell’Anas, fondata anche su riferimenti ad altri bandi, per impianti ubicati sull’autostrada Pa-Ct

e) l’appellata con memoria depositata il 11.5.2013 e con successivo appello incidentale depositato il 23.5.2013 ha contestato la linea difensiva dell’appellante principale, ed ha altresì contestato la conferenza dei riferimenti ad altri bandi, per impianti ubicati sull’autostrada Pa-Ct;

f) né in tali atti, né nelle successive memorie dell’11.10.2013 e del 22.10.2013 l’appellata ed odierna ricorrente in revocazione ha chiesto che venissero disposti incombenti istruttori, e/o avanzato richiesta di accesso agli atti nei confronti di Anas: soltanto, nella memoria in ultimo citata ha fatto presente che l’Anas non aveva riscontrato una propria nota datata 23.9.2013 ed “esibita” (rectius, depositata in atti) il 1.10.2013;

g) considerato il canone “tempus regit actum” che governa lo scrutinio di legittimità sugli atti amministrativi, costituisce già una anomalia che argomenti critici vengano prospettati facendosi riferimento ad atti e circostanze successive al torno di tempo 2008/2009 in cui vennero emessi gli atti reputati lesivi, ed impugnati in primo grado.

 

3. A fronte di questa cronologia, la odierna impugnante propone due motivi riposanti nel dolo processuale della società Anas s.p.a. e nel ritrovamento di documenti decisivi, ed uno ulteriore riposante nell’asserito errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Sezione nel pronunciare la sentenza.

3.1. Osserva in proposito il Collegio, quanto segue:

a) la endemica contraddittorietà della impugnazione proposta pare non abbisogni di dimostrazione: infatti la “decisività” dei documenti rinvenuti ed l’asserito dolo processuale dell’Anas ( che, parimenti, in tesi, dovrebbero riguardare un elemento decisivo) escludono che vi sia stato alcun errore di fatto (in quanto la ratio delle censure riposa nella sussistenza di elementi “occultati” al giudicante, di guisa che questi non li potesse valutare);

b) in disparte questa considerazione, la censura incentrata sull’asserito errore di fatto è inammissibile, e comunque infondata in quanto:

I) non sussiste il vizio ex art. 112 cpc (che, in via teorica, è senz’altro “denunciabile” con il rimedio revocatorio) in quanto la sentenza ha scrutinato tutti gli argomenti difensivi dell’originaria appellante incidentale, e non li ha ritenuti accoglibili per profili assorbenti (è certamente condivisibile il risalente principio, che costituisce jus receptum, secondo il quale “il vizio di omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile.”- Consiglio Stato , sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2009);

II) già la stessa formulazione della censura rende palese che ciò di cui la parte odierna impugnante si duole non è affatto un vizio di travisamento del fatto ma un vizio –certamente non fattuale ma giuridico, a tutto concedere, – riposante nel malgoverno di una fonte di prova, e risoltosi nell’avere ritenuto provata una circostanza che l’Anas aveva dedotto ma non provato;

III) il rimedio revocatorio è inammissibile, in parte qua, in quanto con tale forma straordinaria di impugnazione non possono essere censurati errori giuridici, e tale sarebbe, già nella prospettazione della odierna impugnante, quello contenuto nella sentenza della Sezione (art. 2697 cc).

c) ad avviso del Collegio, l’impugnazione revocatoria poi (ma il punto risulterà più chiaro nel prosieguo della presente esposizione) tenta di traslare sul Collegio giudicante una anomalia che è, in realtà, propria della impostazione ricorsuale, e riposante in una “progressione” delle censure prospettate rispetto a quelle contenute nell’atto introduttivo del ricorso di primo grado, in quanto:

I) la sentenza di primo grado ha accolto la tesi centrale, riposante nella illogicità della tendenziale equiparazione tra corrispettivi stabiliti dall’Anas per i titolari delle autorizzazione e corrispettivi stabiliti dall’Anas per i titolari delle concessioni sulla scorta del convincimento per cui Anas “non ha mostrato di tenere in debita considerazione, come a più riprese evidenziato da parte ricorrente, i rilevanti costi affrontati per l’acquisizione della proprietà dell’area e per la realizzazione della stazione di servizio. Non vi è dubbio, ed è comunque documentato in atti, che l’acquisizione dell’area e la realizzazione della stazione di servizio abbiano comportato la necessità di affrontare una spesa ingente, della quale occorre che l’Amministrazione prenda atto al fine di addivenire alla elaborazione di una piattaforma di criteri di determinazione del corrispettivo equilibrata e potenzialmente conveniente per ambo le parti.” ;

II) la sentenza di appello (la cui motivazione è stata per esteso riportata nella parte in fatto della presente decisione) si è concentrata su tale profilo, ed ha espresso una valutazione eminentemente giuridica, compendiata al punto 2.2. della revocanda sentenza, che si conclude con questo chiaro passaggio: “Ciò che è invece vero, e che merita di essere salvato nella posizione assunta dal T.A.R., è che l’omogeneizzazione tra concessioni e autorizzazioni non può mai essere totale, esistendo un rilevante punto di differenziazione che attiene alla disponibilità dell’area su cui opera l’impresa. Ma tale diversità influisce unicamente sul diverso regime degli oneri, dove solo i concessionari sono tenuti a corrispondere un canone per l’occupazione del suolo demaniale.”.

III)l’intera impostazione portante del ricorso di primo grado, quindi, si fondava sulla illogicità della equiparazione tra corrispettivo da versare per i latori di autorizzazione, e corrispettivo da versare per i latori di concessione, assumendo che i primi fossero sfavoriti: null’altro, e non certo una disparità “interna” alle dette categorie.

IV) la Sezione ha risolto il contenzioso unicamente sulla scorta del convincimento giuridico favorevole a detta tendenziale equiparazione: non vi sono stati errori di fatto rilevanti nel “rispondere” alle censure di Anas spa (appellante principale) né tampoco all’appello incidentale “se del caso condizionato” della odierna ricorrente in revocazione, la quale censurava la seconda parte della sentenza di primo grado (così il T.a.r. : “non è suscettibile di favorevole apprezzamento quanto ulteriormente invocato dall’istante circa la rideterminazione del corrispettivo mediante la quantificazione di un canone fisso parametrato a quello richiesto dall’Anas per gli accessi agli impianti di distribuzione presenti su strade ordinarie; ovvero, in linea del tutto subordinata, attraverso la congrua riduzione delle percentuali richieste dall’Anas, sulla scorta dei parametri ex lege fissati. La domanda di parte, come detto, esorbita dai confini che segnano il perimetro della giurisdizione di questo giudice, che non può incidere sul rapporto negoziale fino a tal punto.”) sostenendo, in sintesi, che siccome la società Galdieri era proprietaria dell’area, ed aveva eseguito a proprie spese i lavori per renderla fruibile all’uso, Anas s.p.a. non avrebbe potuto pretendere altro che il canone per gli accessi;

V) il denunciato vizio di disparità di trattamento, insomma non emerge dagli scritti dell’odierna impugnante, né ha formato oggetto di disamina;

VI) per altro verso, si osserva che il contraddittorio processuale si radica su quelle che sono state le censure contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado: infatti, sia secondo l’antevigente normativa processuale (legge n. 1034/1971) che secondo il vigente c.p.a. (artt.101 e segg.) non è consentito, salvo sporadiche ed eccezionali ipotesi, un ampliamento del thema decidendi durante il giudizio di appello: posto che l’impugnante in revocazione aveva censurato provvedimenti risalenti al 2009, non costituirebbe argomento rilevante qualsivoglia atto successivo a tale data.

3.2.Quanto alle altre due censure rammenta il Collegio che:

a) per costante giurisprudenza del Giudice di legittimità (tra le tante Cassazione civile, sez. III, 15/11/2013, n. 25761 “per integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 1, c.p.c. non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c., né, in linea di massima, sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità. In particolare se è vero che anche il silenzio su fatti decisivi può integrare gli estremi del dolo processuale revocatorio, è pur vero che ciò può avvenire soltanto a condizione che esso costituisca elemento essenziale di un’attività diretta a trarre in inganno la controparte e idonea, in relazione alle circostanze, a sviarne o pregiudicarne la difesa e a impedire al giudice l’accertamento della verità. Ne consegue che il silenzio può configurare dolo revocatorio della sentenza, ai sensi del comma 1, n. 1, dell’art. 395 c.p.c., solo se rappresenti elemento di una macchinazione fraudolenta, che abbia concretamente inciso sul contraddittorio e sul diritto di difesa o, comunque, sull’accertamento della verità “;

b) la giurisprudenza amministrativa ha sempre condiviso tale opinamento (Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2013, n. 5187 “il dolo processuale revocatorio presuppone un’attività intenzionalmente fraudolenta, che si concretizzi in artifici o raggiri soggettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del processo, a nulla rilevando la mera violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c. ovvero il solo mendacio, le false allegazioni o le reticenze; pertanto, non sono idonei a realizzare simile fattispecie, che richiede un’attività deliberatamente fraudolenta, la semplice allegazione di fatti non veritieri favorevoli alla propria tesi, il silenzio su fatti decisivi della controversia o la mancata produzione di documenti, tutte condotte, queste, che semmai possono essere censurabili sotto il profilo della lealtà e correttezza processuale, ma che non pregiudicano il diritto di difesa della controparte, la quale resta pienamente libera di avvalersi dei mezzi offerti dall’ordinamento al fine di pervenire all’accertamento della verità.”);

c) nel caso di specie, ciò che si rimprovera all’Anas sarebbe, al più, una omessa ostensione di elementi a sé sfavorevoli, ma tale condotta non integra parametro censurabile in revocazione, ai sensi dei condivisibili principi che si sono dianzi indicati.

3.3.Quanto sinora evidenziato va tenuto presente anche per quanto concerne l’approfondimento del terzo –ed ultimo- versante critico.

3.3.1. Si rileva in proposito quanto segue:

a) l’art. 395, n. 3, c.p.c. (applicabile nel giudizio amministrativo ai sensi dell’art. 106 Cpa), prevede che “le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: … 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario”.

Come la giurisprudenza ha avuto modo di affermare (Cass. civ. sez. II, 28 dicembre 2011 n. 29385), ai fini dell’impugnazione per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, è decisivo il documento (trovato dopo la sentenza, che la parte non abbia potuto produrre in giudizio per cause di forza maggiore o per fatto dell’avversario), quando, se acquisito agli atti, sarebbe stato in astratto idoneo a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una diversa decisione, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare.

Proprio perché il documento deve essere decisivo perché il giudice, nel suo libero convincimento, possa diversamente valutare, determinarsi e, dunque, decidere la controversia sottoposta al suo giudizio, è evidente che il documento deve attenere a fatti o atti pienamente rientranti nel thema decidendum, così come circoscritto dalla domanda attorea (e dalle eventuali domande riconvenzionali del convenuto) nel giudizio civile, ovvero dai motivi di ricorso (e dall’eventuale ricorso incidentale del resistente) nel giudizio amministrativo.

b) è stato quindi consequenzialmente affermato da condivisa giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 09/09/2014, n. 4546) che “ai sensi dell’art. 106 comma 3, c. proc. amm., per il quale contro le sentenze dei Tar il ricorso per revocazione può essere proposto solo se i motivi di doglianza non possono essere dedotti con l’appello, è inammissibile il ricorso per revocazione fondato su documenti successivi al provvedimento impugnato in primo grado giacché ciò, contraddicendo la ratio degli art. 395 c.p.c. e 106 c. proc. amm., consentirebbe la revocabilità della sentenza per ragioni diverse e più ampie di quelle stesse che, – inerendo al “thema decidendum”, così come definito in giudizio, o come avrebbe dovuto ritualmente definirsi, legittimano l’appello e la proposizione di motivi aggiunti contro la sentenza”;

c) analogo insegnamento viene dalla giurisprudenza civile, armonicamente con la lettera della norma di cui al n. 3 dell’art. 395 c.p.c. (Cassazione civile, sez. II, 16/01/2008, n. 735 “ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione per revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario che la parte si sia trovata nell’impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l’onere di dimostrare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore. Ne consegue che, nell’ipotesi di ignoranza dell’esistenza di un documento, l’onere della parte è soddisfatto dalla dimostrazione di una situazione di fatto tale da giustificarne la mancata conoscenza, mentre in quella di ignoranza soltanto del luogo di conservazione l’ammissibilità dell’impugnazione è subordinata alla prova di una diligente ricerca del documento e, nel caso di un suo pregresso possesso, dell’essersi verificato lo smarrimento per cause eccedenti la possibilità di controllo della parte.”.

3.3.2. Orbene, la parte odierna impugnante non ha neppure dedotto quale sarebbe stata la causa di forza maggiore o la condotta dell’Anas che le ha impedito di rinvenire e produrre tempestivamente (eventualmente proponendo ricorso per motivi aggiunti in appello) i documenti asseritamente “decisivi” sui quali fonda le sue difese.

3.3.3. Si ribadisce infatti che:

a) né nel corso del giudizio di primo grado, né in appello l’impugnante ha proposto istanze istruttorie in tal senso;

b) non ha richiesto ad alcun Giudice di disporre un accesso “giudiziale”;

c) non ha proposto istanze di accesso all’Anas;

d) non risulta avere chiesto il rilascio di documentazione ad altre società.

3.3.4. Posto che costituiva – e costituisce- fatto notorio che l’Anas intrattiene varii rapporti concessori e convenzionali con gestori di aree di servizio ubicati su strade ed autostrade delle varie Regioni d’Italia e che, anzi, il presupposto del ricorso riposava in un’arbitraria gestione di tale rapporto intrattenuto con l’impugnante, sarebbe stata cura ed onere della parte impugnante diligente acquisire tempestivamente tali supporti documentali.

3.3.5. Ciò non è avvenuto, e peraltro, la critica prospettata in revocazione non soddisfa neppure ulteriori parametri di ammissibilità del gravame revocatorio, in quanto:

a) come già evidenziato, la parte odierna impugnante non aveva prospettato il vizio di disparità di trattamento tra quelli posti a sostegno dell’impugnazione ordinaria esercitata con la proposizione del ricorso di primo grado;

b) di converso, l’odierna impugnazione straordinaria neppure soddisfa lo specifico requisito di ammissibilità riposante nella dimostrazione della tempestività del ricorso in revocazione, rapportata al rinvenimento del documento (in tesi) decisivo: (Consiglio di Stato, sez. IV, 16/05/2006, n. 2816 “in tema di revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 3 c.p.c. -ritrovamento di documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per fatto dell’avversario-, il termine per proporre ricorso decorre dal giorno in cui l’interessato ha avuto notizia dell’esistenza del documento ritenuto decisivo, e non già dalla data di materiale apprensione del documento stesso; è comunque onere della parte indicare specificamente e, quindi, dimostrare la data di verificazione dell’evento cui si correla la proposizione del ricorso, con una prova che deve essere particolarmente rigorosa quando si tratta di documenti esistenti presso la p.a.: l’impugnante non dimostra né perché non si fosse attivata prima, né perché non abbia acquisito tale documentazione durante i precedenti gradi di giudizio, né la esatta data in cui ne ebbe notizia);

c) non si evincono dagli atti del procedimento impedimenti alla tempestiva acquisizione delle evidenze documentali (in tesi decisive) prospettate dalla odierna impugnante, diverse dalla propria pregressa inerzia: ma tale elemento non potrebbe per le già chiarite ragioni condurre all’ammissibilità del proposto gravame revocatorio, salvo non volere trasformare il medesimo in una forma di gravame ordinaria, e perdipiù addirittura a più ampia latitudine del giudizio di appello, governato, come è noto, dal combinato disposto dell’art. 104 comma II del c.p.a. e dall’art. 345 c.p.c.

4.Conclusivamente, il proposto ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, e sarebbe stato del pari infondato.

5. Quanto alle spese processuali del grado, esse seguono la soccombenza, e pertanto l’impugnante società deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione, nella misura che appare equo determinare in Euro tremila (€ 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna l’impugnante società al pagamento delle spese processuali del grado, in favore dell’appellata amministrazione nella misura di Euro tremila (€ 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
Fabio Taormina

Antonino Anastasi

IL SEGRETARIO