Revocazione per “errore di fatto”

1. L’art. 106 c.p.a. dispone che “salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”. Di poi, l’art. 395 c.p.c. prevede, tra i casi di revocazione, l’ipotesi in cui (n. 4) “la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. L’istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio. Sicchè la “svista” che consente la proposizione del ricorso per revocazione, tendenzialmente eccezionale anche in caso di cd. revocazione ordinaria, è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dalla omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale. L’errore di fatto revocatorio deve, infatti, cadere su atti o documenti processuali. Di conseguenza, non sussiste vizio revocatorio se la lamentata erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice. Dunque, l’errore di fatto revocatorio si estrinseca in un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa; specificandosi ulteriormente che lo stesso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili, come avviene nel caso in cui l’errore di percezione concerna atti o documenti non prodotti ovvero quando esso venga dimostrato mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione. Di contro, costituiscono vizi logici e, dunque, errori di diritto quelli consistenti nella erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione.
2. L’ordinanza di demolizione adottata senza aver previamente definito le domande di condono in precedenza presentate dal privato è affetta da illegittimità.

Avv. Giovanni Dato

N. 00677/2016REG.PROV.COLL.
N. 01875/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1875 del 2015, proposto da:
Antonietta Federico, rappresentata e difesa dall’avv. Giuliano Agliata, con domicilio eletto presso Francesco Mangazzo in Roma, Via G.G. Belli 39;
contro
Comune di San Giuseppe Vesuviano, rappresentato e difeso dagli avv. Raffaele Marciano, Vincenzo Andreoli, con domicilio eletto presso Nicola Bultrini in Roma, Via Germanico 107;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. VI n. 00466/2015, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi

Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di San Giuseppe Vesuviano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti l’avvocato Agliata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con sentenza n.466/2015 del 2-2-2015 questa Sezione accoglieva l’appello n. 3789 del 2014, proposto dalla sig.ra Federico Antonietta, nel solo capo di cui al punto 4 della motivazione rigettandolo per il resto, con conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione terza, n. 1211/2014, la quale aveva respinto il ricorso principale e dichiarato in parte irricevibili ed in parte infondati i motivi aggiunti dalla stessa proposti avverso l’ordinanza di demolizione n. 23/2012 ed il successivo verbale di accertamento di inottemperanza, adottati dal Comune di San Giuseppe Vesuviano.
Avverso la sentenza n. 466/2015 la sig.ra Federico ha proposto ricorso per revocazione, censurandola nella parte in cui, incorrendo in errore di fatto, non aveva considerato le domande di condono dalla stessa presentate e non definite dal Comune prima dell’ordinanza di demolizione, omettendo altresì di pronunciarsi sulla dedotta nullità ed inefficacia degli atti sanzionatori adottati.
Ha lamentato in proposito: error in iudicando e in procedendo; omessa pronuncia; errore di fatto risultante dagli atti di causa come previsto dall’art. 81 n. 4 del r.d. 642/1907 e dall’art. 395 n. 4 c.p.c.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Giuseppe Vesuviano, deducendo l’inammissibilità, irricevibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 14-1-2016.
DIRITTO
Con unico, articolato motivo la sig.ra Federico lamenta: error in iudicando e in procedendo – omessa pronuncia – errore di fatto risultante dagli atti di causa come previsto dall’art. 81 n. 4 del r.d. 642/1907 e dall’articolo 395 n. 4 c.p.c.
Deduce, in particolare, la sussistenza della fattispecie revocatoria di cui all’art. 395, comma 1, n. 4 del c.p.c., secondo cui la revocazione è ammissibile “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”
Rileva che dalla lettura dell’intera sentenza può evincersi che in alcun modo è stato valutato il profilo attinente alla nullità-inefficacia del provvedimento di demolizione e di quello di accertamento dell’inottemperanza e conseguente pronuncia rilevatrice della insussistenza dell’interesse a coltivare l’impugnativa.
Evidenzia che la sussistenza delle istanze di condono non è stata in alcun modo valutata in relazione all’effetto che da queste deriva, cioè la carenza di interesse originaria o sopravvenuta al ricorso, stante l’inefficacia del provvedimento di demolizione adottato in una sospensione ex lege del procedimento sanzionatorio ovvero in una situazione di nullità del provvedimento di demolizione in quanto adottato in carenza di potere per effetto della sospensione ex lege.
Risultavano, invero, dagli atti di causa tali elementi oggettivi: -la pendenza di n. 4 istanze di condono e dei corrispettivi procedimenti non definiti dal Comune di San Giuseppe Vesuviano; – la mancata definizione, anche implicita, dei procedimenti di condono; – la sanzione demolitoria prima e l’accertamento di inottemperanza poi, adottati prima della definizione della domanda di condono.
La sentenza, dunque, sarebbe incorsa in errore di fatto “per non essersi pronunciata sulla carenza di interesse all’impugnativa quale conseguenza della dedotta inefficacia e/o nullità e/o illegittimità dell’ordinanza di demolizione per essere stata posta in essere in una situazione di sospensione ex lege del potere sanzionatorio”.
Aggiunge ancora che “la decisione resa è fondata sulla supposizione di un fatto: preclusione dell’esame della questione dell’inibitoria dell’azione sanzionatoria, la cui verità è incontrovertibilmente esclusa per effetto delle omesse pronunce”.
Precisa, poi, in sede di note difensive che “la sentenza resa dà contezza dell’errore…per non essersi pronunciato sulla carenza di interesse all’impugnativa quale conseguenza della dedotta inefficacia e/o nullità e/illegittimità dell’ordinanza di demolizione per essere stata posta in essere in una situazione di sospensione ex lege del potere sanzionatorio. Si afferma infatti nella sentenza che la irricevibilità del motivo (in quanto tardivo) preclude l’esame della questione dell’inibitoria dell’azione sanzionatoria. Tale sintesi si traduce in due omesse pronunce: quella sulla carenza di interesse a coltivare l’impugnativa quale conseguenza della inefficacia e/o nullità e/o illegittimità dell’ordinanza di sospensione; quella sulla richiesta declaratoria di nullità e/o inefficacia dell’ordinanza di demolizione per effetto della sospensione ex lege del relativo provvedimento.”
Tanto premesso, ritiene la Sezione che la decisione della presente controversia imponga un breve excursus sull’istituto della revocazione della sentenza per errore di fatto e sugli orientamenti giurisprudenziali che si sono in proposito formati.
L’articolo 106 c.p.a. dispone che “salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”.
Di poi, l’articolo 395 c.p.c. prevede, tra i casi di revocazione, l’ipotesi in cui ( n. 4) “la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
In materia , questo Consiglio di Stato ( sez.IV, 24 gennaio 2011, n. 503) ha avuto modo di affermare , con considerazioni che si intendono ribadite nella presente sede, che l’istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio.
Sicchè la “svista” che consente la proposizione del ricorso per revocazione, tendenzialmente eccezionale anche in caso di cd. revocazione ordinaria ( cfr. Cass. n. 1957/83), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dalla omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.
L’errore di fatto revocatorio deve, infatti, cadere su atti o documenti processuali ( Consiglio di Stato, A.P., 22 gennaio 1997, n. 3 ; sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499; sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607 ; sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1145).
Di conseguenza, non sussiste vizio revocatorio se la lamentata erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice ( Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343).
Dunque, l’errore di fatto revocatorio si estrinseca in un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa ; specificandosi ulteriormente che lo stesso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili, come avviene nel caso in cui l’errore di percezione concerna atti o documenti non prodotti ovvero quando esso venga dimostrato mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione ( cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8061; sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7487).
Di contro, costituiscono vizi logici e, dunque, errori di diritto quelli consistenti nella erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione ( Cons. stato, sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4811; sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
Ciò posto, sulla base dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, può essere decisa la presente controversia, rilevandosi la inammissibilità del proposto ricorso per revocazione.
L’errore nella quale la sentenza di appello sarebbe incorsa consisterebbe, a dire del ricorrente, nel non avere valutato la sussistenza delle istanze di condono presentate dalla sig.ra Federico, le quali avrebbero dovuto determinare una declaratoria di carenza di interesse originaria o sopravvenuta al ricorso, a cagione della nullità ovvero della inefficacia del provvedimento di demolizione adottato dal Comune.
La prospettazione di parte ricorrente non è condivisa dal Collegio.
La sentenza della Sezione n. 466/2015 afferma, al paragrafo 3 che “l’appello è infondato nel merito essendo da respingere i motivi, dirimenti per la risoluzione della controversia, relativi alla rilevanza della presentazione delle sopra citate quattro domande di condono (di cui sopra sub 2.a) e dell’intervenuta presentazione dell’istanza ex art. 36 del dpr n. 380 del 2001 (sopra sub 2.b)”. Quindi, al paragrafo 3.1., intitolato “La presentazione delle domande di condono edilizio”, precisa che “ragioni di censura del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, che si dimostrino conoscibili, ovvero conosciute, all’atto dello stesso, non possono essere dedotte con motivi aggiunti, venendo altrimenti eluso il termine decadenziale dell’impugnazione decorrente dalla conoscenza del provvedimento…”. Aggiunge ancora che “Quanto sopra si applica compiutamente al caso in esame, poiché la ricorrente: -con il ricorso introduttivo di primo grado ….non ha dedotto censure basate sulla avvenuta presentazione delle domande di condono…; – il motivo di censura della presentazione il 17 novembre 2004 di quattro domande di condono è stato proposto con motivi aggiunti…rivolti avverso il verbale di accertamento dell’inadempienza all’ordine di demolizione e acquisizione del bene al patrimonio comunale…; -risulta perciò corretta la valutazione del primo giudice sulla tardività della presentazione di tale motivo perché riguardante il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo (l’ordinanza di demolizione) ed essendo la ricorrente di cereto a conoscenza, all’atto del relativo ricorso, della presentazione delle domande di condono….; -per cui il detto motivo avrebbe dovuto essere proposto con il ricorso introduttivo e non, trascorsi più di sessanta giorni dalla data(19 marzo 2012) di conoscenza dell’impugnata ordinanza di demolizione, con i motivi aggiunti notificati mesi dopo (il 5 dicembre dello stesso anno) a ragione della successiva emanazione di un diverso provvedimento, nella specie comunque consequenziale all’ordinanza di demolizione e dovuto se questa non risulti ottemperata. Ne consegue la conferma della irricevibilità del motivo, ciò che altresì preclude l’esame della questione dell’inibitoria dell’azione sanzionatoria dell’Amministrazione con esso proposta”.
Dalla piana lettura del suddetto passo della sentenza risulta, dunque, chiaramente che il giudice non ha assolutamente ignorato il fatto storico della esistenza delle domande di condono presentate dalla sig.ra Federico.
Nel riferirsi alla “rilevanza della presentazione delle quattro domande di condono” la Sezione non ha ignorato il fatto della loro oggettiva esistenza, ma si è limitata ad affermare che la tardività della relativa censura impediva l’esame della questione degli effetti inibitori all’adozione della ordinanza di demolizione conseguenti alla loro presentazione.
Sicchè, non vi è stato abbaglio dei sensi e mancata considerazione di un fatto emergente dagli atti di causa.
Vi è stata, invece, interpretazione giuridica della vicenda e del fatto, affermandosi che l’esame delle conseguenze inibitorie di tale fatto sull’esercizio del potere sanzionatorio non poteva essere svolto a cagione della tardiva proposizione della censura.
Né può dirsi che la sentenza sconti di una omessa pronuncia sulla questione della nullità ovvero della inefficacia dell’ordine di demolizione in presenza di domande di condono edilizio.
Invero, nell’affermare la necessità dell’impugnativa nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla conoscenza dell’ordine di demolizione, la sentenza ha preso posizione sulla questione, ritenendo evidentemente che nella specie non potesse parlarsi di inefficacia sopravvenuta del provvedimento (atteso che ciò, per orientamento giurisprudenziale costante, si verifica solo nella fattispecie, diversa da quella in esame, in cui la presentazione della domanda di condono segua cronologicamente l’adozione dell’ordine di demolizione), né tampoco di nullità dell’ordine di demolizione (aderendo alla regola giurisprudenziale secondo cui l’emanazione dell’ordinanza di demolizione senza aver prima definito l’istanza di condono concreti solo l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, trattandosi nella specie non di una carenza assoluta di potere, determinante nullità, ma di una carenza in concreto, verificandosi una fattispecie in cui l’atto è adottato in assenza dei presupposti di legge ma non in difetto di attribuzione).
Sotto tale profilo, dunque, non vi è stata neppure la lamentata omessa pronuncia.
Orbene, il Collegio ritiene di ribadire in questa sede il principio giurisprudenziale secondo cui l’ordinanza di demolizione adottata senza aver previamente definito le domande di condono in precedenza presentate dal privato è affetta da illegittimità. Evidenzia, peraltro, che correttamente la gravata sentenza non l’ha ritenuto rilevante ed applicabile ai fini del richiesto annullamento dell’atto, atteso che l’esame di tale vizio e la richiesta pronuncia di merito non potevano essere resi a cagione della tardiva introduzione del motivo di censura, assoggettato (attesa la natura di illegittimità della prefata invalidità) al termine decadenziale di sessanta giorni dalla conoscenza del provvedimento, nella specie non rispettato.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, devono, pertanto, ritenersi insussistenti i presupposti per azionare la revocazione per errore di fatto, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune di San Giuseppe Vesuviano, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 1500, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)