Determinazioni dell’Ufficio centrale per il referendum e difetto assoluto di giurisdizione

1. Il referendum abrogativo costituisce esercizio di funzione legislativa negativa in forma di democrazia diretta, in quanto non è funzionale alla cura di un interesse pubblico concreto e specifico, ma è preordinato alla abrogazione di norme primarie. Orbene, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione assolve al ruolo di accertare la conformità della richiesta di referendum alle norme della Costituzione ed alla legge. In tale ruolo esso non identifica un organo amministrativo a composizione mista, ma un’unità organizzativa della Corte di Cassazione, deputata allo svolgimento specifico di tali compiti di controllo. Le determinazioni assunte dall’Ufficio sono, pertanto, provvedimenti emanati da un organo rigorosamente neutrale, non nell’esplicazione di un potere amministrativo, per concreti scopi particolari di pubblico interesse, ma nella prospettiva della tutela dell’ordinamento generale dello Stato e della realizzazione di esso. Si assiste, invero, alla peculiare vicenda per cui funzioni di controllo esterno, esercitate da organi inseriti nell’organizzazione della giurisdizione, vanno legittimamente a concorrere nel procedimento legislativo, nella specie nel procedimento referendario, partecipandone della natura. Va, infatti, riconosciuta, all’interno del nostro sistema ordinamentale, l’esistenza di un corpo di funzioni pubbliche neutrali, ossia di carattere intermedio tra l’amministrazione e la giurisdizione, espletate in posizione di terzietà e di indipendenza, alle quali non si applica la disciplina del provvedimento amministrativo. La conseguenza di tale impostazione è il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della impugnazione degli atti adottati dall’Ufficio Centrale per il Referendum, non vertendosi in tema di atti neppure oggettivamente amministrativi e specificandosi,altresì, il carattere “assoluto” di tale difetto di giurisdizione, trattandosi di atti che partecipano fondamentalmente della funzione legislativa, condividendone, pertanto, la natura.

Avv. Giovanni Dato

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6380 del 2015, proposto da:
Maria Antonietta Farina, Elisabetta Zamparutti, Sergio D’Elia, Giuseppe Rossodivita, rappresentati e difesi dagli avv. Guido Corso, Giovanni Pesce, con domicilio eletto presso Giovanni Pesce in Roma, via Bocca di Leone 78;
contro
Commissione istituita a norma dell’art. 2 D.L. 67/1995 conv. in L. 159/1995, Ced – Centro Elettronico di Documentazione presso la Corte di Cassazione, Ufficio Centrale per il Referendum costituito presso la Corte di Cassazione, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; Ministero della Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II BIS n. 04059/2015, resa tra le parti, concernente appello avverso sentenza con cui il giudice amministrativo ha dichiarato il difetto di giurisdizione – operazioni di valutazione legittimità referendum abrogativi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Commissione istituita a norma dell’art. 2 D.L. 67/1995 conv. in L. 159/1995 e di Ced – Centro Elettronico di Documentazione presso la Corte di Cassazione e di Ufficio Centrale per il Referendum costituito presso la Corte di Cassazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2015 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Corso, Pesce e l’avvocato dello Stato Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso di primo grado i signori Farina, Zamparutti, D’Elia e Rossodivita impugnavano: i verbali, di estremi e contenuto sconosciuti, con i quali la Commissione istituita ai sensi dell’articolo 2 del d.l. n. 67 del 1995, convertito nella legge n. 159/1995, ha disposto le operazioni di verifica delle sottoscrizioni, delle indicazioni delle generalità dei sottoscrittori, della vidimazione dei fogli, dell’autentica delle firme e delle certificazioni elettorali, prodromi alla valutazione di legittimità di sei referendum abrogativi (cd. “referendum sulla giustizia”), di cui è stata data notizia, quanto ai quesiti 1-2-4-5-6, nella G.U. n. 124 del 29 maggio 2013, e, quanto al quesito 3, nella G.U. n. 129 del 4 giugno 2013; le schede recanti i “consuntivi” relativi ai sei quesiti referendari, senza timbro né firma, predisposte in data 29 novembre 2013; il conseguente provvedimento dell’Ufficio Centrale per il Referendum, depositato il 2 dicembre 2013, con il quale sono state dichiarate “non legittime” le richieste di referendum per mancato raggiungimento del numero minimo di sottoscrizioni valide e regolari; ogni altro atto collegato e connesso.
Con sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) dichiarava il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione.
Avverso detta sentenza i signori in epigrafe specificati hanno proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone l’integrale riforma e, di conseguenza, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado.
Con articolata prospettazione hanno censurato la pronuncia del giudice di prime cure nella parte in cui ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione, affermando che nella specie vi è giurisdizione del giudice amministrativo.
Hanno, quindi, riproposto i seguenti motivi di censura, già articolati in primo grado: 1)Vizio del procedimento: irregolare funzionamento degli organi collegiali; 2) Violazione dell’art. 32 legge n. 352/1970; 3) Difetto assoluto di motivazione in ordine alle asserite violazioni degli artt. 7, 8 e 28 della legge n. 352/1970; 4)Violazione degli artt. 28 e 32 della legge n. 352/1970; 5) Violazione dell’art. 8 della legge n. 352/1970 e della Circolare n. 53 del 28 agosto 2013 del Ministero dell’Interno. Difetto di motivazione; 6) Violazione degli artt. 7 e 28 della legge n. 352/70. difetto di motivazione.
Si sono costituiti in giudizio l’Ufficio Centrale per il Referendum, il CED e la Commissione ex art. 2 d.l. n. 67/95, chiedendo il rigetto dell’appello, deducendo in proposito, in via principale, l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e, in via, gradata, la sua infondatezza.
In corso di causa le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive tesi.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione alla camera di consiglio del 10-11-2015.
DIRITTO
Ritiene preliminarmente la Sezione che l’odierno giudizio sia stato correttamente trattato in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 105, comma 2, del codice del processo amministrativo.
L’appellata sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale ha dichiarato il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di giurisdizione, precisandone, peraltro, il carattere assoluto per l’insussistenza di un diverso giudice nazionale cui rivolgersi in quanto titolare di poteri giurisdizionali in materia.
Orbene, la norma codicistica sopra richiamata dispone che “nei giudizi di appello contro i provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione o la competenza si segue il procedimento in camera di consiglio, di cui all’art. 87, comma 3”.
Il riferimento alla ipotesi in cui i giudici di primo grado “hanno declinato la giurisdizione” assume, nella lettera stessa della legge, una portata generale ed è, di conseguenza, riferibile sia al caso in cui l’affermato difetto di giurisdizione abbia natura relativa (con indicazione di altro giudice cui rivolgersi), sia quando lo stesso abbia carattere assoluto.
Invero, in entrambe le ipotesi il giudice amministrativo ritiene di essere carente di giurisdizione e, dunque, dichiara la conseguente inammissibilità del ricorso.
Né il termine “declinare” può indurre a diversa conclusione, esprimendo esso lessicalmente solo un rifiuto, ma non anche l’affermazione dell’esistenza del potere in capo a diverso ordine giurisdizionale.
Pertanto, esso va correttamente riferito sia alla fattispecie del difetto di giurisdizione in senso relativo (quando, cioè, la ragione del rifiuto risiede nella spettanza della controversia ad altro giudice), sia a quella del difetto assoluto di giurisdizione.
Ciò posto, ritiene il Collegio di non doversi soffermare sulla questione della ricevibilità dell’appello, risultando lo stesso infondato in ordine alla questione sostanziale agitata, relativa alla pretesa sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia.
La Sezione, invero, non può sul punto che condividere e ribadire i principi già in precedenza espressi da questo Consiglio in tema di procedimenti referendari (cfr. Cons. Stato, IV, 4-5-2010, n. 2552; IV, 16-6-2009, n.3834; IV, 2-4-1997, n.333), sia pure con riferimento a modificazioni territoriali delle Regioni, ma comunque applicabili alla fattispecie in esame.
Va, invero, affermato che il referendum abrogativo costituisce esercizio di funzione legislativa negativa in forma di democrazia diretta, in quanto non è funzionale alla cura di un interesse pubblico concreto e specifico, ma è preordinato alla abrogazione di norme primarie.
Orbene, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione assolve al ruolo di accertare la conformità della richiesta di referendum alle norme della Costituzione ed alla legge.
In tale ruolo esso non identifica un organo amministrativo a composizione mista, ma un’unità organizzativa della Corte di Cassazione, deputata allo svolgimento specifico di tali compiti di controllo.
Le determinazioni assunte dall’Ufficio sono, pertanto, provvedimenti emanati da un organo rigorosamente neutrale, non nell’esplicazione di un potere amministrativo, per concreti scopi particolari di pubblico interesse, ma nella prospettiva della tutela dell’ordinamento generale dello Stato e della realizzazione di esso.
Si assiste, invero, alla peculiare vicenda per cui funzioni di controllo esterno, esercitate da organi inseriti nell’organizzazione della giurisdizione, vanno legittimamente a concorrere nel procedimento legislativo, nella specie nel procedimento referendario, partecipandone della natura.
Va, infatti, riconosciuta, all’interno del nostro sistema ordinamentale, l’esistenza di un corpo di funzioni pubbliche neutrali, ossia di carattere intermedio tra l’amministrazione e la giurisdizione, espletate in posizione di terzietà e di indipendenza, alle quali non si applica la disciplina del provvedimento amministrativo.
La conseguenza di tale impostazione è il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della impugnazione degli atti adottati dall’Ufficio Centrale per il Referendum, non vertendosi in tema di atti neppure oggettivamente amministrativi e specificandosi,altresì, il carattere “assoluto” di tale difetto di giurisdizione, trattandosi di atti che partecipano fondamentalmente della funzione legislativa, condividendone, pertanto, la natura.
Le conclusioni di cui sopra, a giudizio della Sezione, non risultano scalfite dal pur pregevole tentativo di parte appellante di ricondurre le operazioni di verifica ad una natura amministrativa, evidenziata dalle modifiche normative intervenute in materia, che denoterebbero “un progressivo slittamento della competenza ad effettuare le operazioni di verifica dall’Ufficio Centrale, formato da magistrati, ad uffici amministrativi (la commissione delegata e il C.E.D.)”.
Parte appellante richiama in primo luogo l’originaria formulazione dell’articolo 32, comma 2, della legge n. 352/1970, secondo il quale l’Ufficio centrale “esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse siano conformi alla legge…”, evidenziando che, a mente del successivo articolo 12, esso è composto esclusivamente da magistrati.
Segnala, poi, una prima modifica ordinamentale, contenuta nell’articolo 6 della legge n. 199/1978, in base alla quale il primo presidente della Corte suprema, in vista delle operazioni di verifica, può aggregare all’Ufficio altri magistrati della Corte, specificando che le funzioni di segreteria sono espletate dai funzionari della cancelleria designati dal primo presidente e che questi dispone, altresì, sulle modalità di utilizzazione del centro elettronico e dell’altro personale della Corte ritenuto necessario.
Evidenzia, infine, la sopravvenienza dell’articolo 2 del d.l. n. 67/1995, convertito nella legge n. 159/1995, il quale stabilisce che “per le operazioni di verifica delle sottoscrizioni, dell’indicazione delle generalità dei sottoscrittori, delle vidimazioni dei fogli, dell’autenticazione delle firme e delle certificazioni elettorali, nonché per le operazioni di conteggio delle firme, l’Ufficio Centrale per il referendum si avvale del personale della segreteria di cui all’articolo 6 della legge 22 maggio 1978, n. 199, con qualifica non inferiore alla settima. detto personale, delegato dal Presidente dell’ufficio centrale per il referendum, è responsabile verso l’ufficio centrale per le operazioni compiute”.
Da tali disposizioni deriverebbe che le operazioni di verifica, in origine svolte dall’Ufficio Centrale, composto da magistrati, sarebbero attualmente delegate al personale amministrativo. Sarebbero ad esso imputate, con la conseguenza che quello che formalmente è un atto della Corte è in realtà un atto di uffici amministrativi, come tale impugnabile.
La tesi di parte appellante non è condivisa dalla Sezione.
Va, invero, in primo luogo evidenziato che le operazioni indicate nel richiamato articolo 2 del d.l. n. 67/1995 appartengono alla più generale attività di “verifica che la richiesta di referendum sia conforme alle norme dell’articolo 138 della costituzione e della legge”, indicata dall’articolo 12 della legge n. 352 del 1970, la quale è attribuita dalla predetta disposizione alla competenza dell’ufficio centrale per il referendum.
Di poi, l’invocato articolo 2 prevede che per le predette attività l’Ufficio centrale per il referendum “ si avvale del personale della segreteria….” e che “detto personale, delegato dal presidente dell’Ufficio centrale per il referendum, è responsabile verso l’Ufficio centrale delle operazioni compiute”.
Come è ben evidente dalla lettera della legge, si è di fronte non ad un trasferimento di funzioni, ma ad un mero “avvalimento”, il quale lascia sussistere l’imputazione delle attività all’Ufficio centrale medesimo.
Invero, il termine che qualifica la fattispecie giuridica nella specie configurabile è il “si avvale” che, letto con riferimento al precedente inciso “per le operazioni di verifica….l’Ufficio centrale per il referendum…”, avvalora la circostanza che l’attività resti in capo all’Ufficio centrale e sia allo stesso riferibile.
Non assume, invece, il valore preteso dall’appellante l’utilizzo del termine “delega”, al fine di supportare nella specie un vero e proprio trasferimento di funzioni.
Va, infatti, evidenziato che la proposizione principale è “l’Ufficio centrale si avvale del personale …”, mentre il termine delega compare con riferimento al momento della individuazione concreta di tale personale (“…delegato dal Presidente dell’Ufficio centrale…”).
Dunque, l’organo titolare della funzione di verifica, che è l’Ufficio centrale, “si avvale” del personale, onde è questo l’istituto che in concreto qualifica il rapporto ai fini della natura delle attività di verifica.
Il termine “delegato”, invece, sia per la circostanza che è posposto all’inciso “si avvale”, sia per il fatto che si riferisce ad un’attività propria del Presidente e non dell’Ufficio centrale, organo collegiale istituzionalmente titolare del potere di verifica, individua non un trasferimento di funzioni, ma sostanzialmente esprime la concreta individuazione del personale di segreteria di cui l’ufficio si avvale.
Né a sostegno della tesi dell’appellante può richiamarsi la circostanza che il citato articolo 2 precisi che tale personale “…è responsabile verso l’Ufficio centrale delle operazioni compiute”.
Tale affermazione di responsabilità è naturale conseguenza dell’avvalimento e, pertanto, conferma che le funzioni non sono trasferite al personale di segreteria, ma continuano ad essere ricomprese nel più ampio potere di controllo di conformità istituzionalmente spettante all’Ufficio Centrale e che a questo continuano ad essere imputate, condividendone pertanto la peculiare natura, come più sopra evidenziata.
Quanto all’ulteriore rilievo formulato nell’atto di appello, relativo alla natura funzionalmente amministrativa delle operazioni di verifica e comunque alla loro natura non legislativa, la Sezione non può, a sostegno della non condivisibilità delle censure in proposito prospettate, che richiamare i principi giurisprudenziali più sopra riportati.
Come si è in precedenza affermato, le operazioni di cui all’articolo 2 citato rientrano nell’attività di controllo e di verifica di conformità della richiesta di referendum a legge, istituzionalmente propria dell’Ufficio centrale e non oggetto di trasferimento di funzioni.
Valgono, pertanto, anche nell’attuale quadro normativo le considerazioni secondo cui si tratta di un corpo di funzioni pubbliche neutrali, espletate in posizione di terzietà e di indipendenza, alle quali non si applica la disciplina del provvedimento amministrativo; e, dunque, di attività svolte non nell’esplicazione di un potere amministrativo, per concreti scopi particolari di pubblico interesse, ma nella prospettiva della tutela dell’ordinamento generale dello Stato e della realizzazione di esso.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, la gravata sentenza merita conferma e l’appello deve essere rigettato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La peculiarità della vicenda, in considerazione delle questioni così come dall’appellante prospettate, giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)