Segno di riconoscimento nelle schede elettorali
1. Gli organi temporaneamente titolari del potere di emanare gli atti nel corso del procedimento elettorale non sono parte del giudizio, come stabilito esplicitamente dall’art. 130, comma 3, del c.p.a..
2. In linea di principio non sussiste l’illegittimità delle operazioni elettorali quando sia stato autenticato un numero di schede maggiore di quello degli elettori ammessi al voto: la legge non vieta che i componenti dell’ufficio elettorale di sezione autentichino anche tutte le schede a disposizione, all’uopo importando, ai fini della regolarità di siffatte operazioni, non già o non tanto la corrispondenza tra il numero degli elettori ammessi al voto e quello delle schede autenticate, quanto, piuttosto, l’esatta corrispondenza di tali schede alla somma delle schede adoperate effettivamente dagli elettori e di quelle non utilizzate e indicate nel verbale, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 570 del 1960. Per il principio di conservazione delle operazioni elettorali, non rilevano di per sé le incongruenze o le carenze di verbalizzazione, quando vi sia la corrispondenza tra il numero delle schede autenticate e la somma delle schede adoperate effettivamente dagli elettori con quelle non utilizzate.
3. L’art. 57, penultimo comma, del d.P.R. n. 570 del 1960 stabilisce che «Se l’elettore ha segnato più di un contrassegno di lista, ma ha scritto una o più preferenze per candidati appartenenti ad una soltanto di tali liste, il voto è attribuito alla lista cui appartengono i candidati indicati». Tale disposizione attribuisce prevalenza al voto accordato alla lista, regolarmente segnata, di appartenenza del candidato in concreto votato, in quanto tale espressione di voto evidenzia come l’elettore, sebbene incerto sulla lista di appartenenza del candidato preferito, abbia, tuttavia, puntualmente individuato quest’ultimo, così consolidando l’espressione di voto.
4. Nel caso di errore materiale della preferenza, è fatto obbligo all’elettore di rivolgersi all’ufficio elettorale e chiedere la sostituzione della scheda al fine di eliminare l’errore ed apporre un’indicazione chiara e valida di voto, sicché l’elettore che abbia apposto erroneamente segni sulla scheda, e non abbia inteso effettuare segni di riconoscimento, ben può chiedere la sua sostituzione. La giurisprudenza ha precisato al riguardo che la nullità del voto elettorale si verifica solo quando dall’esame obiettivo della scheda emerge chiaramente l’intento dell’elettore di farsi riconoscere, per cui i segni superflui, quelli eccedenti il modo normale d’indicare un determinato simbolo, le incertezze grafiche, nonché l’imprecisa collocazione dell’espressione del voto rispetto agli spazi a ciò riservati non sono elementi sintomatici idonei a determinare la nullità del voto stesso solo qualora non sia evidente che l’irregolare compilazione sia preordinata al riconoscimento dell’autore, nonché qualora si tratti di segni riconducibili a difficoltà di movimento o di vista dell’elettore.
5. Nel caso di errore materiale, l’elettore si può rivolgere all’ufficio elettorale e può chiedere la sostituzione della scheda al fine di eliminare l’errore ed apporre un’indicazione chiara e valida di voto. Tuttavia, anche a prescindere da tale rilievo, secondo la giurisprudenza, ai sensi dell’art. 64 del d.P.R. n. 570 del 1960, è valido il voto espresso in sostituzione di uno precedente segnato e cancellato dall’elettore sulla medesima scheda, per errore o per resipiscenza, quando sia chiara e manifesta la volontà dell’elettore stesso di recedere dalla precedente preferenza.
6. Nel procedimento elettorale la deformazione del cognome o del nome di un candidato o anche l’incertezza nell’indicazione si possono spiegare (specie quando il diminutivo corrisponda in gran parte al nome per intero) in linea di principio con una scarsa dimestichezza del votante con la scrittura o con un’inesatta memoria del nome, che sono ipotesi non inusuali, sicché non dimostrano in maniera inoppugnabile la volontà dell’elettore di rendere riconoscibile il proprio voto; pertanto, se al nome del candidato consigliere viene associato il diminutivo o il soprannome, con i quali il soggetto è verosimilmente conosciuto da tutti gli abitanti in una piccola realtà locale, detta aggiunta evidenzia una circostanza veritiera che non può essere interpretata come volontà dell’elettore di farsi identificare.
Avv. Giovanni Dato
N. 00245/2016REG.PROV.COLL.
N. 03601/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3601 del 2015, proposto dal signor Gianfranco Scarpa, rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso lo studio del dottor Giuseppe Placidi, in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
Il Comune di Salento, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;
nei confronti di
I signori Gabriele De Marco, Silvio Greco, Francesco Gorga, Italo Santoro, Olimpio Peccerillo, Ersilia De Leo, Livio Pandolfi e Renzo Lucibello, rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Annunziata e Gaetano Paolino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Leopoldo Fiorentino in Roma, piazza Cola di Rienzo, n. 92;
le signor Giovanna De Marco e Flora Santoro, non costituite in giudizio;
nonché (a seguito di appello incidentale) il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
l’Ufficio Territoriale del Governo., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 628/2015, resa tra le parti;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Gabriele De Marco, Silvio Greco, Francesco Gorga, Italo Santoro, Olimpio Peccerillo, Ersilia De Leo, Livio Pandolfi e Renzo Lucibello, nonché del Ministero dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2015 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Italo Rocco, su delega dell’avvocato Lorenzo Lentini, nonché gli avvocati Maria Annunziata, Gaetano Paolino e l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Nel Comune di Salento si è svolta, in data 25 maggio 2014, la competizione elettorale per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale, cui hanno partecipato due candidati sindaci, con le rispettive liste collegate, cioè l’avvocato Gabriele De Marco, collegato alla lista «La svolta tre mani che si incontrano» e l’avvocato Gianfranco Scarpa, collegato alla lista »insieme per Salento – Arcobaleno».
A seguito della tornata elettorale, è risultato eletto Sindaco l’avvocato Gabriele De Marco, con 733 voti validi, mentre l’avvocato Gianfranco Scarpa ha ottenuto 730 voti.
2.- Con il ricorso n. 1269 del 2014, proposto al T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, l’avvocato Gianfranco Scarpa ha chiesto l’annullamento del verbale delle operazioni dell’adunanza dei presidenti delle sezioni del Comune, di proclamazione degli eletti alla carica di Sindaco e di consigliere comunale, del 27 maggio 2014, nonché di tutti gli atti connessi, in particolare dei verbali della sezione n. 1 e della sezione n. 2.
3.- La Sezione I del TAR di Salerno, con la sentenza in epigrafe indicata, ha estromesso dal giudizio l’intimato Ministero dell’Interno ed ha respinto il gravame.
4.- Con il ricorso in appello in esame, l’avvocato Gianfranco Scarpa ha chiesto la riforma della sentenza del TAR, deducendo i seguenti motivi:
a) error in iudicando; violazione di legge (artt. 57 e 64 del d.P.R. n. 570 del 1960); eccesso di potere per difetto del presupposto, arbitrarietà, sviamento ed iniquità; violazione dell’imparzialità e della par condicio.
a.1) Nella sezione n.1 è stato annullato un voto, che sarebbe stato invece validamente espresso, in favore della lista n. 2, in violazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 570 del 1960.
Il T.A.R. ha respinto la censura negli erronei assunti che in sede istruttoria non era stata rinvenuta una scheda corrispondente a quella descritta in ricorso e che l’omonimia tra il candidato consigliere della lista n. 2 e il candidato Sindaco della lista n. 1 aveva comunque reso incerta, e quindi nulla, l’espressione del voto, essendo stati barrati entrambi i contrassegni di lista.
a.2) Pure erroneamente sarebbe stato respinto il motivo con il quale era stata censurata l’illegittimità dell’avvenuto annullamento, nella sezione n. 2, di un voto espresso in favore della lista n. 2, per la ravvisata esistenza di un segno di riconoscimento, invece consistente in un involontario movimento della mano di un elettore con poca dimestichezza con il voto e la scrittura.
a.3) Non condivisibile sarebbe la reiezione del motivo volto contro l’annullamento di una ulteriore scheda in cui era stato espresso un voto alla lista n. 2, recante doppio crocesegno sia sul simbolo della lista n. 1, sia sul simbolo della lista n. 2, con l’indicazione della espressione «erato» in corrispondenza del simbolo della lista n. 1.
a.4) Non convincente sarebbe poi la statuizione del T.A.R. sulla assegnazione alla lista n. 1 di un voto, che conterrebbe invece un evidente segno di riconoscimento, consistente nella apposizione sulla scheda, oltre al crocesegno della lista suddetta, dell’indicazione di una preferenza a favore del candidato consigliere «Lucibello Lorenzo» mentre il candidato effettivamente aveva il nome di «Lucibello Renzo».
a.5) Pure erroneamente sarebbe stata respinta dal T.A.R. la richiesta di annullamento di un voto che sarebbe stato illegittimamente attribuito alla lista n. 1, nonostante che recasse un evidente segno di riconoscimento; ciò in quanto non sarebbe stato assistito da idoneo principio di prova la deduzione fatta propria dal T.A.R. che il cognome da coniugata era quello con cui la candidata era conosciuta nella realtà locale.
b) Sono stati riproposti due motivi di ricorso ritenuti fondati dal T.A.R. con riguardo all’illegittimità dell’effettuato annullamento di due voti validi da attribuire alla lista n. 2.
b.1) Sarebbe stato erroneamente annullato un voto validamente espresso a favore della lista n. 2, solo perché la preferenza per un candidato era stata espressa fuori del riquadro di lista; ciò in quanto, stante la chiara espressione della volontà dell’elettore, la circostanza non avrebbe inciso sulla riconoscibilità del voto e non ne avrebbe reso incerta l’espressione.
b.2) Infondatamente sarebbe stato annullato un voto validamente espresso alla lista n. 2 per essere stato apposto il crocesegno nel riquadro di lista e non sul simbolo, non essendo la circostanza idonea a rendere evidente la volontà di apporre un segno di riconoscimento ed invece ascrivibile a scarsa dimestichezza con la scrittura, o all’età dell’elettore.
b.3) In conclusione, ad avviso dell’appellante, la fondatezza degli esposti motivi di appello comporterebbe che alla lista n. 1 si sarebbero dovuti assegnare n. 731 voti ed alla lista n. 2 n. 735 voti, con diritto dell’appellante ad essere proclamato Sindaco e con assegnazione del 70% dei consiglieri in favore della lista vittoriosa e sostituzione degli eletti.
c) error in iudicando; violazione di legge (artt. 47, 53 e 63 del d.P.R. n. 570 del 1960); eccesso di potere per difetto del presupposto, arbitrarietà, sviamento ed iniquità, violazione dell’imparzialità e della par condicio.
La sentenza impugnata sarebbe da riformare anche laddove ha respinto la censura di violazione del principio di certezza del voto e di genuinità del risultato elettorale, formulata nel rilievo che nella sezione n. 1 non sarebbe emersa la corrispondenza tra il numero delle schede autenticate, pari a 904, ed il totale delle schede votate e di quelle autenticate e non utilizzate, pari a 905; ciò avrebbe minato l’autenticità e l’identità del risultato elettorale.
5.- Con atto depositato il 30 aprile 2015, si sono costituiti in giudizio ed hanno proposto ricorso incidentale l’avvocato Gabriele De Marco ed i signori Silvio Greco, Francesco Gorga, Italo Santoro, Olimpio Peccerillo, Ersilia De Leo, Livio Pandolfi e Renzo Lucibello, i quali hanno dedotto l’infondatezza dei motivi d’appello ed hanno proposto i seguenti motivi di ricorso incidentale, volto all’annullamento della sentenza nella parte in cui ha accolto due delle censure proposte in primo grado dall’attuale appellante principale:
a) Errores in iudicando, violazione di legge (art. 57 e 64 del T.U. n. 570 del 1969), eccesso di potere per difetto del presupposto, arbitrarietà, sviamento ed iniquità.
a.1) Sarebbe stata erroneamente accolta dal T.A.R. la censura proposta dall’appellante concernente il dedotto illegittimo annullamento, con riguardo alla lista n. 2, di una scheda recante l’apposizione di una preferenza in favore di un candidato al di fuori del riquadro di lista, sia perché la censura sarebbe stata proposta con «intento esplorativo» (in quanto il suo nominativo non sarebbe stato indicato in ricorso, non sarebbe stato precisato se fosse stato apposto il crocesegno sul simbolo di lista e non sarebbe stato indicato lo spazio in cui la preferenza era stata apposta) e non riferita a quella poi rinvenuta in sede istruttoria, sia perché il voto sarebbe stato correttamente annullato dal seggio per la presenza di un segno di riconoscimento consistente nella apposizione della preferenza fuori dello spazio a tanto deputato.
a.2) Con il ricorso era stato censurato l’annullamento di un voto a favore della lista n. 2 perché il crocesegno apposto sul riquadro di lista e non sul simbolo avrebbe integrato un segno di riconoscimento e l’unica scheda rinvenuta nel corso dell’istruttoria reca il crocesegno nello spazio riservato alla indicazione delle preferenze e la scritta «Roberto Casale»; quindi la scheda sarebbe risultata estranea all’oggetto del giudizio, perché afferente ad ipotesi diversa da quella dedotta con il ricorso e comunque legittimamente annullata, essendo la circostanza indice della volontà di apporre un segno di riconoscimento.
5.1.- Gli appellanti incidentali hanno anche riproposto le seguenti censure, oggetto del loro ricorso incidentale di primo grado, limitatamente alle schede rinvenute in sede di istruttoria e non scrutinate dal primo giudice in considerazione del mancato superamento della prova di resistenza e della reiezione delle restanti censure sollevate dal ricorrente:
a) Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 57 e 64 e ss. del d.P.R. n. 570 del 1960), violazione dell’iter procedimentale; eccesso di potere per difetto del presupposto e di istruttoria, arbitrarietà, illogicità, contraddittorietà, erroneità e sviamento.
a.1) Con riguardo alla sezione n. 1.
a.1.1) Dopo che era stata contestata l’illegittima attribuzione di due voti alla lista n. 2 che riportavano crocesegno sul simbolo della lista n. 2 e nel riquadro per l’indicazione del candidato consigliere il nominativo del candidato sindaco, è stata rinvenuta a seguito di istruttoria una sola scheda riportante tale modalità di voto, tesa a renderlo riconoscibile.
a.1.2) Era stata contestata l’illegittima attribuzione di una scheda alla lista n. 2 perché recante crocesegno sul simbolo della lista n. 2 e la scritta «Lettieri» (capovolta) nel riquadro destinato ad accogliere il nominativo del candidato consigliere; pertanto, poiché la scheda rinvenuta in fase istruttoria recherebbe indistinti tratti vagamente riconducibili a tale nominativo, il voto doveva essere annullato per essere espressione della volontà dell’elettore di farsi riconoscere.
a.1.3) La censura di illegittimo annullamento di un voto alla lista n. 1, recando la scheda un crocesegno sul simbolo della lista n. 1 ed un segno di matita tremolante nel riquadro della stessa lista destinato alla indicazione del candidato consigliere, sarebbe stata confermata dal rinvenimento in sede istruttoria di una scheda siffatta, stante la inidoneità di detto segno a viziare l’espressione del voto.
a.2) Con riguardo alla sezione n. 2.
a.2.1) Dopo la proposizione della censura di illegittimo annullamento di tre schede alla lista n. 1 riportanti un crocesegno sui simboli di entrambe le liste e la indicazione del candidato consigliere della lista n. 1 «Gorga Francesco», espressa in entrambi i riquadri destinati a contenere la preferenza per il candidato consigliere, in sede di verificazione sarebbe stata rinvenuta una scheda contemplante detta fattispecie, che conterrebbe la chiara espressione della volontà di attribuzione del voto alla lista n. 1 ed al medesimo candidato.
a.2.2) Dopo la proposizione della censura di illegittima attribuzione di quattro voti alla lista n. 2 apposti su schede recanti crocesegno sul relativo simbolo e riportanti i nominativi di candidati inesistenti, sarebbero stati rinvenute tre schede di tale guisa, che si sarebbero dovute annullare perché contenenti segni di riconoscimento.
a.2.3) Sarebbero stati illegittimamente attribuiti alla lista n. 2 tre voti apposti su schede che contenevano crocesegno sul simbolo della lista n. 2 e l’espressione di preferenza a candidati consiglieri della lista n. 1, poi effettivamente rinvenute a seguito di istruttoria.
a.2.4) E’ stata effettivamente rinvenuta la scheda in cui il voto è stato attribuito alla lista n. 2 ed al candidato consigliere Roberto Casale, nonostante che recasse una inconsueta indicazione del suo nominativo con puntini marcati.
a.2.5) Era stata contestata l’illegittimità della attribuzione di tre voti alla lista n. 2 ed al candidato consigliere Flora Santoro, relativi a schede che recavano, oltre al crocesegno sulla lista n. 2, l’indicazione del nominativo «Sandoro Flora» e «dottoressa Flora Santoro»; esse sarebbero poi state effettivamente rinvenute ed i voti si sarebbero dovuti annullare per l’esistenza di segni di riconoscimento.
a.3) Con riguardo alla sezione n. 3.
a.3.1) Dopo la contestazione della illegittimità della attribuzione di cinque voti alla lista n. 2 (in quanto le relative schede avrebbero presentato un crocesegno sulla lista n. 2 e nel riquadro destinato alla indicazione del consigliere comunale la indicazione del candidato sindaco della lista stessa), sarebbero state rinvenute n. 3 schede riportanti tali modalità di voto, tese a rendere riconoscibile il voto.
a.3.2) Sarebbo stato illegittimamente assegnato un voto alla lista n. 2 ed alla candidata Giovanna De Marco, in quanto sulla scheda, rinvenuta poi in sede di istruttoria, sarebbero stati apposti, oltre al crocesegno sul simbolo della lista, tre nominativi.
6.- Con atto depositato il 12 giugno 2015, si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno.
7.- Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2015, il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione.
8.- Innanzi tutto il collegio deve disporre l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’Interno, costituitosi a seguito della notifica ad esso effettuata dell’appello incidentale: esso – così come gli organi temporaneamente titolari del potere di emanare gli atti nel corso del procedimento elettorale – non è parte del giudizio, come stabilito esplicitamente dall’art. 130, comma 3, del c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 4 agosto 2015, n. 3845).
9.- Nel merito deve essere, per ragioni di logica processuale, esaminato con priorità il secondo motivo di appello, con il quale è stata è stata chiesta la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui essa ha respinto la censura di violazione del principio di certezza del voto e di genuinità del risultato elettorale, formulata nel rilievo che nella sezione n. 1 non vi sarebbe stata la corrispondenza tra il numero delle schede autenticate (904), il numero dei votanti (664) e le schede autenticate non utilizzate (241), sicché il totale delle schede votate (664) e di quelle autenticate e non utilizzate (241) sarebbe pari a 905 schede, dunque non corrisponderebbe al totale delle schede autenticate prima della votazione (904).
Tale mancata corrispondenza tra la somma delle schede vidimate e la somma delle schede votate ed autenticate minerebbe l’autenticità e la genuinità del risultato elettorale, atteso che l’art. 53 del d.P.R. n. 570 del 1960 dispone che il Presidente debba accertare la piena corrispondenza dei sopra indicati dati numerici.
Il verbale sezionale, a pag. 29, confermerebbe, senza dare alcuna spiegazione, la discrasia tra i due valori, che non escluderebbe la ripetuta applicazione del c.d. sistema della «scheda staffetta», che comporterebbe la compromissione della corretta espressione della volontà elettorale.
Il TAR ha respinto la censura, ritenendo che essa fosse verosimilmente riconducibile al mancato computo di un elettore iscritto nelle liste della Sezione ammesso al voto domiciliare, ma la tesi – ad avviso dell’appellante – non sarebbe condivisibile, perché l’accertamento della corrispondenza tra il totale delle schede autenticate e la somma di quelle votate con quelle autenticate e non utilizzate costituirebbe un accertamento doveroso ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. n. 570 del 1960, sicché la mancata attestazione di tale corrispondenza invaliderebbe le operazioni elettorali, come confermato dalla circostanza che, dal verbale di sezione, risulterebbe una divergenza tra il numero totale delle schede autenticate (904) e la somma delle schede autenticate non utilizzate con quelle votate (905).
Non sarebbe idoneo a superare detto sintomo di invalidità delle operazioni elettorali in questione la verosimiglianza, rilevata dal TAR, della tesi che nella sezione n. 1 vi sarebbe stato un voto domiciliare, per la cui acquisizione sarebbe stata utilizzata una scheda autenticata, sicché il totale delle schede autenticate sarebbe stato di n. 240 e non di 241; ciò sia in quanto il verbale non recherebbe indicazione del voto domiciliare ed esporrebbe un dato finale di schede non autenticate residue pari a 241 e sia in quanto la tesi sostenuta in sentenza avrebbe dovuto trovare una base oggettiva all’esito di una istruttoria da disporre, volta all’acquisizione del verbale del voto domiciliare ed al conteggio delle schede autenticate residue, al fine di verificare la sussistenza di errori materiali.
9.1.- Osserva in proposito la Sezione che in linea di principio non sussiste l’illegittimità delle operazioni elettorali quando sia stato autenticato un numero di schede maggiore di quello degli elettori ammessi al voto: la legge non vieta che i componenti dell’ufficio elettorale di sezione autentichino anche tutte le schede a disposizione, all’uopo importando, ai fini della regolarità di siffatte operazioni, non già o non tanto la corrispondenza tra il numero degli elettori ammessi al voto e quello delle schede autenticate, quanto, piuttosto, l’esatta corrispondenza di tali schede alla somma delle schede adoperate effettivamente dagli elettori e di quelle non utilizzate e indicate nel verbale, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 570 del 1960 (Consiglio di Stato, sez. V, 13 aprile 1999, n. 421).
Per il principio di conservazione delle operazioni elettorali, non rilevano di per sé le incongruenze o le carenze di verbalizzazione, quando vi sia la corrispondenza tra il numero delle schede autenticate e la somma delle schede adoperate effettivamente dagli elettori con quelle non utilizzate (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3323, e 15 settembre 2001, n. 4830; C.G.A. 5 febbraio 2014, n. 46).
Nel caso in esame, vanno al più ravvisate irregolarità formali nella redazione del verbale e non illegittimità sostanziali.
Peraltro, nessun elemento di prova – di qualsiasi tipo – è stato prodotto e tanto meno dedotto in ordine al non corretto uso di una delle schede autenticate (essendo stato solo ipotizzato in astratto che una scheda autenticata, e non impiegata per il voto, possa essere stata utilizzata per sostituire schede regolarmente consegnate e utilizzate dagli elettori per il voto, con conseguente alterazione dei risultati della Sezione).
9.2.- Invero i votanti iscritti nelle liste elettorali della sezione n. 1 (come da pagina n. 9 del verbale delle operazioni dell’ufficio elettorale di sezione, paragrafo 5, «autenticazione delle schede di votazione») sono risultati in totale n. 899, oltre a n. 5 elettori cittadini di un altro Stato membro dell’U.E. ammessi a votare nella sezione; risulta inoltre in calce a tale pagina (laddove era previsto l’accertamento della esistenza di elettori ammessi al voto domiciliare, distinguendo tra elettori iscritti nelle liste degli elettori della sezione, ma ammessi al voto presso altra sezione e tra quelli non iscritti in dette liste ma ammessi al voto nella sezione) che tra i primi è stata indicata la esistenza di n. 1 elettore di sesso femminile.
Successivamente, alle pagine n. 10 e n. 11, il Presidente ha attestato che il numero delle schede da autenticare è stato di 904 e che sulle stesse erano stati poi apposti il bollo e le firme degli scrutatori.
A pagina 27 del verbale (al paragrafo n. 17) risulta poi accertato il numero dei votanti della sezione, indicati in n. 326 elettori di sesso maschile ed in n. 338 elettori di sesso femminile (il n. 8 apparentemente è frutto di una correzione).
In totale gli elettori votanti nella sezione sono stati indicati in numero di 664 (ed anche in questo caso il n. 4 è apparentemente frutto di correzione).
Tali numeri risultano quelli effettivamente verbalizzati, perché più marcati rispetto ad altri numeri, su cui verosimilmente sono stati sovrapposti.
A pagina 29 del verbale, al paragrafo n. 20, il Presidente risulta aver accertato, al punto a), che le schede autenticate non utilizzate per la votazione erano n. 241; il seguente punto b) – laddove è stato verbalizzato che il Presidente «accerta che il numero delle schede autenticate non utilizzate [lettera a)] corrisponde oppure non corrisponde (cancellare la circostanza che non si verifica) al numero degli lettori iscritti nelle liste della sezione o assegnati alla medesima [paragrafo 5] che non hanno votato. In caso di mancata corrispondenza, indicare i motivi» – risulta in bianco, dalla copia versata in atti.
Alla pagina 50 del verbale in questione, al paragrafo n. 30, alla voce «Riepilogo» risulta che il numero totale dei votanti della sezione è stato di 664.
9.3.- Alla luce delle sopra evidenziate risultanze, il collegio ritiene infondata la tesi dell’appellante secondo cui sarebbe inverosile la tesi che nella sezione n. 1 vi sia stato un voto domiciliare, per la cui acquisizione era stata utilizzata una scheda autenticata.
Risulta infatti che un elettore di sesso femminile era iscritto nelle liste degli elettori della sezione, ma ammesso al voto presso altra sezione e al voto domiciliare, il che appare idoneo a giustificare la tesi che la scheda autenticata utilizzata per l’espressione di tale voto non dovesse figurare tra gli elettori di sesso femminile che avevano votato nella sezione, indicati in n. 338 (con l’ultimo numero apparentemente frutto di correzione).
Se, infatti, tra i votanti della sezione non fosse stata indicata la elettrice ammessa al voto domiciliare presso altra sezione, il numero totale dei votanti nella stessa sarebbe stato non di 664, ma di 663, e tale numero, sommato alle 241 schede autenticate non utilizzate per la votazione, corrisponde a 904, cioè al numero complessivo delle schede autenticate nella Sezione.
La circostanza dedotta dall’appellante non appare quindi al collegio frutto di alcun sistema fraudolento paventato con il gravame, ma al più di un mero errore materiale nella indicazione del numero totale dei votanti di sesso femminile nella sezione, non idonea a comportare un vizio sostanziale invalidante la competizione elettorale.
Non sussiste pertanto la necessità della istruttoria finalizzata all’acquisizione del verbale del voto domiciliare ed al conteggio delle schede autenticate residue, prospettata dalla parte appellante.
10.- Rileva poi il collegio che il primo motivo di appello è infondato e dunque non può essere superata la «prova di resistenza», in quanto la lista collegata al candidato eletto sindaco Di Marco conserva tre voti di vantaggio su quella collegata all’attuale appellante.
10.1.- Con la prima delle censure poste a base del primo motivo, è stato dedotto che nella Sezione I è stato annullato un voto – validamente espresso, in favore della lista n. 2 – in violazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 570 del 1960.
Il T.A.R. avrebbe erroneamente respinto la censura nell’assunto che in sede istruttoria non era stata rinvenuta una scheda pienamente corrispondente a quella descritta in ricorso e che comunque l’omonimia tra il candidato consigliere della lista n. 2 e il candidato Sindaco della lista n. 1 avrebbe reso incerta e quindi nulla l’espressione del voto, essendo stati barrati entrambi i contrassegni di lista.
Ma (dopo che in ricorso era stato dedotto che in una scheda l’elettore aveva barrato entrambi i contrassegni di lista, ma aveva espresso la preferenza per il consigliere della lista n. 2 «Giovanna De Marco») a seguito della disposta istruttoria sarebbe stata acquisita una scheda coincidente con quella censurata, anche se mancava il nome del consigliere della lista n. 2 «De Marco».
La descrizione complessiva del voto e della scheda contestata sarebbe elemento sicuramente idoneo e sufficiente per integrare le condizioni di specificità del motivo e il mancato riscontro del solo nome di battesimo non sarebbe stato idoneo ad escludere la corrispondenza tra l’oggetto della censura e la scheda, tenuto conto che nel processo elettorale l’onere di specificazione va contemperato con il principio di indisponibilità del materiale elettorale da parte del ricorrente.
Sul piano sostanziale il motivo sarebbe stato comunque fondato, atteso che, in base all’art. 57 del d.P.R. n. 570 del 1960, il voto controverso sarebbe stato valido e da assegnare alla lista n. 2, in cui rientrava il candidato effettivamente votato.
L’incertezza conseguente all’omonimia fra il candidato consigliere della lista n. 2 (De Marco Giovanna) ed il candidato sindaco (De Marco Gabriele) – sulla base della quale il T.A.R. ha respinto la censura – non sussisterebbe, perché l’elettore avrebbe espresso univocamente la volontà elettorale, trascrivendo nell’apposito spazio, nel rigo e nel riquadro dedicato ai candidati consiglieri della lista n. 2, barrata, il cognome De Marco, di un candidato di tale lista.
Non sarebbe sussistito quindi alcun ragionevole dubbio sulla volontà dell’elettore di votare la lista n. 2, anche se non aveva indicato il nome di battesimo della candidata consigliere De Marco Giovanna.
10.1.1.- In primo grado è stato rilevato che – nella scheda reperita a seguito della disposta istruttoria – risultavano barrati entrambi i contrassegni di lista, con preferenza espressa nel riquadro della lista n. 2 per «De Marco» e non per «Giovanna De Marco», come riferito in ricorso.
Ritiene il collegio che la censura stata condivisibilmente respinta dal TAR.
L’art. 57, penultimo comma, del d.P.R. n. 570 del 1960 stabilisce che «Se l’elettore ha segnato più di un contrassegno di lista, ma ha scritto una o più preferenze per candidati appartenenti ad una soltanto di tali liste, il voto è attribuito alla lista cui appartengono i candidati indicati».
Tale disposizione attribuisce prevalenza al voto accordato alla lista, regolarmente segnata, di appartenenza del candidato in concreto votato, in quanto tale espressione di voto evidenzia come l’elettore, sebbene incerto sulla lista di appartenenza del candidato preferito, abbia, tuttavia, puntualmente individuato quest’ultimo, così consolidando l’espressione di voto (Consiglio di Stato, sez. V, 28 gennaio 2005, n. 185).
Nel caso di specie, tale individuazione si sarebbe potuta ravvisare se fosse stata rinvenuta una scheda annullata con l’indicazione di preferenza a «Giovanna De Marco», mentre è stata rintracciata solo una scheda con crocesegno apposto su entrambe le liste, ma con la indicazione del solo nominativo «De Marco» nello spazio riservato alla indicazione della preferenza per il candidato consigliere nella lista n. 2, collegata con il candidato sindaco avvocato Scarpa.
Proprio la presenza, in entrambe le liste, di un candidato con il cognome «De Marco» (Gabriele, candidato Sindaco per la lista n. 1, e Giovanna, candidata consigliere per la lista n. 2) ha determinato incertezza circa la reale volontà dell’elettore di attribuire la propria preferenza per l’una o l’altra lista, non potendosi ritenere assodato, con la dovuta certezza, che le parole «De Marco» apposte nello spazio riservato al candidato consigliere della lista n. 2 abbiano indicato la candidata De Marco Giovanna.
Stante la natura derogatoria della disposizione che consente la sanatoria del voto caratterizzato dalla apposizione del crocesegno su più di una lista, essa va interpretata ed applicata restrittivamente alle concrete fattispecie e solo quando la concreta volontà dell’elettore è incontestabilmente interpretabile.
Per le esposte ragioni va quindi confermata sul punto la impugnata sentenza e va disatteso il motivo di appello in esame.
10.2.- Con la seconda censura a sostegno del primo motivo d’appello, è stato dedotto che erroneamente sarebbe stato respinto il motivo con il quale era stata censurata l’illegittimità dell’avvenuto annullamento, nella sezione n. 2, di un voto espresso in favore della lista n. 2, per l‘esistenza di un segno di riconoscimento, invece consistente in un indistinto tratto di scrittura sulla scheda, privo di qualsiasi espressione figurativa, dovuto ad involontario movimento della mano di un elettore con poca dimestichezza con il voto e la scrittura.
Non sarebbe quindi condivisibile quanto ritenuto in proposito dal T.A.R., che ha qualificato segno come un «cerchio», come tale inequivocabilmente qualificabile, al pari dell’asterisco, come segno di riconoscimento.
10.2.1.- Osserva la Sezione al riguardo che dall’esame della copia della scheda, prodotta in atti, risulta con evidenza che il voto è stato espresso mediante l’apposizione di un crocesegno sul simbolo della lista n. 2 e che nello spazio riservato alla indicazione della preferenza per il candidato consigliere è stato apposto non un segno indistinto, ma un ben delineato cerchio recante un secondo tratto a suo contorno sulla parte sinistra.
Ai sensi dell’art. 64, comma secondo, e 69, comma secondo, n. 2), del d.P.R. n. 570 del 1960, nelle elezioni amministrative devono considerarsi nulli i voti contenuti in schede che presentano scritture o segni tali da far ritenere, in modo inoppugnabile, che l’elettore ha voluto far riconoscere il proprio voto.
Nel caso di errore materiale della preferenza, è fatto obbligo all’elettore di rivolgersi all’ufficio elettorale e chiedere la sostituzione della scheda al fine di eliminare l’errore ed apporre un’indicazione chiara e valida di voto (Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2015, n. 3949), sicché l’elettore che abbia apposto erroneamente segni sulla scheda, e non abbia inteso effettuare segni di riconoscimento, ben può chiedere la sua sostituzione.
La giurisprudenza ha precisato al riguardo che la nullità del voto elettorale si verifica solo quando dall’esame obiettivo della scheda emerge chiaramente l’intento dell’elettore di farsi riconoscere, per cui i segni superflui, quelli eccedenti il modo normale d’indicare un determinato simbolo, le incertezze grafiche, nonché l’imprecisa collocazione dell’espressione del voto rispetto agli spazi a ciò riservati non sono elementi sintomatici idonei a determinare la nullità del voto stesso solo qualora non sia evidente che l’irregolare compilazione sia preordinata al riconoscimento dell’autore (Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2015, n. 3368), nonché qualora si tratti di segni riconducibili a difficoltà di movimento o di vista dell’elettore (Consiglio di Stato, sez. V, 15 giugno 2015, n. 2934).
Per la ben delineata espressione grafica che lo caratterizza, il collegio ritiene che il segno in questione non si possa qualificare quale segno superfluo o incertezza grafica, ovvero segno riconducibile a difficoltà di movimento o di vista dell’elettore, ma denota, stante la mancata richiesta di sostituzione della scheda, una sicura volontà dell’elettore di farsi riconoscere, essendo il segno estraneo alle esigenze di espressione del voto e non trovando ragionevoli spiegazioni nelle modalità con cui l’elettore ha inteso esprimere il suffragio (Consiglio di Stato, sez. V, 29 novembre 2013, n. 5720).
La censura in esame non può quindi trovare assenso.
10.3.- Con la terza censura posta a base del motivo di appello, è stato affermato che non condivisibile sarebbe pure la reiezione del motivo volto a censurare l’annullamento di una ulteriore scheda in cui era stato espresso un voto alla lista n. 2, recante doppio crocesegno sia sul simbolo della lista n. 1, sia sul simbolo della lista n. 2, con l’indicazione della espressione «erato» in corrispondenza del simbolo della lista n. 1.
In tal caso quanto ritenuto dal T.A.R., che la scheda rinvenuta a seguito di istruttoria non sarebbe stata speculare a quella descritta in ricorso e che l’omonimia tra candidato consigliere della lista n. 2 e candidato sindaco della lista n. 1 avrebbe reso incerta l’espressione del voto, sarebbe privo di rilievo, atteso che la discrasia tra quanto sostenuto in ricorso e quanto risultante dalla scheda rinvenuta consisterebbe solo nella dicitura «errato», contenuta nel gravame, e quella «erato» apposta sulla scheda, nonché che non sussisterebbe alcuna incertezza sulla espressione del voto perché in effetti l’elettore, resosi conto di aver barrato erroneamente il simbolo della lista n. 1, avrebbe poi apposto la scritta «erato» nel riquadro di tale lista e barrato il crocesegno della lista n. 2, manifestando la chiara volontà di esprimere la preferenza per il candidato consigliere di essa lista, cioè Giovanna De Marco, come giustificabile con l’età o con un basso livello di scolarizzazione dell’elettore.
10.3.1.- Rileva in proposito il collegio che, come in precedenza evidenziato, nel caso di errore materiale, l’elettore si può rivolgere all’ufficio elettorale e può chiedere la sostituzione della scheda al fine di eliminare l’errore ed apporre un’indicazione chiara e valida di voto (Consiglio di Stato, sez. V, n. 3949 del 2015, cit.).
Tuttavia, anche a prescindere da tale rilievo, secondo la giurisprudenza, ai sensi dell’art. 64 del d.P.R. n. 570 del 1960, è valido il voto espresso in sostituzione di uno precedente segnato e cancellato dall’elettore sulla medesima scheda, per errore o per resipiscenza, quando sia chiara e manifesta la volontà dell’elettore stesso di recedere dalla precedente preferenza (Consiglio di Stato, sez. V, 16 ottobre 2006, n. 6135).
Nel caso di specie, come condivisibilmente rilevato dal primo giudice, non era univoca la volontà dell’elettore stesso di cambiare la preferenza già espressa e di esprimerne una nuova, stante l’avvenuta indicazione, come da copia della scheda de qua in atti, oltre al crocesegno sul simbolo della lista collegata la candidato Sindaco Gabriele De Marco, di un ulteriore crocesegno sul simbolo della lista collegata con il candidato Sindaco Gianfranco Scarpa e, nello spazio riservato alla espressione della preferenza la apposizione del nominativo «De Marco», riconducibile – oltre che alla candidata consigliera di quest’ultima lista «Giovanna De Marco» – anche al candidato Sindaco Gabriele De Marco.
La doglianza in esame va respinta.
10.4.- Con il quarto profilo critico a sostegno del medesimo motivo, è stato dedotto che il TAR avrebbe errato nell’attribuire alla lista n. 1 un voto che conterrebbe invece un evidente segno di riconoscimento, consistente nell’apposizione sulla scheda, oltre al crocesegno della lista suddetta, dell’indicazione di una preferenza a favore del candidato consigliere «Lucibello Lorenzo», mentre il candidato effettivamente aveva il nome di «Lucibello Renzo»; in termini si sarebbe espressa questa Sezione con sentenza n. 5108 del 2006.
A nulla varrebbe la circostanza, valorizzata dal primo giudice, che il nome «Lorenzo» sarebbe quello con cui il candidato era conosciuto nella realtà locale, in assenza della produzione di almeno un principio di prova al riguardo.
10.4.1.- La Sezione – premesso che la sentenza citata dall’appellante (Consiglio di Stato, sez. V, 5 settembre 2006, n. 5108) è relativa alla diversa fattispecie in cui era stata anteposta la qualificazione di «assessore» al nome di un candidato (che non trovava giustificazione alcuna, tanto meno nella necessità di meglio individuare il destinatario del voto, rappresentata dagli appellanti, non essendovi alcun altro candidato con lo stesso cognome, sicché, in quanto del tutto superflua, non casuale né involontaria, risultava obiettivamente tale da consentire l’individuazione dell’elettore) – ritiene infondata la censura in esame, a prescindere dalla non perfetta corrispondenza della scheda rinvenuta in sede istruttoria (in cui non risulta apposto il crocesegno sul simbolo della lista n. 1), con quella descritta in ricorso (nel quale era asserito che la scheda riportava detto crocesegno e l’apposizione del nominativo «Lucibello Lorenzo» nello spazio destinato all’espressione della preferenza del candidato consigliere della lista stessa).
La giurisprudenza in materia, che il collegio condivide e fa propria, è orientata nel senso che nel procedimento elettorale la deformazione del cognome o del nome di un candidato o anche l’incertezza nell’indicazione si possono spiegare (specie quando, come nella specie, il diminutivo corrisponda in gran parte al nome per intero) in linea di principio con una scarsa dimestichezza del votante con la scrittura o con un’inesatta memoria del nome, che sono ipotesi non inusuali, sicché non dimostrano in maniera inoppugnabile la volontà dell’elettore di rendere riconoscibile il proprio voto; pertanto, se al nome del candidato consigliere viene associato il diminutivo o il soprannome, con i quali il soggetto è verosimilmente conosciuto da tutti gli abitanti in una piccola realtà locale, detta aggiunta evidenzia una circostanza veritiera che non può essere interpretata come volontà dell’elettore di farsi identificare (Consiglio di Stato, sez. V, 9 settembre 2013, n. 4474, e 18 gennaio 2013, n. 278).
Invero, come rilevato dal TAR, l’art. 64 e l’art. 69 del d.P.R. n. 570 del 1960 sono finalizzati alla salvaguardia della volontà del cittadino elettore, sicché le ipotesi di nullità del voto si pongono come eccezioni a tale principio e devono considerarsi come tassativamente previste e limitate ai casi ivi indicati.
Pertanto la indicazione sulla scheda de qua della preferenza espressa per il candidato consigliere della lista collegata al candidato sindaco Gabriele De Marco, mediante scrittura del nominativo «Lucibello Lorenzo» in luogo di quello corretto «Lucibello Renzo» deve affermarsi che correttamente non sia stata ritenuta come apposizione di un segno di riconoscimento e che sia stato considerato valido il voto in questione.
10.5.- Con la quinta censura formulata con il motivo in esame, è stato sostenuto che erroneamente sarebbe stata respinta dal T.A.R. la richiesta di annullamento di un voto illegittimamente attribuito alla lista n. 1, nonostante che recasse un evidente segno di riconoscimento consistente nell’aver barrato la lista n. 1 ed espressa la preferenza per il candidato consigliere «D’Apolito Ersilia», mentre l’effettivo nominativo del candidato era «De Leo Ersilia», essendo «D’Apolito» il cognome da coniugata della stessa.
Anche in questo caso non sarebbe stata infatti assistita da un idoneo principio di prova la tesi fatta propria dal T.A.R. secondo cui il cognome da coniugata sarebbe stato quello con cui la candidata era conosciuta nella realtà locale.
10.5.1.- Rileva in proposito la Sezione che è incontestato che il cognome da coniugata della candidata in questione sia «D’Apolito» e, anche in assenza di prova che ella sia conosciuta nella realtà locale prevalentemente con il cognome da coniugata, è del tutto ragionevole che qualche elettore la identificasse con il cognome da coniugata.
Certo, per evitare questioni interpretative in sede di compilazione della lista può essere indicato aggiunto il cognome da coniugata, in modo da consentire de plano l’attribuzione del voto anche nel caso in cui l’elettore indichi l’altro cognome.
Tuttavia, anche se non vi è stata una tale aggiunta, la preferenza alla candidata in questione col cognome del marito risulta del tutto chiaramente espressa.
10.6.- In conclusione, nessun voto valido può essere aggiunto ai 730 voti riconosciuti alla lista collegata all’attuale, né tolto ai 733 riconosciuti alla lista collegata al sindaco proclamato eletto avvocato Gabriele De Marco, sicché l’appello principale va respinto ed il risultato elettorale finale rimane invariato.
11. Tali conclusioni escludono la necessità di esaminare, per economia processuale, la fondatezza o meno dei motivi posti a base dell’appello incidentale proposto dall’avvocato Gabriele De Marco e dagli altri elettori in epigrafe indicati, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza nella parte in cui ha accolto due delle censure proposte in primo grado dall’attuale appellante principale, nonché delle riproposte censure, già oggetto di ricorso incidentale in primo grado, con riguardo alle schede rinvenute in sede di istruttoria e non scrutinate dal primo giudice in considerazione del mancato superamento della prova di resistenza e della reiezione delle restanti censure sollevate dal ricorrente.
L’appello incidentale deve quindi essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
12.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
13.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma secondo, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello principale in esame (n. di r.g. 3601 del 2015) e dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)