1. Il diritto di accesso: cenni introduttivi 2. Alcuni richiami giurisprudenziali 3. Conclusioni.
1. Il diritto di accesso: cenni introduttivi.
Già nel 1908[1] Turati affermava che “la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro”. La ben nota metafora esprimeva l’aspirazione ad un’azione amministrativa chiara e trasparente.
L’impostazione la si ritrova nella Carta Costituzionale ed in particolare nei principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 nonché nell’art. 98 comma 1 secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
A distanza di più di un secolo, per riprendere le considerazioni[2] della Commissione speciale del Consiglio di Stato chiamata a pronunciarsi sullo schema di decreto legislativo recante “ Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza”, il nostro sistema tende verso un’accessibilità totale delle informazioni. L’obiettivo di implementare e rafforzare la trasparenza si pone anche in stretta relazione con la necessità di controllare la spesa pubblica[3].
Con la legge n. 241/1990 è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico il concetto di democrazia amministrativa[4] attraverso l’applicazione dei principi di trasparenza e accesso. Il percorso avviato nel 1990 è stato caratterizzato da una serie di interventi legislativi e da importanti (e numerosi) interventi giurisprudenziali che hanno portato all’attuale assetto.
Il processo di avvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione avviato con la legge n. 241/990 ha conosciuto, sulla scorta dell’evoluzione normativa degli ultimi decenni, una netta inversione di tendenza rispetto al passato: oggi tutta l’attività amministrativa deve essere resa trasparente tranne ciò che, in via eccezionale, può essere riservato[5]
L’istituto del diritto di accesso tracciato dal legislatore del 1990 aveva ribaltato il tradizionale rapporto tra segretezza e ostensibilità degli atti amministrativi a favore di quest’ultima senza però arrivare al riconoscimento di un’accessibilità totale: il diritto di accesso veniva riconosciuto soltanto al titolare di un interesse particolarmente qualificato.
Il legislatore, con legge n. 15/2005, nel modificare l’art. 1 della legge n. 241/1990, ha fatto del principio di trasparenza[6] un principio generale della pubblica amministrazione ponendo però un limite alla vis espansiva del diritto di accesso escludendo espressamente la sua finalizzazione ad un controllo generalizzato dell’amministrazione.
Più di recente, con le modifiche apportate dal D.lgs. 33/2013 (decreto trasparenza), è stato introdotto il cosiddetto accesso civico.
L’accesso civico è stato introdotto come strumento per la realizzazione della trasparenza la cui definizione la si ritrova all’art. 1 del D.lgs 33/2013 che lo definisce come “accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorirne forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. Il successivo art. 3 del D.lgs appena richiamato introduce per le pubbliche amministrazioni obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di documenti che si sostanziano nel dovere di pubblicare sui siti istituzionali i dati che la legge ha individuato ai quali corrisponde il diritto di chiunque di conoscerli e fruirne gratuitamente.
Nel nostro ordinamento convivono dunque tre macro categorie di diritti di accesso: l’accesso documentale (L. 241/1990), l’accesso civico proprio (D.lgs. 33/2013) e l’accesso civico generalizzato (D.lgs. 97/2016).
A livello europeo l’accesso non è preordinato alla tutela di una specifica posizione giuridica soggettiva ma costituisce un principio generale di trasparenza dell’Unione; l’istituto è infatti teso a fornire un servizio ai cittadini e alle imprese[7]. In estrema sintesi si può dire che il diritto di accesso nell’Unione europea rileva sia come strumento di partecipazione al procedimento sia come mezzo per consentire il controllo democratico sull’operato dei pubblici poteri ed è proprio quest’ultimo profilo ad assumere il rilievo preponderante. La logica è quella di tutelare il cosiddetto ‘right to know’, vale a dire il diritto del cittadino all’informazione sulla ‘cosa pubblica’, inteso come un diritto soggettivo meritevole di tutela sulla scorta dell’art. 10 della CEDU.
2. Alcuni richiami giurisprudenziali.
Con riferimento all’accesso documentale le pronunce del giudice amministrativo hanno, tra l’altro, avuto il compito di riempire di contenuto le disposizioni di cui alla legge n. 241/1990 successivamente modificate nel 2005. Fondamento del diritto di accesso risultano l’interesse del richiedente che deve essere diretto, concreto e attuale e, nel caso in cui vengano in considerazione interessi contrapposti, l’amministrazione dovrà valutare la richiesta di accesso esercitando il suo potere discrezionale.
Il diritto di accesso è una situazione giuridica autonoma e strumentale rispetto appunto ad una situazione giuridicamente tutelata. In giurisprudenza si riscontra una massima ricorrente secondo la quale esso va riconosciuto “a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnazione dell’atto”[8].
La giurisprudenza ha fatto rientrare nella nozione di “situazione giuridicamente tutelata” anche un’aspettativa di diritto, un interesse procedimentale o un interesse materialmente protetto.
E’ stato precisato[9]che a fondare la legittimazione all’accesso è sufficiente la titolarità di una posizione giuridica soggettiva anche meramente potenziale. L’orientamento ha avuto conferma anche in una pronuncia dell’Adunanza Plenaria[10] che ha sottolineato la sufficienza, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, di una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata.
L’esercizio del diritto di accesso non deve però essere riconducibile ad un controllo generalizzato dell’operato della P.A. né ad una mera curiosità dell’istante[11]. Non è configurabile il diritto di accesso per gli atti giudiziari e/o processuali[12]
Circa i limiti che l’art. 24 della legge n. 241/1990 pone e, in particolare, quelli derivanti dal diritto alla riservatezza essi richiedono un attento bilanciamento degli interessi in gioco. In quest’ambito la giurisprudenza si è espressa nel senso della tendenziale prevalenza dell’interesse alla conoscibilità dell’atto. Ciò soprattutto quando l’istanza risulti finalizzata alla cura o alla difesa di propri interessi giuridici.
In quest’ottica si può richiamare una pronuncia relativamente recente[13] che ha riconosciuto il diritto di accesso agli atti (verbali di collaudo e simili) della nave “Costa Concordia” per la tutela delle esigenze difensive del richiedente.
L’Adunanza Plenaria, a distanza di quattro anni, è tornata a occuparsi del diritto di accesso ai dati e ai documenti amministrativi con una significativa pronuncia[14]. Il Supremo consesso amministrativo si è espresso, tra l’altro, sulla qualificazione dell’istanza di accesso. Nel corso del tempo, come si è, seppur brevemente, accennato, alla disciplina generale dell’accesso di cui alla legge n. 241/1990 si sono affiancate altre discipline di accesso alcune di carattere “generale” ovvero l’accesso civico semplice ( D.lgs. 33/2013 ) e generalizzato (D.lgs. 97/2016) ed altre di carattere “speciale”. In quest’ultima categoria si possono richiamare, solo per riportarne alcuni, il diritto di accesso alle informazioni dei consiglieri comunali (D.lgs. 267/2000)[15], l’accesso agli atti delle procedure contrattuali (D.lgs. 50/2016)[16] e l’accesso alle informazioni ambientali (D.lgs. 195/2005)[17].
Ai fini della qualificazione dell’istanza di accesso il primo criterio che viene in considerazione è quello della volontà dell’istante e del correlato divieto per l’amministrazione di integrare d’ufficio la domanda. L’Amministrazione deve però sempre interpretare e qualificare la domanda di accesso per ciò che essa rappresenta nella sua sostanza al fine di capire qual’è il bene della vita a tutela del quale l’istanza è presentata.
La giurisprudenza ha ammesso che il richiedente possa formulare l’accesso attivando distinti procedimenti e l’Adunanza plenaria ha chiarito che, nel caso più problematico, ovvero quello del concorso tra accesso documentale e accesso civico generalizzato “ l’istanza di accesso documentale ben può concorrere con quella di accesso civico generalizzato e la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto all’una che all’altra forma di accesso”[18].
L’Adunanza plenaria, con una successiva pronuncia,[19]ha affrontato una questione centrale: il rapporto tra accesso difensivo e diritto alla riservatezza.
Uno dei quesiti presentati all’esame del Supremo consesso amministrativo era relativo ai documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) ed in particolare se essi siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990
La regola generale, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo la giurisprudenza prevalente è che le esigenze di tutela della segretezza e riservatezza sono recessive rispetto al diritto di accesso difensivo disciplinato dall’art. 24, comma 7, della Legge 241/90, ma non in modo assoluto.
La pronuncia ha chiarito che, in applicazione di quanto disposto dagli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990, anche i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle Entrate, ossia la banca dati reddituale, la banca dati imposte registro e l’archivio dei rapporti finanziari, rientrano, senza particolari dubbi esegetici, nell’ ampia nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605/1973, delle funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria.
Pertanto tutti i documenti amministrativi sono accessibili in ragione di tale loro qualità oggettiva, salve le eccezioni di cui all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste al comma 7 del citato art. 24.
Unica eccezione in ordine ai limiti del diritto di accesso e precisamente al rapporto tra diritto di accesso e riservatezza, è data dall’art. 24 comma 7, che riconosce all’interessato un accesso difensivo, stabilendo che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Ciò porta a concludere che nell’ambito della fattispecie giuridica generale dell’accesso, esistono due fattispecie particolari: l’accesso cosiddetto difensivo e l’accesso partecipativo.
Il primo è fondato sul principio generale della massima trasparenza possibile.
Il secondo ruota intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere, che grava sulla parte interessata, di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario per la cura o la difesa dei propri interessi.
La pronuncia n. 19/2020 ha affermato, tra l’altro, che accesso difensivo e acquisizione processuale sono mezzi di tutela complementari e non alternativi. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, una recente ordinanza[20], ha sottolineato che, ragionevolmente, ciò può essere interpretato nel senso che l’acquisizione della prova deve seguire, per coerenza di sistema, le stesse regole sostanziali. Questo però porterebbe a concludere che amministrazione e Giudice darebbero corso allo stesso tipo di valutazione ma solo quest’ultimo dovrebbe porsi il problema del rispetto di eventuali preclusioni processuali. L’ordinanza rimette quindi all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla definizione dei poteri che spettano all’Agenzia delle entrate per valutare la sussistenza o meno del diritto di accesso a fronte di un’istanza con la quale l’accedente chieda l’ostensione di una determinata documentazione fiscale relativa a terzi.
I dati in possesso dell’anagrafe tributaria, come la Sezione ha sottolineato, consentono di ricostruire vicende patrimoniali rilevanti e, pertanto, è di interesse generale che vi siano regole il più possibile chiare e definite.
La pubblicazione dei dati patrimoniali dei dirigenti è stata oggetto di una ben nota pronuncia della Corte costituzionale[21] che ha circoscritto in un ambito molto ristretto l’obbligo di pubblicazione di tali dati limitandolo ai dirigenti individuati sulla base della titolarità di amplissimi poteri decisori e della nomina diretta dell’organo politico. La Corte ha precisato anche che “appartiene alla responsabilità del legislatore, nell’ambito dell’urgente revisione complessiva della materia, sia prevedere eventualmente, per gli stessi titolari degli incarichi dirigenziali indicati dall’art. 19, commi 3 e 4, modalità meno pervasive di pubblicazione, rispetto a quelle attualmente contemplate dal d.lgs. n. 33 del 2013, sia soddisfare analoghe esigenze di trasparenza in relazione ad altre tipologie di incarico dirigenziale, in relazione a tutte le pubbliche amministrazioni, anche non statali.”.
A seguito dell’intervento della Corte costituzionale l’Anac ha esteso la norma che impone la pubblicazione dei redditi dei dirigenti pubblici anche a soggetti diversi da quelli che ricoprono incarichi apicali. La delibera con la quale l’Anac ha stabilito tale estensione è stata considerata illegittima[22]. Ciò, tra l’altro, in considerazione del fatto che essa avrebbe comportato la raccolta di un numero elevatissimo di dati con un’eccessiva penalizzazione della privacy degli interessati nonché dell’ulteriore profilo relativo all’appesantimento del sistema che non porterebbe ad un concreto ed effettivo beneficio alla trasparenza.
3. Conclusioni.
In linea con quanto accade a livello internazionale il nostro ordinamento sta vivendo un processo di significativa trasformazione e innovazione dei servizi ai cittadini e alle imprese anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie digitali.
L’impatto prospettico dell’evoluzione tecnologica sulla trasparenza dell’azione amministrativa sta avendo e avrà i suoi effetti anche nell’ambito dell’accesso agli atti.
Accesso civico “proprio” e accesso civico generalizzato hanno già portato ad un diritto a conoscere estesissimo ma non illimitato. Sul piano teorico[23]si riscontrano ambiti dell’azione amministrativa che non possono essere oggetto di accesso quali, ad esempio, le mere informazioni che potrebbero in futuro rientrarvi, anche in virtù dell’evoluzione tecnologica alla quale si sta assistendo.
Nello specifico ambito degli appalti pubblici, solo per citarne uno, la digitalizzazione costituisce una delle principali direttrici delle politiche economiche della Commissione europea che, sin dal 2011, ha proposto di rendere obbligatorie le fasi di pubblicazione elettronica (e-notification), di accesso elettronico ai documenti di gara (e -access) e di presentazione elettronica delle offerte (e-submission).
Il D.lg 50/2016 prevede l’introduzione delle nuove tecnologie digitali nei processi di acquisto della pubblica amministrazione, ciò avverrà tramite un decreto sul quale ha reso parere il Consiglio di Stato[24].
In linea generale si può dire che, ad oggi, la pubblica amministrazione si sta ancora“confrontando” con il digitale.
La reale digitalizzazione dei processi infatti richiederà una reingegnerizzazione e l’agire amministrativo conoscerà nuove declinazioni dell’accesso e della trasparenza che, in un’ottica evolutiva, saranno probabilmente destinati ad “incontrarsi” in via definitiva.
La digitalizzazione è poi una delle “macro” aree di intervento individuate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Recovery and resilience plan)[25] e ciò non potrà che portare ricadute anche sull’esercizio del diritto di accesso.
[1]F. Turati, Atti del Parlamento Italiano, Camera dei Deputati, sessione 1904-1908, 17 giugno 1908.
[2]Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato sullo schema di “ decreto trasparenza”, in, www.giustizia-amministrativa.it (sito sul quale sono pubblicate tutte le sentenze amministrative di seguito richiamate).
[3]Cfr. M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto pubblico, Giappichelli 2018, pg. 392 ss.
[4]A. Celotto, La trasparenza e l’accesso ai documenti amministrativi, in, L’attività amministrativa e le sue regole (a trent’anni dalla legge n. 241/1990), La Tribuna 2020, p. 542 ss.
[5]Amplius: G.Paolo Cirillo, Diritto Civile Pubblico, Direkta Edizioni 2018, pg. 1034 ss.
[6]Cfr. A. Marra, La trasparenza degli atti amministrativi tra diritto di accesso e tutela della privacy, in, www.ratioiuris.it; sull’evoluzione della trasparenza nell’ordinamento italiano:F. Lacava, L’accesso civico, in, Trattato di diritto amministrativo – Il nuovo diritto processuale amministrativo (a cura di G.Paolo Cirillo), pg. 1142 ss.
[7]Sul punto: M. Salvadori, Il diritto di accesso all’informazione nell’ordinamento dell’Unione Europea, in, www.dirittoaccesso.it.
[8]Ex multis: Consiglio di Stato, Sez VI, 9 marzo 2011, n. 1492.
[9]TAR Campania, 6 aprile 2012, n. 66.
[10]Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 aprile 2012, n. 7.
[11]Cfr TAR Umbria, 16 settembre 2020, n. 413. La pronuncia trae origine dal ricorso con il quale veniva impugnato un diniego all’accesso finalizzato a conoscere le generalità di un soggetto che aveva segnalato alle Forze dell’Ordine un illecito edilizio. A seguito della segnalazione e del sopralluogo non era stata riscontrata alcuna irregolarità amministrativo e/o penale. Il Collegio ha messo in luce che non si riscontravano documenti o informazioni utili alla tutela di parte ricorrente e, nel respingere il ricorso, sottolineava l’inesistenza di “un interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riconducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso”.
[12]Ex multis: TAR Emilia Romagna-Parma, 10 novembre 2020, n. 198. Il Collegio ha sottolineato la legittimità di un provvedimento con cui il Comune aveva opposto diniego di accesso alle relazioni degli assistenti sociali concernenti le condizioni di vita della figlia minore che risiedeva presso l’abitazione della madre. Ciò in considerazione del dato letterale di cui all’art. 22 comma 1 lett. d) della L. 241/1990 che fa riferimento a procedimenti amministrativi e non a procedimenti giudiziari.
[13]TAR Liguria, 6 marzo 2015, n. 259.
[14]Adunanza Plenaria Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10.
[15]Ex multis si richiama: TAR Toscana, 11 dicembre 2020. La pronuncia, sulla base del testo normativo che viene in considerazione (l’art. 43 comma 2 TUEL) che riconosce ai consiglieri comunali, per il munus ricoperto, il diritto di accesso a tutti gli atti di utilità per l’espletamento delle loro funzioni, ha riconosciuto l’accessibilità di alcuni atti di gestione di una spa partecipata dal Comune.
[16]Il codice dei contratti pubblici prevede l’accesso agli atti delle procedure di gara mediante l’accesso documentale (art. 53) e l’accesso civico (art. 29). Sul punto, tra gli altri: G. Gagliardini, L’accesso civico generalizzato alle procedure di affidamento dei contratti pubblici,in, www.giustizia-amministrativa.it.
I contratti pubblici rivestono un ruolo strategico nell’economia del Paese e sono molteplici gli interessi che vengono in considerazione.
Con stretto riferimento all’accesso agli atti di gara si segnala, in via del tutto incidentale, che, secondo l’orientamento prevalente, va riconosciuta una posizione giuridica differenziata e qualificata anche in capo alle imprese del settore (che viene in considerazione) che non hanno partecipato alla procedura ma che intendono contestare la legittimità di un affidamento diretto. Cfr TAR Catania, 5 marzo 2021, n. 704.
[17]In linea generale il concetto di ‘informazione ambientale’ è da intendersi in un senso estremamente ampio, trattandosi di ‘qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale, con riferimento agli elementi dell’ambiente (ad esempio, aria, acqua, suolo, ecc.), ai fattori, alle misure, alle attività che hanno un impatto su tali elementi (ad esempio disposizioni legislative, piani, programmi) nonchè allo stato di salute e alle condizioni di vita delle persone. Cfr. www.minambiente.it/pagina/laccesso-alle-informazioni-ambientali.
[18]Cfr A. Berti, Note a margine della pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 2 aprile 2020, n. 10: la qualificazione dell’istanza di accesso ai dati e ai documenti amministrativi, in, www.giustizia-amministrativa.it.
[19]Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 settembre 2020, n. 19.
[20]Consiglio di Stato, sez, IV, ordinanza 30 novembre 2020, n. 7514.
[21]Corte costituzionale, 21 febbraio 2019, n. 20, in www.cortecostituzionale.it.
[22]TAR Lazio, 20 novembre 2020, n. 12288.
[23]Cfr. R. Perna, Accesso e trasparenza: due linee destinate ad incontrarsi? in, www.giustizia-amministrativa.it.
[24]Consiglio di Stato, Sez. Consultiva atti normativi, parere 26 novembre 2020, n. 1940, in, www.giustizia-amministrativa.it.
[25]Cfr. Recovery Fund e ruolo della Corte dei conti, n. 1/2021, in, www.corteconti.it.