a) è consentito ai comuni di operare scelte di pianificazione al fine di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all’ambiente urbano;
b) le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, infatti, rispondendo all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi. La diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza, alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699 Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2060);
c) di regola, la anticoncorrenzialità della disposizione preclusiva ricorre allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale (rectius:tali valutazioni costituiscono indici univoci di anticoncorrenzialità).
Pubblicato il 01/06/2018
- 03314/2018REG.PROV.COLL.
- 03385/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3385 del 2017, proposto dalla Società Liguria Immobiliare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Morbidelli, Roberto Righi, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Morbidelli in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, 118;
contro
Comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Paola Pessagno, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14;
nei confronti
Regione Liguria, Citta’ Metropolitana di Genova, A.G.C.M., Soc. Coop Liguria, Soc. G.S.V. Group, società Esaote s.p.a. non costituiti in giudizio;
Talea Soc. di Gestione Immobiliare s.p.a., Coop Liguria S.C.C., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandro Ghibellini, Luigi Piscitelli, Stefano Ghibellini, Silvia Villani, con domicilio eletto presso lo studio Silvia Villani in Roma, via Asiago 8;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 1089/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Genova e della società Coop Liguria S.C.C.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Morbidelli, Roberto Righi, Gabriele Pafundi, Alessandro Ghibellini e Luigi Piscitelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- Con la sentenza in epigrafe appellata, n. 1089 dell’8 novembre 2016, il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria– sede di Genova – ha scrutinato il ricorso –corredato da motivi aggiunti- proposto dalla società Liguria Immobiliare s.r.l. volto ad ottenere:
- a) (ricorso introduttivo del giudizio) l’annullamento del progetto definitivo del P.U.C. di Genova, adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 8 del 4/3/2015, ed in particolare:
– del documento di controdeduzioni alle osservazioni presentate dalla originaria ricorrente alla deliberazione di adozione del progetto preliminare del P.U.C., nella parte in cui aveva respinto parzialmente le osservazioni volte ad ottenere l’inserimento nell’ambito di conservazione AC-IU-1 della destinazione a grande struttura di vendita;
– della “Disciplina delle destinazioni d’uso” relative all’ambito AC-IU-1 laddove, mantenendo la previsione del progetto preliminare di P.U.C., non consentiva tra le funzioni ammesse quelle relative all’insediamento delle grandi strutture di vendita;
– dell’art. 17, comma 2, delle N.T.A. del P.U.C., che rinviava a tale disciplina;
– della deliberazione del consiglio regionale della Liguria n. 31 del 17/12/2012, pubblicata sul B.U.R. n. 52 del 27/12/2012, recante il regolamento di attuazione della l.r. 1/2007 ed in particolare del paragrafo 5 di essa;
– della deliberazione del consiglio comunale di Genova n. 30/2013, di ricognizione e presa d’atto degli effetti sul P.U.C. vigente e sul progetto preliminare di P.U.C. derivanti dall’entrata in vigore della deliberazione della Giunta regionale n. 31 del 17/12/2012;
- b) (ricorso per motivi aggiunti) l’annullamento del P.U.C. di Genova definitivamente approvato, a seguito di conferenza di servizi decisoria del 4/11/2015, con determinazione dirigenziale n. 2015-118.0.0-18 del 27/11/2015, in vigore dal 3/12/2015, ed in particolare:
– del documento di controdeduzioni alle osservazioni presentate dalla originaria ricorrente il 15/6/2015;
– della “Disciplina delle destinazioni d’uso” relative all’ambito AC-IU-1 laddove, mantenendo la previsione del progetto definitivo di P.U.C., non prevedeva tra le funzioni ammesse quella relativa all’insediamento delle grandi strutture di vendita;
– delle deliberazioni del consiglio comunale di Genova n. .42/2015, di approvazione di tali controdeduzioni, e n. 57/2015, di approvazione del P.U.C..
- La società originaria ricorrente aveva proposto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
- Il comune di Genova e la società controinteressata Coop si erano costituiti in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità ovvero la reiezione del ricorso.
- Il Ta.r. con la predetta sentenza n. 1089 ha innanzitutto fatto presente che:
- a) la società originaria ricorrente era proprietaria dell’immobile “ex officine Fiat”, ubicato nel comune di Genova, in via Piave, ed aveva stipulato un accordo con la società Esselunga s.p.a., in forza del quale quest’ultima si era impegnata a prendere in locazione l’immobile suddetto, a condizione che la disciplina urbanistica vi consentisse l’insediamento di una grande struttura di vendita: era già stato rilasciato (e successivamente prorogato al 1° giugno 2017) il permesso di costruire per la realizzazione di un intervento di adeguamento tecnologico e funzionale dell’immobile in questione:
- b) senonchè il progetto preliminare del nuovo P.U.C. di Genova, adottato con deliberazione consiliare n. 92 del 7 dicembre 2011, aveva incluso l’area “ex officine Fiat” nell’ambito di conservazione AC-IU-1, nel quale le destinazioni d’uso ammesse non contemplavano le grandi strutture di vendita: la precedente proprietaria dell’immobile (la società Liguria Gas s.r.l.) aveva presentato osservazioni allo scopo di consentire, attraverso la revisione della pertinente disciplina paesistica e l’eliminazione del limite massimo di superficie di vendita autorizzabile, l’inserimento di una grande struttura di vendita nell’area de qua, ma l’amministrazione aveva respinto tali osservazioni con il progetto definitivo di P.U.C., adottato con deliberazione consiliare n. 8 del 4 marzo 2015;
- c) le controdeduzioni comunali avevano sostenuto la coerenza della contestata previsione pianificatoria con la disciplina del PTCP che collocava l’immobile in questione in ambito SU (“strutture urbane qualificate”) ove era esclusa l’insediabilità di grandi strutture di vendita.
- d) con il progetto definitivo di P.U.C., adottato con deliberazione consiliare del 4 marzo 2015, era stata confermata la preclusione all’insediamento di grandi strutture di vendita nell’ambito in questione;
- e) a questo punto, la società Liguria Immobiliare s.r.l., subentrata nella proprietà del bene, aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, dolendosi del progetto adottato del nuovo P.U.C., e del regolamento regionale che non consentiva l’apertura di grandi strutture di vendita nelle aree classificate SU dal PTCP;
- f) a seguito di opposizione del comune di Genova, il ricorso era stato trasposto in sede giurisdizionale: con motivi aggiunti la predetta società aveva impugnato in parte qua il P.U.C. definitivamente approvato con determinazione dirigenziale del 27 novembre 2015, in quanto esso aveva mantenuto la preclusione all’insediamento di grandi strutture di vendita nell’area in questione.
4.1. Il T.a.r., con la impugnata sentenza, ha in via preliminare:
- a) partitamente esaminato –respingendole nel merito- le plurime eccezioni di inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità e carenza di legittimazione passiva, a vario titolo articolate dalle parti originarie resistenti;
- b) dichiarato la parziale l’improcedibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, con cui era stato domandato l’annullamento del regolamento regionale in materia di commercio al dettaglio, nella parte in cui stabiliva il divieto di apertura di grandi strutture di vendita negli ambiti classificati SU dal PTCP, e delle Norme generali di piano che contenevano un rinvio a tale disciplina, in quanto nelle more del giudizio era sopravvenuta una nuova regolamentazione regionale, approvata con deliberazione consiliare del 23 febbraio 2016, che aveva fatto venir meno il limite suddetto, per cui a disciplina paesistica non poneva più limiti diretti all’insediamento di una grande struttura di vendita nell’area di proprietà della società originaria ricorrente.
4.2. Il T.a.r. ha quindi esaminato la prima censura contenuta nel ricorso introduttivo, incentrata sulla asserita la violazione dei principi e delle disposizioni normative (art. 31 del d.l. n. 201/2011) che imponevano di rimuovere ogni ostacolo urbanistico all’insediamento delle attività commerciali non giustificato da esigenze di tutela dei “valori sensibili” indicati dal legislatore.
Di tale censura ha affermato la infondatezza, in quanto:
- a) l’art. 31, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, e l’art. 1, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2012, n. 27, consentivano l’adozione di discipline restrittive dell’insediamento di attività commerciali, soltanto in presenza di motivi imperativi di interesse generale: ciò doveva riguardare anche l’attività di pianificazione urbanistica;
- b) in tale prospettiva, assumeva un ruolo determinante lo scrutinio della motivazione delle scelte pianificatorie;
- c) nel caso di specie, le ragioni sottese alla scelta in contestazione potevano essere desunte dalle articolate controdeduzioni (la “motivazione procedimentale”) con cui l’amministrazione aveva respinto, per due volte, le osservazioni del privato;
- d) nel caso di specie, era infatti accaduto che:
- I) con riferimento alle previsioni del progetto preliminare di P.U.C, la precedente proprietaria dell’immobile, con nota del 7 maggio 2012, aveva formulato (oltre ad una osservazione intesa alla revisione della disciplina paesistica di livello puntuale che non aveva più attualità, stante la sopravvenienza della deliberazione consiliare del 23 febbraio 2016), una osservazione tendente all’eliminazione del limite massimo di superficie di vendita netta autorizzabile (1.500 mq) e del divieto di apertura di nuove grandi strutture di vendita;
- II) questa era stata disattesa in rapporto alla classificazione dell’area effettuata dal PTCP: ma essendo venuti meno i vincoli suddetti, tale “motivazione procedimentale” non aveva più rilievo nel giudizio di legittimità, sebbene alcuni rilievi di carattere sostanziale ivi contenuti (in ordine agli afflussi veicolari provocati dalle grandi strutture di vendita ed all’impatto che queste ultime producono sulla qualità urbana) potessero ritenersi insiti anche nel contenuto delle successive controdeduzioni;
III) dopo l’adozione del progetto definitivo di P.U.C., l’originaria ricorrente aveva presentato ulteriori osservazioni ai sensi dell’art. 40 della legge regionale Liguria n. 36/1997, proponendo che fosse consentito l’insediamento di una grande struttura di vendita nell’edificio di proprietà;
- IV) esse, però erano state respinte, per un duplice ordine di ragioni:
1) per garantire “la qualità e la vivibilità” degli ambiti urbani a carattere prevalentemente residenziale, dovevano esserne escluse le attività commerciali dotate di maggiore impatto su un territorio già densamente edificato, sicché non vi potevano essere insediate le grandi strutture di vendita, fatta eccezione per le zone che risultassero già dotate o che erano destinate ad essere dotate di una dotazione infrastrutturale adeguata;
2) perché tali strutture non erano compatibili, in particolare, con gli ambiti AC-IU (“ambito di conservazione dell’impianto urbanistico”), in ragione dell’impatto che esse producevano sulla “trama infrastrutturale” e dell’ampia dotazione di parcheggi richiesta;
- f) se la prima architrave della motivazione reiettiva era certamente illegittima, non tale appariva, invece, il secondo profilo ostativo: la avversata limitazione doveva ritenersi – infatti- adeguatamente giustificata, con riferimento ai soli ambiti AC-IU (aree urbane di pregio, intensamente edificate, nelle quali l’insediamento di attività particolarmente impattanti quali le grandi strutture di vendita, che necessitavano di un’ampia dotazione di parcheggi, si sarebbe tradotto in un pregiudizio della qualità e della “vivibilità” del contesto).
4.2. Il T.a.r. poi, nel prosieguo della sentenza, ha irrobustito la motivazione reiettiva, rilevando che:
- a) non sussisteva la pretesa violazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 104 del 18 aprile 2014, in quanto la avversata prescrizione del Puc non presentava i caratteri di assolutezza che avevano indotto la Corte costituzionale a censurare la normativa regionale della Valle d’Aosta n. 5 del 2013, nella parte in cui quest’ultima aveva disposto che nei centri storici fossero vietati l’apertura e il trasferimento di sede delle grandi strutture di vendita
- b) del pari, doveva essere respinto il secondo motivo di ricorso, con cui era stata denunciata la asserita violazione dei principi in tema di ricupero del patrimonio edilizio desumibili dall’art. 3 bis del d.P.R. n. 380/2001 e recepiti anche tra gli obiettivi del P.U.C. di Genova, in quanto tale tesi era necessariamente recessiva a fronte delle esigenze di tutela dei “valori sensibili” (nella specie, dell’ambiente urbano) che, potevano determinare legittime limitazioni all’insediamento di particolari tipologie di esercizi commerciali, ed in ogni caso il rilievo non era conferente alla fattispecie, poiché l’immobile suddetto non era stato dismesso ed, anzi vi erano attualmente ubicate due concessionarie automobilistiche.
- La società Liguria Immobiliare s.r.l., originaria ricorrente rimasta integralmente soccombente ha proposto un articolato appello (depositato il 10.5.2017) avverso la suindicata sentenza, riproponendo le censure già prospettate nel ricorso di primo grado (attualizzandole rispetto alla motivazione dell’impugnata sentenza reiettiva), ed in particolare sostenendo che:
- a) l’immobile del quale la società Liguria Immobiliare s.r.l. era proprietaria (“ex Officine Fiat” ubicato nel comune di Genova) aveva sempre avuto una destinazione produttivo-commerciale, essendo stato realizzato nel 1925 come “Garages Riuniti FIAT” su un’area di proprietà della casa automobilistica sino dal 1912-1914 ed ospitando ancora alcune concessionarie di case automobilistiche;
- b) detto immobile, disponendo al suo interno di una superficie di parcheggi di almeno mq 7800, per la sua morfologia si prestava ad essere trasformato in una G.S.V. di mq 2600 semplicemente con la realizzazione di opere interne, sostanzialmente prive di rilievo edilizio;
- c) la sentenza di primo grado aveva accertato l’avvenuta cessazione della materia del contendere con riferimento alla impugnazione del regolamento regionale n.31/2012, dal che discendeva l’inesistenza di motivi imperativi di interesse generale preclusivi dell’insediamento di una G.S.V. all’interno dell’immobile suddetto (ciò a cagione della sopravvenuta deliberazione regolamentare 23 febbraio 2016 n.6 della regione Liguria che aveva eliminato in termini generali il divieto di apertura di una G.S.V. nelle zone B classificate come S.U. -Struttura Urbana Qualificata);
- d) la motivazione di rigetto delle osservazioni articolata dal comune di Genova era di natura generale ed apodittica: erroneamente il T.a.r. l’aveva riconosciuta tale soltanto in parte: essa avrebbe dovuto essere integralmente censurata;
- e) era stato infatti disposto un divieto di insediamento “per intere zone“, che collideva con i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.104 del 2014: v’era una perfetta analogia tra la norma della “legge provvedimento” regionale in quella sede censurata dalla Corte Costituzionale e quella originariamente contenuta nel par. 5 della D.C.R. 31/2012, tradottasi poi nel divieto specifico per le aree AC-IU-1 del P.U.C.; infatti, per le aree S.U., il P.U.C. di Genova non prevedeva alcuna possibilità di deroga che consentisse l’insediamento di una G.S.V. per le aree ed i contenitori edilizi aventi una adeguata dotazione infrastrutturale ( come era il caso delle “ex officine Fiat”), il che equivaleva a dire che vigeva un divieto assoluto;
- f) le aree definite S.U. dal P.T.C.P. erano di amplissima estensione (pari a circa 246,6 km quadrati) coprendo porzioni significative della città di Genova cosicchè, nell’ottica pro-concorrenziale dei d.l. 201/2011 e 1/2012, risultava in contrasto col principio di stretta proporzionalità della limitazione estendere un siffatto divieto ad intere zone urbanistiche di dimensioni così vaste;
- g) per altro verso, anche il mero richiamo alla zonizzazione del P.T.C.P. da parte della D.C.R. 31/2012 era irrilevante e non idoneo a giustificare il divieto di apertura di G.S.V. contenuto nel P.U.C. impugnato in parte qua, anche perché ai fini della restrizione attinente alle aree aventi il regime S.U., non si poteva invocare la rilevanza in senso impeditivo di eventuali prescrizioni riferibili ai contenuti del PTC della regione, approvato con la deliberazione del Consiglio Regionale n° 95/1992 ovvero del PTCP approvato con DCP 1/2002, stante la loro anteriorità rispetto all’art. 31 del Dl. 201/2011 ed all’art.1 del Dl. 1/2012;
- h) parimenti illegittimo era anche l’art. 17 n° 2 delle norme generali del P.U.C. in quanto
anche il rinvio ai limiti di zonizzazione di carattere commerciale inseriti nella normativa per i singoli ambiti e distretti del P.U.C. contrastava con la iniziativa di liberalizzazione e pro-concorrenziale recepita in Italia (artt. 31 e 34 del Dl. n.201/2011 e 1 del Dl. n.1/2012);
- i) il T.a.r. non aveva tenuto conto (lR Liguria n. 36/ 1997) della natura bifasica del procedimento di approvazione del Puc ed avrebbe dovuto esaminare il “progredire” della motivazione reiettiva complessiva del comune: appariva invece evidente l’errore in cui era incorso il giudicante, che aveva limitato il proprio scrutinio alla sola motivazione in parte qua del P.U.C. approvato (il che era illogico, posto che esso aveva confermato il divieto già introdotto con il Progetto Definitivo Adottato); era stato obliato che il divieto di insediamento di G.S.V. per l’area di Viale Piave aveva visto quindi il succedersi ben tre controdeduzioni, tutte confermanti lo stesso limite ma ciascuna diversa dall’altra in termini motivazionali (il che denotava la inidoneità di esse, soprattutto di quella rilevante di cui alla D.C.C. 42/2015);
- l) risultava altresì fondato l’originario secondo motivo del ricorso di primo grado, in quanto, la circostanza che il contenitore edilizio ex “Garages Riuniti Fiat” attualmente ospitasse due concessionarie automobilistiche in via di dismissione, non poteva impedire la riqualificazione urbanistica del medesimo e risultava quindi violato l’art. 3-bis, del dPR n. 380/2001;
- m) la sentenza aveva straripato rispetto al sindacato di legittimità, incentrando la statuizione reiettiva su –non consentite-valutazioni di merito.
6.In data 14.6.2017 il comune di Genova si è costituito con atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello.
- In data 7.7.2017 la originaria società controinteressata Coop Liguria s.c. si è costituita con atto di stile chiedendo la reiezione dell’appello ed in data 6.4.2018 ha depositato una memoria, deducendo che:
- a) con la determinazione dirigenziale n. 2017-118.0.0.-6 del 3.4.2017, il comune di Genova, per consentire l’applicazione della disciplina transitoria prevista dall’art.13 della legge regionale n. 18/2016, in materia di commercio, aveva provveduto alla definizione delle aree riconducibili alla definizione di “centri storici urbani” di cui all’art. 26, comma 3 ter, della legge regionale n. 1/2007; la legge regionale n. 18/2016 prevedeva la possibilità per i comuni di individuare una fascia della profondità massima di 1.000 metri dal perimetro dei centri storici urbani compresi nei piani vigenti in zona A, ex dM n. 1447/1968, dove potevano essere insediati esclusivamente esercizi di vicinato e medie strutture di vendita … con superficie netta non superiore a 1000 metri quadrati, e nella disciplina transitoria di cui all’ art. 13, lett. b), disponeva che, fino alla individuazione della predetta fascia di 1.000 metri da parte dei Comuni, “viene individuata una fascia di profondità pari a 800 metri lineari”; la determina dirigenziale del 3 aprile 2017, eseguendo una ricognizione dei “nuclei storici” presenti sul territorio, aveva consentito l’applicazione della disciplina transitoria, con la conseguente preclusione dell’insediamento di MSV superiori a 1.000 metri o, a maggior ragione, di GSV, entro la fascia di 800 metri dai confini nei suddetti nuclei: posto che il complesso immobiliare di Via Piave in cui l’appellante aveva interesse ad insediare una GSV si trovava nella fascia degli 800 metri dai confini degli ambiti che la menzionata determina del Comune assimilava alle zone A del DM n. 1447/1968, era evidente che era sopravvenuta una preclusione al soddisfacimento di tale aspirazione e che, quindi, il ricorso di primo grado proposto dalla società originaria ricorrente era divenuto improcedibile (e ciò era comprovato dalla circostanza che la società predetta aveva dovuto impugnare la detta determina proponendo autonomo ricorso, al T.a.r. r.g.n. 404/2017 tutt’ora pendente);
- b) nel merito, l’appello era comunque infondato e doveva essere disatteso.
- In data 9.4.2018 la società Liguria Immobiliare s.r.l. ha depositato una memoria, puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
- In data 18.4.2018 la società Coop Liguria ha depositato una memoria di replica, puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
- In data 19.4.2018 la società Liguria Immobiliare s.r.l. ha depositato una memoria di replica, puntualizzando e ribadendo le proprie difese.
- Alla odierna pubblica udienza del 10 maggio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
- L’appello è infondato e deve essere respinto con conseguente conferma dell’impugnata decisione.
1.1. In via preliminare, al fine di perimetrare il materiale cognitivo e le censure esaminabili, si fa presente che:
- a) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., il Collegio farà esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno del ricorso in appello e già proposte in primo grado (senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali- cfr. ex plurimis Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);
- b) non v’è contrasto sulla ricostruzione fattuale, anche cronologica –e giuridica- della vicenda processuale, e posto che il Collegio condivide in via di principio la ricostruzione normativa e giurisprudenziale contenuta nella sentenza impugnata, il Collegio farà integrale riferimento in parte qua alle affermazioni del primo Giudice, in ossequio al principio di cui all’art. 64 comma 2 del cpa, ed al principio di sinteticità dei provvedimenti giurisdizionali;
- c) le amministrazioni intimate in primo grado (delle quali soltanto il comune di Genova ebbe a costituirsi) e la società Coop Liguria non hanno impugnato in via incidentale i capi della sentenza di primo grado che hanno respinto le eccezioni preliminari e pertanto su tali profili è calato il giudicato: esse neppure hanno riproposto motivi assorbiti ex art. 101 comma II del c.p.a., dal che discende che le questioni esaminabili sono unicamente quelle contenute nell’appello proposto dalla società Liguria Immobiliare s.r.l. ; è del pari passata in giudicato la statuizione di parziale improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, a cagione della nuova regolamentazione regionale, approvata con la deliberazione consiliare del 23 febbraio 2016, in ordine alla quale la società originaria ricorrente non ha articolato censure;
- d) a cagione della mancata impugnazione incidentale della sentenza da parte delle amministrazioni intimate in primo grado, devono ritenersi del pari coperte dal giudicato le affermazioni contenute nei capi 3, 5 e 6 della impugnata decisione, in punto di insussistenza di prescrizioni regionali sovraordinate ostative alla realizzazione della struttura, e di (parziale) “anticoncorrenzialità” di alcune parti della motivazione reiettiva opposta dal comune di Genova alle controdeduzioni presentate dalla società odierna appellante.
- Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), è prioritaria la disamina dell’eccezione di improcedibilità dell’originario ricorso di primo grado in forza di ragioni diverse da quelle positivamente riscontrate dal T.a.r (articolata dalle società originarie controinteressate Coop Liguria s.c.c. e Talea s.p.a nella memoria in ultimo depositata).
2.1. Essa appare al Collegio infondata, in quanto:
- I) si fonda su atti e provvedimenti sopravvenuti alla emissione dei provvedimenti impugnati, (ancorché anteriori alla sentenza di primo grado) ed essi -seguendo il canone “tempus regit actum”– non spiegherebbero efficacia decisiva sulla controversia-;
- II) non eliderebbe l’interesse della parte originaria ricorrente ad impugnare detti atti, eventualmente a fini risarcitori, per cui, a tutto concedere, dovrebbe operare il disposto di cui all’art. 34 comma III del c.p.a.;
III) più radicalmente, ed in termini assorbenti, come lealmente ammesso dalle società originarie controinteressate Coop Liguria s.c.c. e Talea s.p.a, la società odierna appellante ha impugnato la determina comunale che, in tesi, impedendo la realizzazione delle aspettative della predetta, determinerebbe la sopravvenuta improcedibilità del ricorso di primo grado proposto nell’ambito dell’odierno giudizio: posto che il detto processo di primo grado è ancora pendente, giammai si potrebbe dichiarare l’improcedibilità dell’odierno giudizio; al più dovrebbe eventualmente ravvisarsi una relazione di (possibile) interferenza che potrebbe condurre alla sospensione (non già necessaria, ex art. 295 c.p.c., ma facoltativa, ex art. 337, comma 2, c.p.c.) dell’odierno processo che però il Collegio non ritiene sussistere, non ravvisando il necessario rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra i detti giudizii.
2.2. L’appellante non ha infine interesse a contestare (come in ultimo avvenuto nella memoria di replica, depositata il 19 aprile 2018) l’ammissibilità delle difese articolate dalle controinteressate società private, in quanto le stesse non introducono in giudizio argomenti ulteriori rispetto a quelli prospettati dall’ appellato comune, e peraltro trattasi di soggetti che furono evocati in primo grado dalla stessa società originaria ricorrente.
- Così risolte le problematiche di natura pregiudiziale, ed accertato che non esistono ostacoli alla possibilità di pervenire alla decisione di merito, può adesso passarsi alla disamina delle (censure contenute nell’appello.
3.1. Osserva in proposito il Collegio, che:
- a) la necessità di fare riferimento ad una nozione ampia e funzionalizzata del concetto di “governo del territorio” è stata a più riprese affermata dalla Sezione, anche di recente, e costituisce indirizzo dal quale il Collegio non intende discostarsi ( tra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 22/02/2017, n. 821 “il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita ex art. 117 comma 3, Cost.alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune, – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse; al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli -e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti-, ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati; tali finalità, più complessive dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” -art. 1-, non solo nell’assetto ed incremento edilizio dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”; in definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.”): la nozione ampia di “governo del territorio”, comportando la potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda, a cascata, sulla potestà amministrativa dei comuni in subiecta materia;
- b) come è noto, nel sistema giuridico italiano all’ente Comune è tradizionalmente affidata la funzione amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117 comma III della Costituzione) che esso esercita, di regola attraverso una duplice direttrice ( tra le tante Cons. Stato Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3888 “in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel relativo piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, occorre differenziare tra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata, tra cui rientrano le norme di cd. zonizzazione; di destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre regole che disciplinano più in dettaglio l’esercizio dell’attività edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze; la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati usi; l’assolvimento di oneri procedimentali e documentali ecc.: “).
3.2. Se questo è il quadro generale, occorre avvertire che la giurisprudenza si è a più riprese interrogata sulla “tenuta” e sulla complessiva compatibilità di tali principi con le numerose innovazioni legislative (talune anche conseguenti a determinazioni comunitarie) sopravvenute medio tempore, che hanno dettato discipline “particolari” con riferimento a variegate tipologie di insediamenti (esempio: quelli dedicati alla produzione di energia da fonti rinnovabili, le strutture di vendita etc.)
3.2.1. Con più specifica aderenza alla tematica oggetto di esame, il Collegio non intende decampare dai principi di recente affermati dalla decisione della Sezione n. 2026 del 2017 (peraltro resa con riferimento all’insediamento di una struttura di vendita in un comune della regione Liguria) nell’ambito della quale si è affermato che “oggetto della presente controversia è la verifica della compatibilità dei limiti imposti dagli atti della pianificazione urbanistica con i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione.
La premessa di fondo è che la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali.
La questione, pertanto, involge tipicamente un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio (cfr. Corte giustizia UE, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 345; sez. II, 24 marzo 2011, n. 400); esigenze che, per l’appunto, devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (in argomento da ultimo, proprio in materia di apertura di strutture di vendita e di rapporti fra la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE, c.d. Bolkestein, v. Corte cost., 25 febbraio 2016, n. 39; Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860; 13 gennaio 2014, n. 70).
7.1.3. Nel caso di specie, dalla piana lettura degli atti impugnati – ed in particolare di quelli contestati con il terzo atto di motivi aggiunti (la determina dirigenziale finale del 9 aprile 2015, conforme alla delibera di Consiglio comunale del 26 febbraio 2015 ed al decisivo parere dell’Ufficio urbanistica in data 9 febbraio 2015) – è dato evincere che l’amministrazione comunale ha posto a base del diniego di procedibilità sei autonome ragioni, tutte incentrate proprio sui motivi imperativi di interesse generale presi in considerazione dall’art. 31, co. 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, concernenti la tutela dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano.
A ciò l’amministrazione comunale si determinava, peraltro, anche in esecuzione – come dalla stessa puntualmente ricordato – della circolare 13 marzo 2013 (prot. n. PG/2013/42712) della Regione Liguria, volta a stabilire i principi cardine da osservare nella nuova programmazione commerciale ed urbanistica, approvata con deliberazione di Consiglio regionale n. 31/2012, tra cui spiccano: a) quello di previamente verificare se nel vigente strumento urbanistico (PUC o PRG o PdF) siano già individuate le aree compatibili con l’insediamento delle gradi strutture di vendita o attività ad esse assimilate (come i parchi commerciali); b) quello di consentire l’insediamento di quelle strutture che, sole, insistono nelle aree, zone o edifici che abbiano una specifica destinazione a ciò deputata.
Avuto, pertanto, riguardo alla specifica ed oggettivamente apprezzabile ragione ostativa opposta dall’amministrazione locale (l’avere già previsto, nell’ambito del territorio comunale, in rapporto al tessuto urbano ed insediativo, altra area deputata ad ospitare le dette strutture di vendita), non può che concludersi nel senso della compatibilità delle criticate limitazioni urbanistiche e programmatorie rispetto agli obiettivi di tutela del territorio e dell’ambiente, ivi compreso quello urbano, nel perseguimento di esigenze attinenti a motivi imperativi di pubblico interesse (il corretto uso del territorio, il bilanciamento del carico urbanistico, la preservazione dal consumo esasperato di suolo, la valorizzazione del bacino di utenza), prescindendo del tutto, la decisione impugnata, da valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale.”.
3.3.Alla stregua dei superiori principi, la sintesi che ne può discendere è la seguente:
- a) è consentito ai comuni di operare scelte di pianificazione al fine di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all’ambiente urbano;
- b) le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, infatti, rispondendo all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi. La diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza, alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699 Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2060);
- c) di regola, la anticoncorrenzialità della disposizione preclusiva ricorre allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale (rectius:tali valutazioni costituiscono indici univoci di anticoncorrenzialità).
3.3.1. Il quadro normativo che rileva nella presente fattispecie, si compone dunque delle seguenti disposizioni (che affidano alle regioni ed ai comuni penetranti poteri di programmazione in materia):
- a) in via generale, dall’art. 31 comma 2 del d.L.6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 che stabilisce che “ secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, liberta’ di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la liberta’ di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attivita’ produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessita’ di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”;
- b) dal combinato-disposto degli artt. 6 comma 1 e 2 (“1. Le regioni, entro un anno dalla data di pubblicazione del presente decreto definiscono gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali, perseguendo i seguenti obiettivi.”
- Le regioni, entro il termine di cui al comma 1, fissano i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale, affinché gli strumenti urbanistici comunali individuino:
- a) le aree da destinare agli insediamenti commerciali ed, in particolare, quelle nelle quali consentire gli insediamenti di medie e grandi strutture di vendita al dettaglio;
- b) i limiti ai quali sono sottoposti gli insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici, culturali e ambientali, nonché dell’arredo urbano, ai quali sono sottoposte le imprese commerciali nei centri storici e nelle località di particolare interesse artistico e naturale;
- c) i vincoli di natura urbanistica ed in particolare quelli inerenti la disponibilità di spazi pubblici o di uso pubblico e le quantità minime di spazi per parcheggi, relativi alle diverse strutture di vendita;
- d) la correlazione dei procedimenti di rilascio della concessione o autorizzazione edilizia inerenti l’immobile o il complesso di immobili e dell’autorizzazione all’apertura di una media o grande struttura di vendita, eventualmente prevedendone la contestualità.”) e 9 comma 5 (“5. La regione adotta le norme sul procedimento concernente le domande relative alle grandi strutture di vendita; stabilisce il termine comunque non superiore a centoventi giorni dalla data di convocazione della conferenza di servizi di cui al comma 3 entro il quale le domande devono ritenersi accolte qualora non venga comunicato il provvedimento di diniego, nonché tutte le altre norme atte ad assicurare trasparenza e snellezza dell’azione amministrativa e la partecipazione al procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche.”) del d.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 si evince che alle Regioni sono affidati poteri di regolamentazione che i comuni devono ricondurre a sistema nella fase di programmazione urbanistica;
- d) le suddette disposizioni sono rafforzate, sotto il profilo procedimentale ma anche sostanziale, dalle disposizioni contenute nei primi due (residui) commi dell’art. 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2012, n. 27 (“1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di liberta’ di iniziativa economica sancito dall’articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell’Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo:
- a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione comunque denominati per l’avvio di un’attivita’ economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalita’;
- b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attivita’ economiche non adeguati o non proporzionati alle finalita’ pubbliche perseguite, nonche’ le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalita’ economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalita’ pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attivita’ economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori gia’ presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalita’, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.
- Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attivita’ economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalita’ di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata e’ libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunita’ tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla liberta’, alla dignita’ umana e possibili contrasti con l’utilita’ sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.” ).
3.4.Tali poteri affidati all’ente comunale non sono quindi, illimitati in quanto incontrano un doppio ostacolo:
- a) è vietata ogni previsione limitativa che si risolva in una discriminazione dettata a fini di tutela di altre categorie di esercizi commerciali;
- b) è necessario verificare se i limiti imposti dagli atti di pianificazione urbanistica possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime.
3.5.Una importante chiarificazione in proposito può trarsi dall’autorevole insegnamento della Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 104 del 18 aprile 2014, ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 25 febbraio 2013, n. 5.
Sulla base di quanto argomentato dalla Corte nel considerando n.6, pur con riferimento alla legislazione regionale, la Sezione ritiene che sia possibile enucleare un principio generale, riferibile anche alla normativa urbanistica comunale, e in particolare alle disposizioni comunali preclusive di natura urbanistica dettate da puntuali disposizioni amministrative contenute negli strumenti di pianificazione generale, in forza del quale non è consentita la previsione di divieti di natura assoluta, incentrati sulla “qualità” dell’area comunale ove si intende installare la struttura commerciale, in quanto tali divieti potrebbero al più conseguire da una valutazione “individualizzata” e specifica delle caratteristiche dell’area e, al contempo, degli inconvenienti cui darebbe luogo la installazione, in detta area, di una struttura di vendita del genere di cui si discorre.
3.6. La verifica in ordine alla legittimità dei limiti imposti dalle prescrizioni urbanistiche, quindi, va effettuata in concreto, e deve tenere conto delle specificità delle problematiche relative al territorio comunale nel quale aspira ad insediarsi l’operatore commerciale; dal che consegue che una pianificazione urbanistica che vieti l’installazione di simili strutture in parti del territorio comunale sulla sola scorta della zonizzazione alle stesse impresse di regola non risponde ai requisiti di congruenza con i parametri sopra individuati, in quanto si risolve in un generalizzato divieto.
Ovviamente, ciò non impedisce però che il divieto possa essere disposto con riferimento a più aree peculiari del territorio comunale, accomunate da particolari caratteristiche che si appalesano omogenee tra loro (si immagini aree di particolare rilievo ambientale) e sulle quali le grandi e medie strutture di vendita ( che di regola comportano problemi di natura omogenea e/o simile tra loro: incremento del traffico, necessità di aree a parcheggio, necessità di potenziamento delle infrastrutture viabilistiche, etc) impattino negativamente, rischiando di compromettere detti valori.
In tali casi, infatti, la valutazione “individualizzante” avviene a monte, ed essa non è, per tal via, censurabile, sempre che, ovviamente, le aree prese in esame presentino le caratteristiche che ne rendono necessario un elevato sistema di protezione.
3.7..Era certamente nel giusto quindi, ad avviso del Collegio, il T.a.r., allorché ha sostenuto che fosse necessario verificare se, “nei casi concreti, le previsioni urbanistiche che formano oggetto della contestazione giurisdizionale perseguano effettivamente finalità di tutela dell’ambiente urbano (o di altri “valori sensibili”) oppure siano state adottate allo scopo di svolgere, attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle attività commerciali, un inammissibile ruolo “calmieratore” nel settore del commercio” e che tale verifica dovesse svolgersi, principalmente, tenendo in considerazione quali fossero state le controdeduzioni con cui l’amministrazione aveva respinto, per due volte, le osservazioni proposte dalla ditta, una prima volta, con riferimento alle previsioni del progetto preliminare di P.U.C e, la seconda volta, con riferimento all’adozione del progetto definitivo di P.U.C..
3.7.1. Ora, nel caso in esame, il T.a.r. ha correttamente rilevato che:
- a) era possibile esaminare il fluire e l’evolversi della motivazione reiettiva esternata dal comune di Genova rispetto alle controdeduzioni proposte dalla società originaria ricorrente alle prescrizioni di piano preclusive delle proprie aspirazioni tenendo presente entrambe le “giustificazioni” che, in tempi diversi, il comune di Genova aveva prospettato;
- b) ciò era conforme al “disegno” procedimentale del Puc – che certamente emerge dalla legislazione ligure- quale succedersi di atti coordinati, ciascuno dei quali si pone in relazione di continuità con il successivo.
3.8. Il punto centrale (ed unico, per quanto si è prima chiarito) della motivazione reiettiva del T.a.r riposa nell’affermazione della legittimità della “giustificazione” comunale secondo cui le strutture per cui è causa non sarebbero “ compatibili, in particolare, con gli ambiti AC-IU (“ambito di conservazione dell’impianto urbanistico”), in ragione dell’impatto che esse producono sulla “trama infrastrutturale” e dell’ampia dotazione di parcheggi richiesta.”.
- Il Collegio non condivide le critiche che l’appellante muove alla statuizione reiettiva del T.a.r. per le seguenti, assorbenti, considerazioni.
4.1. E’ innanzitutto nella sostanza neutra, ai fini della risoluzione della controversia, la dedotta circostanza secondo cui –a cagione della particolare conformazione dell’immobile, che già possiede una rilevante dotazione di aree adibite a garage che potrebbero essere utilizzate come parcheggio- la destinazione a GSV non richiederebbe altro che l’effettuazione di opere interne: nell’ipotesi di richiesta di autorizzazione relativa agli insediamenti per cui è causa – come è noto – la tipologia e natura delle opere da eseguirsi sull’immobile per renderlo adatto agli usi commerciali in oggetto costituisce, almeno di regola, un aspetto di non prioritaria importanza; invero le problematiche che simili insediamenti pongono, riposano semmai nell’impatto che il rilevante afflusso di visitatori e clienti crea sull’ambiente circostante, l’assetto viabilistico, le dotazioni di standards, etc.
4.2. Nel caso in esame, l’analisi del T.a.r. – muovendo dalla incontestata circostanza che la zona ove insiste l’immobile della odierna appellante è un ambito AC-IU – ha analizzato il “significato” che il comune di Genova ha attribuito a tale classificazione, ed ha fatto presente che detti ambiti integrano una specificazione delle zone SU (“Aree urbane: strutture urbane qualificate”) del PTCP, assoggettate al regime normativo di mantenimento “in quanto trattasi di ambiti urbani di ampie dimensioni che si distinguono dal contesto per caratteri di particolare pregio paesistico-ambientale, tali da identificarli come componenti significative della morfologia urbana” (cfr. art. 36, comma 1, delle Norme di attuazione del PTCP) tanto che i successivi commi del predetto art. 36 delle N.t.a. del PTCP vietano che ivi vengano eseguiti “interventi che compromettano l’identità e l’identificazione di tali testimonianze e la leggibilità dell’assetto territoriale preesistente a cui esse rinviano” .
4.3. Ora, non sembra al Collegio né arbitrario né discriminatorio che il comune, nell’ambito della propria discrezionalità pianificatoria (non irragionevolmente esercitata, visto che non è stato contestato né che in generale le zone del territorio comunale classificate quali ambiti AC-IU possiedano effettivamente dette caratteristiche, né – quel che più rileva- che l’area per cui è causa sia connotata dalle dette peculiarità) abbia ritenuto di assoggettare dette porzioni di territorio comunale a vincoli stringenti, finalizzati a mantenere inalterate dette caratteristiche.
4.3.1. Le doglianze prospettate dall’appellante, non sono ad avviso del Collegio accoglibili, in quanto:
- a) quelle incentrate su una presunta contraddittorietà della motivazione (nella parte in cui il T.a.r. ha richiamato il PTCP) non colgono che il richiamo al suddetto strumento pianificatorio regionale contenuto nella sentenza ha un valore unicamente descrittivo delle caratteristiche dell’area, visto che al capo 3 la impugnata decisione si era premurata di chiarire che le previsioni regionali non rivestivano (più) valenza preclusiva;
- b) quelle incentrate sul difetto di istruttoria obliano che, in questo caso, l’istruttoria è stata fatta a monte, allorchè l’area in questione è stata classificata quale ambito AC-IU;
- c) quelle sulla “astrattezza” e “generalità” delle prescrizioni preclusive (e sulla conseguente anticomunitarietà delle stesse, in tesi collidenti anche con le affermazioni rese dalla Corte Costituzionale reso con la decisione n. 104 del 18 aprile 2014 prima richiamata), trascurano di porre in risalto che, nel caso in esame, non si è al cospetto di una preclusione generalizzata, ma questa è stata dettata con riferimento (unicamente) a particolari aree del territorio comunale, in possesso di peculiari caratteristiche;
- d) una volta che non è risultato smentito che l’area per cui è causa possieda quelle caratteristiche peculiari sottese alla classificazione suddetta, ed una volta che non risulta contestato che l’impatto che una struttura del genere di quella per cui è causa potrebbe produrre sull’area suddetta, anche in ragione dell’assenza in capo alla medesima di una potenziata/adeguata dotazione infrastrutturale, sembra al Collegio che:
I)”cada” l’argomento (peraltro genericamente evocato) anticomunitario in quanto non si ha alcuna discriminazione, e men che meno fondata su un favor verso esercizi commerciali diversamente strutturati;
- II) risulti inaccoglibile altresì l’argomento incentrato sulle affermazioni della Corte costituzionale contenute nella sentenza n. 104 del 18 aprile 2014 che si è prima citata, in quanto non ci si trova al cospetto di disposizioni preclusive a carattere assoluto ma, semmai, il divieto è fondato sulle caratteristiche peculiari di una determinata (e limitata) area del territorio comunale che risulta accomunata ad aree dello stesso genere e presentanti le medesime specificità;
III) posto, poi, che ogni impugnazione proposta deve essere valutata nei limiti dell’interesse dell’impugnante, sembra al Collegio che i suindicati argomenti critici siano non persuasivi anche e soprattutto tenuto conto della circostanza che la società impugnante non deduce che l’area non possieda le caratteristiche di “pregio” dalle quali discende la classificazione impressavi di guisa che le censure rivolte all’operato del comune comunque non intaccano un giudizio di non abnormità della prescrizione che, in quella singola area, vieta l’installazione della struttura di vendita.
4.3.2. Sembra infine non favorevolmente delibabile, ad avviso del Collegio, la tesi secondo cui ci si troverebbe al cospetto di una motivazione “progressiva”, sempre incentrata su una finalità discriminatoria, successivamente integrata da (generici, in tesi) riferimenti “urbanistici”: è semmai vero il contrario, in quanto le “prime” risposte comunali alle controdeduzioni, non dovevano incentrarsi sull’argomento urbanistico, in quanto tale profilo risultava “coperto” dalla previsione regionale; una volta venuta meno quest’ultima, è logico che il comune abbia incentrato le proprie controdeduzioni sul profilo paesistico puntuale contenuto nel Puc.
4.4. Non ritiene, in ultimo, il Collegio che la prescrizione sinora esaminata violi – siccome sostenuto nel secondo motivo di appello – la disposizione di cui all’art. 3 bis del d.P.r. n. 380/2001 inserita dall’articolo 17, comma 1, lettera b), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164 (“1. Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non piu’ compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l’amministrazione comunale puo’ favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata e senza aumento della superficie coperta, rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialita’ e del buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facolta’ del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario.”): in disparte la facoltatività delle deliberazioni comunali, insite nella stessa formulazione del detto articolo del TUEdilizia, è evidente che la clausola “rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialita’ e del buon andamento dell’azione amministrativa.” implica che la iniziativa di riqualificazione che deve essere favorita non possa non tenere conto delle peculiarità e specificità dell’area, e debba essere contemperata con eventuali valori alla stessa superiori, o quantomeno pariordinati: nel caso di specie non risulta vietata in assoluto la riqualificazione, ma essa –unicamente- non può svolgersi attraverso l’installazione di una struttura che non contemperi le esigenze prima individuate in quanto, all’evidenza, importa, a tacer d’altro, un rilevante incremento del carico insediativo: sembra al Collegio che anche in questo caso non sia ravvisabile alcuna abnormità od irragionevolezza della disciplina impressa sull’area.
- Conclusivamente, alla stregua delle superiori, assorbenti considerazioni, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata merita integrale conferma.
- Quanto alle spese processuali del grado, esse seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante società deve essere condannata a corrisponderle al comune di Genova, nella misura che appare equo determinare in Euro cinquemila (€ 5000//00) oltre oneri accessori, se dovuti, mentre possono essere compensate nei confronti della Regione e delle altre parti processuali tenuto conto dell’attività difensiva espletata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, e per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.
Condanna l’appellante società al pagamento delle spese processuali del grado in favore del comune di Genova, nella misura di Euro cinquemila (€ 5000//00) oltre oneri accessori, se dovuti, e le compensa nei confronti della Regione e delle altre parti processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Nicola D’Angelo, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Fabio Taormina | Filippo Patroni Griffi | |
IL SEGRETARIO