Esclusione dalla gara d’appalto per omessa dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 38 Codice degli appalti.

La pronuncia in commento si rileva altamente interessante sia per quanto concerne l’interpretazione dell’art. 38 del codice degli dei contratti pubblici che dell’art. 75 del D.P.R 445/2000.
In relazione al primo profilo con la sentenza de qua il Supremo Consesso della G.A. ha affermato il principio che nelle dichiarazioni sostitutive da produrre nel corso di una procedura di appalto non va indicato il reato che d’ufficio avrebbe dovuto essere dichiarato estinto in base alla disciplina penal processuale vigente all’epoca dei fatti, avuto riguardo alla maturazione del termine per disporre la riabilitazione, in considerazione del fatto che quando un determinato effetto giuridico si verifichi per decorso inattivo del tempo, esso si verifica ope legis al momento in cui siano per legge maturate le condizioni idonee a produrre quel determinato effetto.

In particolare nell’ipotesi di specie si trattava del reato di allontanamento senza autorizzazione previsto dall’art. 147 Cod. pen. mil. di pace, per essere giunto in ritardo all’appello, commesso nel lontano 1974, sotto la vigenza del Codice Rocco. Il Consiglio di Stato pertanto, applicando la disciplina processuale penale vigente ratione temporis, è giunto a tale conclusione, sulla base del rilievo che l’art. 578 di tale codice in ordine alla estinzione del reato e delle pene stabiliva “Qualora si sia verificata l’estinzione del reato o della pena, il giudice che ha pronunciato la condanna emette anche d’ufficio in Camera di Consiglio la relativa dichiarazione (…). Se non si è provveduto al modo sopra indicato o se è stata respinta un’istanza del condannato, questi o il Pubblico Ministero può promuovere mandato di esecuzione a termine degli articoli 628 e seguenti”.
Si evidenzia al riguardo che, a differenza della disciplina processuale penale vigente, che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, l’articolo 578 del previgente codice Rocco obbligava il Tribunale medesimo ad attivarsi per la pronuncia di estinzione dopo il decorso di cinque anni dalla pronuncia di condanna, per cui la parte che abbia confidato nell’adempimento del Tribunale a tale dovere non è tenuta a dichiarare il reato (ritenuto estinto) ai sensi dell’art. 38 del codice dei contratti pubblici.

In tal senso, ad avviso del Consiglio di Stato, deporrebbe anche il comma 1, lettera c) e comma 2 di tale disposto normativo, secondo il quale il concorrente non è tenuto ad indicare le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna o nel caso di revoca della condanna.

Avendo riguardo alla disciplina di estinzione del reato ratione temporis vigente pertanto il Consiglio di Stato ha in primo luogo escluso l’applicabilità ad essa dei principi giurisprudenziali relativi alla necessità della richiesta della estinzione ad opera della parte interessata, formatisi con riferimento all’istituto della riabilitazione ed estinzione dei reati dettata dal c.p.p. Vassalli in vigore dal 1989.

In secondo luogo ha peraltro evidenziato come, anche sotto la vigenza dell’art. 676 del codice Vassalli, come interpretato dalla giurisprudenza penale più attenta, (Cass. Pen. Sez. V, 14 maggio 2015, n. 20068; Cass. Sez. unite 30 ottobre 2014, n.2), deve ritenersi che l’effetto estintivo del reato operi ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo, senza necessità di alcun provvedimento, non rilevando in senso contrario l’attribuzione al giudice dell’esecuzione della competenza a decidere in merito all’estinzione del reato dopo la condanna. In particolare con la sentenza n. 2 del 2014 le Sezioni Unite della Cassazione, seppure con riferimento al tema dell’indulto, hanno ritenuto che quando un determinato effetto giuridico si
verifichi per decorso inattivo del tempo, esso si verifica ope legis al momento in cui siano per legge maturate le condizioni cui è condizionato l’effetto.
In tale prospettiva il provvedimento dichiarativo dell’estinzione avrebbe un effetto meramente ricognitivo di un effetto già verificatosi (vale a dire un carattere meramente dichiarativo e non costituivo).

In tal senso, ad avviso del Consiglio di Stato, deporrebbero anche i principi comunitari, in quanto l’automatismo degli effetti dell’estinzione del reato si porrebbe in coerenza con i principi comunitari di ragionevole durata dei processi, sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile, evincibili dagli articoli 5 e 6 CEDU .

In relazione al secondo profilo il Consiglio di Stato ha interpretato il disposto dell’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000, in base al quale “…il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera…” nel senso che la decadenza è volta a sanzionare non la mera dichiarazione falsa, ma la dichiarazione non veritiera, finalizzata a conseguire una qualche utilità, con conseguente irrilevanza delle falsità irrilevanti rispetto al conseguimento di quel beneficio.

Al riguardo si è evidenziata l’inutilità dell’omessa dichiarazione di un reato previsto dal codice penale militare di pace, commesso quarant’anni prima (e quinti ritenuto estinto) che in ogni caso, non incidendo sulla moralità professionale del dichiarante, non avrebbe potuto portare alla esclusione dalla gara, quand’anche fosse stato dichiarato.

Il principio al riguardo affermato dal Consiglio di Stato sembra invero riecheggiare l’istituto del falso innocuo, quale enucleato dalla giurisprudenza penalistica che ha al riguardo evidenziato che sussiste il “falsoinnocuo” quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio
e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’attofalsovenga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica. (ex multis Cass. Sez. 5, Sentenza n. 47601 del 26/05/2014 con cui la S.C. ha ritenuto corretta la decisione impugnata la quale aveva ravvisato la sussistenza del reato di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico nella falsa dichiarazione, resa in occasione dello svolgimento di una procedura di appalto pubblico, di possedere i requisiti richiesti dall’art. 38, comma secondo, lett. c), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, per la partecipazione alla gara).

Infine, ad avvalorare tale interpretazione, del combinato disposto degli artt. 38 del codice dei contratti pubblici e dell’art. 75 D.P.R. 445/2000 il Consiglio di Stato ha fatto leva su un’interpretazione evolutiva, evidenziando che l’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, come integrato dalla legge n. 114 del 2014, nell’introdurre il comma 2 bis, consentirebbe la sanabilità attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria, dell’erroneità o omissione delle dichiarazioni attestanti i requisiti generali e che sebbene tale norma per il principio del tempus regit actum non sia applicabile al caso di specie, deporrebbe comunque nel senso di una interpretazione della medesima consona con il principio del favor partecipationis .

A tale stregua dovrebbe in ogni caso ritenersi che la completezza della dichiarazione debba essere valutata in relazione alla sostanziale rilevanza o meno dell’errore o omissione, da bilanciare con l’affidamento dei concorrenti sulla legge di gara e sull’eventuale integrazione.

La pronuncia in commento, considerata nel suo complesso, sembra richiamare anche il principio, di derivazione comunitaria, di proporzionalità dell’azione amministrativa, di cui il Consiglio di Stato ha fatto di recente applicazione con altra recente pronuncia, del pari relativa all’applicazione dell’art. 38 del codice dei
contratti pubblici, ovvero la sentenza della IV sez, 13/10/2015, n. 4711 con cui si è affermato il principio secondo il quale l’art. 38, comma 1, lett. c, d.lg. 12 aprile 2006, n. 163 relativo al requisito della moralità professionale va letto nel senso che costituiscono condizioni, perché nelle gare pubbliche l’esclusione consegua alla condanna, la gravità del reato e il riflesso dello stesso sulla moralità professionale dell’operatore economico in modo che, al fine di apprezzare il grado di moralità del medesimo, in applicazione del principio comunitario di proporzionalità, assumono rilevanza la natura del reato ed il contenuto del contratto oggetto della gara, senza eccedere quanto è necessario a garantire l’interesse dell’Amministrazione di non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano l’adeguata moralità professionale.

Dott.ssa Diana Caminiti magistrato T.A.R. Campania, Napoli, specializzata in diritto e procedura penale

N. 05192/2015REG.PROV.COLL. N. 02544/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2544 del 2015, proposto dalla Ott Art s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, in proprio e quale mandante del costituendo raggruppamento temporaneo tra la Ott Art, Corvallis S.p.A. a socio unico, Tasca Aldo e ETT s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Bruna Lazzerini e Michela Reggio D’Aci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Michela Reggio D’Aci in Roma, via degli Scipioni, n. 288;

contro

Comune di Monfalcone, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi, Luigi Manzi e Gianni Zgagliardich, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5; Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria per legge, con ufficio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

IKON s.r.l., Arti & Mestieri s.r.l., Insiel Mercato S.p.A., Graphic Service s.r.l.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia – Sezione I n. 678 del 31 dicembre 2014, resa tra le parti, concernente affidamento degli allestimenti del museo della cantieristica e restyling del sito web;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monfalcone e di Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2015 il Consigliere Doris Durante;
Uditi per le parti gli avvocati Bruna Lazzerini, Michela Reggio D’Aci, Luigi Manzi, Gianni Zgagliardich e l’Avvocato dello Stato Barbara Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- Con bando di gara pubblicato nel mese di dicembre 2012 il Comune di Monfalcone indiceva una procedura aperta per l’affidamento “dell’esecuzione degli allestimenti del museo della cantieristica, dei percorsi tematici del quartiere di Panzano, del completamento e restyling del sito web” per l’importo a base d’asta di euro 836.000,00 di cui euro 9.836,55 per oneri della sicurezza, da aggiudicarsi secondo il criterio

dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il disciplinare di gara stabiliva che i concorrenti dovevano redigere la domanda di partecipazione alla gara seguendo il modello di cui all’allegato A al disciplinare. L’allegato A – per quanto di interesse – al punto 14) prevedeva che i concorrenti completassero la dichiarazione dando atto del reato commesso e dell’articolo del codice penale di riferimento.
L’articolo 11 del disciplinare, recante le Principali cause di esclusione dalla gara, stabiliva che costituivano cause di esclusione quelle previste dall’articolo 38 del codice dei contratti pubblici, ovvero testualmente “soggetti che versano in una delle situazioni di esclusione previste dall’art. 38 del codice”.
2.- Alla gara partecipavano due soli concorrenti.
Risultava aggiudicatario provvisorio il raggruppamento costituito da Corvallis S.p.A. a socio unico (capogruppo), Ott Art s.r.l., Tasca Aldo e ETT s.r.l. (mandanti).
3.- Il Comune di Monfalcone in sede di controllo della documentazione rilevava che “la dichiarazione sostitutiva resa dal Carrer Leonardo ai sensi del DPR 445/2000 in merito al possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lettera c) del d. Lgs n. 163/2006, è risultata non veritiera, all’esito dei rituali accertamenti d’ufficio disposti dall’Amministrazione Appaltante”e avviava il procedimento preordinato alla dichiarazione di decadenza dalla aggiudicazione provvisoria.

Il riferimento era al certificato del casellario giudiziale n. 17160/2013/R acquisito su richiesta del Comune di Monfalcone che riportava la trascrizione a carico di Carrer Leonardo di una sentenza di condanna per la quale non risultava annotata la estinzione.

La s.r.l. Ott Art e Carrer Leonardo contestavano tale decisione evidenziando che il reato annotato sul certificato del casellario giudiziale n. 17160/2013/R risaliva all’anno 1974 (41 anni prima) e riguardava un reato del codice penale militare di pace.

Si trattava di un reato commesso dal Carrer a 19 anni durante il servizio militare per essere giunto in ritardo all’appello, con conseguente contestazione del reato di allontanamento senza autorizzazione previsto dall’articolo 147 del codice penale militare di pace, la cui condanna avrebbe dovuto essere dichiarata estinta dall’autorità giudiziaria d’ufficio sin dal 1984 alla stregua dell’articolo 578 del codice processuale al tempo vigente (codice Rocco) e che comunque, in data 9 aprile 2014 era intervenuta la pronuncia di estinzione del reato.

4.- Il Comune di Monfalcone, in considerazione della peculiarità della situazione rappresentata, chiedeva, unitamente alla parte ricorrente, parere all’Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici che confermava la legittimità del procedimento per la declaratoria di decadenza sulla base della giurisprudenza in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico dell’amministrazione ad acquisire dai concorrenti le
dichiarazioni complete di tutti i reati commessi e di tutte le condanne subite senza possibilità di omettere qualsivoglia reato (parere del 5 maggio 2014).
5.- Con provvedimento del 16 maggio 2014, il Comune di Monfalcone comunicava l’esclusione dell’a.t.i. Corvallis per la mancata dichiarazione del reato da parte di Carrer Leonardo, inviava le segnalazione del fatto all’AVCP ed alla Procura della Repubblica e escuteva la polizza per la cauzione provvisoria di euro 8.360,00.

6.- Ott Art s.r.l. nella qualità in atti proponeva ricorso al TAR Friuli Venezia Giulia per l’annullamento della disposta esclusione e degli atti conseguenti e con motivi aggiunti impugnava la determina dirigenziale n. 49 del 22 gennaio 2015 con la quale il Comune di Monfalcone aveva dichiarata deserta la procedura (era stato escluso anche l’altro concorrente per fatto analogo).

7.- Il TAR Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 678 depositata il 31 dicembre 2014 respingeva il ricorso introduttivo sulla considerazione che: a) il d. lgs. n. 163 del 2006 non distinguerebbe tra codice penale e codice penale militare ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 38; b) l’allegato A avrebbe richiesto la dichiarazione di tutte le condanne penali riportate senza fare alcun distinguo; c) sarebbe pacifica la discrasia tra la dichiarazione resa da Carrer e il certificato del casellario allo stesso riferito.

8.- Ott Art s.r.l. nella qualità in atti ha impugnato la suddetta sentenza chiedendone l’annullamento o la riforma.
In via pregiudiziale solleva:
a) questione ex articolo 267 TUCE con riferimento alla interpretazione dell’articolo 5, comma 4 del TUE (principio di proporzionalità) ed agli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (regole di concorrenza) anche in relazione agli articoli 21, 24, 41 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (recanti, rispettivamente, il principio di non discriminazione, il diritto a
una buona amministrazione ed i principi di legalità e proporzionalità dei reati e delle pene), all’articolo 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (diritto ad un equo processo), nonché in relazione alla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno, con specifico riferimento agli articoli 1 (oggetto), 15 (requisiti da valutare) 16 (libera prestazione dei servizi) e 20 (non discriminazione);

b) questione di legittimità costituzionale della disciplina di cui al combinato disposto dell’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i. e dell’articolo 75 del DPR n. 445 del 2000, così come interpretati dalla stazione appaltante, rispetto agli articoli 23, 97 e 117, comma V della Costituzione, anche in relazione all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche ed al principio generale di ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni amministrative (recepito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 689 del 1981), al principio di inutile aggravio del procedimento di cui all’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. ed alla disciplina sulla privacy di cui alla legge n. 196 del 2003 anche in relazione all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e all’articolo 97 della Costituzione.

Nel merito deduce:
1) erroneità ed inopportunità della sentenza; violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 e dell’articolo 578 del R.D. 19 ottobre 1939, recante il codice di procedura penale Rocco; violazione e falsa applicazione dell’articolo 97 della Costituzione anche in relazione all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (principio di buona amministrazione); eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, perplessità, errore di fatto e di diritto; difetto di istruttoria; sviamento, in quanto in base alla norma processuale applicabile ratione temporis era l’amministrazione giudiziaria a doversi attivare in via principale per la dichirazione di estinzione;
2) erroneità ed inopportunità della sentenza; violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 e degli articoli 75 e 76 del d.p.r. n. 445 del 2000 in relazione all’articolo 483 del codice penale (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, anche in relazione all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. ed al principio generale di ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni amministrative (recepito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 689 del 1981), nonché in relazione agli articoli 6 e 7 della CEDU;

3) erroneità ed inopportunità della sentenza; violazione e falsa applicazione degli articoli 75 e 76 del d.p.r. n. 445 del 2000 in relazione all’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 ed ai principi di ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni amministrative (recepito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 689 del 1981);

4) erroneità ed inopportunità della sentenza; violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma 2 bis del d. lgs. n. 163 del 2006 come introdotto dalla legge n. 114 del 2014, anche in relazione al principio del favor rei di cui all’articolo 25 della Costituzione e all’articolo 2, comma 4, del codice penale in vigore;

5) erroneità ed inopportunità della sentenza per omessa considerazione di un fatto determinante ai fini della decisione e per mancata insufficiente o non corretta valutazione dei motivi di ricorso; errore di fatto e di diritto; ingiustizia manifesta; violazione della lex specialis; violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006; violazione dell’articolo 45 della Direttiva 2004/18/CE; eccesso di potere; falso presupposto; errore di fatto e di diritto; difetto di istruttoria; violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990; difetto di motivazione; violazione dell’articolo 46 del d. lgs. n. 163 del 2006; eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per violazione del principio di proporzionalità;

6) erroneità ed inopportunità della sentenza per mancata insufficiente o non corretta valutazione dei motivi di ricorso; errore di fatto e di diritto; ingiustizia manifesta; violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006;
violazione dell’articolo 71 e dell’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000; violazione dell’articolo 46 del d. lgs. n. 163 del 2006; difetto di istruttoria; ingiustizia manifesta.
L’appellante ha formulato anche l’istanza di risarcimento del danno in forma specifica e, ove impossibile, di risarcimento per equivalente.

9.- L’ANAC Autorità Nazionale Anticorruzione, costituitasi in giudizio, ha precisato che il pregiudizio lamentato dalla ricorrente non deriva dal parere dell’AVCP, atteso che tale Autorità svolge mera funzione consultiva, senza imporre alcunché alle amministrazioni che ne chiedano il parere sul singolo caso e ha concluso per il rigetto dell’appello, non essendo superabile la disposizione del codice dei contratti che dispone l’esclusione per l’omessa dichiarazione delle condanne riportate, senza distinguere sulla fonte del reato, se costituita dal codice penale o dalle leggi complementari o dal codice penale di pace o di guerra.

10.- Si è costituito in giudizio il Comune di Monfalcone che ha confutato tutte le censure dedotte, assumendo che la stazione appaltante non sarebbe legittimata a fare alcuna valutazione rispetto al reato erroneamente omesso dal dichiarante che imporrebbe alla stessa di procedere obbligatoriamente all’esclusione del concorrente e alla escussione della cauzione.

11.- Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica e, alla pubblica udienza del 21 luglio 2015, il giudizio è stato assunto in decisione e su richiesta del Comune di Monfalcone si è provveduto alla pubblicazione anticipata del dispositivo della sentenza ai sensi degli articoli 119, comma 5 e 120, commi 3 e 11, cod. proc. amm..

12.- L’appello è fondato e va accolto.
13.- Assume la società appellante che il TAR non avrebbe in alcun modo considerato che la violazione dell’articolo 38 del codice dei contratti pubblici
contestata non sussisteva alla luce della disposizione dell’articolo 578 del codice di procedura penale applicabile alla fattispecie ratione temporis.
La censura è fondata.
L’articolo 578 del codice di procedura penale vigente al tempo della commissione del reato (c.d. Codice Rocco approvato con il R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399 e rimasto in vigore fino al 1989) in ordine alla estinzione del reato e delle pene stabiliva “Qualora si sia verificata l’estinzione del reato o della pena, il giudice che ha pronunciato la condanna emette anche d’ufficio in Camera di Consiglio la relativa dichiarazione (…). Se non si è provveduto al modo sopra indicato o se è stata respinta un’istanza del condannato, questi o il Pubblico Ministero può promuovere mandato di esecuzione a termine degli articoli 628 e seguenti”.

In sostanza, a differenza della disciplina processuale penale vigente che impone solo alla parte di attivarsi in vista della dichiarazione di estinzione, l’articolo 578 del previgente codice Rocco obbligava il Tribunale medesimo ad attivarsi per la pronuncia di estinzione del reato a decorrere da cinque anni dopo la sentenza di condanna risalente nel caso all’anno 1974.

Ebbene alla luce della disciplina pubblicistica citata l’autorità giurisdizionale aveva il dovere di procedere alla dichiarazione di estinzione di quel reato, la cui condanna risaliva a quarant’anni prima.
L’inadempimento a tale dovere che il signo Carrer riteneva fosse stato svolto non è irrilevante in relazione alla non addebitabilità della mancata estinzione al Carrer che legittimamente ha confidato che da tempo il reato fosse stato dichiarato estinto, sicché non sussisteva alcun obbligo di dichiararlo.

In tal senso depone, infatti, l’articolo 38, comma 1, lettera c) e comma 2, del codice dei contratti pubblici, secondo il quale il concorrente non è tenuto ad indicare le condanne quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la
riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna o nel caso di revoca della condanna.
13.1- Orbene la circostanza che la condanna di cui trattasi comminata quarant’anni fa, ricadeva quanto alla disciplina della estinzione del reato sotto la vigenza del codice processuale Rocco, la caratterizza per la atipicità ed esclude l’applicabilità ad essa dei principi giurisprudenziali relativi alla necessità della richiesta della estinzione da parte della parte interessata formatasi con riferimento all’istituto della riabilitazione ed estinzione dei reati dettata dal codice penale e processuale Vassalli in vigore dal 1989.

Comunque, anche in vigenza dell’articolo 676 del codice penale Vassalli si è evidenziato dalla giurisprudenza più attenta, che l’effetto estintivo operi ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo e non abbisogni di alcun provvedimento, non rilevando in contrario l’attribuzione al giudice dell’esecuzione della competenza a decidere in merito all’estinzione del reato dopo la condanna (Cass. Pen. Sez. V, 14 maggio 2015, n. 20068; Cass. Sez. unite 30 ottobre 2014, n.2).

In particolare con la sentenza n. 2 del 2014 le Sezioni Unite della Cassazione, seppure con riferimento al tema dell’indulto, hanno ritenuto maggiormente coerente con i criteri ermeneutici che sottendono il codice processuale il principio secondo cui, quando un determinato effetto giuridico si verifichi per decorso inattivo del tempo, esso si verifica ope legis al momento in cui siano per legge maturate le condizioni cui è condizionato l’effetto.

Corollario di tale approccio ermeneutico è che il provvedimento dichiarativo dell’estinzione, successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi, resta estraneo ai fini dell’estinzione del reato e si pone in funzione meramente formale e ricognitiva di un effetto già verificato, nel mentre l’automatismo degli effetti dell’estinzione del reato si pone in coerenza con i principi comunitari di
ragionevole durata dei processi, sollecita definizione e di minor sacrificio esigibile, evincibili dagli articoli 5 e 6 CEDU.
L’applicazione di tale criterio ermeneutico al caso di specie, comporta che l’estinzione del reato si era verificata già prima del formale provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione il 9 aprile 2013, sicché la dichiarazione resa da Carrer Leonardo non era falsa o non veritiera laddove non dichiarava la condanna di cui trattasi.

14.- Comunque, anche prescindendo da tale criterio ermeneutico, nel caso di specie non è dato ravvisare, diversamente dalla sentenza impugnata, la mancata dichiarazione contestata al Carrer del reato risultante dal casellario giudiziario, trattandosi di reato che d’ufficio avrebbe dovuto essere dichiarato estinto in base alla disciplina vigente all’epoca dei fatti e alla data di maturazione del termine per disporre la riabilitazione e non essendo di conseguenza implausibile che il reato fosse stato dichiarato estinto d’ufficio e quindi estraneo all’obbligo della dichiarazione di cui all’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006.

15.- La questione della falsa dichiarazione è oggetto del terzo motivo di appello, con il quale la società appellante deduce l’erroneità della sentenza per erronea interpretazione dell’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 sulla considerazione che “la norma in parola deve essere ragionevolmente intesa come preordinata a sanzionare chi renda dichiarazioni false in vista di ottenere un certo beneficio e non certo chi renda dichiarazioni non veritiere senza dolo e che, per la loro stessa natura, non siano in alcun modo idonee a far conseguire il beneficio..”.

Invero, il tenore dell’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000, in base al quale “…il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera…” presuppone che la dichiarazione non veritiera sia finalizzata a conseguire una qualche utilità.
Infatti la disciplina dell’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 è volta a sanzionare l’accertamento della non veridicità di dichiarazioni rese al fine di beneficiare di un determinato provvedimento e non certo la falsità di una dichiarazione del tutto irrilevante rispetto al conseguimento di quel beneficio.

Nel caso è effettivamente difficile individuare l’utilità cui è finalizzata la omessa dichiarazione di un reato previsto dal codice penale militare di pace, commesso quarant’anni prima e che non incidendo sulla moralità professionale del dichiarante non avrebbe potuto portare alla esclusione dalla gara, quand’anche fosse stato dichiarato.

In conclusione, non essendo implausibile che il reato di cui trattasi fosse estinto alla stregua dell’articolo 578 del Codice di procedura penale al tempo vigente, non è di conseguenza nemmeno configurabile l’obbligo della dichiarazione e, quindi, la fattispecie della dichiarazione falsa o non veritiera di cui all’articolo 75 del d.p.r. n. 445 del 2000.

16.- Da ultimo non può non considerarsi che l’articolo 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, come integrato dalla legge n. 114 del 2014 che ha introdotto il comma 2 bis, consente la sanabilità attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria dell’erroneità o omissione delle dichiarazioni attestanti i requisiti generali.

Seppure tale norma per il principio del tempus regit actum non si applica al caso di specie, tale apertura del legislatore porta a riflettere su principi quali il favor partecipationis nella considerazione che la completezza della dichiarazione debba essere valutata in relazione alla sostanziale rilevanza o meno dell’errore o omissione da bilanciare con l’affidamento dei concorrenti sulla legge di gara e sull’eventuale integrazione.

17.- Quanto sin qui esposto, assorbito ogni altro motivo, comporta l’accoglimento dell’appello, con riforma della sentenza impugnata.
E’ stretta conseguenza dell’annullamento della disposta decadenza dall’aggiudicazione provvisoria la doverosità dell’aggiudicazione in favore della ricorrente, così come richiesta dall’appellante con la domanda risarcitoria, non configurandosi allo stato degli atti alcuna causa preclusiva, essendo stata dichiarata deserta la gara e non risultando che l’amministrazione nelle more del giudizio abbia indetto una nuova gara.

Le spese di giudizio, attesa la peculiarità della controversia, vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno, Presidente Carlo Saltelli, Consigliere
Doris Durante, Consigliere, Estensore Nicola Gaviano, Consigliere Fabio Franconiero, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE