Corte Cost., 21 novembre 2022, n. 233 – SCIARRA Pres. – ANTONINI Red.

È incostituzionale l’art. 6 della legge di stabilità finanziaria per il 2016 della Regione Sicilia, laddove prevede la copertura di una spesa non sanitaria – in quanto inerente alle rate di un prestito statale – con risorse destinate ai Livelli Essenziali di Assistenza.

Corte Costituzionale – Sanità Pubblica – Norme della Regione Sicilia – Livelli Essenziali di Assistenza – Bilancio – Parificazione – Illegittimità costituzionale

di Gianclaudio Festa[1]

Questa sentenza, destinata a diventare una pietra miliare sulla delicata tematica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), scaturisce dal giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge di stabilità finanziaria per il 2016 della Regione Sicilia, promosso dalle Sezioni riunite in speciale composizione con l’ordinanza n. 1/2022/DELC del 17 gennaio 2022 (relatori Sucameli e Luberti).

Essa ha una innegabile valenza sociale, stabilendo il divieto di deviare risorse correnti destinate al finanziamento dei LEA per la copertura di altre spese, anche nel caso in cui dovessero avere natura sanitaria.

Procedendo a una ricostruzione storica, è necessario partire dalle Legge finanziaria 2008 [2], la quale, all’art. 2, comma 46, autorizzava lo stato ad anticipare alle Regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia “la liquidità necessaria per l’estinzione dei debiti contratti sui mercati finanziari e dei debiti commerciali cumulati fino al 31 dicembre 2005”.

Le regioni interessate erano tenute a “restituire, in un periodo non superiore a trenta anni, le risorse ricevute” (comma 47).

Si trattava del secondo intervento nel corso dello stesso anno,[3] per un totale di oltre 12.000 milioni di euro messi a disposizione di regioni i cui servizi sanitari attraversavano un evidente periodo di difficoltà, avendo accumulato debiti ingenti.

Gli accordi intercorrenti tra lo Stato e la Regione prevedevano che, a decorrere dal 2008 e per trent’anni, venisse individuato nel bilancio regionale un importo finalizzato al rimborso delle somme ricevute, e che un provvedimento legislativo per la copertura pluriennale del prestito fosse adottato a pena di nullità dell’accordo.[4]

In ossequio a tale disposizione, la Regione Sicilia, con l.reg. 21 agosto 2007, n. 17, disponeva l’impegno trentennale a versare 185 milioni l’anno nelle casse statali (art. 7 comma 4), disponendo a copertura il gettito derivante dalle tasse automobilistiche di spettanza regionale (art. 7 comma 5).

La Consulta, tuttavia, nella sentenza in oggetto, nella ricostruzione della situazione di diritto fa notare come questa copertura sia valsa solo per le prime due rate di restituzione del prestito, giacché nel periodo 2010/2015, a seguito di un accordo con lo Stato,[5] il prelievo è stato reindirizzato sul Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).

Esaurita, tuttavia, l’operatività di tale previsione, l’art. 6 della l.reg. n. 3 del 17 marzo 2016 ha previsto, a partire da quello stesso esercizio finanziario, l’utilizzo di una quota del Fondo sanitario per la copertura delle rate residue del prestito.[6]

Tale disposizione è alla base dell’odierno giudizio di Costituzionalità.

Le Sezioni riunite per la Regione siciliana, chiamate a decidere sulla parificazione del rendiconto generale della Regione siciliana per l’esercizio 2019, con decisione del 2 luglio 2021, n. 6, si erano pronunciate positivamente, pur sottolineando la presenza di numerose irregolarità nel bilancio, in particolare alcune spese disimpegnate dal “perimetro sanitario” prescritto dal d.lgs. 118/2011[7].

Il Procuratore generale presso la Regione siciliana proponeva ricorso avverso tale decisione, e, successivamente a tale impugnazione, il Pubblico ministero presentava a sua volta ricorso, contestando la definizione di “perimetro sanitario” e reputando che la Regione avesse illegittimamente incluso in tale ambito anche le spese relative al prestito sopra individuato, ritenute non inerenti a prestazioni sanitarie.

La procura individuava la responsabilità di tale allocazione nell’art. 6 della l. reg. 3/2016, suggerendo che coprire una spesa finanziaria con risorse destinate a soddisfare bisogni garantiti dalla Costituzione[8] contravvenga di fatto il dettato costituzionale.

Con ordinanza del 17 gennaio 2022, la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, investita del ricorso, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della l. reg. 3/2016, in riferimento agli artt. 32, 81 comma 6, 117 comma 2 lett. e) ed m), e 119 commi 4 e 6 della Costituzione.

Richiamandosi alla precedente sentenza n. 132 del 2021, che stabiliva “l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi”,[9] l’autorità remittente poneva il suddetto art. 20 del d.lgs. 118/2011 come un “parametro interposto di costituzionalità”, per garantire un uso trasparente e coerente delle risorse vincolate a tale scopo.

Nel proprio atto di costituzione, la Regione avanzava la richiesta di sospendere il giudizio, in attesa che si risolvesse il conflitto di attribuzione (dalla stessa promosso di fronte alle Sezioni riunite della Corte dei conti) su a chi toccasse l’esercizio della funzione giurisdizionale nei confronti della decisione di parifica del rendiconto regionale; tuttavia, la richiesta risulta non più attuale, in quanto la Consulta, con la sentenza 22 luglio 2022, n. 184, ha dichiarato che tale funzione spettava allo Stato, tramite la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione.

Non veniva pertanto riconosciuta la lesione, lamentata dalla Regione, delle proprie attribuzioni costituzionali e statutarie, pur avendo la Corte dei conti (nella composizione pocanzi indicata) giudicato in ordine alla legittimità di alcune poste del rendiconto regionale relativo all’esercizio 2019, nelle more del giudizio intercorsa la legge regionale n. 26/2021 di approvazione del predetto rendiconto.[10]

La Corte Costituzionale, rifacendosi ai suoi precedenti interventi in materia, e in particolare alla sentenza già richiamata dal giudice a quo, individua quale sola eccezione l’art. 30 comma 1 dello stesso d.lgs. 118/2011, che permette alle regioni di destinare le risorse vincolate ai LEA a finalità (sempre sanitarie ma) più ampie, qualora la gestione virtuosa delle stesse abbia permesso di raggiungere gli obiettivi e al contempo di conseguire un risparmio nel bilancio.[11]

Ciò ribadito, la Corte sottolinea come non solo in questo caso non ci si trovi di fronte a una gestione virtuosa delle risorse, ma anche e soprattutto che utilizzare una quota del Fondo sanitario “per finanziare le quote residue del prestito ottenuto dal MEF da regioni in piano di rientro […] non ha natura sanitaria: mentre il debito regionale preesistente, da estinguere immediatamente con le risorse anticipate, era sì attinente al settore sanitario, il debito di restituzione della liquidità, oggetto della norma censurata, ha invece un carattere meramente finanziario, in quanto diretto a rimborsare lo Stato e non più i fornitori del servizio sanitario.”[12]

Nella ricostruzione della Consulta, il prestito era finalizzato all’estinzione di debiti sanitari, e pertanto era caratterizzato da un vincolo di destinazione che non si trasferisce sul successivo rimborso delle rate, che invece rispondono a meccanismi finanziari indipendenti dal settore a beneficio del quale il prestito è stato concesso.

Sul punto, è già orientamento consolidato della Corte che i LEA rappresentino degli “standard minimi”, che devono essere assicurati uniformemente sul territorio nazionale per evitare che in alcune parti gli utenti possano lamentare un livello assistenziale inferiore in quantità e qualità rispetto a quello ritenuto basilare dallo Stato;[13] viceversa, le singole Regioni possono migliorare tali livelli di prestazione o anche intervenire con previsioni che non alterino in peius i livelli prestabiliti.[14] Inoltre, è costantemente ribadito che vista la delicatezza e importanza del tema sanitario, è necessario un continuo dialogo tra Stato ed Enti locali, soprattutto perché su questi ultimi grava la fase erogativa delle prestazioni.[15]

Anche le sentenze più recenti sono indirizzate a sottolineare come la determinazione dei LEA sia di primaria importanza nella determinazione del diritto alla salute, e che proprio per questo sia necessaria la massima attenzione affinché nell’alveo dei LEA non ricadano altre prestazioni, pur connesse in senso più ampio al diritto alla salute.[16]

Spettando al legislatore statale la competenza idonea a definire i LEA per assicurare eguali prestazioni di base sul territorio nazionale, senza possibilità di limitazioni da parte del legislatore regionale,[17] anche la determinazione della ripartizione dei costi relativi a tali prestazioni tra il SSN e gli assistiti (così come eventuali casi di esenzione per determinate categorie di soggetti) spetta esclusivamente allo Stato;[18] il ruolo delle Regioni è ancor più limitato laddove vi sia un piano di rientro sanitario, limitandosi a compiti di impulso e vigilanza sui LEA, oltre alla corretta e trasparente trasposizione delle voci di bilancio relative alla sanità.[19]

Questo ragionamento vale a fortiori in un contesto come quello attuale, in cui alla diminuzione di risorse per i LEA corrisponde un aumento della capacità di spesa nel settore ordinario del bilancio (poiché è su di esso che dovrebbe gravare il rimborso).

Come ben noto, la competenza legislativa, tanto in materia di armonizzazione dei bilanci pubbliche quanto di determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, è esclusivamente statale ai sensi dell’art. 117 comma 2 della Costituzione, rispettivamente, alle lettere e) ed m); il contrasto dell’art. 6 l. reg. 3/2016 con tali disposizioni ne determina inevitabilmente l’illegittimità costituzionale, come coerentemente concluso dalla Consulta.

Dall’analisi della sentenza, uno dei profili che sembra maggiormente preoccupare la Corte è il meccanismo di deresponsabilizzazione innescato dalla norma censurata, che solleva le autorità regionali dalla responsabilità di individuare risorse adeguate a garantire la sostenibilità economica delle spese contenute nel bilancio.

In realtà, il fenomeno della deviazione delle risorse straordinarie per fronteggiare delle spese ordinarie è tristemente noto e già segnalato a livello sia statale che regionale.[20]

Il meccanismo che si ripropone è però il medesimo in qualunque circostanza: si procede ad utilizzare delle risorse destinate a un fine specifico o comunque “ulteriore” e aggiuntivo per la copertura di spese ordinarie.

Ciò conduce a un beneficio esclusivamente apparente: avere una maggior quantità di risorse destinate alla spesa ordinaria è sicuramente apprezzabile, ma non quando ciò sia causato dalla riduzione di risorse per le aree più deboli.

Infatti, le risorse aggiuntive e straordinarie rispondono spesso a esigenze di sostegno ad un settore o un territorio penalizzato, che presenta particolari criticità o dei ritardi nello sviluppo rispetto ad altri settori o aree; la loro sottrazione evidentemente avrà come principale conseguenza quella di aggravare ulteriormente situazioni che già si era dimostrate bisognose di speciali attenzioni.

Inoltre, sarebbe ingenuo pensare che questa “sottrazione” possa condurre a meccanismi virtuosi di ottimizzazione nell’uso delle risorse date, conducendo a un aumento di efficienza ed efficacia della spesa pubblica nell’ottica di una politica attiva di sviluppo. Al contrario, la deresponsabilizzazione che si cela dietro a queste scelte è più solita creare circoli viziosi, e un conseguente peggioramento del quadro economico laddove l’afflusso di risorse aggiuntive dovesse essere nel corso degli anni reindirizzato o interrotto.

Questo vale in particolare per le aree del Mezzogiorno, dove l’economia è particolarmente elastica agli investimenti pubblici, a causa dell’estrema debolezza dell’economia “di mercato”, e pertanto questi meccanismi di deresponsabilizzazione possono apparire ancora più appetibili.[21]

Da un certo punto di vista, questo meccanismo di deresponsabilizzazione sembra avallato proprio dalla già richiamata l. 191/2009, laddove, all’art. 2 comma 90, permette di utilizzare le risorse del FAS per coprire i debiti “sanitari” creati dai piani di rientro.

Risulta evidente come lo scopo del Fondo per le aree sottoutilizzate non debba e non possa essere quello di andare a coprire un debito nei confronti dello Stato che le Regioni si sono invece impegnate a coprire con risorse ordinarie.

Infine, pare opportuno spendere un’ultima riflessione su come questa deresponsabilizzazione diventi ancora più inaccettabile quando riguarda i livelli essenziali delle prestazioni.

I LEP rappresentano infatti un compromesso tra le istanze di autonomia propugnate da alcune regioni e le preoccupazioni sulle disparità di godimento di diritti civili e politici che ne potrebbe derivare. Lo Stato a tal proposito è chiamato a fissare i LEP sull’intero territorio nazionale, per assicurare che la dignità dei cittadini non dipenda dall’area geografica di residenza.[22]

La nozione di livelli essenziali introdotta dalla riforma costituzionale del 2001 è decisiva nello sviluppo del regionalismo italiano, proprio perché trova un punto d’incontro tra autonomia regionale e istanze unitarie, creando uno status comune, per “porre al riparo dalla discrezionale determinazione delle Regioni alcuni diritti, che non possono essere ridotti ad un livello inferiore a quello stabilito dal legislatore statale. L’implicito presupposto di questa scelta, evidentemente, è il collegamento tra livelli di godimento dei diritti, eguaglianza e cittadinanza, nel senso che la diminuzione della protezione di alcuni diritti oltre una certa soglia è interpretata come rottura del legame sociale che dà vita alla cittadinanza”.[23]

Questa dicotomia tra “mercato e welfare”, tra “libertà ed eguaglianza” è da sempre al centro delle costituzioni del secondo dopoguerra, ma la nostra carta costituzionale, consapevole che diritti politici e libertà non sono sufficienti per il buon funzionamento di una società realmente democratica, ha dato uguale tutela anche ai diritti sociali, consentendo loro di recuperare il divario presente invece nei sistemi legislativi previgenti.[24]

E la nostra Corte costituzionale ha recepito questo orientamento, ma non si può chiedere ad essa soltanto di arginare questa giustapposizione, rendendosi necessarie e urgenti delle strategie politiche che portino più chiarezza nel rapporto tra finanza globale e cittadino.[25]

Con le sue sentenze, la Corte lancia un messaggio di particolare importanza nell’epoca in cui si fanno sempre più forti le istanze di autonomia differenziata: essa è realmente possibile solo laddove non esistano tra cittadini differenze a livello di diritti sociali e civili. il rispetto dei LEA (e la fissazione dei LEP in quei settori dove ancora mancano) è un passo necessario per creare quella uguaglianza tra cittadini sulla quale si può poggiare un regionalismo differenziato sano.


[1] Docente a contratto di Istituzioni di Diritto Pubblico – Università Dante Alighieri di Reggio Calabria; Avvocato della Regione Calabria.

[2] Legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”.

[3] Il primo provvedimento era stato il d.l. 20 marzo 2007, n. 23 recante “Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale”, convertito con modificazioni nella l. 17 maggio 2007, n. 64.

[4] Cfr. art. 1 comma 4 e 6 comma 1 del Piano di rientro sottoscritto in data 31 luglio 2007 dai Ministri dell’economia e della salute e dal Presidente della Regione siciliana.

[5] L’art. 2 comma 90 della l. 23 dicembre 2009, n. 191 (Legge finanziaria 2010) stabilisce che “Le regioni interessate dai piani di rientro, d’intesa con il Governo, possono utilizzare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, a copertura dei debiti sanitari, le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate relative ai programmi di interesse strategico regionale di cui alla delibera del CIPE n. 1/2009 del 6 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009, nel limite individuato nella delibera di presa d’atto dei singoli piani attuativi regionali da parte del CIPE.”

[6] L’art. 6 della l. reg. Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Legge di stabilità regionale) così dispone: “A decorrere dall’esercizio finanziario 2016, per il finanziamento delle quote residue di capitale ed interessi del prestito sottoscritto ai sensi dell’articolo 2, comma 46, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 tra il Ministero dell’Economia e la Regione siciliana dell’importo annuo di 127.850 migliaia di euro, è autorizzato l’utilizzo di una quota del Fondo sanitario.”

[7] Si riporta integralmente il testo dell’art. 20 del d. lgs. 23 giugno 2011, n. 118.

(Trasparenza dei conti sanitari e finalizzazione delle risorse al finanziamento dei singoli servizi sanitari regionali)

1. Nell’ambito del bilancio regionale le regioni garantiscono un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale, al fine di consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti di determinazione del fabbisogno sanitario regionale standard e di individuazione delle correlate fonti di finanziamento, nonché un’agevole verifica delle ulteriori risorse rese disponibili dalle regioni per il finanziamento del medesimo servizio sanitario regionale per l’esercizio in corso. A tal fine le regioni adottano un’articolazione in capitoli tale da garantire, sia nella sezione dell’entrata che nella sezione della spesa, ivi compresa l’eventuale movimentazione di partite di giro, separata evidenza delle seguenti grandezze:

A) Entrate: a) finanziamento sanitario ordinario corrente quale derivante dalle fonti di finanziamento definite nell’atto formale di determinazione del fabbisogno sanitario regionale standard e di individuazione delle relative fonti di finanziamento intercettate dall’ente regionale, ivi compresa la mobilità attiva programmata per l’esercizio; b) finanziamento sanitario aggiuntivo corrente, quale derivante dagli eventuali atti regionali di incremento di aliquote fiscali per il finanziamento della sanità regionale, dagli automatismi fiscali intervenuti ai sensi della vigente legislazione in materia di copertura dei disavanzi sanitari, da altri atti di finanziamento regionale aggiuntivo, ivi compresi quelli di erogazione dei livelli di assistenza superiori rispetto ai LEA, da pay back e da iscrizione volontaria al Servizio sanitario nazionale; c) finanziamento regionale del disavanzo sanitario pregresso; d) finanziamento per investimenti in ambito sanitario, con separata evidenza degli interventi per l’edilizia sanitaria finanziati ai sensi dell’articolo 20, della legge n. 67 del 1988;

B) Spesa: a) spesa sanitaria corrente per il finanziamento dei LEA, ivi compresa la mobilità passiva programmata per l’esercizio e il pay back; b) spesa sanitaria aggiuntiva per il finanziamento di livelli di assistenza sanitaria superiori ai LEA; c) spesa sanitaria per il finanziamento di disavanzo sanitario pregresso; d) spesa per investimenti in ambito sanitario, con separata evidenza degli interventi per l’edilizia sanitaria finanziati ai sensi dell’articolo 20, della legge n. 67 del 1988.

2. Per garantire effettività al finanziamento dei livelli di assistenza sanitaria, le regioni: a) accertano ed impegnano nel corso dell’esercizio l’intero importo corrispondente al finanziamento sanitario corrente, ivi compresa la quota premiale condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, le quote di finanziamento sanitario vincolate o finalizzate. Ove si verifichi la perdita definitiva di quote di finanziamento condizionate alla verifica di adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente, detto evento è registrato come cancellazione dei residui attivi nell’esercizio nel quale la perdita si determina definitivamente; b) accertano ed impegnano nel corso dell’esercizio l’intero importo corrispondente al finanziamento regionale del disavanzo sanitario pregresso.

2-bis. I gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali e destinati al finanziamento del Servizio sanitario regionale sono iscritti nel bilancio regionale nell’esercizio di competenza dei tributi.

2-ter. La quota dei gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali destinata obbligatoriamente al finanziamento del Servizio sanitario regionale, ai sensi della legislazione vigente sui piani di rientro dai disavanzi sanitari, è iscritta nel bilancio regionale triennale, nell’esercizio di competenza dei tributi, obbligatoriamente per l’importo stimato dal competente Dipartimento delle finanze, ovvero per il minore importo destinato al Servizio sanitario regionale ai sensi dell’articolo 1, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. Tale iscrizione comporta l’automatico e contestuale accertamento ed impegno dell’importo nel bilancio regionale. La regione non può disimpegnare tali somme, se non a seguito di espressa autorizzazione da parte del Tavolo di verifica degli adempimenti, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e s.m.i.. In relazione a tale autorizzazione la regione è tenuta a trasmettere al Tavolo di verifica degli adempimenti la relativa documentazione corredata della valutazione d’impatto operata dal competente Dipartimento delle Finanze. Ove si verifichi in sede di consuntivazione dei gettiti fiscali un minore importo effettivo delle risorse derivanti dalla manovra fiscale regionale rispetto all’importo che ha formato oggetto di accertamento ed impegno, detto evento è contabilmente registrato nell’esercizio nel quale tale perdita si determina come cancellazione dei residui attivi.

3. Per la parte in conto capitale riferita all’edilizia sanitaria di cui all’articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni, le regioni accertano e impegnano nel corso dell’esercizio l’importo corrispondente a quello indicato nel decreto di ammissione al finanziamento. In caso di revoca dell’ammissione a finanziamento ai sensi dell’articolo 1, comma 310, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le regioni registrano detto evento nell’esercizio nel quale la revoca è disposta.

[8] Art. 117, comma 2, lett. m Cost.

[9] Corte Cost., 25 giugno 2021, n. 132; Considerando in diritto n. 2.2.3.

[10] Come fa notare G. Guida, “la sentenza, prendendo le mosse da un precedente ancora fortemente attuale (sentenza n. 121/1966), ricorda come il giudizio di parificazione […] si svolge «nelle forme della giurisdizione contenziosa» e ha una funzione di «controllo e garanzia della conformità alla legge di bilancio dei risultati di amministrazione (in termini di entrate e di spese), funzione che era già da intendersi preliminare, ma anche separata e distinta, rispetto all’approvazione con legge del rendiconto governativo, riservata al Parlamento, nell’esercizio del suo autonomo potere di controllo e indirizzo politico».” Guida G., Prime note a Corte Costituzionale 184/2022 sul conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Siciliana, in Diritto e Conti, luglio 2022.

[11] Ai sensi dell’art. 30 del d. lgs. 23 giugno 2011, n. 118, “L’eventuale risultato positivo di esercizio degli enti di cui alle lettere b), punto i), c) e d) del comma 2 dell’articolo 19 è portato a ripiano delle eventuali perdite di esercizi precedenti. L’eventuale eccedenza è accantonata a riserva ovvero, limitatamente agli enti di cui alle lettere b) punto i), e c) del comma 2 dell’articolo 19, è reso disponibile per il ripiano delle perdite del servizio sanitario regionale. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 80, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, eventuali risparmi nella gestione del Servizio sanitario nazionale effettuati dalle regioni rimangono nella disponibilità delle regioni stesse per finalità sanitarie”.

[12] Dal Considerando in diritto n. 9.1.

[13] Corte cost., 10 maggio 2012, n. 115; Corte cost., 1° luglio 2015, n. 125.

[14] Corte cost., 10 maggio 2012, n. 115; Corte cost., 16 luglio 2016, n. 141.

[15] Corte cost., 12 luglio 2017, n. 169; Corte cost., 24 luglio 2019, n. 197; Corte cost., 22 febbraio 2022, n. 40.

[16] Corte cost., 10 aprile 2020, n. 62; Corte cost., 25 giugno 2021, n. 132; Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181; Corte cost., 18 aprile 2019, n. 94; Corte cost., 27 luglio 2020, n. 166; Corte cost., 12 marzo 2021, n. 36; Corte cost., 30 giugno 2022, n. 61.

[17] Corte cost., 24 aprile 2020, n. 72.

[18] Corte cost., 15 maggio 2020, n. 91.

[19] Corte cost., 1° giugno 2018, n. 117; Corte cost., 18 aprile 2019, n. 94; Corte cost., 27 luglio 2020, n. 166.

[20] Per segnalare alcune letture sul tema, cfr. Provenzano G.L.C., Le risorse aggiuntive e gli interventi speciali

nell’attuazione del federalismo fiscale: il principio del riequilibrio territoriale e i fondamenti della politica di coesione nazionale, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1-2, 2012, pp. 213-249; Boscariol G.P., La destinazione al Mezzogiorno di risorse ordinarie in conto capitale del bilancio dello Stato – Nota sull’articolo 7-bis del decreto-legge n. 243 del 2016, convertito con legge n. 18 del 2017, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 1, 2017, pp. 227-234; MORO F., Risorse aggiuntive e spesa ordinaria dalla fine dell’intervento straordinario ad oggi, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 4, 2013, pp. 721-737.

[21] Cfr. SVIMEZ, La clausola del 34% delle risorse ordinarie a favore del Sud: una variazione relativa al periodo 2009/2015, 2017, pp. 6-7.

[22] Cfr. Ruggieri A., Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali, in giuriscost.org, 2018, p. 20; cfr. anche Lucarelli A., L’effettività del principio di eguaglianza e diritti sociali nei processi evolutivi della forma di Stato, in Il Filangieri, 2003.

[23] Luciani M., I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117, comma 2, lett. m della Costituzione), in Politica del diritto, 2002, p. 349; cfr. anche Bergo M., I nuovi livelli essenziali di assistenza. Al crocevia fra la tutela della salute e l’equilibrio di bilancio, in AIC, 2, 2017.

[24] Cfr. Luciani M., Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche a sessant’anni della Corte Costituzionale, in AIC, 3, 2016, pp. 6-7.

[25] Ibid., pp. 17-18; cfr. anche Trucco L., Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in Gruppo di Pisa, 3, 2012, pp. 3-5.