La Cassazione sulla strada del riconoscimento del potere di adottare “iure proprio” provvedimenti cautelari?
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. CARACCILO Giuseppe – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. Conti Roberto Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 6591-2015 proposto da:
MG ADVERTISING SRL, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 186, presso lo studio dell’avvocato MARIANI Sabrina, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2198/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA del 5/12/2013, depositata il 31/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito l’Avvocato Sabrina Mariani difensore della ricorrente che si riporta agli scritti e chiede la revoca del decreto assunto in data 09/07/015, respingersi la domanda del contendere, il rigetto del ricorso per revocazione;
udito l’Avvocato Gianna Maria De Socio (Avvocatura) difensore della controricorrente che si riporta agli scritti e si oppone alla sospensione, nel merito chiede il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La società MG Advertising srl ricorre contro l’Agenzia delle entrate per la revocazione della sentenza di questa Corte n. 2198/14 con la quale, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, è stata cassata la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 325/1/09 e, con decisione nel merito, è stata confermata la ripresa fiscale per IRPEG, IRAP e IVA operata dall’Ufficio sul presupposto che talune fatture rimesse alla contribuente riguardassero operazioni soggettivamente inesistenti.
La suddetta sentenza n. 2198/14 ha ritenuto accertato che le prestazioni fatturate alla contribuente fossero state erogate da soggetto diverso da quello che aveva emesso la fattura e percepito l’IVA in rivalsa ed ha conseguentemente ritenuto non detraibile l’IVA e non deducibile il corrispettivo versato.
Per quanto specificamente riguarda l’indeducibilità dei corrispettivi esposti in dette fatture, nella sentenza n. 2198/14 – dopo la testuale trascrizione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1. (“Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 , non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.”) – la suddetta indeducibilità viene affermata sull’argomento che, nella specie, vi era implicitamente prova che il pubblico ministero avesse esercitato l’azione penale “come desumibile dalle deposizioni di terzi rese in sede penale”; argomento sulla cui base la Corte afferma: “non sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, fatto salvo, qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi”.
Avverso tale statuizione è rivolta l’impugnazione per revocazione oggetto del presente giudizio.
Secondo la ricorrente, la statuizione della Corte sarebbe affetta da vizio revocatorio consistente nella mancata percezione del fatto che il procedimento penale conseguente all’esercizio dell’azione penale a cui si fa riferimento nella sentenza qui gravata si era definito con l’assoluzione dei legali rappresentanti della società MG Advertising srl; assoluzione recata dalla sentenza del tribunale penale di Roma n. 11551/12, depositata il 20/6/12 (nella pendenza del ricorso per cassazione definito con la sentenza di cui si chiede la revocazione), munita della formula di irrevocabilità l’1/2/13 e prodotta nel giudizio di cassazione in data 12/11/2013 con atto notificato alla controparte ai sensi dell’art. 372 c.p.c. , nonchè richiamata nella memoria depositata davanti alla Corte di cassazione in data 29/11/2013.
Argomenta al riguardo la ricorrente che la statuizione di conferma della ripresa fiscale relativa alla indeducibilità dei costi di cui alle fatture in contestazione non sarebbe stata adottata dalla Corte di cassazione se quest’ultima avesse percepito il fatto -risultante dagli atti – dell’intervenuta assoluzione penale degli amministratori della società contribuente; come implicitamente confermato dal rilievo che nella stessa sentenza di cui qui si chiede la revocazione era contenuta la precisazione “fatto salvo, qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi”.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso deducendo l’inammissibilità del ricorso per la seguente triplice ragione:
a) per difetto di autosufficienza (per mancata trascrizione della sentenza penale);
b) per difetto di decisività del fatto storico non percepito, vale a dire la pronuncia della sentenza penale di assoluzione (in ragione dell’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale);
c) per difetto di interesse alla revocazione (potendo la società ottenere il rimborso di quanto, in ipotesi, indebitamente versato).
Con separata istanza, notificata alla controparte in data 1.6.15 e depositata in cancelleria il 3.6.15, la ricorrente ha chiesto la sospensione ex art. 401 c.p.c. della esecuzione della sentenza di cui qui si chiede la revocazione, lamentando l’irreparabilità del danno derivante dalla messa in esecuzione della cartella di Euro 7.892.869,41 emessa a seguito di detta sentenza. Il Presidente del Collegio – con decreto inaudita altera parte ex artt. 401 e 373 c.p.c. del 9.7.15 – ha sospeso provvisoriamente l’esecuzione della sentenza impugnata per revocazione, limitatamente all’importo di Euro 4.000.000 e ha fissato l’adunanza del 23 luglio 2015 per la comparizione delle parti in camera di consiglio.
A detta adunanza le parti sono comparse ed hanno discusso oralmente la causa.
In sede di discussione l’Agenzia delle entrate ha contestato l’ammissibilità della procedura di sospensiva ex art. 401 c.p.c. in relazione alle revocazione delle sentenze della Corte di cassazione.
Il Collegio si è riservato e, con la presente ordinanza, scioglie la riserva.
Motivi della decisione
In punto di ammissibilità della sospensiva.
E’ preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità della procedura di sospensiva ex art. 401, dedotta dall’Agenzia delle entrate in sede di discussione orale. Detta eccezione si fonda sul disposto dell’art. 391 bis c.p.c., comma 6, alla cui stregua “In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, nè è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo”. Secondo la difesa erariale, in sostanza, nel testo normativo sopra trascritto l’espressione “sentenza passata in giudicato” dovrebbe intendersi come riferita non soltanto alla sentenza di merito impugnata con ricorso per cassazione respinto, ma anche alla sentenza della Cassazione che, accogliendo il ricorso e cassando la sentenza gravata, abbia deciso la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , comma 2, ultima parte; con la conseguenza che anche per quest’ultima sentenza varrebbe la preclusione alla sospensiva prevista dalla disposizione in commento. Il Collegio non condivide questa tesi sia per considerazioni di carattere letterale, sia per considerazioni di carattere sistematico.
Quanto alle prime, si rileva che l’art. 324 c.p.c. stabilisce che:
“si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta nè a regolamento di competenza, ne ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui all’art. 395, nn. 4 e 5”; il “passaggio in giudicato” implica, cioè, una modifica della situazione giuridica di una sentenza; modifica – legata al decorso del tempo -consistente nel “passaggio”, appunto, dalla situazione di sentenza soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione alla situazione di sentenza non “più” soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione.
Nel caso delle sentenze della Corte di cassazione tale modifica non può verificarsi, giacchè esse non sono soggette ai mezzi ordinari di impugnazione; tanto che, come non si è mancato di notare in dottrina (ma si veda anche Cass. 18234/06, in motivazione) la revocazione per errore di fatto ex art. 395 c.p.c. , n. 4, perde, nei confronti delle sentenze della Corte di cassazione, la natura di mezzo di impugnazione ordinario che ha nei confronti delle sentenze di merito e assume la natura di mezzo di impugnazione straordinario, come confermato dall’art. 391 bis c.p.c., comma 5, laddove dispone “La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”. La sentenza della Corte di cassazione, dunque, non “passa in giudicato” ma, per mutuare una felice formula dottrinaria, “nasce già formalmente come passata in giudicato”. Ciò convince, già sul piano letterale, della impossibilità di riferire alle sentenze della Corte di cassazione – comprese quelle pronunciate decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , comma 2, ultima parte – l’espressione “sentenza passata in giudicato”che si legge nell’art. 391 bis, comma 6. Sul piano sistematico, poi, si osserva che la disposizione dettata nell’art. 391 bis c.p.c., comma 6 completa quella dettata nel comma 5 del medesimo articolo, cosicchè i due commi vanno letti unitariamente come fonte della complessiva disciplina del rapporto tra le vicende del giudizio di merito e l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c. , n. 4, delle sentenze della Corte di cassazione che non abbiano deciso il merito. Alla stregua di tale disciplina:
ove la sentenza della Cassazione abbia respinto il ricorso, la sentenza di merito impugnata con il ricorso respinto, da un lato, passa in giudicato nonostante la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Cassazione (comma 5) e, d’altro lato, non può essere sospesa qualora la sentenza della Cassazione venga impugnata per revocazione (comma 6); ove la sentenza della Cassazione abbia accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza gravata, il giudizio di rinvio, o il termine per riassumerlo, non sono sospesi qualora la sentenza della Cassazione venga impugnata per revocazione (comma 6).
In questo quadro non è contenuta alcuna specifica regola che disciplini, con riferimento all’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c. , n. 4, la possibilità di sospendere l’esecuzione delle stesse sentenze della Corte di cassazione (e, precisamente, delle sole sentenze della Corte di cassazione astrattamente suscettibili di esecuzione, vale a dire quelle emesse ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , comma 2, ultima parte) e, pertanto, non vi è ragione di non dare applicazione al disposto dell’art. 401 c.p.c. , che attribuisce al giudice della revocazione – e quindi anche alla Corte di cassazione investita di un ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c. , n. 4, avverso una propria sentenza – il potere di sospendere l’esecuzione di tale sentenza con l’ordinanza di cui all’art. 373 c.p.c..
Alla stregua degli esposti argomenti di carattere letterale e sistematico si deve quindi concludere per l’ammissibilità della sospensiva ex art. 401 c.p.c. nei procedimenti di revocazione ex art. 395 c.p.c. , n. 4 avverso sentenze della corte di Cassazione.
L’esposta conclusione appare del resto conforme all’interpretazione costituzionale del sistema, giacchè l’esclusione del rimedio cautelare della sospensiva ex art. 401 c.p.c. avverso sentenze della Corte di cassazione cha abbiano deciso nel merito della causa potrebbe prestarsi al dubbio di contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..
Se, infatti, non sussiste perfetta identità tra una sentenza di merito ed una sentenza pronunciata da questa Corte ai sensi dell’art. 384 c.p.c. , comma 2, ultima parte – giacchè quest’ultima sentenza si fonda, a differenza della prima, su accertamenti di fatto compiuti da altro giudice, ossia, appunto, dal giudice di merito (cfr. Cass. 7998/04) – va tuttavia considerato che l’evidenziata differenza concerne i poteri cognitori del giudice ma non l’efficacia esecutiva della sentenza; cosicchè la preclusione del rimedio cautelare della sospensiva avverso una sentenza della Corte di cassazione che abbia deciso la causa nel merito e sia stata impugnata per revocazione per errore di fatto determinerebbe, per un verso, un obiettivo vuoto di tutela e, per altro verso, un’ingiustificata disparità tra la tutela cautelare concessa nei confronti di sentenze impugnate per revocazione, tutte parimenti esecutive, a seconda che esse provengano dal giudice di merito o dalla Corte di cassazione.
In definitiva, l’istanza di sospensiva della sentenza di questa Corte n. 2198/14 deve ritenersi ammissibile. Nè a tale conclusione osta la considerazione che la stessa non sia stata presentata nel ricorso introduttivo del giudizio di revocazione, bensì in un atto separato, giacchè l’esigenza di tutela del contraddittorio a cui è preordinata la previsione, contenuta nell’art. 401 c.p.c. , secondo cui l’istanza di sospensione deve essere “inserita nell’atto di citazione” è egualmente soddisfatta quando, come nella specie, detta istanza separata venga notificata alla controparte, che già abbia ricevuto la notifica del ricorso per revocazione, prima di essere depositata nella cancelleria della Corte.
In punto di fumus boni juris.
Le preliminari eccezione inammissibilità del ricorso per revocazione sollevate nel controricorso della difesa erariale non appaiono dirimenti.
Quanto alla eccezione sub a), la dedotta carenza di autosufficienza, per mancata trascrizione della sentenza del tribunale penale di Roma n. 11551/12, non può ritenersi sussistente, giacchè tale sentenza costituisce essa stessa il “fatto” che, a mente dell’art. 395 c.p.c. , n. 4 viene supposto inesistente ancorchè la sua verità sia positivamente stabilita; tale sentenza deve quindi, nel giudizio di revocazione, formare necessariamente oggetto di esame diretto da parte della Corte, donde la non necessarietà della relativa trascrizione nel corpo del ricorso per revocazione. Quanto alla eccezione sub b), il richiamo al principio dell’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale è fuori luogo, giacchè nella fattispecie in esame è la stessa legge che collega alla sentenza penale di assoluzione l’effetto di rimuovere l’indeducibilità dei costi “dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale”; ferma restando la competenza del giudice tributario ad accertare la concreta ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge tributaria per il riconoscimento della deducibilità.
Quanto alla eccezione sub c), la stessa va ritenuta infondata, essendo palese che l’interesse ad evitare il versamento di imposte non dovute non è eliminato dalla possibilità di ottenere il rimborso.
Quanto alla sussistenza del denunciato errore revocatorio, essa appare plausibile in considerazione del rilievo che nella stessa sentenza di cui qui si chiede la revocazione si fa riferimento al diritto della contribuente di ottenere “qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi”. Può pertanto ritenersi che la decisione di merito di conferma degli atti impositivi impugnati derivi dalla mancata percezione della presenza in atti di quella sentenza penale di assoluzione che la stessa Corte di cassazione indica quale presupposto del diritto al rimborso delle somme versate sulla base di tali atti (e della pronuncia giudiziale che li conferma); vale a dire della sentenza del tribunale penale di Roma n. 11551/12, prodotta nel giudizio di cassazione in data 12/11/2013 (e comunicata all’Agenzia delle entrate con elenco ex art. 372 c.p.c. ricevuto dall’Avvocatura dello Stato il 13.11.13, come da avviso di ricevimento in atti) e richiamata nella memoria depositata davanti alla Corte di cassazione in data 29/11/2013.
In punto di periculum in mora.
La notevole rilevanza delle somme di cui si tratta induce il Collegio a confermare la sospensione dell’esecuzione della sentenza n. 2198/14, già disposta con decreto presidenziale emesso inaudita altera parte, fino a concorrenza della somma (riferibile al credito erariale per imposte dirette e sanzioni) di Euro 4.000.000,00.
P.Q.M.
Il Collegio conferma la sospensione dell’esecuzione della sentenza della Corte di cassazione n. 2198/14 fino a concorrenza dell’importo di Euro 4.000.000,00, già disposta con decreto del Presidente del 9.7.15.
Così deciso in Roma, il 23 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2015
La Cassazione sulla strada del riconoscimento del potere di adottare “iure proprio” provvedimenti cautelari?
Nota a Cass. Civ. Sez. VI – 5, Ord., 17/09/2015, n. 18300
1. La vicenda
La sentenza in commento è stata resa dalla Corte di Cassazione all’esito di un giudizio di revocazione – promosso ai sensi dell’articolo 395, comma 1, n 4 c.p.c., per la (ritenuta) erronea percezione dell’inesistenza di un fatto storico (nella specie che il procedimento penale conseguente all’esercizio dell’azione penale a cui si fa riferimento nella sentenza gravata si era definito con l’assoluzione dei legali rappresentanti della società ricorrente), da ritenersi positivamente accertato come vero. Tale elemento di fatto, invero, era ritenuto dai ricorrenti decisivo ai fini della decisione circa la ripresa fiscale operata dall’Agenzia delle Entrate in relazione ad operazioni c.d. inesistenti, e l’errore di percezione sarebbe stato, altresì, decisivo in quanto la stessa Corte di Cassazione aveva, nella sentenza impugnata, precisato che la conferma della pretesa fiscale non sarebbe stata affermata dalla Corte stessa, in caso di sopravvenienza di “ una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi“.
Al di là delle problematiche relative all’ammissibilità del mezzo in relazione al tipo di vizio denunciato, rileva sottolineare che la parte ricorrente in revocazione ha invocato, innanzi alla Corte, l’articolo 401 c.p.c. a mente del quale “il giudice della revocazione può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, l’ordinanza prevista nell’articolo 373, con lo stesso procedimento in camera di consiglio ivi stabilito“.
Quindi, la problematica che viene in rilievo, è essenzialmente legata alla necessità di colmare il silenzio del legislatore in punto alla individuazione del giudice competente ad adottare misure cautelari in pendenza del giudizio di Cassazione1 onde concludere se l’affermazione contenuta nella pronuncia in esame sia tale da fornire elementi in grado di fornire utili elementi di chiarimento quale sia il regime della competenza all’adozione di provvedimenti cautelari in relazione a cause pendenti innanzi alla Corte di Cassazione.
In verità, non può esimersi dal considerare che il caso di specie concerne – più propriamente – l’adozione del provvedimento di sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 373 c.p.c.2, sulla cui natura realmente cautelare si può registrare più di qualche perplessità, sia in dottrina che in giurisprudenza3: proprio la circostanza che la decisione sull’inibitoria attiene, a dispetto del tenore della disposizione, al profilo della fondatezza più che del periculum (identificandosi tale periculum nello stesso svolgimento del processo esecutivo che, in sé, non arreca un danno fin quando non è decisa l’infondatezza dell’azione esecutiva e, quindi, in definitiva, non è confermata l’assenza di fumus con una decisione nel merito4) può costituire, come si vedrà, l’argomento per enucleare – da un lato – una interpretazione estensiva delle norme sui poteri del giudice della legittimità sull’efficacia esecutiva delle proprie decisioni e – dall’altro – per limitare la portata potenzialmente generalizzatrice del principio affermato.
2. La revocabilità delle sentenze della Corte di Cassazione e il potere di decidere il merito della controversia.
Per ben intendere la portata del principio di diritto affermato dalla Corte, si è dell’avviso che non si possa prescindere da un breve excursus normativo che ha condotto al riconoscimento del rimedio della revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione e al potere di decidere la controversia nel merito.
Sul punto deve prendersi le mosse da una sentenza della Corte Costituzionale, n. 17 del 28 gennaio 1986, che, con una pronuncia additiva, ha esaminato il ” il problema della revocabilità (non di ogni e qualsiasi sentenza della Corte di Cassazione, sibbene) di sentenza resa su ricorso basato sul n. 4 dell’art. 360 c.p.c.“. Detta sentenza, con lapidarietà, ha affermato: “il diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento garantito dall’art. 24 comma secondo Cost., sarebbe gravemente offeso se l’errore di fatto, Così come descritto nell’art. 395 n.4, non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal Giudice cui spetta il potere-dovere di nomofilachia.“, aggiungendo che ciò non andava contro alcun principio strutturale del giudizio di cassazione, in quanto ” l’indagine cognitoria cui dà luogo il n. 4 dell’art. 360 non é diversa da quella condotta da ogni e qualsiasi giudice di merito allorquando scrutina la ritualità degli atti del processo sottoposto al suo esame.“. Ha dichiarato così dichiara l’incostituzionalità dell’art. 395 prima parte e n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze dalla Corte di Cassazione rese su ricorsi basati sul n. 4 dell’art. 360 c.p.c. e affette dall’errore di cui al n. 4 dell’art. 395 dello stesso codice.
Appare evidente che il giudice delle leggi ha rinvenuto, pur nella importanza travolgente dell’affermazione di un principio che ha fatto entrare “l’errore di fatto”, il “travisamento”, la misrepresantation (volendo utilizzare un anglicismo) all’interno del giudizio di legittimità per eccellenza, un punto d’appoggio – per così dire – tranquillizzante nel fatto che la controversia al suo esame riguardasse un vizio di percezione di ordine processuale, cioè compiuto in relazione ad un giudizio compiuto dalla Corte di Cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione al quale, per l’appunto, il potere di cognizione della cassazione non è diverso da quello di qualunque altro giudice (dal momento che la Cassazione è giudice del fatto processuale).
La decisione appena ricordata, invero, ha avuto l’indubbio pregio di scalfire il muro dell’impenetrabilità del giudizio della Cassazione su un punto cruciale dell’intero giudizio di legittimità, ossia la percezione del fatto, sia pur limitatamente a quello processuale, compiuta dai giudici di cassazione.
Successivamente, la legge 26 novembre 1990, n. 353 ha inserito l’articolo 391-bis nel corpo del codice di procedura civile, portando al progressivo riconoscimento dell’ammissibilità del rimedio della revocazione ex articolo 395 n. 4 c.p.c. ai casi di regolamento di competenza, di giurisdizione e, in definitiva a tutti i casi di ricorso ex articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c. In particolare, importante rilievo ha assunto un’altra sentenza della Corte di Costituzionale, numero 36 del 31 gennaio 19915 con la quale si è affermato che “il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento sarebbe gravemente offeso se l’errore di fatto, così come descritto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. Civ. , non fosse suscettibile di emenda sol per essere stato perpetrato dal giudice cui spetta il potere – dovere di nomofilachia. Tale principio, affermato dalla Corte Costituzionale per l’errore di fatto in cui la Corte di cassazione incorra nel controllo degli atti del processo a quo, ai fini della decisione sulla sussistenza di eventuali nullità dello stesso procedimento o della correlativa sentenza denunciate ai sensi dell’art. 395 cod. proc. Civ. , non può non valere anche (anzi “a fortiori”) per l’analogo errore in cui quella Corte incorra nella lettura di atti interni del suo stesso giudizio (nella specie: errore sulla data della notifica del ricorso). Così come del resto è previsto nella nuova norma introdotta dall’ art. 67 della legge 26 novembre 1990, n. 353. Pertanto l’art. 395, n. 4, cod. proc. Civ.va dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede la revocazione di sentenze della Cassazione (anche) per errore di fatto compiuto nella lettura di atti propri del giudizio di legittimità.“. Dunque, il secondo passaggio è costituito dalla emendabilità dell’errore di fatto “percettivo” dagli atti del processo a quo, agli atti dello stesso processo innanzi alla Corte di Cassazione.
Alla novella del 1990 è seguita quella del decreto legislativo 40 del 2006 che, oltre ad avere esteso i casi in cui la Cassazione decide con ordinanza anziché con sentenza, ha conseguentemente esteso il potere di correzione e revocazione anche alle ordinanze, oltre ad aver espressamente esteso il rimedio della revocazione anche agli altri casi di cui all’art. 395 c.p.c., con l’eccezione della revocazione per contrasto con precedente giudicato6.
Parallelamente a questo procedimento evolutivo, se ne è innestato un altro, di portata assai rilevante, volto alla introduzione e alla progressiva estensione del potere della Cassazione di decidere il merito della controversia qualora non fossero più necessari “accertamenti in fatto”: tale potere, al di là delle serrate critiche mosse da quanti7 vi vedevano la negazione della funzione nomofilattica, si inserisce nel quadro evolutivo che ha interessato le Corti Supreme8, facendo emergere la necessità che, a fronte di un potere di decisione nel merito, le sentenze della Cassazione divenissero impugnabili al di là degli angusti limiti dell’art. 391bis c.p.c., in quanto, per l’appunto, la Corte avrebbe avuto il potere di dettare in via definitiva la disciplina del regolamento di interessi tra le parti. Infatti, proprio l’attitudine alla chiusura del giudizio costituisce la misura di un organo della nomofilachia votato alla decisione di questioni non in astratto, ma in relazione a fattispecie concrete che impongono, fra l’altro, l’utilizzo di materiale probatorio e fattuale sul quale può ben incidere l’errore di percezione (per limitare le considerazioni alla revocazione per errore di fatto).
È proprio quest’ultimo il terreno su cui si confronta la pronuncia in commento. La stessa sentenza oggetto di revocazione, infatti, palesava la possibilità di una diversa decisione in merito alla spettanza del diritto al rimborso di un’imposta, in conseguenza dell’esistenza di una pronuncia penale di assoluzione, decidendo come se quest’ultima – pacificamente versata in atti – non ci fosse: afferma infatti “nella stessa sentenza di cui qui si chiede la revocazione si fa riferimento al diritto della contribuente di ottenere “qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi e dei relativi interessi”. Può pertanto ritenersi che la decisione di merito di conferma degli atti impositivi impugnati derivi dalla mancata percezione della presenza in atti di quella sentenza penale di assoluzione che la stessa Corte di cassazione indica quale presupposto del diritto al rimborso delle somme versate sulla base di tali atti (e della pronuncia giudiziale che li conferma); vale a dire della sentenza del tribunale penale di Roma n. 11551/12, prodotta nel giudizio di cassazione in data 12/11/2013“.
Si è, in altri termini, al cospetto di una decisione che fa piena applicazione dell’apice evolutivo della cassazione quale “giudice di merito” e della conseguente inevitabile rilevanza degli errori percettivi: una volta individuato nell’esistenza o meno di un determinato fatto processualmente non incerto il presupposto giuridico per il riconoscimento del prodursi di un determinato effetto giuridico, l’errore di percezione sull’esistenza dello stesso, a prescindere dalla natura sostanziale o processuale dell’effetto (e quindi indipendentemente dal vizio in judicando o in procedendo), costituisce ragione necessaria e sufficiente di revocazione della sentenza.
Il punto, per quanto di apparente immediata soluzione, pone – nel concreto – delicati problemi di individuazione. Infatti, trattandosi di una supposizione frutto di una viziata percezione, quest’ultima deve essere necessariamente espressa, altrimenti si concretizzerebbe in una incensurabile omissione di esame di un fatto decisivo. Il problema si pone in particolare laddove l’errore revocatorio venga (erroneamente) fatto inerire al contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti come esposte negli atti di causa: invero, le argomentazioni giuridiche, per un verso non costituiscono fatti ai sensi dell’art. 395, n. 4 e, dall’altro, essendo oggetto di una valutazione da parte del giudicante, attengono più propriamente all’attività valutativa del giudice9. Da ciò discende anche la necessità che il vizio sia evidente ed obiettivo, risultante dal raffronto emergente dalla sentenza impugnanda e gli atti o documenti di causa (Cass. 12284/2004), per tali intendendosi gli atti che la S.C. esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio; resta escluso, quindi, l’errore che possono essere stati determinanti della decisione di merito in quanto, in tal caso, l’errore sarebbe sostanzialmente da riferirsi alla sentenza di merito. In altri termini, per esprimersi direttamente con le parole delle SS.UU.10” l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto e, in particolare, quando abbia valutato sull’ammissibilità e procedibilità del ricorso, e si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati.“.
3. Corte di cassazione e procedimento cautelare
L’excursus compiuto sin qui aveva lo scopo di evidenziare come l’ampliamento dei poteri di cognizione della Corte di Cassazione sia stato sostanzialmente parallelo all’accrescimento dei rimedi avverso le stesse sentenze della Corte di Cassazione. Tale accrescimento, peraltro, è sempre stato legato all’accrescimento dei poteri della corte di decidere nel merito, quindi al legame con la valutazione delle circostanze in fatto, che rimane preclusa quanto agli errores in judicando, salva la necessità di percepire correttamente i fatti pacifici presenti nel giudizio che la Corte deve compiere quando decide nel merito; valutazione che, invece, è più estesa con riferimento agli errores in procedendo.
Tale conclusione, pertanto, va messa a confronto con il profilo relativo alla natura dell’accertamento compiuto dal giudice dell’impugnazione ai sensi dell’articolo 373 c.p.c., come richiamato dall’articolo 401 c.p.c. Come sopra evidenziato, infatti, alcuni autori sostengono che, in realtà, il giudizio sulla sospensione abbia un senso solo in relazione alla valutazione del fumus, in quanto il “danno”, ossia il metro dell’ingiustizia dell’esecuzione, una volta esistente il titolo esecutivo, è determinabile solo al momento in cui è completamente confermato il fumus dell’impugnazione del titolo stesso, non potendosi immaginare che l’esecuzione forzata, consentita dalla legge in base a un titolo “provvisoriamente esecutivo”, sia al contempo foriera di danno (giuridicamente inteso). Cionondimeno, secondo l’opinione prevalente – del resto confortata dal testo della norma – la gravità del danno e la sua irreparabilità costituiscono un momento indispensabile del giudizio volto alla concessione della sospensione dell’esecuzione e quindi attengono necessariamente alla valutazione di circostanze anche di fatto.
La conclusione va, inoltre, messa a confronto con le norme del procedimento cautelare uniforme: ossia con l’ipotesi in cui, fuori dai casi di richiesta sospensione dell’esecuzione, sia necessario in corso di causa, richiedere l’adozione di provvedimenti cautelari necessari a evitare la frustrazione dei diritti oggetto di controversia. In tal caso, è noto, che l’articolo 669-quater c.p.c. individua l’ufficio giudiziario competente nel giudice davanti al quale pende la causa per il merito. Detta disposizione si preoccupa, insieme al successivo 669-quinquies, soltanto del Giudice di Pace e dei collegi arbitrali per quanto riguarda le “autorità giudicanti” prive di autonomo potere cautelare. Pertanto, l’ordinamento tace per quanto riguarda il giudizio pendente innanzi alla Corte di Cassazione.
Fermo restando che per le controversie aventi ad oggetto la domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro, la tutela provvisoria del creditore è sufficientemente tutelata dall’esecutività della sentenza di primo e secondo grado e, quindi, in definitiva, dalla possibilità di procedere al pignoramento e quindi a tutelare, per questa via, la garanzia patrimoniale generica ponendo da subito il vincolo cui sarebbe preordinato il rimedio cautelare tipico (i.e. il sequestro conservativo), deve tenersi conto che, per un verso, non tutte le pronunce sono esecutive pur sottintendendo la debenza di una somma di denaro (si pensi all’ipotesi di riforma in appello di sentenza di primo grado integralmente eseguita) e, per altro verso, della esistenza di altre esigenze cautelari, anche atipiche e che non sono suscettibili di soddisfazione mediante apposizione del vincolo del pignoramento.
In disparte l’inconducente affermazione secondo la quale, in caso di pendenza della causa in cassazione, non c’è un giudice “di merito” cui rivolgersi perché non c’è la causa di merito11– dovendosi ritenere che il riferimento dell’articolo 669-quater sia all’esistenza di un giudizio già instaurato per ottenere un accertamento della situazione giuridica soggettiva – di certo il vero punto dolente è costituito proprio dalla necessità che, al fine dell’adozione del provvedimento cautelare, si proceda a valutazioni in fatto, mediante l’esercizio di poteri istruttori, coinvolgenti la valutazione sul periculum, ossia sul danno. Né è d’aiuto l’articolo 373 c.p.c.: è evidente che nell’applicazione effettuatane dalla Corte di Cassazione, non v’è traccia alcuna della valutazione del “danno grave e irreparabile”, in quanto tutto si è risolto nella valutazione della fondatezza della revocazione. In sé, quindi, la Cassazione rifugge dalla valutazione del periculum in quanto priva degli strumenti istruttori di valutazione dello stesso, salvo considerarlo in re ipsa come conseguenza della fondatezza del vizio denunciato.
Della questione si è occupata anche la Corte Costituzionale che, investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 383, 669-ter, 669-quater c.p.c. l’ha dichiarata inammissibile in quanto ” il sistema di norme impugnato in questa sede consente, mediante i vari strumenti interpretativi, di individuare il giudice competente anche nel caso in esame“.
Dunque, gli orientamenti che si sono contrapposti si riducono a quanti escludevano pacificamente la possibilità per la Suprema Corte di disporre provvedimenti cautelari12, e quanti propendevano per la competenza del giudice a quo, soluzione che, per i gravi inconvenienti che deriverebbero dalla impossibilità di compiere atti istruttori, sembra confermata proprio dalla disciplina del potere della Cassazione di decidere nel merito le controversie quando non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto13.
In definitiva, tornando al punto di partenza, e seguendo la traccia seguita, appare evidente che la Cassazione sia stata sapientemente e opportunamente in grado di rimanere nel solco dell’evoluzione che ha condotto ad un’estensione della possibilità di decidere le controversie nel merito, rigorosamente contenuto nella necessità dell’assenza di qualunque bisogno di ulteriori accertamenti istruttori: al di là della natura lato sensu cautelare del rimedio dell’articolo 373 c.p.c. e del potere di applicare lo stesso allorché sia impugnata per revocazione una sentenza della stessa Cassazione (con l’evidenziata forzatura del dettato normativo, costituente una chiara interpretatio abrogans con riferimento all’elemento del danno grave e irreparabile), appare chiaro che la Corte non può e non intende operare accertamenti in fatto, neppure sommari, non consentiti dalla struttura stessa del procedimento che si svolge innanzi a essa. Sono queste le forti ragioni di opportunità che fanno propendere, ancora oggi, per la bontà della soluzione tradizionale
Può concludersi, quindi, per l’assenza di un potere autonomo cautelare della Corte di Cassazione e per la necessità di ritenere confermato l’originario orientamento, secondo il quale i provvedimenti cautelari, in pendenza del giudizio di Cassazione, vanno chiesti al giudice della sentenza impugnata (in applicazione estensiva della disposizione dell’articolo 669-quater c.p.c. che disciplina la competenza in pendenza dei termini), o, dopo la sentenza della Cassazione, al giudice del rinvio14.
Pasquale Pucciariello
Avvocato dello Stato
1 Sul punto, cfr., Mandrioli, Diritto processuale civile, IV, Torino, 2005, pag. 221, in nota n. 18.
2 Sull’applicabilità dell’articolo 373 c.p.c. al giudizio di revocazione proposto nei confronti delle sentenze di Cassazione, si veda, per la tesi negativa, Consolo, La revocazione delle decisioni della cassazione e la formazione del giudicato, 1989, pag. 303, nonché Proto Pisani, Foro it., 1986, I, 317. V. pure, Satta, Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 1993, pag. 656.
3 V. sul tema della natura del potere di inibitoria demandata al giudice dell’impugnazione, Vaccarella, Diffusione e controllo dei titoli esecutivi non giudiziali, in Riv. Dir. Proc., 1992, 47 e ss., spec. Pag. 125 ove l’A afferma che “In logica contraddizione con la scelta del legislatore di attribuire l’esecutività ad una sentenza sia non già la delibazione del fumus boni juris bensì quella del periculum in mora. …soltanto le norme sull’impignorabilità di taluni beni ci dicono quanto un’espropriazione arreca un danno antigiuridico al debitore, ogni altro pregiudizio arrecato al debitore dall’espropriazione è, per definizione frutto legittimo dell’esecutività del provvedimento il debitore…che si lagnasse puramente e semplicemente del pregiudizio arrecatogli dall’espropriazione non farebbe altro che lagnarsi della decisione del legislatore di attribuire l’esecutività a quella sentenza“. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Torino, 1959, vol. 3, pag. 502 ss; Bucolo, La sospensione dell’esecuzione, in Nov. Dig. It., XVII, Torino, 1970, 944. Contra, Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. Esec. Forz., 2006, p. 218 ss. In Giurisprudenza, v. Cass. 27087/11, la quale nel dichiarare l’inammissibilità di un ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., rivolto nei confronti del provvedimento con il quale la corte d’appello abbia dichiarato non reclamabile il diniego dell’istanza formulata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 19 legge fall., di sospensione della liquidazione dell’attivo, ha timidamente affermato che “né diverse conseguenze comporterebbe l’assunzione dell’inibitoria in esame, pur sostenuta da avveduta dottrina, nella categoria dei provvedimenti cautelari, che sono reclamabili ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., ma comunque restano non impugnabili per cassazione (v. S.U. n. 27537/2008).“.
4 Cfr. Petrillo, Sospensione per opposizione all’esecuzione, in Briguglio-Capponi, >Commentario alle riforme del processo civile, Vol. II, Padova, 2007, pag. 625.
5 In Foro It. 1991, I, 1033.
6 Con riferimento al motivo di revocazione ordinaria per contrasto con precedente giudicato (395, n. 5 c.p.c.), non espressamente previsto, si veda Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18234 del 22/08/2006, a mente della quale “Contro la sentenza della Corte di cassazione che abbia deciso la causa nel merito, a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., l’impugnazione per revocazione è ammissibile anche ai sensi dell’art. 395, numero 5, cod. proc. civ., per far valere la contrarietà di detta sentenza ad altra precedente avente tra le medesime parti autorità di cosa giudicata. (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte ha peraltro dichiarato inammissibile l’impugnazione per difetto di interesse in applicazione del principio per cui, in ipotesi di contrasto di giudicati, prevale il secondo giudicato, sempre che quest’ultimo non sia stato sottoposto a revocazione; e ciò in quanto, nella specie, l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata per revocazione, liquidando una minor somma a titolo di indennità di espropriazione a carico del Comune, conteneva un accertamento più favorevole all’ente locale ricorrente rispetto a quello recato dal primo giudicato).“, ma, contra, Cass. SS.UU. Sez. U, Sentenza n. 10867 del 30/04/2008 a mente della quale “Avverso le sentenze di mera legittimità della Corte di cassazione non è ammissibile l’impugnazione per revocazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ., non essendo tale ipotesi espressamente contemplata nella disciplina anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006 (applicabile nella specie), né in quella successiva (artt. 391 “bis” e 391 “ter” cod. proc. civ.), secondo una scelta discrezionale del legislatore – non in contrasto con alcun principio e norma costituzionale, atteso che il diritto di difesa e altri diritti costituzionalmente garantiti non risultano violati dalla disciplina delle condizioni e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato, la cui stabilità rappresenta un valore costituzionale – condivisibile anche alla luce della circostanza che l’ammissibilità di tale impugnazione sarebbe logicamente e giuridicamente incompatibile con la natura delle sentenze di mera legittimità, che danno luogo solo al giudicato in senso formale e non a quello sostanziale.“.
7 Denti, La Cassazione giudice del merito, in Foro It., 1991, V, 1; Fazzalari, Luci e ombre della riforma del processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1991, p. 628
8 De Cristofaro, Art. 384 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo, Milano 2007, pag. 3070.
9 V., in tal senso Cass. 6168/2005 e SS.UU. 1178 del 2000.
10 Ordinanza n. 26022 del 30/10/2008; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22868 del 12/12/2012; più “scivolosa” la massima di Cass. Sez. L, Sentenza n. 27451 del 09/12/2013, a mente della quale ” In materia di revocazione delle sentenze della corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, cod. proc. civ. deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, mentre è inammissibile ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione. (Nella specie, la contestazione riguardava, in particolare, la declaratoria di inammissibilità per aver escluso il vizio di violazione di legge in riferimento ad una circolare amministrativa, nonostante la stessa fosse stata adottata a seguito del d.lgs. n. 124 del 2004).“, dove l’espressione “disamina superficiale” sembra aprire a spiragli di contestazione “non consentiti”.
11 Corte di Appello di Venezia, 17 ottobre 1998 in Giust. Civ., 1999, 2153, con nota critica di Dalmotto, Prime indicazioni giurisprudenziali sulla competenza cautelare nel termine per riassumere la causa rinviata dalla Cassazione e sul rito da seguire quando il merito instaurando sia integralmente collegiale
12 Pototschnig, I procedimenti cautelari, a cura di Giuseppe Tarzia, Padova, 1990, pag- 58
13 V. Consolo-Recchioni, sub art. 669-quater, in Codice di procedura civile commentato, Milano 2007, p. 4709.
14 Su tutti, v. Merlin, in Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. Disc. Priv. – Civile, voce, pag. 402.