IN TEMA DI INFORTUNI SUL LAVORO IN CASO DI SOMMINISTRAZIONE DI MANODOPERA SPETTA AL SOGGETTO COMMITTENTE L’OBBLIGO DI INFORMAZIONE E FORMAZIONE DEL LAVORATORE

di Daniela Sodo – Avvocato 

La vicenda 

La vicenda in esame trae origine dalla impugnativa, dinanzi alla Corte Suprema, della sentenza con la quale il Giudice di appello aveva condannato la società, committente in un contratto di appalto di manodopera per l’ esecuzione di opere all’interno del suo opificio, a rivalere i danni che l’INAIL aveva corrisposto al lavoratore infortunato, dipendente del soggetto appaltatore, e, per essa, la compagnia assicuratrice che era stata dichiarata tenuta a manlevare la stessa società committente dal relativo pagamento. 

La questione si sviluppava, pertanto, intorno all’accertamento della responsabilità del dipendente nella causazione dell’evento lesivo e della sua condotta imprudente e coscientemente deviante dalle normali modalità di lavorazione come unica causa del sinistro nonché, soprattutto, in ordine alla esclusione di colpa per il fatto lesivo che la società committente rivendicava sul presupposto della mancanza, a suo dire, di alcun onere informativo verso i lavoratori del soggetto appaltatore. 

Le difese, però, della società committente e della compagnia che ne assicurava la responsabilità per danni su questi specifici punti della controversia venivano ritenute infondate e pertanto rigettate dai Giudici di legittimità. 

La decisione

I Giudici di legittimità con l’ordinanza in commento hanno disatteso i ricorsi sia della società committente che della Compagnia assicuratrice di questa precisando anzitutto che In tema di infortuni sul lavoro “…è configurabile un concorso colposo della vittima solo nel caso di c.d. “rischio elettivo” e che detto rischio “ non può dirsi sussistere sol perché un operaio sia stato imprudentee riconoscendo altresì la responsabilità dei predetti due soggetti, sia pure a titoli differenti tra loro, per il fatto lesivo occorso per non avere la società committente adottato le necessarie cautele infortunistiche.

Le riflessioni conclusive

La Corte Suprema, con questa interessante ordinanza, ha ulteriormente ribadito un principio di diritto che, per quanto scontato nel difficile e delicato sistema delle relazioni industriali, tuttavia genera sempre contrasti e discussioni tra la parte datoriale ed i lavoratori, e cioè quello secondo il quale “ …. Il datore di lavoro…, giusta la previsione di cui all’art. 2087 c.c., ha il dovere di prevenire anche le imprudenze dei suoi lavoratori: vuoi istruendoli adeguatamente, vuoi controllandone l’operato, vuoi dotandoli di strumenti e mezzi idonei e sicuri…..”.

Prescindendo, ovviamente, in questa sede da ogni considerazione fattuale circa le reali condizioni del lavoro e della condotta tenuta dalle parti nei casi specifici oggetto di controversia, dovendo queste essere accertate sulla base sempre del rigoroso onus probandi, ciò che rileva alla nostra attenzione è, appunto, l’ennesima conferma del criterio distintivo della responsabilità del lavoratore nella causazione dell’infortunio sul lavoro e della conseguente esenzione da qualsivoglia colpa del datore di lavoro secondo quel concetto giuridico che ha assunto il nome di c.d. “ rischio elettivo “. 

Come è noto, infatti, il rischio elettivo è ormai una delle cause di esclusione dalla tutela infortunistica INAIL del lavoratore e dalla responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell’evento lesivo. 

Sebbene esso sia stato talvolta confuso con l’imprudenza e con la negligenza potenzialmente ascrivibili al lavoratore, in realtà nel tempo si sono opportunamente delineati i suoi criteri di valutazione proprio grazie al prezioso lavoro della Corte di Cassazione che lo ha efficacemente tipizzato come un comportamento, contrario al buon senso, adottato dal lavoratore in conseguenza del quale si è verificato un infortunio sul lavoro e, quindi, in sostanza, come una azione volontaria, palesemente abnorme e svincolata da qualsiasi forza maggiore o necessitata, posta in essere dal lavoratore.

Anche in questa ennesima pronuncia in commento, pertanto, i Giudici di legittimità hanno ribadito come si debba parlare di responsabilità esclusiva del lavoratore per c.d. “rischio elettivo” solo qualora il lavoratore “…abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere….”.

Data, comunque, la sostanziale univoca posizione giurisprudenziale acquisita sul tema, peraltro ampiamente ripresa anche dalla Corte nella pronuncia in esame, è superfluo ogni ulteriore approfondimento al riguardo. 

Decisamente, invece, molto più interessante risulta essere, nella stessa pronuncia, il riferimento alla regolamentazione giuridica della sfera di responsabilità per il fatto lesivo in ipotesi di appalto di manodopera per l’esecuzione di opere. 

Nel caso di specie, infatti, assistiamo all’infortunio subito dal lavoratore, operante in regime di “ somministrazione di manodopera “ e svolgente la sua attività lavorativa in un opificio di proprietà del soggetto committente ed evidentemente con l’utilizzo di mezzi e strumenti riconducibili a quest’ultimo; tanto è bastato, dunque, per convincere i Giudici di legittimità a riconoscere la responsabilità del fatto in capo appunto alla società committente per omessa adozione di cautele infortunistiche. 

La società committente, in realtà, nel contestare questo presupposto di fatto evidenziava come in una fattispecie di “ contratto di fornitura di lavoro temporaneo “ o, per meglio dire, come da precisazione testuale contenuta nell’ordinanza, di un contratto “ di somministrazione del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, ex art. 23 “ essa avrebbe solo degli oneri di protezione nei confronti dei lavoratori ma non già di loro formazione. 

La conclusione invece cui perviene la Corte di Cassazione è tanto decisa e rigorosa quanto sintetica poiché la stessa testualmente afferma che “ ….La censura è dunque infondata innanzitutto perchè si fonda su un presupposto erroneo: e cioè che nel contratto di appalto di lavori da eseguirsi all’interno dell’opificio del committente, quest’ultimo non abbia oneri informativi verso i lavoratori…”. 

Intanto ricordiamo che l’istituto in parola, già disciplinato dal citato D. Lgs. 276/2003, è stato interessato da una completa sua rivisitazione dal Capo IV ( articoli 30-40 ) del Decreto Legislativo 15 giugno 2015n.81, attuativo del più noto Jobs Act e recante la “ Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n.183 ”  (  1 ) che all’art.30 ha portato alla nuova definizione di tale contratto secondo la quale il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003 , mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.”

Dalla lettura di questa normativa emergono, con riguardo alla problematica che ci occupa, alcuni elementi non del tutto univoci e che effettivamente aprono degli interrogativi sulla fondatezza della tesi della società committente di esclusione di ogni sua responsabilità. 

E’ infatti chiaro l’intento del legislatore, al citato art. 30, di precisare che i lavoratori “ ….per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore….”, a dimostrazione del rapporto immediato e diretto che evidentemente si vuole costituire tra il dipendente “ somministrato “ ed il soggetto “ utilizzatore “ o, per meglio dire, “ committente “ del lavoro in somministrazione. 

Ciò, peraltro, farebbe anche intendere, come corollario indiscutibile, la responsabilità che lo “ utilizzatore “ andrebbe ad assumere con riguardo alla tutela delle condizioni di lavoro e di sicurezza del dipendente poiché la stessa normativa prescrive come tale contratto, da stipularsi rigorosamente in forma scritta, debba contenere, tra l’altro, anche l’elemento della “ indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate ( art. 33 comma 1 punto c ) e come “…In caso di contratto di somministrazione, il prestatore di lavoro non è computato nell’organico dell’utilizzatore ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell’igiene e della sicurezza sul lavoro…. ( art. 34 comma 3 ). 

Sin qui, dunque, sembrerebbe che non vi siano dubbi sul fatto che sia lo “ utilizzatore “ o “ committente “ a dover rispondere della sicurezza e della tutela della persona del lavoratore, se non fosse che all’art. 35 comma 4 del citato D.Lgs.81/2015, rubricato con la “ Tutela del lavoratore, esercizio del potere disciplinare e regime della solidarietà ”, si prevede che“ Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li forma e addestra all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale essi vengono assunti, in conformità al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore. L’utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti.

E’ questa dunque la disposizione normativa, non a caso richiamata a sua discolpa dalla società committente nel caso che ci occupa sia pure con riguardo ad un testo ormai abrogato, che lascia intravedere qualche crepa interpretativa, poiché rimette unicamente in capo al soggetto somministratore il compito ed il dovere di provvedere all’informazione dei lavoratori sui rischi ed i pericoli nonché quelli di procedere alla loro formazione, evidentemente anche pratica, circa l’utilizzo di mezzi e strumenti di lavoro, fatto salvo il caso in cui non sia l’utilizzatore stesso a farsene carico per apposito accordo negoziale e di tanto ve ne sia menzione nel contratto stipulato con il lavoratore. 

In effetti il legislatore rimette al soggetto committente solo l’obbligo di garantire la protezione del lavoratore, per cui la posizione assunta dagli Ermellini in proposito nel passaggio testuale sopra riportato (  “…un presupposto erroneo: e cioè che nel contratto di appalto di lavori da eseguirsi all’interno dell’opificio del committente, quest’ultimo non abbia oneri informativi verso i lavoratori…” ) appare formalmente contrastante con la norma in parola, sebbene, a pare di chi scrive, maggiormente in linea con una applicazione pratica della normativa di riferimento de iure condendo e con le dinamiche di contesto lavorativo in cui si inserisce quasi sempre la somministrazione di manodopera. 

Si tratta, come è noto, dell’obbligo di informazione circa tutte le “ conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro “ espressamente sancito, in capo al datore di lavoro e/o a chi lo rappresenta in sede apicale, dall’art. 36 del D. Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 e che, se applicato al caso che ci occupa, effettivamente genera qualche perplessità circa il contenuto testuale della normativa in materia di somministrazione del lavoro. 

Per quanto ci possa sembrare difficile pensare che debba essere il soggetto somministratore a dover fornire una siffatta informazione, peraltro completa ed accurata come prevista dalla legge, ed addirittura una formazione sull’uso di attrezzature e strumenti di lavoro, quando poi il dipendente si trovi ad operare in un ambito lavorativo di competenza esclusiva dello “ utilizzatore “ e quindi noto e conosciuto solo a quest’ultimo, è comunque vero che sia il preesistente D.Lgs. n. 276/2003 che l’attuale citato D. Lgs. n. 81/2015 affermano esattamente questo. 

Non dimentichiamo, al riguardo, come in tema di informazione e formazione sia prescritto l’obbligo di fornire al lavoratore la consapevolezza generale del ciclo produttivo in cui lo stesso si troverà ad operare poiché è solo in tal modo che egli avrà la possibilità di effettuare scelte ed attuare comportamenti che non compromettano la sicurezza propria ed altrui, né tralasciamo di considerare come tali obblighi possano essere adempiuti anche mediante incontri di gruppo o assemblee di specifico reparto che in sé comportano la diretta, se non esclusiva, partecipazione del soggetto utilizzatore del lavoro in somministrazione. 

Non a caso, del resto, la Corte Suprema in materia ha stabilito che lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo “ se è necessario nei confronti dei dipendenti dell’impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente dalle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note ( 2)  e che  “ si ravvisa un profilo di colpa generica del datore di lavoro nell’aver assunto per un compito specifico e particolarmente rischioso due giovani inesperti dei rischi connessi al processo di lavorazione loro demandato, senza nemmeno compiere la più elementare indagine sulla loro capacità di svolgerlo nelle prudenti condizioni di assenza di pericolo ” ( 3 )

Ancora in tema di informazione dei lavoratori i Giudici di legittimità hanno anche precisato come “ il datore di lavoro ha il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere formalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma di attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Né egli può disinteressarsi dell’ordinario svolgimento del lavoro e dei rischi “comuni”, sul presupposto di una loro evidenza che li rende percepibili direttamente da parte del lavoratore “. ( 4 ) 

L’orientamento, assolutamente condivisibile, assunto dalla Corte legittima, pertanto, più che fondati dubbi sulla compatibilità concreta della normativa di riferimento rispetto alle dinamiche organizzative del contratto di somministrazione di manodopera e, segnatamente, sulla riferibilità dell’obbligo di informazione e formazione in capo al soggetto somministratore piuttosto che a quello utilizzatore per cui speriamo che questa pronuncia possa aprire un varco per una soluzione legislativa del tema più confacente alle reali esigenze di sicurezza del lavoratore. 

  1. G.U. 24 giugno 2015 n. 144 – S.O. n.34 
  2. Cassazione civile – Sez. Lavoro – sentenza n. 9689 del 23 aprile 2009 e, conformi, Cassazione – SS.UU. civili – sentenze nn. 11490/1990 e 11492/1990
  3. Cass. Pen. – Sez. Quarta – sentenza n. 14875 del 26 marzo 2004
  4. Cass. Pen. – Sez. Quarta – sentenza n. 4870 del 10 dicembre 2003-6 febbraio 2004 e Cass. Pen. – Sez. Quarta – sentenza n. 1225 del 25 novembre 2010-18 gennaio 2011.