A cura del Dott. Filippo Castagnari
ESTREMI DELLA SENTENZA
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, sentenza 25 ottobre 2017 nella causa C-106/16. Presidente: K. Lenaerts; Vicepresidente: A. Tizzano; T. von Danwitz, J. L. da Cruz Vilaça, A. Rosas, J. Malenovský e E. Levits, Presidenti di Sezione; E. Juhász, A. Borg Barthet, D. Šváby, M. Berger, K. Jürimäe (Relatore) e M. Vilaras, Giudici; Avvocato Generale: J. Kokott; Cancelliere: K. Malacek
Polbud – Wykonawstwo sp. z o.o., in liquidazione, (nel prosieguo, Polbud)
- Parte ricorrente
Avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 T.F.U.E. dal Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia), con decisione del 22 ottobre 2015, pervenuta in cancelleria il 22 febbraio 2016.
MASSIMA REDAZIONALE
Rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. – Trasferimento sede legale di società all’estero – Trasferimento IntraUE – Trasformazione transfrontaliera in società soggetta al diritto di un diverso Stato membro rispetto allo Stato membro d’origine – Cancellazione della società dal registro delle imprese dello Stato membro d’origine – Subordinazione dell’efficacia del trasferimento alla liquidazione della società nello Stato membro d’origine – Restrizione alla libertà di stabilimento ex artt. 49 e 54 T.F.U.E. – Sussistenza – Giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento per tutelare gli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti della società “trasferenda”. Motivi imperativi d’interesse generale – Insussistenza – Necessità dell’instaurazione di un legame economico duraturo con lo Stato membro di destinazione – Insussistenza – Fattispecie abusiva del diritto dell’U.E. – Insussistenza
Contrasta con il diritto dell’Unione una normativa nazionale che imponga – all’atto del trasferimento IntraUE della sede legale di società – un obbligo generalizzato di attivare un procedimento di liquidazione del patrimonio della società stessa nello Stato membro di costituzione, per ottenere la cancellazione dal registro delle imprese ivi residenti e senza considerare il rischio effettivo di una lesione degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti, impedendo di optare per misure meno restrittive ugualmente idonee a salvaguardare detti interessi.
Difatti, stabilire la sede legale o effettiva di una società, in conformità alla legislazione di uno Stato membro, al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa, non può costituire di per sé un abuso della libertà di stabilimento. Restrizioni o impedimenti eccessivi al trasferimento della sede legale di una società – costituita conformemente al diritto di uno Stato membro – nel territorio di un diverso Stato membro, nonché alla trasformazione dell’ente in società soggetta alla legge di tale ultimo Stato membro pongono un insanabile contrasto con la libertà di stabilimento tutelata dal combinato disposto degli artt. 49 e 54 T.F.U.E.
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- CASO DI SPECIE
La sentenza in commento abbraccia una tematica di notevole rilievo nella dinamica dei rapporti tra società commerciali insediate in differenti Stati Membri dell’U.E. disvelando, parimenti, rimarcabili implicazioni dal punto di vista della posizione fiscale propria di codeste società nei confronti delle Amministrazioni finanziarie dei singoli Stati Membri, intenzionate a preservare l’interesse fiscale alla totalità ed unicità del prelievo erariale nei sistemi tributari nazionali.
Dinanzi ai giudici di Lussemburgo, nel procedimento C-106/16, è incardinato il ricorso pregiudiziale di una società a responsabilità limitata di diritto polacco (i.e. Polbud) la quale – in conformità al codice delle società commerciali vigente nello Stato Membro di origine (Repubblica di Polonia) – decide di trasferire la propria sede legale in Lussemburgo (Stato Membro di destinazione).
Ipso facto, il 28 maggio 2013 l’assemblea dei soci della Polbud adotta apposita delibera d’attuazione del trasferimento della sede legale della società in Lussemburgo, dove la Polbud assume la denominazione sociale di Consoil Geotechnik Sárl. Al fine di esplicare gli effetti giuridici di siffatta operazione societaria nel Paese d’origine, la Polbud ha depositato – presso il giudice del registro – istanza di cancellazione dal registro delle imprese polacco, allo scopo di rendere opponibile in Polonia la trasformazione dell’ente da società residente a società non residente.
In obbedienza al codice delle società commerciali polacco, il trasferimento all’estero della sede della società è causa di scioglimento della stessa. Lo scioglimento della società filtra necessariamente attraverso la liquidazione della medesima e, pertanto, conduce sia alla cessazione dell’attività imprenditoriale in precedenza realizzata, che alla perdita della personalità giuridica dell’ente in Polonia.
Tutto ciò premesso, il giudice del registro alla richiesta – formulata dalla Polbud – di cancellazione dal registro delle imprese polacco richiedeva la contestuale produzione del bilancio di liquidazione e di tutti i correlati documenti contabili attestanti l’avvenuto perfezionamento del procedimento liquidatorio. La Polbud, in forza del disposto dell’art. 19, comma 1, terzo periodo, della legge sul diritto internazionale privato polacco, rileva che “il trasferimento della sede all’interno dello Spazio economico europeo non comporta la perdita della personalità giuridica” e ritiene, di conseguenza, non necessaria la produzione dei documenti suddetti in quanto la società non è stata sciolta, né si è proceduto alla ripartizione degli attivi dell’ente tra i soci.
L’istanza di cancellazione dal registro delle imprese polacco è stata avanzata in ragione del trasferimento della sede legale della società in Lussemburgo. La Polbud ha, pertanto, perso lo status di società di diritto polacco per divenire una società di diritto lussemburghese e, dunque, il rispetto dei requisiti della procedura di liquidazione previsti dal diritto polacco non era necessario né possibile, in quanto essa non aveva perduto la personalità giuridica (cfr. punto n° 14 della sentenza in commento).
Difatti, il giudice del rinvio rileva che la procedura di liquidazione è finalizzata alla cessazione dell’esistenza giuridica della società. Condizione sommamente ostativa nei confronti della Polbud, giacché quest’ultima continua ad esistere ed operare nel territorio polacco, sebbene come soggetto di diritto di uno Stato Membro diverso.
Quindi, il giudice del rinvio denota – in via preliminare all’esposizione delle questioni pregiudiziali – tre quesiti verso cui incanalare la ratio decidendi dei giudici della Corte:
- l’imposizione alla Polbud di obblighi analoghi a quelli richiesti per la cessazione dell’esistenza giuridica della società in quanto tale condensa una restrizione eccessiva alla sua libertà di stabilimento? Di conseguenza, la constatazione della ricostituzione della società, sulla base della sola delibera dei soci relativa alla continuazione della personalità giuridica acquisita nello Stato Membro d’origine e la sua iscrizione nel registro delle imprese dello Stato Membro ospitante risultano fattispecie opponibili allo Stato Membro d’origine, sebbene in quest’ultimo sia in corso un procedimento di liquidazione? (punto n° 15 della sentenza in commento);
- l’adeguata tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti nell’ambito della procedura di liquidazione giustifica il rifiuto di riconoscere la personalità giuridica acquisita in un altro Stato Membro, poiché la cancellazione dal registro delle imprese di provenienza è retta dal diritto dello Stato Membro d’origine? (punto n° 16 della sentenza in commento);
- il trasferimento della sede legale della Polbud in Lussemburgo traduce la volontà da parte della compagine sociale di costituire un «“legame economico duraturo”» con lo Stato membro ospitante, tale per cui è ivi trasferito il luogo dell’effettiva gestione ed esercizio dell’attività? (punto n° 17 della sentenza in commento).
Alla luce di quanto sopraesposto, il giudice del rinvio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 T.F.U.E., ritiene di dover domandare alla Corte un pronunciamento pregiudiziale volto a conoscere l’interpretazione di tale organo giurisdizionale dell’U.E. in ordine alla seguente circostanza: gli articoli 49 e 54 T.F.U.E. ostano a che uno Stato Membro in cui è stata costituita una società commerciale (società a responsabilità limitata) applichi le disposizioni di diritto nazionale che subordinano la cancellazione dal registro allo scioglimento della società in esito alla messa in liquidazione, qualora la società abbia formato oggetto, in un altro Stato Membro, di ricostituzione sulla base di una delibera dei soci di continuazione della personalità giuridica acquisita nello Stato di costituzione?
Di converso, le disposizioni testé citate debbono essere interpretate nel senso che le restrizioni alla libertà di stabilimento includono l’ipotesi in cui una società, allo scopo di trasformarsi in una società soggetta al diritto di un altro Stato membro, trasferisca la propria sede sociale in quest’ultimo Stato senza cambiare la sede dello stabilimento principale che rimane nello Stato di costituzione?
- TRASFERIMENTO INTRAUE DELLA SEDE LEGALE DI SOCIETÁ. LA NECESSARIETÁ DEL PROCEDIMENTO LIQUIDATORIO NELLO STATO MEMBRO D’ORIGINE IMPLICA UNA RESTRIZIONE ILLEGITTIMA ALLA LIBERTÁ DI STABILIMENTO.
Come enucleato dalla Corte, «il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 49 e 54 TFUE debbano essere interpretati nel senso che la libertà di stabilimento è applicabile ai trasferimenti della sede legale di una società costituita ai sensi del diritto di uno Stato membro verso il territorio di un altro Stato membro, ai fini della sua trasformazione in una società soggetta al diritto di tale secondo Stato membro, senza spostamento della sede effettiva della citata società» (punto n° 29 della sentenza in commento).
Al riguardo, il governo polacco (all’unisono con il corrispondente austriaco) ritiene che sia legittima, nel caso di specie, una restrizione alla libertà di stabilimento della società, poiché quest’ultima ha provveduto a trasferire la propria sede legale in Lussemburgo senza che tale operazione fosse accompagnata dall’esercizio di un’effettiva attività economica nello Stato membro di destinazione.
In realtà, la Corte mette in evidenza come il combinato disposto degli artt. 49 e 54 T.F.U.E. comprenda il diritto per una società, costituita in conformità con la normativa di uno Stato membro, di trasformarsi in una società disciplinata dal diritto di un altro Stato membro[1] «purché siano soddisfatte le condizioni stabilite dalla normativa di tale ultimo Stato membro e, in particolare, il criterio posto da detto Stato per collegare una società all’ordinamento giuridico nazionale» (punto n° 33 della sentenza in commento).
Difatti, in assenza di una legislazione uniforme ed armonizzata nel composito mosaico statuale che interseca il diritto dell’U.E., l’art. 54 T.F.U.E. pone sullo stesso piano la sede sociale, l’amministrazione centrale e il centro d’attività principale di una società come criteri di collegamento, delegando alla discrezionalità legislativa del singolo Stato Membro la definizione puntuale e specifica del criterio de quo.
Di conseguenza, la legislazione eurounionale riconosce e tutela la facoltà insita in capo alla Polbud di trasformarsi in una società di diritto lussemburghese e, contestualmente, di mantenere nello Stato membro d’origine la sua attività economica effettiva, a condizione che siano soddisfatti i requisiti richiesti dalla legislazione dello Stato membro di destinazione ai fini del collegamento di una società al proprio ordinamento giuridico nazionale.
«La situazione in cui, una società costituita secondo la legislazione di uno Stato membro desidera trasformarsi in una società retta dal diritto di un altro Stato membro, nel rispetto del criterio stabilito dal secondo Stato membro ai fini del collegamento di una società al proprio ordinamento giuridico nazionale, rientra nella libertà di stabilimento, quand’anche detta società svolga l’essenziale, se non il complesso, delle sue attività economiche nel primo Stato membro»[2] (punto n° 38 della sentenza in commento).
In altri termini, la Corte prende atto che allo stato attuale del diritto dell’U.E., non è possibile addurre alcuna ragione giustificatrice capace di sostenere – sul piano della conformità alle libertà sancite e tutelate dal T.F.U.E. – misure adottate dalle legislazioni dei singoli Stati membri volte ad implicare una qualsiasi immunità del diritto nazionale in materia di costituzione e di scioglimento delle società rispetto alle norme relative alla libertà di stabilimento.
Ed invero, non è ammissibile imporre per una trasformazione transfrontaliera – sulla falsariga dell’operazione realizzata dalla Polbud nel caso di specie – condizioni più restrittive di quelle che disciplinano la trasformazione di una società all’interno dello Stato membro in questione, ovverosia impedire o dissuadere la società in parola dal procedere a tale trasformazione transfrontaliera[3].
Alla luce di quanto espresso, la Corte rimarca che «gli articoli 49 e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che la libertà di stabilimento è applicabile al trasferimento della sede legale di una società costituita ai sensi del diritto di uno Stato membro verso il territorio di un altro Stato membro, ai fini della sua trasformazione, conformemente alle condizioni poste dalla legislazione di tale secondo Stato membro, in una società soggetta al diritto di quest’ultimo, senza spostamento della sede effettiva della citata società» (punto n° 44 della sentenza in commento).
La libertà di stabilimento ex artt. 49 e 54 T.F.U.E. impera nei confronti di talune normative nazionali (come quella polacca, nel caso di specie) che, richiedendo la liquidazione della società, è tale da ostacolare, se non addirittura inibire ab imis, la trasformazione transfrontaliera della stessa società e costituisce, pertanto, una restrizione illegittima al diritto de quo[4].
A ben vedere, secondo le censure sollevate dal governo polacco, l’adeguata tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti nell’ambito della procedura di liquidazione giustificherebbe la restrizione alla libertà di stabilimento sofferta dalla Polbud.
Orbene, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte una simile restrizione alla libertà di stabilimento, oltre ad essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e a non eccedere quanto necessario per raggiungerlo, può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale[5]. Tra questi, rientrano a pieno la tutela degli interessi dei creditori, dei soci di minoranza e dei dipendenti della società interessata dal procedimento.
Tuttavia, la normativa polacca prevede un obbligo generalizzato di liquidazione della società che intende trasferire la propria sede legale in uno Stato Membro diverso dalla Repubblica di Polonia.
Pertanto, la Corte sancisce che un siffatto obbligo di liquidazione imposto dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale vada al di là di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo della tutela degli interessi summenzionati (punto n° 59 della sentenza in commento). Ciò, in violazione del principio di proporzionalità racchiuso nell’art. 5 del T.U.E. che permea il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione e, per estensione, dell’attività normativa degli Stati Membri qualora si rilevino profili di tangenza con il diritto dell’U.E.
- TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SEDE LEGALE E TRASFERIMENTO DELLA RESIDENZA FISCALE: PROFILI GIURIDICI DI DIRITTO INTERNO ADIACENTI AL MEDESIMO RAPPORTO TRIBUTARIO. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
L’analisi dei punti di differenziazione esistenti – in seno alla disciplina di diritto tributario – tra il trasferimento all’estero della sede legale di una società e il correlato trasferimento della residenza fiscale della medesima, richiede la necessaria oggettivazione dei profili di maggior complessità che costellano il fenomeno in parola coinvolgenti, in via preliminare, il diritto societario. Il trasferimento della sede sociale all’estero, infatti, rappresenta un’operazione societaria che non attiene solo alla modifica della sede statutaria, ma coinvolge anche l’assetto delle regole organizzative della società stessa, considerato che, di regola, al momento della costituzione della società la localizzazione della sede statutaria ha la funzione di individuare l’ordinamento di riferimento e, conseguentemente, la legge regolatrice dell’ente medesimo[6].
Inoltre, conformemente all’art. 25, comma 3 della legge sul diritto internazionale privato italiana, “i trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati”. Vale a dire, «l’efficacia del trasferimento della sede statutaria è subordinata al duplice rispetto sia delle norme del paese di provenienza sia di quelle del Paese di destinazione. Ne consegue che la continuità giuridica della società è condizionata alla ammissibilità del trasferimento nei due ordinamenti. …(omissis)… Per l’ordinamento nazionale, pur in mancanza di una norma espressa, deve ritenersi ammesso il trasferimento senza estinzione, in quanto l’art. 2437 cod. civ., nel considerare il trasferimento all’estero della sede sociale causa di recesso per i soci, implicitamente presuppone che esso non abbia natura dissolutoria»[7].
Il riconoscimento, seppur implicito, da parte dell’ordinamento nazionale del regime di continuità giuridica in favore delle società che trasferiscono all’estero la propria sede legale pone il nostro Paese in linea con la giurisprudenza della C.G.U.E. le cui statuizioni si attestano, in forza della sentenza in commento, su posizioni che censurano il rilievo di restrizioni eccessive alla libertà di stabilimento esercitabile da persone fisiche e giuridiche nel territorio dell’U.E.
Cionondimeno, è doveroso porre sin d’ora un netto spartiacque ideologico tra la funzione giuridica sottesa all’istituto del trasferimento all’estero della sede legale di una società – operazione straordinaria che risulta godere di una scheletrica regolamentazione nel diritto civile nazionale (artt. 2369, 2437 e 2473 Cod. Civ.) – rispetto alla disciplina della medesima operazione osservata dal punto di vista del trasferimento della residenza fiscale della stessa società.
Conferma la Corte di Cassazione che «il trasferimento della sede all’estero non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività. Il che si desume, peraltro, del tutto agevolmente dal disposto dell’articolo 2437 c.c., comma 1, lettera c), e articolo 2473 c.c., comma 1, laddove prevedono, rispettivamente in relazione alla società per azioni ed a quella a responsabilità limitata, la possibilità di recesso dall’ente – logicamente inconcepibile nei confronti di un soggetto estinto – dei soci che non abbiano concorso alle deliberazioni riguardanti “il trasferimento della sede sociale all’estero” (cfr. Cass. S.U. 5945/13)»[8].
Difatti, l’ordinamento tributario nazionale assume proprio il concetto giuridico di residenza fiscale quale elemento discriminante nella determinazione e nelle modalità d’imposizione del reddito prodotto dalla società nel territorio dello Stato. In altri termini, la società residente è chiamata ad assolvere gli obblighi tributari imposti dalla legge, assumendo quale base imponibile il reddito complessivamente prodotto dall’ente (c.d. worldwide taxation principle), mentre la società non residente vedrà commisurata la propria base imponibile alla sola porzione di reddito effettivamente prodotta entro i confini territoriali dello Stato[9].
Dal tenore letterale dell’art. 73, comma 3 del TUIR (D.P.R. n° 917/1986) “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Pertanto, si rinviene «una notevole differenza dei presupposti per perdere la residenza fiscale in Italia (di cui si occupa l’art. 166) e per acquisire la residenza in Italia (art. 166/bis). Ciò vale sia per le persone fisiche sia per le società. Per entrambi i tipi di soggetti sono previsti tre elementi costitutivi della residenza fiscale. Essi sono però alternativi per cui basta la presenza di uno solo per far acquisire al soggetto la residenza fiscale in Italia (per le società: sede legale o sede dell’amministrazione o oggetto principale dell’attività). Per la perdita della residenza fiscale occorre invece che vengano trasferiti all’estero tutti i tre elementi alternativi costitutivi della residenza. Nel caso della società, quindi, la sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale. Se uno di tali elementi rimane in Italia la società continua ad essere residente in Italia (almeno in base alla legislazione nazionale)»[10].
Il trasferimento all’estero unitamente alla trasformazione della società in ente soggetto al diritto di detto Stato estero costituiscono uno degli elementi fondamentali, previsti dalla legislazione tributaria nazionale, per acquisire lo status di società non residente.
Al riguardo l’art. 166, comma 1, TUIR stabilisce che in caso di perdita della residenza fiscale in Italia da parte di una società «non si ha nessuna tassazione delle plusvalenze latenti per quanto riguarda i beni che confluiscono in una stabile organizzazione italiana. In questo caso, infatti, tali beni non vengono sottratti dalla sfera impositiva del nostro Paese, e non necessitano quindi di essere sottoposti a una tassazione in uscita. Al contrario, si applicherà l’art. 166 del TUIR nei confronti di una stabile organizzazione estera di un soggetto italiano che intende trasferire la propria residenza. Con il trasferimento del soggetto la stabile organizzazione estera non sarà più all’interno della sfera impositiva dello Stato italiano»[11].
Il medesimo trattamento fiscale è riservato – sotto il vincolo che le corrispondenti poste siano ricostituite nel patrimonio contabile della stabile organizzazione – tanto ai fondi in sospensione d’imposta iscritti nell’ultimo bilancio prima del trasferimento, quanto al riporto delle perdite generatesi fino al periodo d’imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all’estero della residenza fiscale (combinato disposto dei commi 2 e 2/bis, art. 166 TUIR).
Seppur con riguardo al caso di trasferimento della residenza fiscale in Italia, in merito alla possibilità di riporto delle perdite fiscali maturate in periodi d’imposta conclusisi prima della data di effetto del trasferimento di sede, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che tali perdite non concorrono alla formazione del quantum deducibile dai futuri redditi eventualmente conseguiti in Italia, se la società, prima del trasferimento della sede in Italia, era localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata[12].
Il disposto del comma 2/ter del citato art. 166 TUIR afferma che “il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società di capitali non dà luogo di per sé all’imposizione dei soci della società trasferita”[13]. Di converso, il comma 2/quater dell’articolo succitato (introdotto dal D.l. n° 1/2012) prevede la possibilità di sospensione della tassazione per i soggetti che trasferiscono la propria sede in Paesi a fiscalità non privilegiata, delegando ad apposita normativa secondaria di attuazione (D.m. 2 agosto 2013 e 2 luglio 2014, unitamente al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 10 luglio 2014) le specifiche tecniche per l’adempimento degli oneri documentali prodromici all’accesso al regime in questione[14].
Ad ogni modo, non sembra peregrino sostenere che la normativa italiana, negli aspetti poc’anzi sviluppati, non risulti contenere profili di contrasto con le disposizioni del T.F.U.E. concernenti la libertà di stabilimento discussa nella sentenza in annotazione. Non si ravvisano allo stato attuale della legislazione restrizioni, vincoli ovvero lambiccati artifizi giuridici che inibiscano il contribuente dall’esercitare siffatta libertà fondamentale garantita dal diritto dell’U.E.
D’altronde, la facoltà riconosciuta in capo alla società di trasferire la propria sede legale all’estero (in un diverso Stato Membro) e, contestualmente, di trasformarsi in un ente soggetto al diritto dello Stato di destinazione non implica, di per sé, la perdita della residenza fiscale in Italia.
Infatti, ponendo per ipotesi il caso di una società – Alfa s.r.l. – che presenti le seguenti caratteristiche:
- ubicazione della sede legale in Italia;
- formazione della compagine sociale da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano;
- localizzazione in Italia del solo ed unico stabilimento di produzione ed amministrazione;
il mero trasferimento all’estero della sede legale di Alfa s.r.l. non sarebbe suscettibile di produrre effetti fiscali apprezzabili per la società stessa.
Quest’ultima, pur trasferendo la propria sede legale all’estero, continua a mantenere in Italia sia la sede amministrativa che l’oggetto principale, realizzando la conservazione della residenza fiscale in Italia ex art. 73, comma 3 TUIR.
In realtà, la posizione fiscale di Alfa s.r.l. nei confronti dell’Amministrazione finanziaria italiana non muterebbe neanche nel caso in cui il trasferimento all’estero risulti onnicomprensivo; vale a dire, Alfa s.r.l. trasferisce oltreconfine sia la sede legale della società che quella amministrativa unitamente allo stabilimento di produzione dei propri output.
La composizione della compagine sociale di Alfa s.r.l. consta, per ipotesi, di soggetti residenti in Italia, rilevandosi pertanto un caso di «esterovestizione» della società trasferitasi all’estero ex art. 73, comma 5/bis, lett. a), T.U.I.R. Le conseguenze sul piano effettuale della rilevazione di tale fattispecie si consolidano nell’inopponibilità alle Autorità tributarie nazionali della perdita della residenza fiscale in Italia da parte di Alfa s.r.l.
Altro punto di peculiare interesse della disciplina del trasferimento all’estero della sede legale di società coincide col possibile insinuarsi di elementi che connotino il rilievo di una fattispecie di abuso del diritto.
La sentenza in annotazione si innesta nel solco di una monolitica giurisprudenza della C.G.U.E., in conformità alla quale «il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società in conformità alla legislazione di uno Stato membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa non può costituire di per sé un abuso. Inoltre, la mera circostanza che una società trasferisca la propria sede in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato» (punti nn° 62 e 63 della sentenza in commento).
Con gli adattamenti del caso all’ordinamento nazionale, la Corte di Cassazione sembra sviluppare il principio di diritto sancito dalla giurisprudenza europea, affermando che «ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento …(omissis)… ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l’operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica»[15].
Financo nella fattispecie testé descritta, lo stato attuale della legislazione nazionale appare in grado di tutelare il contribuente, poiché attraverso l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 10/bis dello Statuto dei diritti del contribuente si sancisce che “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale” (comma 4). Si preserva, così, il diritto del contribuente ad adottare le scelte imprenditoriali ed economiche ritenute dallo stesso più confacenti alle proprie intenzioni, anche qualora il discrimine principale delle valutazioni espresse da quest’ultimo coincida essenzialmente con il legittimo risparmio d’imposta.
D’altronde, a mente del comma 5 dell’art. 10/bis succitato, “il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”.
Certo è che, a partire da un’interpretazione teleologico-sistematica basata sul disposto sintattico dell’articolo summenzionato, si dovrà verificare in che modo, con quali strumenti e con che grado di duttilità tali istituti verranno elaborati dal diritto vivente. Con ciò, richiamandosi tanto l’attività di interpretazione normativa veicolata dai vertici apicali dell’Amministrazione finanziaria, quanto la funzione livellatrice della realtà giuridica incarnata sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità (quest’ultima, apprestando l’elaborazione di principio di diritto in funzione nomofilattica).
Dott. Filippo Castagnari
Cultore di Diritto tributario
Facoltà di Economia
Università Politecnica delle Marche – Ancona
[1] Con costante orientamento espresso dalla Corte a partire dalla Sentenza Corte giust., 27 settembre 1987, C-81/87 The Queen e H. M. Treasury and Commissioners of Inland Revenue, ex parte Daily Mail and General Trust PLC, p.to n° 17 «come regola generale, una società esercita il diritto di stabilimento aprendo agenzie e succursali o costituendo affiliate, come espressamente previsto dall’art. 52, 1° comma, secondo periodo. Nel caso di specie, è d’altronde a questo tipo di stabilimento che l’attrice ha proceduto aprendo un ufficio di gestione d’investimenti nei Paesi Bassi. Una società può esercitare il proprio diritto di stabilimento anche partecipando alla costituzione di una società in altro Stato membro e in tal caso l’art. 221 del trattato le assicura la disciplina nazionale per quanto riguarda la partecipazione finanziaria al capitale di detta nuova società».
[2] Già con la sentenza Centros (Corte giust., 9 marzo 1999, C-212/97 Centros Ltd e Erhvervs- og Selskabsstyrelsen) si mostra un’apertura verso la possibilità per le società comunitarie di istituire succursali o sedi secondarie in uno degli Stati membri (conservando, però, la sede principale nel Paese d’origine) in quanto la Corte di Giustizia afferma che le società costituite in uno Stato membro possono aprire sedi secondarie in un altro Stato membro in conformità alla legge del loro Paese d’origine, anche qualora l’apertura della succursale risulti finalizzata a svolgere l’intera attività sociale nello Stato di destinazione, con lo scopo di evitare, in questo modo, l’applicazione della disciplina di quest’ultimo, il quale rimane, tuttavia, libero di adottare eventuali misure che siano idonee a prevenire o sanzionare frodi. In seguito, con la sentenza Überseering BV (Corte giust., 5 novembre 2002, C.208/00, Überseering BV e Nordic Construction Company Baumanagement GmbH (NCC) per la prima volta si afferma espressamente che uno Stato membro deve riconoscere le società costituite in altro Stato membro, anche qualora le quote siano state trasferite a propri cittadini, perché altrimenti esso imporrebbe alle società di altri Paesi comunitari di sciogliersi e ricostituirsi per potere operare sul proprio territorio.
[3] Da ultimo, Corte giust., sentenza 12 luglio 2012, C-378/10, VALE Építési kft, p.to n° 32 « Risulta quindi che l’espressione «nei limiti in cui detto diritto lo consenta», che compare alla fine del punto 112 della citata sentenza Cartesio, non può essere intesa come diretta a sottrarre a priori la normativa dello Stato membro ospitante relativa alla trasformazione delle società alla sfera di applicazione delle norme del Trattato FUE sulla libertà di stabilimento, bensì come indicante la semplice considerazione che una società creata secondo un ordinamento giuridico nazionale esiste solo in forza della normativa nazionale che «consente» così la costituzione della società, se le condizioni previste a tale titolo sono soddisfatte».
Quest’ultima riprende le statuizioni prodotte dallo stesso organo giudicante nella sentenza Cartesio (Corte giust., 16 dicembre 2008, C.210/06, Cartesio Oktató és Szolgáltató bt). In sostanza la Corte di Giustizia, dapprima con la sentenza Cartesio e successivamente con la sentenza VALE, ha affermato che la libertà di stabilimento comunitaria obbliga le legislazioni nazionali a riconoscere la c.d. trasformazione “internazionale” o “transfrontaliera”, rendendo incompatibili con le norme comunitarie le disposizioni che impongono alla società che intenda trasferire la sede all’estero di estinguersi nel Paese d’origine per poi costituirsi ex novo nel Paese di destinazione.
[4] Cfr. Corte giust., sentenza 29 novembre 2011, C-371/10, National Grid Indus BV c. Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam, p.to n° 36 «Da costante giurisprudenza risulta anche che vanno considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che ne vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio (v. sentenze 5 ottobre 2004, causa C‑442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I‑8961, punto 11; Columbus Container Services, cit., punto 34; Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt, cit., punto 30, e CIBA, cit., punto 19)»
[5] Cfr. Corte giust., sentenza 29 novembre 2011, C-371/10, National Grid Indus BV c. Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam, p.to n° 42 «Risulta da una giurisprudenza costante che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dovrebbe essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo (sentenze 13 dicembre 2005, causa C‑446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑10837, punto 35; 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I‑7995, punto 47; 13 marzo 2007, causa C‑524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I‑2107, punto 64, nonché 18 giugno 2009, causa C‑303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha, Racc. pag. I‑5145, punto 57)».
Similmente, Corte giust., 13 dicembre 2005, C-411/03, SEVIC Systems AG e Corte giust., 21 dicembre 2016, C-201/15, Anonymi Geniki Etairia Tsimenton Iraklis (AGET Iraklis) c. Ypourgos Ergasias, Koinonikis Asfalisis kai Koinonikis Allilengyis, con l’intervento di Enosi Ergazomenon Tsimenton Chalkidas.
[6] Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE NOTARIATO, Studi civilistici 26 novembre 2015, n° 283 – Il trasferimento della sede sociale all’estero e la trasformazione internazionale, pag. 1.
[7] Cfr. AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 17 gennaio 2006, n° 9/E.
[8] Cass., Sez. V tributaria, sentenza 19 marzo 2014, n° 6388.
[9] Una lettura particolareggiate ed approfondita della materia de qua è rinvenibile in MELIS G., Trasferimento della residenza fiscale e imposizione sui redditi, Giuffré Editore, Milano, 2009, pp. 686; MAISTO G., Iscrizione anagrafica e residenza fiscale ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, Riv. Dir. Trib., Pacini Editore, Pisa, 1998, IV, pag. 221 – 222; MAISTO G., L’iscrizione anagrafica concreta la residenza fiscale ai fini IRPEF, Riv. Dir. Trib., Pacini Editore, Pisa, fasc. n. 6/2015; CORDEIRO GUERRA R., Diritto Tributario Internazionale – Istituzioni, CEDAM, Padova, 2016, pag. 510 e ss.; RIGHINI A., Trasferimento della sede e mutamento della residenza fiscale in corso d’anno, in Il Fisco, WoltersKluwer Italia, Milano, 2006, n° 13, fasc. 1, pag. 1955 e ss.
[10] Cfr. MAYR S., Il trasferimento della sede (residenza) delle imprese commerciali dall’estero in Italia: alcune considerazioni, Boll. Trib., Milano, n° 4/2016 e, in giurisprudenza, Cass., Sez. V tributaria, sentenza 30 settembre 2016, n° 19484.
In senso conforme, STUMPO G.R., Nuove regole europee per le società di capitali, Dir. Prat. Soc., Milano, n° 9/2007.
[11] Cfr. SANTI I., Exit taxes. esperienze comparate nel panorama europeo, Boll. Trib., Milano, n° 13/2016.
É stato osservato con adeguato spirito critico da ZIZZO G., Le operazioni straordinarie internazionali. Il trasferimento all’estero o dall’estero della residenza, in FALSITTA G., Manuale di diritto tributario – Parte Speciale: Il sistema delle imposte in Italia, CEDAM, Padova, 2016, pag. 719 e ss. che «si è discusso se la confluenza nella stabile organizzazione sia soddisfatta dalla mera imputazione contabile alla stessa o si richieda una connessione di tipo funzionale. A me pare che detta confluenza non possa essere apprezzata in sé, in via autonoma, e meramente al fine di escludere il realizzo al valore normale altrimenti operante nel caso di trasferimento della residenza. Se il ruolo della condizione in esame è, come evidenziato, quello di riflettere, più che di permettere, la continuità del regime dei beni d’impresa in seno a vicende strutturalmente neutrali sul versante tributario, allora, successivamente all’operazione, conta la concreta possibilità di ravvisare, in forza della pertinente normativa di fonte interna e di fonte convenzionale, una stabile organizzazione della società non residente, e conta la concreta possibilità di continuare ad applicare ai beni considerati, in forza della medesima normativa, ed in virtù del legame con il territorio creato dalla stabile organizzazione, il regime dei beni d’impresa».
[12] Cfr. AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 5 agosto 2008, n° 345/E e, recentemente, AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 27 gennaio 2009, n° 21/E e AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 5 agosto 2016, n° 69/E.
In dottrina, cfr. BRUNELLI F., Il trasferimento di residenza nel territorio dello Stato e gli accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate, Boll. Trib., Milano, n° 17/2016.
[13] L’introduzione di questo comma risponde all’esigenza di adeguare l’ordinamento fiscale italiano alle disposizioni contenute nella Direttiva 2005/19/CE. Tale direttiva ha inteso modificare quanto previsto dalla direttiva relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli altri scambi di azioni concernenti società di Stati Membri diversi (Direttiva 90/434/CEE), introducendo disposizioni relative al trasferimento della sede di una società europea e di una società cooperativa europea
[14] Con norma di interpretazione autentica, l’art. 11 D.lgs. n° 147/2015 ha stabilito che “le disposizioni recate dall’articolo 166, comma 2-quater, si interpretano nel senso che esse sono applicabili anche al trasferimento, da parte di un’impresa non residente nel territorio dello Stato, di una parte o della totalità degli attivi collegati ad una stabile organizzazione, aventi ad oggetto un’azienda o un ramo d’azienda, verso altro Stato appartenente all’Unione europea ovvero aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo”.
[15] Cass., Sez. V tributaria, sentenza 7 febbraio 2013, n° 2869. In senso conforme, recentemente, Cass., Sez. V tributaria, sentenze 28 febbraio 2017 nn° da 5087 a 5091; Cass., Sez. V tributaria, sentenza 30 dicembre 2015, n. 26057.