a cura di Francesco Martin

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Le ordinanze di rimessione – 3. La sentenza n. 278/20: la Corte Costituzionale si     pronuncia. – 4. Brevi riflessioni conclusive.

1. Premessa

Il tema concernente prescrizione è da sempre è stato oggetto di numerose modifiche da parte del legislatore, avvicendatosi nel tempo, e che è ora culminato con la quanto mai discussa e foriera di numerose critiche L. 9 gennaio 2019, n. 3, la c.d. Spazzacorrotti.

La ratio, se così può essere definita, di tale riforma è quella di evitare che i procedimenti penali una volta giunti a sentenza di primo grado vengano dichiarati prescritti in  sede d’appello; in tal senso infatti il nuovo art. 159 c.p. prevede che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza.

Tale disposizione, come noto, è entrata in vigore a far data dal 1 gennaio 2020, anno in cui si è verificata l’emergenza sanitarixa legata al Covid-19.

Tale pandemia ha comportato, con riferimento al settore della giustizia penale, un rallentamento fino ad arrivare alla paralisi dei processi e delle attività giudiziarie, andando anche a ledere e comprimere i basilari diritti degli imputati, nonché dei soggetti detenuti.

Orbene al fine di limitare gli effetti nocumnetali legati alla diffusione del virus, il legislatore ha dato avvio alla c.d. legislazione dell’emergenza emanando una serie di decreti legge ovvero decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Foriero delle prime modifiche è stato il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. ”Cura Italia” che ha posto in essere, nell’ottica di limitare il contagio da Covid-19, numerose modifiche per quanto attiene il settore della giustizia.

In particolare, l’art. 83 stabilisce che dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020.

Durante il medesimo periodo è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. 

Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. 

Al terzo comma dell’art. 83, D.L. n. 18/20, sono tuttavia previste alcune eccezioni, date dal carattere di urgenza e degli specifici interessi meritevoli di adeguata tutela.

In particolare, alla lett. a) è previsto che tale sospensione non riguardi i procedimenti di competenza del Tribunale per i Minorenni con riferimento ai casi e ai procedimenti ivi indicati.

Medesima sorte spetta ai procedimenti concernenti la convalida dell’arresto o del fermo, quelli nei quali, nel periodo di sospensione, scadono i termini di cui all’art. 304 c.p.p., cioè per tutti i procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive. 

Inoltre, quando i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedono che si proceda, sono trattati i procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative, ai sensi dell’articolo 51-terdella L. 26 luglio 1975, n. 354, così come i procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza e, infine, quelli nei quali sono disposte misure di prevenzione. 

La sospensione non opera nemmeno con riferimento a tutti quei procedimenti che presentano carattere di urgenza, per la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’art. 392c.p.p. In tali ipotesi, spetta al giudice o al presidente del collegio formulare la dichiarazione di urgenza, su richiesta di parte; tale provvedimento, che dovrà essere fornito di adeguata motivazione, non sarà soggetto ad alcun tipo impugnazione. 

Viene inoltre previsto che nei procedimenti penali in cui opera la sospensione siano altresì sospesi il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303 e 308c.p.p..

Il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, c.d. “decreto liquidità”, che ha esteso, con l’art. 36, la validità dei provvedimenti previsti dal D.L. n. 18/20 fino all’11 maggio 2020.

Slitta quindi, dal 15 aprile all’11 maggio 2020, il termine del rinvio d’ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso gli uffici giudiziari, come anche la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (indagini preliminari, adozione di provvedimenti giudiziari e deposito della loro motivazione, proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali). 

Anche il D.L. 19 maggio 2020, n. 34 ha apportato alcune modifiche alla giustizia penale.

La più significativa si rinviene all’art. 221 che ha modificato l’art. 83 D.L. n. 18/20 aggiungendo al secondo comma quanto segue: «Per il periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 si considera sospeso il decorso del termine di cui all’articolo 124 del codice penale».

Pertanto dal termine di tre mesi entro cui presentare querela, ex art. 124 c.p., andranno sottratti i 63 giorni compresi nell’intervallo di tempo sopra menzionato.

La nuova disposizione, entrata in vigore il 19 maggio 2020 sospendendo il termine per la presentazione della querela dal 9 marzo all’11 maggio 2020, ha efficacia retroattiva. 

La disciplina che ne risulta è di favore per le vittime – essendo la ratio quella di agevolare la presentazione della querela, ritardata o resa difficile dall’emergenza sanitaria – ma, specularmente, è sfavorevole per gli autori (presunti o tali) dei fatti di reato: rispetto ai termini in corso durate il periodo di sospensione, infatti, il D.L. n. 34/20 restituisce infatti oltre due mesi di tempo (rispetto ai tre ordinari) per presentare la querela; quanto ai termini già decorsi durante il periodo stesso (come nel caso del termine di tre mesi maturato il 9 marzo 2020), addirittura il D.L. n. 34/20 di fatto restituisce il querelante nel termine per proporre la querela.

In questa prospettiva, autorevole dottrina ha affermato che debba senz’altro escludersi, sulla base di un’interpretazione conforme all’art. 25, c. 2 Cost., che la sospensione del termine per la presentazione della querela possa avere l’effetto di una restituzione nel termine, consentendo allo Stato di punire fatti – quelli in relazione ai quali il termine per la presentazione della querela è interamente decorso prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 34/20 – che, in assenza dell’intervento legislativo, non sarebbero stati punibili.

In definitiva il legislatore ha cercato, mediante una produzione normativa al dire il vero caotica e ingente, di garantire la ripartenza del settore della giustizia già prima dell’emergenza provato da numerosi deficit e carenze.

Tali riforme hanno evidenziato alcuni possibili profili di incostituzionalità che hanno portato, come si vedrà, gli interpreti a sollevare alcune questioni di legittimità costituzionale con particolare riferimento alla sospensione della prescrizione stabilita dall’art. 83, c. 4, D.L. 18/20.

2. Le ordinanze di rimessione.

Come detto le disposizioni menzionate poi hanno trovato alcune criticità, con particolare riferimento alla loro legittimità costituzionale.

Molti Tribunali hanno infatti espresso alcune criticità circa il rapporto tra le norme emanate dal Governo e i principi dettati dalla Costituzione o dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, ha sollevato due identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, c. 4, D.L. 18/20.

Come è noto, tale norma ha infatti previsto la sospensione dei termini di prescrizione del reato per lo stesso periodo in cui è stata disposta la sospensione dei termini processuali in ragione dell’emergenza Covid-19 (complessivamente dal 9 marzo all’11 maggio 2020).

La questione di legittimità è stata sollevata in ragione del ritenuto contrasto con il principio della irretroattività della legge penale sfavorevole (art. 25, c. 2, Cost.), nella misura in cui tale norma pare doversi applicare anche ai fatti commessi prima della entrata in vigore della norma (17 marzo 2020), nonché prima del dies a quo della sospensione ivi prevista (9 marzo 2020).

Le due ordinanze si inseriscono, infatti, in due procedimenti penali nei quali il fatto contestato sarebbe stato commesso prima dei citati momenti ed il termine di sospensione sarebbe spirato, al netto della sospensione prevista dalla norma censurata, il 20 aprile 2020 e il 16 maggio 2020.

Tuttavia, in virtù dell’art. 83, c. 4, D.L. n. 18/20 – che ha ancorato la sospensione del termine di prescrizione alla sospensione dei termini processuali per complessivi 63 giorni (dal 9 marzo al 11 maggio 2020) – ad avviso del Tribunale il decorso della prescrizione dovrebbe ritenersi ulteriormente sospeso per un periodo di pari durata.

Il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale colpisce la citata norma, nella misura in cui essa avrebbe avuto l’effetto di modificare in senso sfavorevole all’imputato il regime della prescrizione di un reato commesso prima della sua entrata in vigore.

Due sono infatti i motivi di censura.

In primo luogo l’art. 83, c. 4, D.L. n. 18/20 non potrebbe considerarsi una particolare applicazione di quanto già previsto dall’art. 159, c. 1, c.p., al quale andrebbe perciò ricollegato l’effetto sospensivo della prescrizione per i procedimenti rinviati d’ufficio ai sensi del citato decreto legge.

Secondariamente la legittimità costituzionale dell’art. 83, c. 4, D.L. n. 18/20 non potrebbe trarsi dal carattere “emergenziale”, “eccezionale” o “necessitato” della legislazione cui la norma appartiene.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Siena ha sollevato la seguente questione di legittimità costituzionale: «legittimità costituzionale dell’art. 83, c. 4, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per contrasto con il principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, c. 2, Cost. e, più in particolare, con il sotto-principio di irretroattività della legge penale sfavorevole al reo, là dove è previsto che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso, per un periodo di tempo pari a quello in cui sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali».

A pochi giorni di distanza Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 26.05.20, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 D.L. n. 29/20, per contrasto con gli artt. 3, 24, c. 2 e 111, c. 2, Cost.

Il provvedimento segue altre due questioni di legittimità costituzionale, riguardanti la legislazione d’urgenza dettata dalle necessità di far fronte all’epidemia di Covid-19. 

Tale normativa, che ha avuto il suo fondamento nella categoria giuridica dell’emergenza, ha inciso profondamente anche sulla materia penale, mettendo spesso a dura prova la tutela dei diritti fondamentali della persona. 

Il rimettente ha evidenziato il carattere assolutamente atipico della procedura di revoca di cui al D.L. n. 29/20, non riscontrabile in alcun modello procedimentale previsto dinanzi alla magistratura di sorveglianza. In aggiunta, proprio in materia di revoca di misure alternative, la pienezza del contraddittorio apparirebbe quale caratteristica indefettibile.

Il giudice a quo ha poi preso atto degli arresti della Corte costituzionale, secondo cui sarebbero compatibili con i diritti di difesa procedimenti a contraddittorio eventuale o differito, vale a dire caratterizzati da una decisione assunta de plano a cui segue il contraddittorio pieno. 

Tuttavia, secondo quanto emerge dalla pronuncia, nel caso di specie ciò non si verificherebbe, in quanto il procedimento in esame si inserirebbe in una sequenza che ha già attraversato una fase interinale del procedimento.

È stato osservato che anche a voler ammettere che alla revoca del provvedimento faccia seguito una pronuncia del Tribunale di sorveglianza, in analogia con quanto disciplinato dall’art. 684 c.p.p., ciò avverrebbe in un tempo alquanto lungo, pari a sessanta giorni ai sensi del combinato disposto degli artt. 47-ter, c. 1-quater e 47, c. 4, O.P..

Termine, peraltro, meramente ordinatorio, alla cui inosservanza non seguirebbe, dunque, alcuna inefficacia del provvedimento.

In aggiunta a tali rilievi, il giudice ha contestato la portata retroattiva della novella, secondo quanto previsto dall’art. 5 D.L. n. 29/20, pur senza eccepire formalmente la violazione dell’art. 25, c. 2, Cost..

Nello specifico, si è osservato che le carenze descritte apparirebbero ancora più gravi rispetto a rivalutazioni che devono intervenire con riferimento a provvedimenti emessi anteriormente all’entrata in vigore della disciplina. 

In queste ipotesi, infatti, l’interessato si vedrebbe privato, come del resto avvenuto nel caso di specie, di una rivalutazione ampia della sua posizione, condotta unicamente dinanzi al Tribunale di sorveglianza, nel pieno rispetto del contraddittorio.

Per concludere, è stato prospettato un contrasto della nuova disciplina con l’art. 3 Cost., sotto due differenti profili.

In primo luogo, è stata riscontrata una disparità di trattamento della fattispecie in esame rispetto ai casi in cui sia già stata adottata in via definitiva la decisione sull’ammissione alla detenzione domiciliare surrogatoria da parte del Tribunale di sorveglianza. 

La violazione dell’art. 3 Cost. verrebbe in rilievo nella misura in cui si applicherebbe la procedura di rivalutazione secondo le forme del contraddittorio pieno o, viceversa, senza alcuna facoltà della difesa o dello stesso interessato di replicare sui risultati istruttori, «soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia già intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al Tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti calendarizzata in tempi successivi, in connessione ad esempio con ruoli d’udienza particolarmente gravati».

In secondo luogo il contrasto della novella con l’art. 3 Cost. si manifesterebbe anche sotto un profilo soggettivo, in quanto riferita specificamente ai condannati di determinate tipologie di delitti, non corrispondenti, oltretutto, all’elenco di cui all’art. 4-bis O.P..

In definitiva, per effetto di tale previsione, opererebbe – solo nei confronti degli autori di tali reati – un procedimento meno garantito e fortemente orientato verso il ripristino della detenzione.

Ed in tal senso anche il Tribunale Ordinario di Spoleto ha emanato due ordinanze con le quali ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 25 c. 2 e 117 c. 1 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU – «dell’art. 83 c. 4 D.L. n. 18/20 (convertito in legge n. 27/20), come modificato dall’art. 36 D.L. n. 23/2020, nella parte in cui prevede che lo stabilito periodo di sospensione della prescrizione si applichi anche ai fatti di reato commessi anteriormente alla sua entrata in vigore».

Il Tribunale motiva la non manifesta infondatezza della questione sulla base di argomenti sostanzialmente assimilabili a quelli esposti dal Tribunale di Siena nelle ordinanze di rimessione: una volta riconosciuta, per pacifica giurisprudenza costituzionale, la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione, ne deriverebbe l’applicazione della inderogabile garanzia di cui al principio di irretroattività sfavorevole, di cui – si sostiene – la norma censurata frustrerebbe anche la ratio; né si ritiene possibile risolvere il contrasto con i parametri indicati in forza di una interpretazione conforme dell’art. 159 c.p., dato che il rinvio in esso contenuto dovrebbe intendersi pur sempre riferito a norme entrate in vigore prima del reato commesso.

Si è già riscontrata una prima pronuncia della Corte Costituzionale, la quale si è espressa nel senso di restituire gli atti al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per verificare se, alla luce delle modifiche introdotte con la successiva L. 25 giugno 2020, n. 70, le questioni sollevate siano ancora non manifestamente infondate.

La norma censurata prevede un meccanismo di periodica rivalutazione, da parte della magistratura di sorveglianza, dei provvedimenti con cui è stata concessa la detenzione domiciliare o il differimento della pena per ragioni legate alla pandemia. 

La rivalutazione deve essere effettuata sulla base di una serie di pareri e di informazioni che il giudice è tenuto ad acquisire, tra l’altro, dal Procuratore nazionale antimafia e dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. 

Se risulta che non sussistono più le condizioni che hanno giustificato la scarcerazione, questa dev’essere revocata.

Secondo il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, questa disciplina violerebbe il diritto di difesa e la parità delle armi nel procedimento, oltre al principio di eguaglianza, dal momento che i documenti e le informazioni utilizzati ai fini della rivalutazione restano ignoti alla difesa.

La Corte ha osservato che, successivamente al D.L. n. 29/20, è stata approvata la L. 70/20 secondo cui, quando il Magistrato di sorveglianza ha disposto in via provvisoria la revoca, e il condannato è tornato in carcere, il Tribunale di sorveglianza è tenuto a pronunciarsi in via definitiva sull’istanza di scarcerazione entro il termine perentorio di trenta giorni, nell’ambito di un procedimento in cui la difesa ha pieno accesso agli atti.

Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto dovrà dunque rivalutare se i diritti costituzionali del condannato siano ora adeguatamente garantiti. 

Dello stesso tenore anche il Tribunale di Roma e il Tribunale di Crotone hanno sollevato alcune questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, c. 4, D.L.18/20, per contrasto con l’art. 25, c. 2, Cost. evidenziando in particolare una rimeditazione della natura processuale – e non già sostanziale – della disciplina della sospensione del corso della prescrizione del reato e, in particolare, dell’art. 159, c. 1, c.p.

Entrambe le ordinanze ritengono, nella motivazione, non percorribile in quanto contraria al diritto vivente, una possibile interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 159 c.p. . 

Orbene, l’art. 83 D.L. n. 18/20 altro non ha fatto se non configurare una nuova ipotesi di sospensione del processo penale, dalla quale consegue la sospensione della prescrizione del reato. 

Il Tribunale di Roma osserva come non tutte le norme che disciplinano la prescrizione del reato sono soggette al principio di irretroattività di cui all’art. 25, c. 2, Cost. e ritiene che le norme relative al regime della sospensione della prescrizione abbiano natura processuale. 

Per il giudicante infatti l’istituto della sospensione della prescrizione appare del tutto slegato dalla garanzia costituzionale, essendo piuttosto correlato a situazione propria del processo penale. 

L’art. 83, c. 4 D.L. n. 18/20 avrebbe quindi dato luogo a una successione di norme processuali, disciplinata dall’art. 159 c.p., rispetto alla quale non opererebbe l’art. 25, c. 2, Cost.

 Il fenomeno non è dissimile da quello verificatosi dopo l’introduzione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, che ai sensi dell’art. 159 c.p. comporta la sospensione del corso della prescrizione: “nessuno dubita” che l’istituto sia applicabile ai fatti pregressi e che la sospensione della prescrizione, ad esso correlata, pure operi in relazione ai fatti stessi.

Senonché, secondo il Tribunale di Roma ed anche secondo il Tribunale di Crotone, l’interpretazione prospettata presuppone una ricostruzione differenziata della natura delle norme che disciplinano la prescrizione del reato che non trova riscontro nel diritto vivente per come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale in materia di prescrizione. 

Sulla base di tale scorta argomentativa il giudice capitolino ha rimesso la questione alla Consulta.

In ultima analisi anche la Corte di Cassazione era stata investita della questione.

In particolare era stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: «se la sospensione della prescrizione di cui all’art. 83, comma 3-bis, d.l. n. 18 del 2020, conv. in I. n. 27 del 2020, operi con riferimento ai soli procedimenti che, tra quelli pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020, ovvero, invece, con riferimento a tutti i procedimenti comunque pendenti in detto periodo, anche se non pervenuti alla cancelleria tra le date suddette».

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno adottato la seguente soluzione:
«La sospensione della prescrizione di cui all’art. 83, comma 3-bis, d.l. n. 18 del 2020, conv. in I. n. 27 del 2020, opera con riferimento ai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione che siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo dal 9 marzo al 30 giugno 2020.
Il corso della prescrizione è rimasto sospeso ex lege, ai sensi dei commi 1, 2 e 4 del citato art. 83, dal 9 marzo all’11 maggio 2020, nei procedimenti nei quali nel suddetto periodo era stata originariamente fissata udienza e questa sia stata rinviata ad una data successiva al termine del medesimo.
Analogamente, ai sensi del successivo comma 9 dello stesso art. 83, la prescrizione è rimasta sospesa dal 12 maggio al 30 giugno 2020 nei procedimenti in cui in tale periodo era stata fissata udienza e ne è stato disposto il rinvio a data successiva al termine del medesimo, in esecuzione del provvedimento emesso dal capo dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 83 c. 7 lett. g).
Nel caso in cui il provvedimento ai sensi dell’art. 83 c. 7 lett. g). sia stato adottato successivamente al 12 maggio 2020, la sospensione decorre dalla data della sua adozione.
Le Sezioni Unite hanno, altresì, precisato che i due periodi di sospensione suindicati si sommano in riferimento al medesimo procedimento esclusivamente nell’ipotesi in cui l’udienza, originariamente fissata nel primo periodo di sospensione obbligatoria, sia stata rinviata a data compresa nel secondo periodo e, quindi, ulteriormente rinviata in esecuzione del provvedimento del capo dell’ufficio
».

3. La sentenza n. 278/20: la Corte Costituzionale si pronuncia.

Come evidenziato ut supra la Corte Costituzionale è stata investita della questione inerente la costituzionalità della disposizione di cui all’art. 83, c.4, D.L. 18/20, nella parte in cui sospende il decorso del termine di prescrizione con riferimento ai procedimenti penali indicati nel comma 2 della stessa disposizione, anche per fatti commessi prima del 9 marzo 2020.

In particolare le ordinanze del Tribunali di Spoleto e di Roma sollevano anche questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, c. 1, D.L 23/20, nella parte in cui dispone la proroga all’11 maggio 2020 dei termini posti ai commi 1 e 2  del D.L. 18/20. 

In tutte le ordinanze si prospetta la violazione dell’art. 25, c. 2, Cost., che – come noto – vieta la punizione di alcuno in forza di una legge entrata in vigore dopo il fatto commesso e che, secondo i rimettenti, preclude l’applicazione retroattiva delle norme che modificano in senso peggiorativo la disciplina della prescrizione. 

Il Tribunale di Roma e Spoleto prospetta anche la violazione dell’art. 117, c.1, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU, che pone il divieto di applicazione della legge penale a fatti commessi prima dell’introduzione della legge medesima. 

L’ordinanza del Tribunale di Roma, infine, censura le disposizioni impugnate anche in riferimento all’art. 117, c. 1, Cost., in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea la quale vieta di condannare alcuno per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale, e parimenti vieta di infliggere una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. 

Preliminarmente la Corte Costituzionale da atto dell’evoluzione normativa adottata dal Governo nel periodo di emergenze, ed illustrata nei precedenti paragrafi, rimarcando poi che la concreta determinazione della durata del tempo di prescrizione dei reati appartiene alla discrezionalità del legislatore censurabile solo in caso di manifesta irragionevolezza o sproporzione rispetto alla gravità del reato.

Nell’esercizio dell’attività normativa il legislatore deve (o quantomeno dovrebbe) garantire che i comportamenti in violazione della legge penale siano perseguiti perché il rispetto di quest’ultima appartiene ai fondamentali del comune vivere civile, mentre la sua violazione crea, in misura direttamente proporzionale alla gravità del fatto, allarme sociale e mina la fiducia dei cittadini. Nello stesso verso, inoltre, rileva la tutela delle vittime dei reati: la persona offesa ha anch’essa diritto, quando costituita parte civile, all’accertamento del reato per ottenere il risarcimento del danno per la lesione subita. 

A fronte di queste esigenze vi è, dall’altra parte, l’interesse dell’imputato ad andare esente da responsabilità penale per effetto del decorso del tempo; interesse che il legislatore ordinario riconosce e tutela con la disciplina della prescrizione e che si traduce nel diritto dell’imputato ad ottenere dal giudice penale – una volta decorso il termine di prescrizione del reato – il riconoscimento, con sentenza di proscioglimento, dell’estinzione del reato, sempre che dagli atti del procedimento o del processo non risulti evidente che non ha commesso il fatto addebitatogli ovvero che questo non costituisca reato o non sia previsto dalla legge come reato.

Analogamente e alle stesse condizioni sarà possibile, all’esito del procedimento penale, il decreto di archiviazione per estinzione del reato ascritto all’indagato. 

Con particolare riferimento al rapporto tra la prescrizione del reato ed il principio di legalità di cui all’art. 25, c. 2, Cost. è opportuno ricordare che la legge del tempus commissi delicti non solo definisce la condotta penalmente rilevante e ad essa riconduce la pena, ma anche fissa il tempo oltre il quale la sanzione non potrà essere applicata per essere il reato estinto per prescrizione.

Tempo che può essere anche illimitato allorché per delitti di particolare gravità  sia la legge stessa a prevedere che la prescrizione non estingue i reati .

Questa proiezione diacronica della punibilità integra la fattispecie penale nel senso che non solo l’autore del fatto deve essere posto in grado di conoscere ex ante qual è la condotta penalmente sanzionata e quali saranno le conseguenze della sua azione in termini di sanzioni applicabili, ma deve avere anche previa consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della sua responsabilità penale, anche se ciò non comporta la precisa predeterminazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione. 

Il principio di legalità richiede infatti che la persona accusata di un reato abbia, al momento della commissione del fatto, contezza della linea di orizzonte temporale entro la quale sussisterà, in ogni caso, la punibilità della condotta contestata. 

Il rispetto di tale dogma comporta innanzi tutto che – come la condotta penalmente sanzionata deve essere definita dalla legge con sufficiente precisione e determinatezza, talché sarebbe costituzionalmente illegittima la previsione di un reato in termini sostanzialmente indefiniti e generici– parimenti la fissazione della durata del tempo di prescrizione deve essere sufficientemente determinata. Tale non è – sul versante sostanziale della garanzia – la cosiddetta regola Taricco di derivazione dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale – ampliando la misura tabellare del tempo di prescrizione di alcuni reati fiscali in materia di tributi armonizzati – non ha ingresso nel nostro ordinamento, neppure ex nunc, stante il difetto di determinatezza del presupposto che condiziona la maggiore estensione temporale della prescrizione.

Le norme che definiscono tale dimensione temporale devono essere vigenti al momento in cui la condotta, penalmente rilevante come reato, è posta in essere. 

Anche se per reati gravissimi (quelli puniti con l’ergastolo) il legislatore prevede la loro punibilità senza limiti di tempo, il principio di legalità è parimenti rispettato nella misura in cui tale imprescrittibilità risulta posta da una disposizione di legge in vigore al momento della commissione del fatto.

Analizzando poi la natura della prescrizione si deve ritenere che la stessa abbia natura sostanziale che, come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, e quindi rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, c. 2, Cost. con formula di particolare ampiezza. 

Principio che coinvolge anche la disciplina della decorrenza, della sospensione e dell’interruzione della prescrizione stessa perché concorre a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione. 

L’interruzione del termine prescrizionale – che dipende dall’adozione di determinati provvedimenti, tassativamente indicati – ne comporta l’azzeramento del computo con la ripresa ex novo del relativo corso. Ed in tal senso è impossibile, per l’imputato, prevedere ex ante quante volte il termine sarà azzerato. 

Parimenti non sarà prevedibile ex ante per l’imputato il momento in cui il decorso del termine di prescrizione sarà sospeso, senza peraltro che sussista alcun limite massimo di durata del termine prescrizionale, fatta salva l’ipotesi della sospensione del processo per assenza dell’imputato.

Tuttavia la Consulta afferma che al momento della commissione del fatto il suo autore conosce ex ante che, se il processo sarà sospeso in ragione dell’applicazione di una disposizione di legge che ciò preveda, lo sarà anche il decorso del termine di prescrizione. 

Rimangono in ogni caso salde e operanti, da una parte, la garanzia di cui all’art. 111 Cost. e, dall’altra, l’applicabilità per l’avvenire a partire dall’entrata in vigore della norma che tale sospensione preveda.

In tal senso, alla luce della giurisprudenza costituzionale, si deve ritenere che il rispetto della disposizione di cui all’art. 25, c.2, Cost. da parte del soggetto agente risulterà  integrato, dal principio secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire  e dalla garanzia che, in applicazione stretta di questo principio, non è possibile che l’incidenza indiretta sul tempo di prescrizione abbia una proiezione retroattiva. 

L’applicazione del principio di legalità infatti non esclude, ma anzi si coniuga alla possibile verifica di conformità sia al canone della ragionevole durata del processo, sia al principio di ragionevolezza e proporzionalità confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti e dei processi penali, nonché, più specificamente, della conseguente sospensione del termine di prescrizione. 

Orbene dopo avere effettuato un doveroso inquadramento della disciplina della prescrizione con particolare riferimento alle ipotesi di interruzione e sospensione, la Corte Costituzionale entra nel vivo della questione oggetto delle ordinanze di rimessione.

 Ed in tal senso richiama una corposa giurisprudenza di legittimità che ha ripetutamente ricondotto la sospensione della prescrizione, alla fattispecie generale di cui all’art. 159, c. 1, c.p., ritenendo di conseguenza manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale.

Questa giurisprudenza ha collegato la sospensione dei termini stabiliti dall’art. 83, c. 2, D.L. 18/20 per il periodo 9 marzo-11 maggio 2020 al rinvio d’ufficio, per il medesimo arco temporale, delle udienze dei procedimenti penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari e ne ha tratto una considerazione unitaria delle due discipline: sospensione dei termini e rinvio del processo sono, di regola, inscindibilmente collegati. 

In sostanza il combinato disposto dall’art. 83, cc. 1 e 2, D.L. 18/20 contempla l’integrale sospensione dell’attività giurisdizionale nel periodo emergenziale, prevedendo non solo il rinvio delle udienze, ma anche la sospensione dei termini processuali di qualsiasi natura. 

Peraltro questa interpretazione della giurisprudenza di legittimità, che riconduce tale sospensione alla previsione generale dell’art. 159 c.p., è in linea di continuità con altri casi di sospensione dei processi, rilevanti anche ai fini della sospensione del corso della prescrizione e collegati a situazioni di emergenza simili a quella circa la pandemia da Covid-19.

La riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina di cui all’art. 159 c.p. esclude, quindi, che si sia in presenza di un intervento legislativo, recato dalla norma censurata, in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole sancito dall’art. 25, c. 2, Cost.

Né argomento contrario può desumersi dall’espressa previsione, contenuta nella disposizione censurata, della sospensione del decorso del termine di prescrizione dei reati, la quale, nella ricostruzione fatta dalla giurisprudenza di legittimità, potrebbe apparire ridondante in quanto la sospensione stessa discenderebbe direttamente dalla norma generale contenuta nell’art. 159 c.p..

 In realtà la previsione dall’art. 83, c. 4, D.L. 18/20, secondo cui è sospeso anche il corso della prescrizione in ragione della sospensione del procedimento o del processo penale, non è inutile perché fissa, in modo espresso e quindi in termini maggiormente chiari, compatibili con il rispetto del principio di eguaglianza, la collocazione della disposizione nell’alveo della causa generale di sospensione contenuta nell’art. 159, c.p., secondo una tecnica legislativa non nuova. 

Il principio di legalità quindi è rispettato perché la sospensione del corso della prescrizione, essendo riconducibile alla fattispecie della particolare disposizione di legge di cui all’art. 159 c.p.., è anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a quibus

La regola, secondo cui quando il procedimento o il processo penale è sospeso in applicazione di una particolare disposizione di legge lo è anche il corso della prescrizione, è certamente anteriore alle condotte penalmente rilevanti proprio perché contenuta nel codice penale del 1930 e ribadita dalla richiamata novella del 2005. 

La regola tempus regit actum diventa allora di stretta applicazione allorché concerne la prescrizione, nel senso che gli atti e le vicende processuali non potrebbero aver mai una proiezione retroattiva quanto all’incidenza indiretta sul tempo di prescrizione dei reati; profilo questo che viene in rilievo anche nel presente giudizio quanto al periodo iniziale della sospensione dei processi penali dal 9 marzo al 17 marzo 2020. 

Se è pur vero che l’art. 83, cc. 1 e 2, D.L. 18/20 ha previsto la sospensione dei processi e dei procedimenti penali fin dal 9 marzo e quindi, prime facie, in modo retroattivo quanto al periodo dal 9 al 17 marzo, così non è.

Il rinvio ex lege dei procedimenti e dei processi penali nel periodo precedente il 17 marzo 2020 e la simmetrica sospensione del termine di prescrizione infatti trovano il loro fondamento normativo nel D.L. 8 marzo 2020, n. 11 all’art. 1, il quale è stato abrogato dall’art. 1 della L. 24 aprile 2020, n. 27 che ne ha fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo, unitamente a quelli oggetto del D.L. 2 marzo 2020, n.9. 

Vi è pertanto continuità normativa tra la disposizione dell’art. 1, c. 3, D.L. 11/20 che richiama l’art. 10 D.L. 9/20 (e quindi anche il suo comma 13 sulla sospensione del corso della prescrizione), e quella di salvezza della L 27/20, sicché il periodo di rinvio dei procedimenti penali dal 9 al 17 marzo trova il suo fondamento in una norma vigente già alla data iniziale di questo intervallo temporale. 

A ben vedere quindi non c’è stata pertanto alcuna sospensione retroattiva del corso della prescrizione come conseguenza della sospensione di procedimenti e processi penali, bensì ha trovato applicazione il principio secondo cui la legge dispone per l’avvenire. è pertanto legittima la ricaduta sulla prescrizione in termini di sospensione della sua durata, prevista dall’art. 1 D.L. 11/20, in combinato disposto con l’art. 10, c.13, D.L. 9/20, in piena sintonia con l’art. 159, c.1, c.p..

Con riferimento alla prospettata violazione dell’art. 117, c.1, Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU, 

Come noto tale disposizione da un lato sancisce implicitamente anche il principio di retroattività dei trattamenti penali più favorevoli e, dall’altro, ingloba nel concetto di legalità in materia penale non solo il diritto di produzione legislativa, ma anche quello di derivazione giurisprudenziale. 

La Consulta evidenzia che Tribunale rimettente non indica minimamente in che termini il parametro convenzionale offrirebbe una protezione del principio di legalità maggiore di quella dell’art. 25, c.2, Cost. 

Con riferimento proprio al principio di legalità in materia penale la Corte ha affermato che gli stessi principi o analoghe previsioni si rinvengono nella Costituzione e nella CEDU, così determinandosi una concorrenza di tutele, che però possono non essere perfettamente simmetriche e sovrapponibili.

Quindi in questa ipotesi di concorrenza di tutele, il parametro convenzionale invocato dal Tribunale di Grosseto (art. 7 CEDU) ben può offrire talora, in riferimento a determinate fattispecie, una tutela più ampia del parametro nazionale.

Ed in tal senso il provvedimento di remissione è assolutamente carente dal punto di vista del versante motivazionale risultando quindi inammissibile.

Stesse conclusioni devono porsi con riferimento all’ordinanza del Tribunale di Roma, che invoca come parametro interposto non solo l’art. 7 CEDU, ma anche l’art. 49, c. 1, CDFUE, che sancisce una garanzia ricalcata sul principio di legalità. 

In questo specifico atto si aggiunge anche l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alla riferibilità a una materia rientrante nell’ambito di attuazione del diritto dell’Unione europea. 

La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la CDFUE può essere invocata, quale parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale, soltanto quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata dal diritto europeo; fattispecie non contemplata nel giudizio posto avanti al Tribunale di Roma.

Sulla scorta delle argomentazioni esposte la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, c. 4, del D.L. 18/20 così come prospettate nelle ordinanze di rimessione.

4. Brevi riflessioni conclusive.

Con la pronuncia in epigrafe la Corte Costituzionale ha messo la parola fine ad una annosa questione che aveva interessato non solo il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ma anche la quotidianità delle aule di giustizia.

In sintesi la Corte costituzionale ha escluso che integri una violazione del principio di irretroattività  la sospensione del corso della prescrizione del reato prevista dall’art. 83, c. 4 D.L. 18/20.

Nelle motivazioni della sentenza, la Consulta ha ribadito il carattere inderogabile del principio di legalità ex art. 25, c. 2, Cost., inteso in senso lato come comprensivo della garanzia della irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente affermando contemporaneamente la natura sostanziale dell’istituto della prescrizione del reato.

La disciplina emergenziale di cui all’art. 83 D.L. 18/20 rientra nell’ipotesi di generalizzata sospensione del procedimento penale per esigenze di tutela della salute pubblica e conseguentemente deve essere ricondotta alla regola generale espressa nell’art. 159, c. 1 c.p.. Infine il giudice delle leggi ha escluso la sussistenza di una violazione del principio di irretroattività in quanto al momento del fatto l’autore sapeva o era comunque in grado di sapere che se il procedimento o il processo saranno sospesi in ragione dell’applicazione di una disposizione di legge che ciò preveda, lo sarà anche il decorso del termine di prescrizione.

La Corte Costituzionale, attraverso una pronuncia che sembra alquanto condivisibile, ha ritenuto che la sospensione della prescrizione operata dalla normativa emergenziale – nello specifico dall’art. 83 D.L. 18/20 – possa essere, mediante un’interpretazione in linea con il dettato normativo e la ratio legislativa, fatta rientrare nella disposizione di cui all’art. 159, c. 1, c.p..

Secondo autorevole dottrina, la disposizione di legge che, di volta in volta, dispone la sospensione del procedimento o del processo non aggiunge nulla alla descrizione della fattispecie sospensiva della prescrizione di cui all’art. 159 c.p.. 

Quella disposizione non si incorpora nella legge penale, assumendone la natura e attirandone le garanzie costituzionali, a partire da quella di cui all’art. 25, c. 2 Cost.: resta processuale e soggetta alle sole garanzie costituzionali previste per le leggi processuali, tra le quali non si annovera l’irretroattività. 

Non si tratta di una fattispecie sospensiva in bianco, ma piuttosto di una fattispecie sospensiva descritta attraverso un elemento normativo. 

La Corte difatti ritiene che il principio di legalità sia rispettato in quanto la sospensione del corso della prescrizione di cui alla disposizione censurata, essendo riconducibile alla fattispecie della particolare disposizione di legge di cui all’art. 159, c.1, c.p., può dirsi essere anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a quibus.

La Consulta inoltre salvaguarda la posizione processuale dell’imputato ritenendo che non alcuna sospensione retroattiva del corso della prescrizione come conseguenza della sospensione di procedimenti e processi penali e che lo stesso sia salvaguardato da un uso distorto del potere legislativo dalle guarentigie poste dagli artt. 3 e111 Cost..

Sulla base quindi di tali ragionamenti la decisione della Corte Costituzionale risulta in linea con la salvaguardia della posizione processuale dell’imputato e con la conformità alla Costituzione del dettamene normativo così come stabilito dall’art. 159, c.1, c.p. e dagli artt. 3, 25, e 111 Cost..