Di Alessandro Amaolo

In via prelimare, si osserva come già nel lontano 1930 il legislatore penale aveva voluto introdurre una norma penale idonea a reprimere le varie condotte di prevaricazione, ossia tutte quelle forme di illecito collegate ai comportamenti infedeli dei patrocinatori o dei consulenti tecnici. Infatti, il legislatore intendeva evitare ogni possibile pregiudizio per l’amministrazione della giustizia, poiché per un ordinato svolgimento del processo è , prima di ogni altra cosa, imprescindibile il rispetto delle norme tecniche , legali ed etiche generalmente riconosciute, così come di evitare un pregiudizio per gli interessi delle parti.

In questo specifico contesto si inserisce proprio l’articolo 380 del vigente codice penale che punisce con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a cinquecentosedici euro il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale. Tuttavia, nel secondo comma, il legislatore stabilisce che la pena è aumentata: 1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.
L’ultimo comma del reato stabilisce che si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a milletrentadue euro, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina [la pena di morte[1] o] l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.

I soggetti attivi del reato possono essere soltanto il patrocinatore oppure il consulente tecnico. In particolare, i consulenti tecnici sono i periti nominati dalla parte ai sensi dell’art. 87 c.p.c. e 323 c.p.p. Tuttavia, restano esclusi, dall’ambito di applicazione della norma, i consulenti tecnici d’ufficio.

Il patrocinatore o il consulente tecnico sono tenuti a rispettare, nella singola situazione processuale concreta, quell’insieme di norme tecniche, legali ed etiche, generalmente riconosciute, che costituiscono la deontologia professionale. Dalla infedeltà a tali doveri il risultato del procedimento può essere pregiudicato o ritardato e, di conseguenza, può arrecarsi nocumento agli interessi della parte, integrandosi il reato di cui all’art. 380 codice penale (Cass. pen., sez. III, 22 ottobre 1979, n. 8751)

In particolare, proprio su quest’ultimo profilo, la seconda sezione del Supremo Collegio con la sentenza 8 febbraio 2008 nr 6382 ha enucleato il seguente principio di diritto : il delitto di patrocinio infedele è reato proprio, il cui soggetto attivo deve essere il “patrocinatore” e ne consegue che, essendo detta qualità inscindibile dallo svolgimento di attività processuali, ai fini dell’integrazione del reato non è sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti dall’accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, ma occorre la pendenza di un procedimento[2] nell’ambito del quale si sia realizzata la violazione degli obblighi assunti con il mandato”.

Inoltre, il soggetto passivo del reato previsto e punito dall’articolo 380 c.p. è anche lo Stato, inteso come rappresentativo degli interessi della collettività, attesa la rilevanza pubblica della funzione che svolge l’avvocato.

In tema di patrocinio infedele, la persona privata offesa non può che essere la persona o parte specificamente assistita in giudizio dal difensore infedele, che patisce un danno diretto dalla condotta antidoverosa del legale, e non anche la sua controparte processuale, salvo il caso di collusione tra i patrocinatori di una parte processuale con la “parte avversaria”, in quanto a sua volta rappresentata da patrocinatori infedeli.

La norma penale presa in commento prevede tre circostanze aggravanti di cui una è rappresentata dal colludere con la parte avversaria. In sintesi, la collusione è un accordo fraudolento concluso fra più persone per conseguire un fine illecito. Invece, la seconda occorre nel commettere in fatto a danno dell’imputato, cioè del soggetto a carico del quale viene esercitata l’azione penale da parte del pubblico ministero e del quale, nel processo penale, si intende accertare la colpevolezza o l’innocenza.

Infine, l’ultima circostanza aggravante ricorre ogni qual volta il fatto è stato commesso a danno di un imputato, ossia di un soggetto che è chiamato a rispondere dinanzi all’autorità giudiziaria di un delitto o di una contravvenzione. affermare

L’elemento soggettivo è il dolo generico, inteso come coscienza e volontà di non eseguire correttamente e fedelmente l’incarico ricevuto, nella consapevolezza di pregiudicare gli interessi della vittima. In particolare, il dolo generico deve essere inteso come la volontà consapevole della inosservanza dei doveri professionali di diligenza, lealtà e correttezza. Quindi, per poter integrare il reato in commento non è necessario il dolo specifico, consistente nell’intento di recare danno alla posizione del cliente, posto che il nocumento agli interessi della parte integra l’evento del reato medesimo.

Inoltre , in ordine all’accertamento dell’elemento psicologico nel reato in oggetto, i Giudici di legittimità hanno statuito che : Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di infedele patrocinio non è necessaria la specifica volontà dell’agente di nuocere alla parte assistita.” Cassazione penale, sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 42913

L’elemento oggettivo consiste nel rendersi infedeli ai doveri professionali, cioè nel tenere una condotta irrispettosa degli obblighi inerenti all’attività svolta ed imposti dalla deontologia professionale. In sintesi, la condotta incriminata consiste nell’infedeltà, che può essere realizzata in svariate forme (trattasi di reato a forma libera), e quindi anche in forma omissiva. Su quest’ultimo punto, ad esempio, si pensi alla mancata prestazione di attività doverose ad evitare un pregiudizio processuale per la parte.

Ai fini dell’integrazione[3] della fattispecie criminosa del patrocinio infedele, l’evento di danno, e quindi il nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria, non va inteso nel senso civilistico e quindi non è necessario che si verifichi un pregiudizio patrimoniale, ben potendo consistere anche soltanto nell’adozione di comportamenti imprudenti in conseguenza della comunicazione di una falsa notizia circa l’esito di un procedimento civile di rilevante importo economico. (Cassazione Penale, sezione II, sentenza 5 giugno 2008, n. 22702)

Il secondo comma del predetto articolo afferma , altresì, che la condotta del patrocinatore o del consulente tecnico può realizzarsi anche “ colludendo con la parte avversari “. In sintesi, la collusione è un’intesa tra due o più persone indirizzata a conseguire un determinato fine tradendo l’altrui fiducia.

L’evento del reato di patrocinio infedele va identificato con il nocumento arrecato al patrocinato. Il bene giuridico tutelato è rappresentato dalla corretta amministrazione della giustizia ed è irrilevante che la parte assistita abbia prestato il proprio consenso.

Il buon funzionamento della giustizia viene qui tutelato sotto il profilo della garanzia di un leale svolgimento delle funzioni di difesa e assistenza delle parti. Alcuni autori ritengono che, invece, sia qui tutelato l’interesse della parte stessa a ricevere una corretta difesa o assistenza tecnica.

E’ innegabile che nella fattispecie in oggetto viene in rilievo anche un interesse “particolare”, ossia quello processuale della parte / cliente che subisce un nocumento.

Presupposto del reato di infedele patrocinio (art. 380, comma primo, c.p.) è l’esercizio della difesa, rappresentanza ed assistenza davanti all’autorità giudiziaria, intese come oggetto del rapporto di partecipazione professionale e non come estrinsecazione effettiva di attività processuale, per cui ad integrare l’elemento oggettivo del delitto è sufficiente che l’esercente la professione forense si renda infedele ai doveri connessi all’accettazione dell’incarico di difendere taluno dinanzi all’autorità giudiziaria, indipendentemente dall’attuale svolgimento di un’attività processuale e finanche dalla pendenza della lite, giacché il pregiudizio in danno della parte può concretarsi nella dolosa astensione dalla doverosa attività processuale (Cassazione Penale, Sezione VI, 14.12.04 / 18.01.05 , n. 856).

Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali. (Cassazione penale, sez. VI, 20 maggio 2009, n. 21160).

Infatti, a conferma di quanto sopra esposto, osservo che l’inadempimento, da parte di un legale, dell’incarico conferitogli dal cliente di provvedere all’effettuazione di un’offerta reale, non dà luogo a configurabilità del reato di cui all’art. 380 c.p., potendo tale reato essere commesso solo da chi abbia la veste formare di “patrocinatore” e richiedendosi, per l’assunzione di tale veste, l’esistenza di un procedimento pendente davanti all’autorità giudiziaria; condizione, questa, che non si verifica nel caso anzidetto giacché l’offerta reale ha natura di attività extra processuale pur quando debba essere effettuata, come si verificava nella specie, in attuazione di un giudicato civile (in tal senso, si veda la Cassazione penale, sezione VI, sentenza 14 settembre 1998, n. 9758).

Il delitto di patrocinio infedele di cui all’art. 380 c.p. ha natura di reato plurioffensivo in quanto, oltre a recare danno all’amministrazione della giustizia ed anche al normale funzionamento dell’attività giudiziaria, che impone di rispettare i principi minimi di correttezza e lealtà, richiede la realizzazione di un evento implicante un nocumento concreto e reale agli interessi della parte processuale difesa dal patrocinatore che si rende inadempiente, inosservante ai suoi specifici doveri professionali. (in tal senso si veda la Cassazione penale , sentenza nr 45059/2014)

Significativa e rilevante per il reato in commento risulta essere la sentenza nr. 39924 della Cassazione penale, sezione VI, del 03 novembre 2005 che ha affermato quanto segue : “ Nell’accertamento del reato di infedele patrocinio il giudice non può limitarsi alla valutazione di singoli atti o di scelte avulsi dal contesto nel quale sono inseriti, ma deve collocare l’attività professionale svolta nel quadro della linea difensiva e della strategia di conduzione del processo adottata per il conseguimento del risultato voluto dalla parte, al fine di valutare se il patrocinatore si sia reso volontariamente infedele all’obbligo di curare gli interessi della parte assistita o rappresentata nel processo, alla stregua del mandato ricevuto e di quanto le regole professionali e le incombenze processuali richiedono per l’adempimento di tale obbligo”. Nella predetta ultima fattispecie, il difensore non aveva promosso la procedura esecutiva di rilascio dell’immobile sulla base del dispositivo della sentenza.

In riferimento ai rapporti con altri reati, si ritiene ipotizzabile il concorso materiale dei reati di patrocinio infedele e di truffa nell’ipotesi in cui il patrocinatore, con la sua condotta infedele, occultando notizie o comunicando notizie false sul corso del processo, oltre a recare danno alla parte assistita procuri dolosamente a sé stesso un ingiusto profitto. (in tal senso, Cassazione penale, Sezione VI, sentenza del 13 marzo 1996 numero 2689).

Oltre a ciò, per mezzo delle modalità attuative, il reato di cui all’art. 380 c.p. può concorrere anche con quello ex art. 622 c.p. (rivelazione di segreto professionale) oppure con il reato di cui all’art. 374 c.p. (frode processuale) o 490 c.p. (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri).

Nell’accertamento del reato di infedele patrocinio il giudice non può limitarsi alla valutazione di singoli atti o di scelte avulsi dal contesto nel quale sono inseriti, ma deve collocare l’attività professionale svolta nel quadro della linea difensiva e della strategia di conduzione del processo adottata per il conseguimento del risultato voluto dalla parte, al fine di valutare se il patrocinatore si sia reso volontariamente infedele all’obbligo di curare gli interessi della parte assistita o rappresentata nel processo, alla stregua del mandato ricevuto e di quanto le regole professionali e le incombenze processuali richiedono per l’adempimento di tale obbligo. Si pensi, ad esempio, nuovamente, ad una fattispecie in cui il difensore non promuova la procedura esecutiva di rilascio di un immobile, che era stato concesso in locazione per uso commerciale, sulla base del dispositivo della sentenza. Pertanto, anche quest’ultimo esempio è idoneo a realizzare il reato previsto e punito dall’articolo 380 c.p.

Gli esempi possono essere molteplici ed eterogenei, tanto che costituisce infedele patrocinio anche il consigliare al proprio assistito di presentare una dichiarazione dei redditi infedele (Cassazione,         Sezione VI,    20 Febbraio   2012,   n.6703). Infatti, su questo specifico ed ultimo punto è stato stabilito dalla Suprema Corte nella sopraccitata sentenza che : “
Per la configurabilità del delitto di infedele patrocinio è irrilevante il consenso prestato dalla parte al suo patrocinatore, quando l’attività di quest’ultimo si traduca nel consigliare al proprio cliente un comportamento contrario alla legge (nel caso di specie, la presentazione di una dichiarazione IVA non veritiera, sanzionata dall’art. 2 del D.L.vo n. 74/2000), poichè il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l’incarico ricevuto, ma il corretto adempimento dei suoi doveri professionali “.

Restano ancora da analizzare gli aspetti procedurali del reato in commento . Si tratta di un reato di competenza del Tribunale in composizione monocratica che è procedibile d’ufficio.

Infatti, non è richiesta quale condizione di procedibilità la proposizione della querela di parte.

Le misure pre – cautelari personali dell’arresto e del fermo non sono consentite nell’ipotesi di cui al primo ed al secondo comma mentre, invece, sono facoltative nell’ipotesi prevista nel terzo comma. Inoltre, la custodia cautelare in carcere, così come tutte le altre misure cautelari personali sono consentite solo nell’ipotesi di cui al terzo comma ad eccezione della misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p.) che può essere consentita anche nelle ipotesi previste nel primo e secondo comma dell’articolo 380 del codice penale. Si deve aggiungere che è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni (come mezzo di ricerca della prova) ex art. 266 c.p.p. L’udienza preliminare viene prevista soltanto nell’ipotesi di cui al terzo comma. Il termine di prescrizione del reato è di 6 anni per le ipotesi di cui al primo ed al secondo comma, mentre, invece è di 10 anni per l’ipotesi di cui all’ultimo comma.

In ultima analisi, si può correttamente affermare che : “Il delitto di cui all’art. 380 comma 1 c.p. (patrocinio infedele) è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest’ultimo, inteso questo non necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale. D’altro canto la condotta illecita può consistere anche nell’occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie false e fuorvianti nel corso del processo; a sua volta l’evento può essere rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisioni assunte dal giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura”. (Cassazione penale, sezione VI , 19 dicembre 1995 – 13 marzo 1996 , n. 2689 ed anche in tal senso Cassazione Penale, sezione VI, sentenza 7 luglio 2016, n. 28309) . In ultima analisi, sulla base di tutte le precedenti considerazioni e riflessioni, si ritiene che il testo della norma, di cui all’articolo 380 codice penale, impone di interpretarla letteralmente, nel senso di ritenere che il legislatore abbia inteso riservare la sanzione penale per quei comportamenti infedeli che abbiano luogo nell’ambito di un procedimento, escludendo invece dalla portata della previsione le attività poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche. Pertanto, solo per fare un esempio, da tutto ciò ne consegue che non è integrato il reato de quo nel caso di inazione dolosa dell’avvocato nella procedura di esecuzione esattoriale, disciplinata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e successive modifiche, tra le quali quelle introdotte dal D.Lgs. n. 46 del 1999. (a cura del Dott. Alessandro Amaolo)

 

[1] La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal d.lgs.lgt. 10-8-1994 , n. 224.

[2] In tal senso : Perché si abbia il reato di patrocinio infedele punito dall’art. 380 c.p., occorre una attuale e effettiva pendenza del procedimento avanti all’autorità giudiziaria e l’infedeltà del patrocinio non può essere riferita alle attività prodromiche alla sua instaurazione. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 18 settembre 1997 , n. 8420). Nel confermare il principio di cui in massima la Corte non ha ammesso che potesse integrare il reato di patrocinio infedele la omessa presentazione di un ricorso per sequestro giudiziario e di un ricorso possessorio.

[3] Il delitto di patrocinio o consulenza infedele non è integrato dalla sola infedeltà ai doveri professionali, occorrendo la verificazione di un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l’evento del reato. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 29 luglio 2008, n. 31678)