A cura di Dott. Alessandro Amaolo
Il furto è indubbiamente il delitto più diffuso o tra i più diffusi nella società. Si tratta di un reato di medio allarme sociale che, tuttavia, può provocare nella psiche delle persone impulsi, reazioni e conseguenze a volte anche imprevedibili. Più in particolare, il furto può essere ben considerato come il presupposto, l’antefatto per il compimento di reati ulteriori (esempio la ricettazione[1]) e ben più gravi quali la rapina, l’omicidio, l’associazione a delinquere finalizzata all’estorsione. Inoltre, l’abitualità e la recidiva nel commettere i delitti di furto può sviluppare e rafforzare maggiormente nella psiche dei soggetti la capacità di compiere , molto più agevolmente, anche i reati di riciclaggio (art. 648 bis c.p.), di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.) e di autoriciclaggio (art. 648 ter.1 c.p.). Oltre a ciò l’abitualità e la recidiva nella commissioni dei reati di furto può essere fondamentale per indurre i soggetti alla realizzazione di gravi delitti di stampo associativo come l’associazione per delinquere che viene prevista e punita dal nostro ordinamento giuridico nell’articolo 416 c.p. In sintesi, il furto non è un delitto da sottovalutare per le esigenze preventive di politica criminale relative alla tutela della sicurezza sociale.
Il furto si inserisce fra i delitti contro il patrimonio che hanno come punto di riferimento una porzione del mondo esteriore : la cosa mobile altrui oppure anche beni immateriali (le cd. res incorporales o quae tangi non possunt), ad esempio l’energia elettrica[2]. Per le energie, però, bisogna specificare che qui vengono tenute in considerazione solo le energie suscettibili di appropriazione; tali non sono, al contrario, le onde radiofoniche o televisive, che viaggiano nell’etere.
In tema di reati contro il patrimonio, per “cosa mobile” deve intendersi qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione e che sia in grado di spostarsi autonomamente ovvero di essere trasportata da un luogo ad un altro, compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l’avulsione o l’enunciazione del complesso immobiliare di cui faceva parte (Cassazione penale, sezione II, sentenza 01 giugno 2010, n. 20647). Secondo lo scrivente, seppur assai risalente e quindi lontana nel tempo appare, invece, di straordinaria attualità ed interesse, soprattutto in termini definitori di “cosa mobile altrui”, la sentenza della Cassazione penale, sezione II, 19 febbraio 1971, n. 481. Secondo l’insegnamento dei giudici di legittimità del 1971 : “Per cosa mobile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 624 codice penale, si intende qualsiasi oggetto corporeo, qualsiasi entità materiale, suscettibile di detenzione, sottrazione ed impossessamento, facente parte del patrimonio altrui, inteso in senso ampio e non soltanto sotto il profilo strettamente economico, che rivesta un apprezzabile interesse e la cui appropriazione determini un detrimento patrimoniale (in senso ampio) per il soggetto passivo ed arrechi una qualsiasi utilità o vantaggio (economicamente valutabile o meno) per l’agente. Ai fini del delitto di furto, non sono da considerare come mobili le entità immateriali ed, in particolare, i prodotti immateriali del pensiero, dell’ingegno e dell’attività umana, in quanto tali ed in sè considerati. Ma, quando queste entità o prodotti immateriali vengono trasfusi in una cosa materiale, corporea, quest’ultima perde (in tutto od in parte) la sua rilevanza per il suo valore intrinseco ed acquista quella inerente all’interesse relativo al prodotto intellettuale in essa incorporato, il quale, pertanto, viene in considerazione come oggetto primario della sottrazione e dell’impossessamento, unitamente alla cosa mobile in cui si è materializzato”.
Si devono escludere, invece, dal novero delle cose i dati informatici; infatti, possono ben essere oggetto di spossessamento e di appropriazione i supporti informatici in cui i dati sono racchiusi (CD, DVD, le penne USB da 8GB, 16GB, 32GB, 64GB , gli hard disks esterni da 1Terabyte), ma non i flussi informatici in sé. Sul punto, un insegnamento del giudice di legittimità ha stabilito che è da escludere la configurabilità del reato di furto nel caso di semplice copiatura non autorizzata di “files” contenuti in un supporto informatico altrui, non comportando tale attività la perdita del possesso della “res” da parte del legittimo detentore (in tal senso, si veda Cassazione penale, sezione IV, sentenza 21 dicembre 2010, n. 44840).
Invece, la contestuale sottrazione di più cose appartenenti a persone diverse costituisce furto continuato[3] (in tal senso, Cassazione penale, sezione II, sentenza del 15 maggio 1982, nr. 5010).
In sintesi, sono delitti contro il patrimonio tutti quelli che violano diritti soggettivi ed interessi di contenuto economico e patrimoniale facenti capo a soggetti fisici o a persone giuridiche determinate (esempio società di persone , società di capitali etc..).
L’attuale rubrica, nel vigente codice penale del 1930, “Dei delitti contro il patrimonio” costituisce un’innovazione rispetto a quella contenuta nel previgente codice penale Zanardelli, risalente all’anno 1889, il quale intitolava il titolo XIII “Dei delitti contro la proprietà”.
Pertanto, il legislatore punisce il furto con l’articolo 624 del codice penale che si compone di tre commi. Nel primo comma del predetto articolo si stabilisce che : “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro”. Dalla lettura e dall’interpretazione del predetto comma, emerge come l’impossessamento è nient’altro che la creazione, da parte del soggetto attivo del reato, di un proprio possesso sulla cosa, di una relazione materiale autonoma, indipendente e di un animus rem sibi habendi. Invece, la sottrazione è la privazione della disponibilità materiale della cosa, cioè lo spossessamento. A ciò si deve aggiungere che l’impossessamento e la sottrazione costituiscono due elementi autonomi sia sotto il profilo logico – concettuale, sia, qualche volta, sotto il profilo cronologico.
All’interno del primo comma dell’articolo 624 c.p. troviamo anche il termine “detiene”. In sintesi, la detenzione di una res consiste nel potere di fatto sulla cosa esplicato nella sfera di sorveglianza del possessore.
Un altro importante elemento che emerge dal comma in commento è il profitto; quest’ultimo si individua e coincide con qualsiasi vantaggio economico, morale o materiale.
Il secondo comma specifica, altresì, che: “ Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”.
L’ultimo e terzo comma si occupa di disciplinare alcuni aspetti procedurali della fattispecie penale in oggetto. Infatti, l’articolo 624 , comma 3 ° , codice penale stabilisce che : “Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, numero 7) e 625.”
Il soggetto attivo del reato può essere chiunque mentre, invece, il soggetto passivo è il possessore della cosa mobile sottratta. Tuttavia, in alcuni specifici casi, anche il furto può diventare un reato proprio nell’ipotesi di furti del militare[4] di cui agli artt. 230 – 233 codice penale militare di pace oppure nell’ipotesi del furto commesso a bordo da parte di componente l’equipaggio, di cui all’art. 1148 codice della navigazione.
Il delitto di furto ha natura istantanea ed l’oggetto materiale dell’azione è la sottrazione di una cosa mobile altrui. In particolare, la sottrazione è una privazione della disponibilità materiale della cosa , cosicché il soggetto passivo viene privato della possibilità di stabilire, quando vuole, il contatto con la cosa stessa. Oltre alla sottrazione, nella fattispecie penale del furto, esiste anche l’impossessamento; quest’ultimo può seguire immediatamente la sottrazione, ma può verificarsi anche in un tempo diverso.
L’elemento psicologico richiesto per il reato di furto è il dolo specifico, rappresentato dalla finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, quale conseguenza della condotta di sottrazione – impossessamento. Inoltre, nel reato di furto il profitto può consistere in una qualsiasi utilità e vantaggio, anche di natura non patrimoniale, ed è sufficiente che il soggetto attivo abbia operato per il soddisfacimento di un qualsiasi interesse anche psichico, e quindi anche per ragioni di studio o anche per dispetto, ritorsione o vendetta. In tema di furto, rientra nell’ampio concetto (del dolo specifico) di trarre profitto anche il caso in cui l’agente si impossessi della cosa mobile altrui al fine di consegnarla ad una terza persona.
Tuttavia, secondo l’insegnamento dei giudici di legittimità è corretto affermare che : “La sottrazione di un oggetto fatta con l’intento puramente scherzoso non può integrare l’ipotesi di furto, in quanto l’intento ioci causa essendo incompatibile con il fine di trarre profitto, esclude il dolo specifico di detto reato” (in tal senso, Cassazione penale, sezione II, sentenza 04 novembre 1991, n. 11027). Da quest’ultima considerazione emerge chiaramente come solo il dolo specifico può essere considerato come l’elemento soggettivo costitutivo per questa fattispecie penale incriminatrice e giammai altri tipi di dolo come, ad esempio, quelli eventuale, iniziale, successivo o alternativo.
Il bene – interesse giuridico protetto di questa fattispecie penale incriminatrice è il patrimonio inteso come il complesso unitario dei beni economicamente valutabili, appartenenti di diritto o di fatto ad un soggetto. Si deve considerare patrimonio ai fini penali il complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona ed aventi per oggetto ultimo cose dotate di funzione strumentale, della capacità di soddisfare bisogni umani, materiali o spirituali.
Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità , poiché il momento consumativo del furto è costituito dalla sottrazione della cosa, passata, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stata sottratta, sotto il dominio esclusivo dell’agente, sono irrilevanti, ai fini della consumazione del delitto, sia il fatto che la res furtiva rimanga nella sfera di vigilanza della persona offesa, con la possibilità di un pronto recupero della stessa, sia il criterio temporale, relativo alla durata del possesso del responsabile, sia le modalità di custodia e di trasporto della refurtiva (in tal senso, si veda la Cassazione penale, sezione IV, sentenza 28 aprile 1995, n. 4743).
In un altro caso, non troppo dissimile da quello esposto poc’anzi, la Suprema Corte ha correttamente stabilito quanto segue: “Costituisce reato di furto consumato e non semplicemente tentato quello che abbia ad oggetto un autoveicolo munito di c.d. antifurto satellitare poiché la presenza di tale congegno non comporta che il veicolo venga costantemente seguito nei suoi spostamenti (sì da dar luogo ad un mantenimento, sia pure a distanza ed a mezzo di soggetto diverso dal rapporto tra il detentore e la res), ma consente soltanto la localizzazione del veicolo stesso a seguito di richiesta”. (Cassazione penale, sezione IV, sentenza 3 febbraio 2003, n. 4824)
Secondo un ulteriore insegnamento degli ermellini : “La cosa rubata e poi abbandonata dal ladro non costituisce res derelicta, la cui appropriazione sia consentita a chiunque, poichè non vi è abbandono senza la volontà dell’avente diritto e tale non può certamente ritenersi quella del ladro e poichè la cosa, una volta abbandonata dal ladro, deve considerarsi nuovamente in possesso del proprietario con la necessaria conseguenza che integra furto in danno di quest’ultimo l’ulteriore sottrazione di beni già rubati da terzi” (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 12 giugno 1986, n. 5424). Si pensi ad esempio, su quest’ultimo aspetto, alla fattispecie in tema di furto di autovettura che da parte dell’imputato si assumeva semplicemente abbandonata da terzi mentre, invece, era stata nuovamente rubata (cd. ulteriore sottrazione) da parte di un nuovo malvivente (ladro).
Ai fini della valutazione del danno patrimoniale cagionato alla persona offesa nel delitto di furto deve essere preso in considerazione non soltanto il valore della cosa sottratta nel momento del commesso reato, ma anche il danno eventualmente cagionato dal soggetto attivo durante l’iter criminoso per conseguire l’evento; si pensi, ad esempio, nella specie, al danno prodotto da uso di violenza sulle cose all’interno di un immobile ad uso abitativo o commerciale.
In riferimento ai rapporti con altri reati, secondo l’insegnamento dei giudici ermellini : “ Integra il delitto di appropriazione indebita e non quello di furto la condotta di chi, avendo il possesso di energia elettrica sulla base di regolare contratto, la destina ad uso diverso rispetto a quello previsto nello stesso contratto, per procurarsi un ingiusto profitto, rappresentato nella specie dall’illuminazione di un fabbricato costruito in difetto di concessione edilizia.” (Cassazione penale, sezione V, sentenza 01 giugno 1999, n. 6917)
Per una migliore completezza espositiva, l’autore ritiene utile ed opportuno affrontare , brevemente, anche la problematica interpretativa relativa al concorso di persone nel reato, al concorso morale, alla prestazione di suggerimenti riguardanti la commissione di un illecito penale ovvero la cosiddetta condotta costitutiva del concorso nel delitto di furto. Su quest’ultimo punto, un interessante principio ermeneutico espresso dalla Corte di Cassazione stabilisce che: “ La prestazione di suggerimenti circa la commissione di un determinato illecito integra la condotta rilevante ai fini del concorso nel reato, sia sotto il profilo materiale, poiché gli autori non chiederebbero ausilio neppure sotto forma di pareri, se fossero in grado di attuare da soli l’illecito, sia sotto il profilo morale, poiché l’apprendimento di tecniche che agevolino l’azione o ne diminuiscano i rischi, rafforza inevitabilmente la volontà criminosa degli autori materiali” (Cassazione penale, sezione V, sentenza 19 febbraio 1994, n. 2108). Si pensi, solo per fare un esempio, alla fattispecie relativa ad una consulenza tecnica in tema di furto all’interno di un veicolo munito di dispositivi satellitari antifurto e di geolocalizzatori GPS. Inoltre, lo scrivente ritiene che l’opera di consulenza serve, indubbiamente a rafforzare nei terzi la volontà di commettere il furto e ne costituisce, quindi, un concorso materiale nel reato. Infatti, gli autori di un reato non avrebbero chiesto un tale parere se fossero stati in grado da soli nel portare a termine l’azione criminosa. Tuttavia, il concorso oltre che materiale , come esplicitato poc’anzi, risulta essere anche morale perché l’apprendimento di tecniche che rendano più facile l’azione o che facciano diminuire i rischi, inevitabilmente rafforza la volontà criminale degli autori materiale.
Infine, restano ancora da analizzare alcune note procedurali del delitto di furto. La competenza è del Tribunale in composizione monocratica e la procedibilità è subordinata alla querela[5] di parte, a meno che ricorra una delle ipotesi contemplate dall’ultimo comma dell’articolo 624 codice penale.
L’arresto è obbligatorio in flagranza (380 c.p.p.) se ricorre l’aggravante di cui all’art. 4 della L. 8 agosto 1977, n. 533, ovvero quella prevista dall’art. 625, primo comma, n. 2), prima ipotesi, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4), c.p.; facoltativo in flagranza (381 c.p.p.) negli altri casi.
Inveve, il fermo di indiziato di delitto è consentito (384 c.p.p.) qualora ricorra l’aggravante di cui all’art. 4 della L. 8 agosto 1977, n. 533.
Le misure cautelari personali sono consentite (280, 391, 381 c.p.p.), così come l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni (art. 266 c.p.p.), come mezzo di ricerca della prova, nei casi di cui all’art. 625, nonché quando ricorre l’aggravante speciale che viene prevista dall’articolo 4 della legge n. 533/1977.
Inoltre, l’azione penale viene esercitata tramite il decreto di citazione diretta a giudizio. L’udienza preliminare non è prevista ma, tuttavia, sussiste se ricorre l’aggravante di cui all’articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533.
Il termine di prescrizione del reato in commento è di 6 anni oppure di 10 anni nei casi di cui agli articoli 625, comma 2, e 4 legge n. 533/1977.
La declaratoria di non punibilità per la tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è possibile se non ricorrono le aggravanti dell’articolo 625 c.p.
L’ultima riflessione dello scrivente è quella di ritenere il reato di furto come un delitto di natura plurioffensiva poiché da un lato lede il patrimonio ovvero il diritto di proprietà (art. 42 Carta Costituzionale) e gli altri diritti reali personali di godimento, il possesso mentre, dall’altro, lede anche la libertà delle persone (cd. sfera morale) proprio nella loro capacità di autodeterminarsi per la stipulazione dei negozi giuridici, nei contratti di compravendita. Si pensi, ad esempio, ai commercianti che vengono derubati di capi di abbigliamento pronti per essere esposti e messi in vendita nelle vetrine dei negozi, così come derubati di nuove autovetture da immatricolare, di materiali per le tabaccherie etcc..
(A cura del Dott. Alessandro Amaolo , Specializzato nelle Professioni Legali con indirizzo Giudiziario – Forense ed abilitato all’esercizio della professione di avvocato presso la Corte di Appello di Ancona)
[1] Il delitto di ricettazione sussiste anche quando il reato presupposto sia quello di furto e lo stesso non sia punibile per difetto di querela. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 10 settembre 2010, n. 33478)
[2] In tema di furto di energia elettrica, ai fini della sussistenza dello stato di flagranza, non si richiede che l’agente sia sorpreso nell’atto di manomettere il contatore dei consumi, assumendo invece rilievo l’effettivo utilizzo dell’energia, integrante il fatto della sottrazione. (Cassazione penale, sezione V, sentenza 23 aprile 2004, n. 19119)
[3] Il dolo d’impeto è incompatibile con la continuazione, perché esclude la volizione preventiva e preordinata dell’insieme dei reati. (Cassazione penale, sezione I, sentenza 21 giugno 2010, n. 23810)
[4] In tema di furto, sussiste la giurisdizione militare purché abbiano la qualifica di militare il soggetto attivo e quello passivo del reato, nonché il luogo nel quale il furto viene commesso. (Cassazione penale, sezione I, sentenza 26 maggio 2009, n. 21670)
[5] Il direttore ed il commesso di un centro commerciale sono legittimati in proprio a proporre querela per il furto, in quanto persone offese dal reato, poiché, in tale ipotesi delittuosa, detta qualità spetta non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita. (Cassazione penale, sezione V, sentenza 23 maggio 2003, nr. 22860)