A cura del Dott. Alessandro Amaolo

Il legislatore penale del 2009 ha reintrodotto all’interno del nostro ordinamento giuridico il reato di oltraggio a pubblico ufficiale che era stato abrogato dall’art. 18 della Legge nr. 205 del 1999, seppure con delle modifiche rispetto al testo previgente.

Pertanto, la fattispecie penale incriminatrice presa in commento, prevista e punita dall’articolo 341-bis del vigente codice penale, prevede al primo comma che: “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale[1] mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni”.

Si rileva come, sul piano processuale, il requisito oggettivo della necessaria presenza di più persone, di cui al primo comma dell’articolo 341-bis c.p., sembra rimuovere in radice il rischio che lo stesso Pubblico Ufficiale venga a rappresentare l’unica prova del fatto. Inoltre, dalla lettura della norma penale di cui sopra, emerge chiaramente che ai fini della configurabilità del reato di oltraggio occorre che l’offesa venga pronunciata contro il Pubblico Ufficiale “a causa o nell’esercizio delle sue funzioni”.

L’onore in base all’articolo 341-bis c.p. deve essere inteso come stato personale, indipendente dal mondo esteriore, che attiene strettamente all’individualità della persona fisica cui è rivolta l’offesa. Invece, il prestigio deve essere inteso come senso della dignità del Pubblico Ufficiale , collegato all’esercizio delle funzioni conferite ed esercitate.

L’elemento oggettivo del reato richiede la pubblicità del luogo in cui si perpetra il fatto offensivo. Infatti, se così non sarà, se quindi l’offesa non verrà arrecata in un luogo pubblico o aperto al pubblico il reato non sarà configurabile. Per luogo pubblico si deve intendere quel luogo in cui chiunque può accedere e fare ingresso senza alcuna limitazione (ad esempio una pubblica via). Invece, il luogo aperto al pubblico è quel luogo in cui chiunque può accedere, ma solo a determinate condizioni (è il caso, per fare un esempio, di un locale pubblico come una discoteca o di un Night Club).

In particolare, si annoverano fra i luoghi pubblici le vie, piazze , gli uffici pubblici e, tra i luoghi aperti al pubblico, i cinema, i circoli privati, i pubs, i ristoranti, le parti comuni degli istituti carcerari.

Gli esempi di oltraggio possono essere davvero molteplici nella realtà quotidiana di tutti i giorni. Si pensi, ad esempio, all’accusa formulata in termini indiscriminati nei confronti di un pubblico ufficiale, nel mentre sta svolgendo le proprie funzioni, di lavorare in un ufficio in cui è imperante la corruzione. La predetta accusa, pertanto, coinvolge il diretto interlocutore e ne offende l’onore ed il prestigio, mortificando e svilendo, nella sua essenza di imparzialità e di correttezza, il ruolo pubblico ricoperto.

Intrinsecamente collegato al precedente elemento oggettivo è l’ulteriore requisito introdotto nel testo dell’art. 341-bis c.p. che è costituito dalla presenza, necessaria ai fini della punibilità del reato, di più persone nel momento in cui si arreca l’offesa al Pubblico Ufficiale.

Inoltre, l’oltraggio richiede anche l’attualità dell’offesa nel senso che essa dev’essere arrecata mentre il Pubblico Ufficiale compie un atto d’ufficio. In sostanza, la ragione dell’offesa deve trovarsi nelle funzioni del pubblico ufficiale, in relazione ad uno specifico atto da compiere. In dettaglio, nella formulazione della fattispecie è richiesta la presenza di una relazione causale o temporale tra l’offesa e la qualifica funzionale. In ulteriore analisi, ai fini della sussistenza del delitto di oltraggio è necessario che intercorra un rapporto causale, anche meramente cronologico, tra l’offesa e le pubbliche funzioni.

Si rileva come uno degli elementi costitutivi del delitto di oltraggio è la presenza del soggetto passivo, per integrare la quale non è indispensabile il contatto fisico o visivo fra offensore ed oltraggiato, ma è sufficiente che quest’ultimo si trovi ad una distanza tale da essere in grado di percepire, anche stando in altro ambiente vicino, l’offesa a lui indirizzata. Occorre, per di più, sotto il profilo soggettivo, che sussistano la consapevolezza da parte del soggetto attivo del reato di questa percettibilità da parte del Pubblico Ufficiale dell’offesa a lui indirizzata e la volontà che essa venga da lui percepita.

Successivamente, il secondo comma dell’art. 341 bis c.p. , nella prima parte, prevede un’ aggravamento della pena nell’ipotesi in cui l’offesa sia arrecata attraverso l’attribuzione di un fatto determinato. Quest’ultimo ed ulteriore elemento della fattispecie deve essere inteso come una qualsiasi azione od omissione, munita di una sua consistenza, tanto da essere apprezzabile da un punto di vista materiale. In stretta sostanza, si deve trattare di una manifestazione esterna (positiva o negativa) della volontà individuale ed, infatti, l’attribuzione di mere intenzioni o di qualità personali non è un fatto e come tale non è idonea di per sé a configurare la circostanza presa adesso in esame.

Tuttavia, lo stesso secondo comma prevede un’altra ipotesi di exceptio veritatis secondo cui se la verità del fatto è provata o nel caso in cui per esso il Pubblico Ufficiale , a cui il fatto è attribuito, è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. In sintesi, si può correttamente affermare che l’art. 341-bis , comma 3, c.p. ammette, in presenza dell’attribuzione di un fatto determinato, la prova liberatoria tendente a provare la verità del fatto attribuito, acquisita la quale l’autore dell’offesa non è punibile.

Sulla base delle precedenti riflessioni e considerazioni, si può correttamente affermare che, in tema di oltraggio a un pubblico ufficiale, quando l’espressione altrimenti offensiva è strettamente funzionale al ristabilimento della corretta azione dell’ufficio questa deve considerarsi come lecita manifestazione di diritto di critica che prevale sulle esigenze repressive oggetto dell’art. 341-bis c.p.

Infine, l’art. 341-bis c.p. , comma 3 , c.p. prevede una particolare causa di estinzione del reato secondo la quale l’oltraggio a Pubblico Ufficiale si estinguerà se l’imputato, prima del giudizio, avrà risarcito il danno nei confronti della persona offesa e dell’ente cui questa appartiene. In breve, si tratta, all’evidenza, di un istituto giuridico introdotto dal Legislatore con chiare finalità deflattive e con l’intento di rendere più celere la definizione di questa tipologia di procedimenti penali.

L’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico[2], inteso come coscienza e volontà di offendere il Pubblico Ufficiale[3] contro il quale l’espressione oltraggiosa viene pronunciata. L’errore non è , quindi, configurabile se il soggetto ignora che la persona offesa sia pubblico ufficiale ai sensi e per gli effetti della legge penale, pur essendo a conoscenza della funzione pubblica svolta dal medesimo.

La natura giuridica è quella di un reato comune, di danno, di mera condotta ed a forma libera non essendo necessaria una specifica modalità di realizzazione della condotta criminosa. Oltre a ciò, è un reato istantaneo esaurendosi l’offesa nella stessa realizzazione del fatto tipico.

Quindi, il delitto si consuma con la percezione, da parte della vittima, dell’affermazione oltraggiosa ed il tentativo risulta essere configurabile in tutti i casi nei quali l’offesa, pur posta in essere, non viene percepita dai destinatari per causa indipendente dalla volontà del reo.

La condotta tipica del reato di oltraggio si caratterizza per essere un’ipotesi speciale di ingiuria, a soggetto proprio od esclusivo. Più in particolare, il comportamento incriminato consiste nell’offendere[4] l’onore ed il prestigio del Pubblico Ufficiale. Inoltre, l’offensività della condotta deve essere valutata alla luce del parametro del cosiddetto comune sentire sociale[5], così come emerge dall’esame dei comportamenti tenuti dalla maggioranza dei consociati in analoghe situazioni.

Per quanto concerne i mezzi, l’oltraggio può essere realizzato sia con dei gesti che con le parole o comportamenti offensivi.

Il bene giuridico tutelato è quello della pubblica amministrazione a che non sia menomato il proprio onore ed il proprio prestigio, che costituiscono condizione essenziale per il buon funzionamento dell’organizzazione pubblica. Si evidenzia, inoltre, che l’esigenza sottesa all’incriminazione in esame è proprio quella di salvaguardare i pubblici ufficiali dalle offese che, in quanto avvenute pubblicamente (in presenza di più persone) e nell’esercizio o a causa delle funzioni, sono considerate turbamento alla normale e decorosa prosecuzione delle funzioni stesse.

Oltre ogni dubbio, si ritiene di poter qualificare l’oltraggio come un reato plurioffensivo, poiché risulta diretto ad approntare tutela all’onore e al decoro del pubblico ufficiale, oltre che alla pubblica amministrazione. Pertanto, il prestigio della pubblica funzione diventa oggetto di tutela riflessa rispetto all’offesa “primaria ed originaria” che, in ogni caso, concerne la persona fisica del pubblico ufficiale. In quanto reato plurioffensivo, il soggetto passivo non è solo il pubblico ufficiale oltraggiato, ma anche la pubblica amministrazione.

Il soggetto attivo può essere sia una persona estranea alla pubblica amministrazione che un Pubblico Ufficiale. Infatti, l’illecito penale in oggetto rientra nella categoria dei reati comuni e, in quanto tale, è realizzabile da qualsiasi persona, a prescindere dal possesso di specifiche qualità.

Per di più, la fattispecie penale incriminatrice in commento esige, altresì, la sussistenza di un nesso eziologico tra l’offesa e l’esercizio della pubblica funzione.

Tuttavia, nell’offesa arrecata con un unico atto ad un corpo amministrativo o politico e ai singoli membri del medesimo ricorre la ipotesi del concorso formale, per cui in tal caso il soggetto agente deve rispondere sia del reato previsto dall’art. 341-bis c.p. sia di quello di cui all’art. 342 c.p. (Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario). Infatti, l’unica condotta criminosa ha carattere plurioffensivo ledendo sia il bene giuridico della pubblica amministrazione sia l’onore e il prestigio personale del pubblico ufficiale, per cui l’indagine in ordine all’elemento soggettivo si risolve nell’accertamento della consapevolezza, nell’agente, della potenzialità oltraggiosa della frase pronunciata e della volontà di rivolgerla al soggetto passivo del reato.

All’oltraggio può essere applicata la scriminante della reazione legittima agli atti arbitrari ex articolo 393-bis c.p.

Restano da analizzare alcune brevi note procedurali per il reato in commento. Le misure pre-cautelari dell’arresto e del fermo di indiziato di delitto non sono consentite, così come le altre misure cautelari personali. Inoltre, l’autorità giudiziaria competente è il Tribunale in composizione monocratica (art. 33 ter c.p.p.) a seguito di citazione diretta e si tratta di un delitto procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.). Infine, nell’oltraggio l’udienza preliminare non è prevista e la declaratoria di non punibilità per la tenuità del fatto è possibile; il termine di prescrizione è di sei anni.

(A cura del Dott. Alessandro Amaolo – Specializzato nelle Professioni Legali con indirizzo Giudiziario – Forense – Abilitato all’esercizio della professione di avvocato presso la Corte di Appello di Ancona)

 

[1] Commette oltraggio a pubblico ufficiale il genitore che offende l’insegnate del figlio. (Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale Sentenza 12 febbraio – 3 aprile 2014, n. 15367)

 

 

[2] Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di oltraggio non è necessario il dolo specifico di ledere l’onore ed il prestigio del soggetto passivo. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 27 ottobre 1986, n. 11797)

[3] Gli addetti alle Ferrovie dello Stato, anche dopo l’entrata in vigore della Legge 29 gennaio 1992 n. 35 e la conseguente delibera del Cipe 12 agosto 1992, che ha trasformato l’Ente Ferrovie dello Stato in società per azioni, sono pubblici ufficiali allorché, a norma dell’art. 71, comma 2 D.P.R. 11 luglio 1980 n. 753, provvedono alla constatazione dei fatti e alle relative verbalizzazioni nell’ambito di attività di prevenzione ed accertamento delle infrazioni alla polizia dei trasporti. Infatti l’art. 357 c.p. (come novellato dall’art. 17 L. 26 aprile 1990 n. 86 e dall’art. 4 L. 7 febbraio 1982 n. 181) ricollega esplicitamente la qualifica di pubblico ufficiale non al rapporto di dipendenza tra soggetto ed ente pubblico, ma ai caratteri propri dell’attività concretamente esercitata dal soggetto agente ed oggettivamente esercitata. Risponde perciò di oltraggio a pubblico ufficiale chi offenda il conduttore mentre espleta l’attività certificativa che la normativa gli attribuisce. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 17 novembre 1994, n. 11490)

[4] Corte di cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 18 giugno 2015 n. 25903. Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale può ritenersi integrato quando siano rivolte al destinatario, in sua presenza e in presenza di più persone, in un luogo pubblico ovvero aperto al pubblico, delle parole o frasi volgari e offensive, sebbene di uso corrente nel linguaggio usato nella società moderna, che assumano una valenza obiettivamente denigratoria di colui il quale esercita la pubblica funzione e non costituiscano espressioni di mera critica, anche accesa, o di villania, e che siano correlate alla funzione pubblica del soggetto passivo.

 

[5] La facilità con la quale vengono usate le espressioni più volgari e il diffondersi di tale abitudine non toglie alle espressioni stesse la loro obiettiva capacità ad offendere l’altrui prestigio. A prescindere dalla funzione educatrice del diritto, il linguaggio deve essere valutato obiettivamente, secondo il comune significato delle parole, non secondo le abitudini personali. Né la modesta istruzione giustifica la mancanza di educazione, che è cosa diversa dalla mancanza della cultura. (Cassazione penale, sezione V, sentenza 11 gennaio 1975, n. 177)