a cura del Dott. Alessandro Amaolo
La fattispecie penale incriminatrice del peculato trova le sue origini storiche anche nel Codice penale napoleonico del 1810. Infatti, il peculato, ordinatamente, si poneva all’inizio delle condotte abusive nel “Delle sottrazioni commesse da pubblici depositari”. La posizione iniziale era stata precisata dalla circostanza che il peculato rappresentava la lacerazione dell’amministrazione della finanza, determinando la costituzione di Camere di Giustizia speciali, che però non riuscirono a ostacolare il fenomeno. Pertanto l’art 169 del predetto codice (rimasto in vigore in Francia fino al 1994) puniva “il percettore, l’incaricato di una percezione, il depositario o pubblico contabile, il quale abbia distornato o sottratto danari pubblici o privati , scritture, titoli, atti, effetti mobiliari che fossero nelle loro mani in virtù delle loro funzioni” (in lingua francese, DES SOUSTRACTIONS COMMISES PAR LES DÉPOSITAIRES PUBLICS. – ARTICLE 169. Tout percepteur, tout commis à une perception, dépositaire ou comptable public, qui aura détourné ou soustrait des deniers publics ou privés, ou effets actifs en tenant lieu, ou des pièces, titres, actes, effets mobiliers qui étaient entre ses mains en vertu de ses fonctions, sera puni des travaux forcés à temps, si les choses détournées ou soustraites sont d’une valeur au-dessus de trois mille francs).
L’articolo 314 del vigente codice penale che incrimina il peculato ha subito una continua evoluzione normativa dall’entrata in vigore del codice penale Rocco del 1930 fino ai nostri giorni.
Infatti, il predetto articolo è stato novellato dall’art. 1 della legge 26 aprile 1990 , n. 86, poi dalla legge 06 novembre 2012, n. 190 e, successivamente, dall’art. 1, comma 1, lett. d), Legge 27 maggio 2015, n. 69. Si è, quindi, giunti ad un inasprimento del trattamento sanzionatorio per la norma penale in commento.
Tanto premesso e riportato, l’attuale articolo 314 del codice penale (peculato) si compone di due differenti commi. Nel primo comma il legislatore penale stabilisce che : “Il pubblico ufficiale[1] o l’incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio[2] il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi“.
Dalla lettura della predetta norma penale, si evince che il peculato è un reato proprio, di danno, in quanto richiede l’offesa in senso naturalistico al bene tutelato, e di mera condotta, perché si perfeziona con l’esecuzione dell’azione illecita.
L’oggetto giuridico del reato in commento si identifica nella tutela del patrimonio della pubblica amministrazione da quanti sottraggano ovvero pongano a profitto proprio o di altri denaro o cose mobili che rientrano nella sfera pubblica, di cui sono in possesso per ragione del loro ufficio o servizio. Invero, il bene giuridico tutelato è rappresentato dalla necessità di proteggere i tradizionali paradigmi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, rinvenibili nei profili programmatici dell’articolo 97 della Carta Costituzionale.
Si osserva che la cosa mobile altrui, inserita nel testo normativo dal legislatore ed oggetto materiale del reato, deve avere un suo valore economico intrinseco ovvero deve essere suscettibile di acquistare o riacquistare una qualche utilità per il fatto dell’agente o di altri, divenendo così oggetto di profitto.
In sostanza, la condotta incriminata consiste nella appropriazione di denaro o altra cosa mobile altrui, di cui si abbia il possesso o la disponibilità in ragione dell‘ ufficio o del servizio prestato.
Ai fini della consumazione del reato di peculato, è necessario solo l’esistenza di una condotta antigiuridica (appropriazione[3] o distrazione), l’appartenenza alla pubblica amministrazione dell’oggetto materiale del reato (denaro oppure altra cosa mobile altrui) ed il possesso, per ragioni di ufficio o di servizio. In sostanza, si osserva che il peculato, in tutte le sue forme, presuppone l’appropriarsi da parte dell’agente di una cosa, destinata ad una finalità diversa rispetto a quella prevista dalla legge.
Pertanto, solo per fare un esempio, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che: “Integra il delitto di peculato la condotta dell’ufficiale di polizia giudiziaria che, subito dopo aver rinvenuto della sostanza stupefacente e senza provvedere alla redazione di formale verbale di sequestro, proceda alla sua distruzione mediante dispersione”. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 31 marzo 2010, n. 12611)
Secondo l’insegnamento del Supremo Collegio : “L’errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione del pubblico danaro per fini diversi da quelli istituzionali non ha alcuna efficacia scriminante, perché, per quanto la destinazione del pubblico danaro sia fissata da una norma amministrativa, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l’illegittimo mutamento di tale destinazione, anche se compiuto dall’agente per ignoranza sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza sulla legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di peculato”. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 10 novembre 1987, n. 11451)
L’art. 314 codice penale configura una ipotesi di reato istantaneo, per cui il momento consumativo del reato è quello in cui si verifica la dolosa appropriazione.
Tuttavia, si osserva che non integra il reato di peculato, di cui all’art. 314 c.p., l’utilizzazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incarico di pubblico servizio, per scopi personali, ancorché non leciti, di beni appartenenti alla P.A. di valore estremamente esiguo ed scarso. In tali casi potrà, eventualmente, sussistere una responsabilità civile ed amministrativa di tipo disciplinare a carico del p.u. o dell‘ i.p.s. Si pensi al dipendente di una p.a. che, durante l’orario di lavoro, consulti dal computer dell’ufficio alcuni siti giuridici, portali di informazione giuridica on line al fine di migliorare la propria preparazione sul codice degli appalti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016 , n. 50) oppure in tema di privacy (Data Protection Officer-DPO). In tali ipotesi potrebbe addirittura escludersi a priori una eventuale responsabilità sia penale che civile, amministrativa del p.u. o dell‘ i.p.s.
Inoltre, desta particolare interesse per la sua portata chiarificatrice una ulteriore pronuncia della Suprema Corte nella quale si legge che: “Integra il reato di peculato l’indebito utilizzo da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio dell’utenza telefonica di cui abbia la disponibilità per ragioni d’ufficio o di servizio, purchè il valore economico degli impulsi telefonici oggetto dell’appropriazione sia apprezzabile e tale dunque da recare un effettivo danno patrimoniale alla pubblica amministrazione”. (Cassazione penale, sez. VI, sentenza 10 gennaio 2011, n. 256)
L’elemento psicologico del reato è rappresentato dal coefficiente del dolo[4] generico nell’ipotesi di cui al primo comma e dal dolo specifico nel peculato d’uso. Il predetto dolo generico consiste nella coscienza e nella volontà, da parte del p.u. o dell’i.ps., di compiere un’illecita interversione nel possesso, esercitando sulla cosa una signoria uti dominus incompatibile con il titolo e con la destinazione della stessa. Invece, il dolo del peculato d’uso richiede che il soggetto attivo agisca al solo scopo di fare un uso momentaneo della cosa.
Il tentativo è configurabile per la prima ipotesi e non configurabile per il peculato d’uso in quanto quest’ultimo richiede che la cosa sia in effetti restituita.
Dunque, il successivo secondo ed ultimo comma dell’art. 314 c.p. prevede il cd. Peculato d’uso[5] che è da intendersi come una figura autonoma di reato e caratterizzata dall’utilizzo momentaneo del bene. Il legislatore stabilisce, pertanto, nell’ultimo comma che: “Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita“.
Tuttavia, secondo l’insegnamento del Supremo Collegio : “Non è configurabile il reato di peculato nell’uso episodico ed occasionale di un’autovettura di servizio, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile, in relazione all’utilizzo del carburante e dell’energia lavorativa degli autisti addetti alla guida”. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 24 febbraio 2011, n. 7177)
Probabilmente, la condotta sopra esposto avrà per il pubblico ufficiale o l’i.p.s. un rilievo civilistico ed amministrativo sotto il profilo dell’eventuale irrogazione di sanzioni disciplinari previste dal CCNL.
In sintesi, si precisa che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 314, secondo comma, c.p., per “uso momentaneo” della cosa deve intendersi un uso non meramente istantaneo, ma temporaneo e tale, quindi, pur se di carattere episodico ed occasionale, da realizzare una “appropriazione” e da compromettere, in ogni caso, la destinazione istituzionale della cosa arrecando un pregiudizio, sia pure modesto, ma in ogni modo rilevante, alla funzionalità della pubblica amministrazione.
Sulla base di quanto esposto in precedenza, si evince chiaramente che la qualificazione del peculato d’uso come autonoma figura delittuosa, piuttosto che come circostanza attenuante del peculato comune di cui all’art. 314, comma 1, c.p. è, effettivamente, un dato pacifico ed indiscusso.
In relazione ai rapporti con altri reati, il peculato si differenzia dalla truffa in quanto mentre nella prima fattispecie il soggetto attivo vanta già una situazione di potere materiale o giuridico sulla res altrui nella seconda, invece, è necessario, per acquistare tale disponibilità, un atto della vittima del raggiro.
Si deve rilevare che è risarcibile il cd. “danno all’immagine” ad organi del Comune all’interno di un’amministrazione locale in cui la gestione della cosa pubblica sia stata caratterizzata da una grave violazione di norme penali a cause delle condotte di peculato commesse, ad esempio, dal Sindaco oppure dai singoli membri di una Giunta Comunale. Si evidenzia, nel predetto caso, la sussistenza della legittimazione alla costituzione di parte civile in riferimento al danno all’immagine sofferto dal Comune.
In tema di peculato militare, in seguito all’eliminazione dell’ipotesi distrattiva prevista dal reato di cui all’art. 215 c.p.m.p., la condotta del militare che usa, o fa usare, da militari dipendenti automezzi in dotazione del reparto per ragioni personali (nel caso in oggetto per l’accompagnamento dei propri figli in un istituto scolastico) deve essere giudicato dall’autorità giudiziaria ordinaria alla quale spetta stabilire, valutandone le modalità, se i fatti attribuiti presentano i caratteri dell’illiceità penale ed in caso positivo quale ipotesi di reato comune sia configurabile. (si veda la Cassazione penale, sezione I, sentenza 12 luglio 2001, n. 28315)
Restano ancora da analizzare alcune note procedurali relative al reato di peculato. Dunque, si tratta di un reato procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) in cui è prevista l’udienza preliminare (art. 416 c.p.p., 418 c.p.p.). Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, come mezzo di ricerca della prova, art. 266 c.p.p., possono essere consentite ed l’Autorità Giudiziaria competente è il Tribunale collegiale (art. 33-bis c.p.p.). La misura pre-cautelare dell’arresto è facoltativa in flagranza di reato (art. 381 c.p.p.) mentre, nell’ipotesi di peculato d’uso (secondo comma) non è consentita; inoltre, il fermo di indiziato di delitto è consentito nell’ipotesi di cui al primo comma mentre, invece, non è consentito al secondo comma. Oltre a ciò, le misure cautelari personali (art. 280, 287 c.p.p.) possono essere consentite nelle ipotesi di cui al primo comma. Per il peculato d’uso può essere consentita la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.).
Il termine di prescrizione è di 10 anni e 6 mesi, per l’ipotesi di cui al 1° comma ed, invece, di 6 anni per l’ipotesi di cui al secondo comma. Infine, la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto è possibile nei casi di cui al secondo comma.
(a cura del Dott. Alessandro Amaolo – Specializzato nell Professioni legali con indirizzo Giudiziario Forense ed abilitato all’esercizio della Professione di avvocato presso la Corte di Appello di Ancona)
[1] Il direttore dell’ufficio postale riveste la qualità di pubblico ufficiale, in considerazione sia dei suoi poteri certificativi che della natura pubblicistica dei servizi postali, anche dopo la trasformazione dell’amministrazione postale in ente pubblico economico e della successiva adozione della forma della società per azioni. (Fattispecie in tema di peculato). Cassazione penale, sezione VI, sentenza 28 gennaio 2009, n. 3897
[2] Le ragioni di ufficio o di servizio, cui fa riferimento l’art. 314 codice penale (peculato) prescindono dalle competenze funzionali ed hanno, come esclusivo riferimento, l’esistenza di un rapporto, fondato anche sulla prassi, tra soggetto e bene della pubblica amministrazione. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 15 maggio 1987, n. 6142)
[3] Integra il delitto di peculato l’esattore di una società privata incaricata dal Comune per il recupero dei crediti relativi al mancato pagamento delle sanzioni per le infrazioni del codice della strada, il quale si appropri delle somme riscosse, atteso che egli nell’espletamento di tale funzione è un pubblico ufficiale. (Cassazione penale, sezione. VI, sentenza 22 novembre 2010, n. 41307)
[4] In tema di peculato per ritardato versamento di somme riscosse dal pubblico ufficiale per conto della pubblica amministrazione non può ritenersi errore scusabile, atto ad escludere il dolo, quello che investe la norma amministrativa di contabilità che impone un tempestivo versamento: ciò in quanto tale norma è integrativa di quella penale. Conseguentemente risulta irrilevante una invocata prassi in senso contrario alla suddetta disciplina.(Cassazione penale, sezione VI, sentenza 22 novembre 1996, n. 10020)
[5] Il peculato d’uso non punibile è ipotizzabile solo se commesso su cose, la cui utilizzazione non ne comporti il consumo o la distruzione e non provochi un qualsiasi depauperamento o dispendio dell’ente pubblico cui appartengono. Ne consegue, pertanto, che l’utilizzazione, fuori del percorso stabilito per fini pubblici, di un automezzo di un ente pubblico da parte di un dipendente per motivi personali e privati, comportando consumo di carburante, olio e usura dello stesso mezzo, non può non integrare l’ipotesi di cui all’art. 314 codice penale (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 30 ottobre 1989, n. 14692)