Di Alessandro Amaolo

In via del tutto preliminare, si ritiene opportuno di osservare che il reato di concussione è il più grave fra tutti quelli contro la pubblica amministrazione, così come dimostra il trattamento sanzionatorio ad esso correlato.

Ebbene, prima dell’entrata in vigore del codice Rocco, una distinzione delle fattispecie di concussione, assimilabile a quella attuale, trovava il suo fondamento storico all’interno del codice penale del Granducato di Toscana del 1853. Infatti, l’articolo 181 del predetto codice stabiliva che : “Quel pubblico ufficiale, che, abusando della sua autorità, costringe taluno a somministrare indebitamente a lui, o ad un terzo, danari od altra utilità; è punito, come colpevole di concussione, con l’interdizione dal pubblico servigio, e con la casa di forza da tre a dodici anni, alla quale, ne’casi più leggeri, può sostituirsi la carcere da uno a tre anni”. In sintesi, all’art. 181 veniva disciplinata una fattispecie assimilabile al reato di cui all’art. 317 c.p. Invece, all’art. 182 del codice penale del Granducato di Toscana veniva prevista un’ipotesi residuale che sanzionava sia la condotta del pubblico funzionario che ‘induceva’ taluno a somministrare indebitamente denaro o altra utilità, che quella del pubblico agente che ‘profittava’ dell’errore del privato per reclamare ciò che non era dovuto.

Dunque, trentasei anni dopo, il codice penale Zanardelli del 1889 mutuò da quello toscano le due strutture essenziali della concussione, la costrittiva e l’induttiva, che vennero similmente impiantate in due distinti articoli, corredati da un differente trattamento sanzionatorio.

In particolare, il codice penale Zanardelli disciplinava il reato di concussione negli articoli 169 e 170. Orbene, la prima delle disposizioni citata sanzionava la condotta del pubblico ufficiale che, abusando del proprio ufficio, avesse costretto alcuno a dare o promettere indebitamente, a sé o ad un terzo, danaro o altra utilità. Infatti, era questa la cosiddetta “concussione esplicita” a differenza di quella prevista e punita dall’articolo 170 che, invece, sanzionava in modo meno rigoroso la cd. “concussione implicita”.

Il predetto codice penale risentiva dell’impostazione liberale della società di fine ottocento che poneva al centro dei valori da tutelare l’individuo e non attribuiva agli interessi pubblici un marcato carattere di sovraordinazione rispetto a quelli privati.

Fatte queste utili ed importanti premesse storiche, l’analisi della trattazione adesso si sposta verso la legge 6 Novembre n. 190 (G.U. 13 Novembre 2012, n. 265), “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, che ha inciso fortemente sul tessuto normativo dei reati dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.

La novella ha ridisegnato le figure delittuose della concussione e della corruzione, operando non solo un aumento della risposta sanzionatoria, bensì configurando fattispecie in tutto o in parte nuove.

Sul piano precettivo, per quanto interessa l’oggetto d’analisi, la prima indiscutibile novità è la separazione (in gergo, il c.d. “spacchettamento”) della fattispecie di concussione in due fattispecie distinte.

Nel tentativo di meglio precisare le condotte ricadenti nell’art. 317 c.p. e di misurarne il disvalore, la riforma è intervenuta su tale fattispecie, circoscrivendola alla sole ipotesi in cui la condotta abusiva del pubblico agente abbia determinato un effetto di costrizione in capo al privato.

 

Per contro, le condotte di induzione un tempo ricadenti nel precedente vecchio art. 317 c.p. sono state fatte convergere nel recente art. 319 quater c.p., rubricato «Induzione indebita a dare o promettere utilità».

Il nuovo delitto di cui all’art. 317 del vigente codice penale Rocco del 1930 ha circoscritto il reato di concussione alla sola condotta del “pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando delle sue qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui od a un terzo, denaro o altra utilità[1]”.

La concussione si mostra come una specie di “ estorsione qualificata “ dalla natura del soggetto agente. Si tratta di un reato proprio ed a forma vincolata. Infatti, soggetto attivo di tale reato proprio è anche il privato che esercita una pubblica funzione o un pubblico servizio, come nel caso del notaio, del curatore fallimentare, del ministro di culto quando redige l’atto di matrimonio ma anche, oltre gli esempi classici, nelle ipotesi del sacerdote che, all’interno degli istituti penitenziari, si occupa del trattamento dei detenuti. Gli esempi di soggetto attivo del reato di concussione in qualità di privati possono essere ancora molteplici[2] ed si pensi, ad esempio, alla figura dell’amministratore di un ente fieristico con esclusione, ovviamente, dell’usurpatore di pubbliche funzioni (art. 347 c.p.).

Invece, il soggetto passivo può essere anche un altro pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, in posizione d’inferiorità psichica, come nel caso del subordinato, oppure una qualsiasi persona investita di mansioni d’interesse pubblico.

Quanto all’elemento soggettivo richiesto è sufficiente il dolo generico che consiste nella coscienza e nella volontà, da parte del soggetto attivo, dell’abusività della propria condotta e del carattere indebito della prestazione.

Inoltre, il reato è configurabile anche quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio agiscono con il coefficiente psicologico del dolo eventuale, cioè avendo dubbi sull’abusività o sull’indebito. Tuttavia, si deve correttamente poter affermare che l’errore sul carattere indebito della dazione o promessa esclude il dolo. Infatti, esula il dolo se il fatto contrario al proprio ufficio è stato posto in essere, realizzato per un eccesso di zelo, con riferimento cioè ad un errore sulla legittimità del proprio comportamento.

Nella concussione l’evento è costituito dalla dazione o dalla promessa di una prestazione indebita fatta dal soggetto passivo (concusso) nei confronti del p.u. o dell’ i.p.s. (concessore).

L’abuso delle qualità, inserito nel testo dell’articolo preso in commento, consiste nello sfruttamento della posizione rivestita all’interno dell’amministrazione che non si estrinseca nell’adozione di ben individuati atti amministrativi. Ne deriva che l’abuso di qualità esiste quando gli atti compiuti dal soggetto non sono compresi nella sua sfera di competenza, ma il soggetto attivo del reato (concussore) fa pesare la sua qualità per conseguire una finalità illecità. In sostanza, si identifica ed emerge l’abuso della propria qualità per il p.u. o l.’ i.p.s. in tutte le ipotesi in cui l’agente, per costringere taluno a compiere una determinata condotta, si attribuisce dei poteri che sconfinano dalla sfera della propria competenza funzionale e che, comunque, consentono di strumentalizzare la posizione di preminenza nei confronti della vittima.

Il termine “costringe” utilizzato dal legislatore ricorre quando il concussore (il reo) esercita una vera e propria pressione psicologica nei confronti della vittima tanto da prospettarle un male ingiusto per il caso in cui essa non addivenga alla dazione o alla promessa del denaro o di altra utilità. Si sottolinea che, ai fini della sussistenza del reato di concussione, non è necessario che il pregiudizio sia minacciato esplicitamente ben potendo la costrizione essere realizzata con comportamenti che, nelle particolari condizioni in cui sono attivati, abbiano l’effetto di turbare la libertà psichica del soggetto passivo.

In tema di concussione, se il pubblico ufficiale, avvalendosi del proprio potere, determina o tenta di determinare la libera volontà del privato attraverso un comportamento costringente, operando, così, una pressione psichica sul soggetto passivo, il reato sussiste o nella ipotesi del reato tentato se il privato non accolga la richiesta o del reato consumato se la promessa o la elargizione della utilità richiesta sia effettuata. Tale pressione psichica costringente, anche se in modo non assoluto, sussiste tutte le volte in cui al privato il pubblico ufficiale fa comprendere o attraverso una esplicita specificazione o anche implicitamente attraverso comportamenti inequivoci che nell’attività di ufficio esso pubblico ufficiale sarà determinato non dagli interessi generali della pubblica amministrazione ma dal fatto che il privato si assoggetta o non alla illegittima pretesa di corrispondere l’utilità richiesta. Pertanto, la minaccia di orientare la propria decisione esclusivamente in funzione di ottenere la predetta utilità pone il privato in condizione di soggezione, ne coarta la libera volontà e costituisce, da un lato, il presupposto del reato e, dall’altro, l’elemento discriminante del reato medesimo da quello di corruzione.

 

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte : “In tema di concussione, la nozione di abuso dei “poteri” è riferita all’ipotesi in cui la condotta rientra nella competenza tipica dell’agente, quale manifestazione delle sue potestà funzionali per uno scopo diverso da quello per il quale sia stato investito delle medesime, mentre quella di abuso delle “qualità” postula una condotta che, indipendentemente dalle competenze proprie del soggetto attivo, si manifesti quale strumentalizzazione della posizione di preminenza dallo stesso ricoperta nei confronti del privato”. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 22 dicembre 2010, n. 45034)

 

I beni giuridici protetti dall’articolo 317 c.p. vengono identificati nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione. Per di più, i predetti beni vengono vulnerati allorquando i pubblici ufficiali, oppure gli incaricati di un pubblico servizio, si valgono della loro qualità o delle loro funzioni per costringere taluno a dare o promettere loro denaro o altre utilità che non sono dovute. Comunque, in via subordinata la predetta norma tutela anche il diritto del cittadino a disporre del proprio patrimonio in piena libertà e senza alcuna forma di coazione dei pubblici poteri.

Il delitto di concussione ha natura plurioffensiva dato che mentre da un lato porta offesa all’interesse della pubblica amministrazione, per quanto concerne il suo prestigio astratto e la correttezza e probità dei pubblici funzionari, dall’altro lato genera, ipso facto, la lesione della sfera privatistica del cittadino per quanto concerne alla sua integrità del patrimonio ed alla libertà del suo consenso. Pertanto, in base alle precedenti considerazioni e riflessioni, ragionevolmente, si osserva che i soggetti passivi del reato in esame sono la pubblica amministrazione e, nello stesso tempo, la persona fisica che dà o promette.

 

In breve, il reato di concussione si può commettere per costrizione prospettandosi alla vittima, in modo univoco anche se non esplicito, un male ingiusto, e ponendola di fronte alla sola alternativa di accettarlo o di evitarlo con l’indebita promessa o dazione.

Costrizione intesa come coercizione psichica relativa, che restringe notevolmente, senza annullarlo, il potere di autodeterminarsi del soggetto privato.

Rientra nello schema della concussione per costrizione anche la condotta minacciosa del pubblico ufficiale che prospetti al privato un male ingiusto la cui rimozione dietro compenso indebito potrà avvenire non attraverso il suo intervento, bensì mediante quello di altri soggetti appartenenti alla stessa amministrazione dell’agente, ancorché non individuati, con i quali l’agente stesso sia in grado e mostri di poter interagire.

 

In riferimento ai rapporti con altri reati, desta interesse per la sua portata chiarificatrice una pronuncia della Suprema Corte nella quale si legge che: “ In tema di reati contro la pubblica amministrazione, è configurabile il delitto di corruzione anzichè quello di concussione, quando, pur sull’iniziativa del pubblico ufficiale, l’accordo tra questi ed il privato venga raggiunto su di un piano di sostanziale parità”. (Cassazione penale, sez. VI, 17 luglio 1990, n. 10414)

 

Restano ancora da analizzare alcune brevi note procedurali del reato preso in commento. Si afferma, quindi, che la misura pre-cautelare dell’arresto è facoltativa, mentre, invece quella del fermo di indiziato di delitto non è consentita. La misura cautelare personale della custodia cautelare in carcere è consentita, così come tutte le altre misure cautelari personali. Inoltre, è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni, come mezzo di ricerca della prova.

 

In più, la Cassazione penale, sezione VI, sentenza del 30 luglio 2007, n. 30966, ha stato stabilito, in tema di misure cautelari reali, un importante principio di diritto il cui contenuto è il seguente: “Nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell’art. 322 ter comma primo c.p. il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell’imputato”.

 

 

L’autorità giudiziaria competente è il Tribunale collegiale (art. 33 bis c.p.p.) ed viene prevista l’udienza preliminare; si tratta di un reato procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) in cui il termine di prescrizione[3] è di dodici anni e dove la declaratoria di non punibilità per la tenuità del fatto non risulta essere in alcun modo possibile.

 

L’articolo 317 bis del vigente codice penale stabilisce, altresì, che la condanna per il reato di concussione importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Inoltre, il secondo comma del predetto articolo stabilisce che se, per le circostanze attenuanti, viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni la condanna importa l’interdizione temporanea. Orbene, la pena accessoria[4] prevista dalla norma in commento è dovuta al particolare rigore con cui il legislatore ha considerato e sanzionato i delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

 

In ultima analisi, la norma in commento è da ritenersi come fattispecie incriminatrice in grado di poter sanzionare una figura delittuosa relativa a comportamenti infedeli dei pubblici ufficiali (o incaricati di pubblico servizio) che sono diretti a procurare un illecito vantaggio attraverso la strumentalizzazione rivestita dal reo. In linea generale, proprio sulla base di tutte le precedenti riflessioni, si ritiene che la condotta concussiva del p.u. o dell’i.p.s. lede non solo l’interesse patrimoniale del privato concusso, ma anche la libertà della propria autodeterminazione ed, pertanto, l’integrità del suo consenso.

Infine, è del tutto palese il fatto che la norma miri ad evitare sopraffazioni da parte di pubblici impiegati dotati di poteri di supremazia, i quali sono in grado di sfruttare il loro ufficio coartando la libertà di autodeterminazione dei privati cittadini che vengono costretti ad una dazione o ad una promessa indebita. Quest’ultima può mancare di precisi contorni, ma ciò che importa è che il concusso si dichiari formalmente deciso a trasferire in capo al p.u. o all’i.p.s. infedele una qualche somma oppure una qualche utilità.

 

 

(a cura del Dott. Alessandro Amaolo – Specializzato nelle Professioni Legali con indirizzo Giudiziario – Forense ed abilitato all’esercizio della professione di avvocato presso la Corte di Appello di Ancona)

 

[1] In tema di concussione, l’«utilità» perseguita dall’agente, ove la stessa non consista in una somma di danaro, deve identificarsi in tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un “facere” e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. (Cass. pen., sez. VI, 16 marzo 2011, n. 10792)

[2] La sussistenza del delitto di concussione non è esclusa nel caso che il soggetto passivo sia inconsapevole della qualità di pubblico ufficiale oggettivamente propria del suo interlocutore, purchè ricorra il rapporto di causa ad effetto configurato nella norma incriminatrice, e cioè il concreto influsso sulla volontà della vittima della condotta realizzata dall’agente mediante un abuso del potere o della qualità rivestiti. (Cassazione penale, sez. VI, 29 marzo 2005, n. 12175)

[3] L’estinzione del reato per intervenuta prescrizione impedisce la confisca, pur prevista come obbligatoria, delle cose che ne costituiscono il prezzo, atteso che la misura ablativa è prevista non in ragione dell’intrinseca illiceità delle stesse bensì in forza del loro peculiare collegamento con il reato, il cui positivo accertamento è necessario presupposto. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 2 marzo 2011, n. 8382)

[4] La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, prevista dall’art. 317 bis c.p. in relazione ai reati di peculato e concussione, deve essere applicata anche nel caso di delitto solo tentato, per il quale ricorrono inalterate le esigenze alla cui tutela è finalizzata la previsione sanzionatoria. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 9 marzo 2005, n. 9204)