A cura del Dott. Alessandro Amaolo

In via preliminare, si rileva che il reato di corruzione per l’esercizio della funzione è una fattispecie a concorso necessario[1], in cui la presenza di almeno due soggetti, il corrotto ed il corruttore, rappresenta un indefettibile elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa. La corruzione configura una tipica ipotesi di reato contratto dove il legislatore penale incrimina la stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive fra il corrotto ed il corruttore. Il predetto negozio giuridico si connota per la presenza in sé di profili di marcata illiceità per ciò che riguarda l’oggetto, considerato il principio generale di incommerciabilità delle funzioni pubbliche. In particolare, il disvalore della corruzione è senza eccezione rimesso nel “pactum sceleris”, ovvero nella compravendita ed nello scambio di consensi dei protagonisti legati ad un compenso indebito.

Dunque, fatte queste brevi premesse, il testo normativo dell’articolo 318 codice penale, rubricato “Corruzione per l’esercizio della funzione”, è il seguente: “Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Il predetto articolo ha subito una continua evoluzione normativa rispetto alla sua originaria formulazione del 1930. Infatti, in conseguenza dei correttivi operati dalla legge 06 novembre 2012, n. 190 (nota come legge anticorruzione), l’art. 318 viene riformulato in modo da rendere più evidenti i confini tra le diverse forme di corruzione.

L’ultima modifica è stata apportata dall’articolo 1, comma 1, lettera e), Legge 27 maggio 2015, n. 69.

Nella nozione di utilità, presente all’interno del corpus dell’articolo in commento, è compreso qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale e non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico ufficiale.

Tuttavia, si osserva che i donativi[2] di pura cortesia possono sicuramente escludere la sussistenza del reato previsto dall’articolo in commento.

Si tratta di un reato proprio, plurisoggettivo, in quanto richiede la partecipazione a più persone, di danno , di mera condotta, perché si perfeziona con l’esecuzione dell’azione antigiuridica ed a forma libera, giacché la condotta non viene tipizzata dalla legge. Inoltre, è configurabile il delitto di corruzione tentata nel caso, ad esempio, in cui la proposta del pubblico ufficiale dia luogo ad un inizio di trattative aventi ad oggetto il compenso da ricevere. Infatti, in tema di corruzione su proposta del pubblico ufficiale è ravvisabile il tentativo nell’ipotesi in cui tale proposta non venga senz’altro respinta, in modo da far sorgere trattative poi non concluse. In sostanza, attesa la forma bilaterale del reato di corruzione, il tentativo presume che alla parziale realizzazione dell’ “iter criminis” abbiano partecipato entrambi i soggetti ossia che, costoro, venendo a contatto, abbiano intrapreso, senza concluderle, delle trattative specifiche sul mercimonio.

Il bene giuridico tutelato dall’articolo 318 c.p. è rappresentato dal dovere di fedeltà dei soggetti con qualifica pubblicistica verso la Pubblica Amministrazione. Invero, la Pubblica Amministrazione è intesa nel vigente codice penale in un’accezione piuttosto ampia, comprensiva in generale dell’attività dello Stato e degli enti pubblici territoriali o meno.

In sintesi, si può correttamente affermare che la norma in oggetto punta a tutelare l’ispirazione esclusiva delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi al migliore interesse pubblico collettivo.

La norma mira ad impedire ed a contrastare il mercanteggiamento della funzione pubblica; infatti, il carattere lesivo della condotta di corruzione è costituito dalla violazione del principio secondo cui gli atti dei soggetti pubblici non possono essere oggetto di compravendita privata. Più in particolare, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale incriminatrice in commento deve essere individuato anche nell’imparzialità dell’azione amministrativa, che viene lesa in quanto il pubblico agente, accettando la retribuzione per il compimento della sua attività doverosa, non è più estraneo agli interessi privati.

Sulla base delle precedenti considerazioni e riflessioni si deve correttamente ritenere che la persona offesa del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione è la Pubblica Amministrazione, interessata a che i propri atti non siano oggetto di mercimonio.

Il denaro o l’altra utilità devono essere indebite, ed sono tali quando il pubblico ufficiale non ha né il diritto, né la facoltà di riceverla, oppure quando viene corrisposta in misura maggiore di quanto dovuto.

Nella corruzione per l’esercizio della funzione il dolo del pubblico ufficiale consiste nella consapevolezza e nella volontà di ricevere per sé o per un terzo denaro o altra utilità (o accettarne la promessa) allo scopo di compiere un atto conforme ai propri doveri d’ufficio. In sostanza, viene richiesto un dolo specifico.

Inoltre, la corruzione per l’esercizio della funzione si consuma nel luogo e nel momento in cui il pubblico agente riceve la retribuzione o ne accetta la promessa.

Ai fini della configurazione giuridica di corruzione è irrilevante che sia stato il pubblico ufficiale a richiedere il denaro o il privato a offrire l’indebita utilità.

Ai fini della configurazione del reato di corruzione, per atto di ufficio (esercizio della funzione) deve intendersi non già l’atto formale di natura legislativa, amministrativa o giudiziaria, bensì un qualsiasi atto che costituisca concreto esercizio di poteri inerenti all’ufficio, e quindi anche un qualsiasi comportamento materiale che sia in rapporto di causalità con la retribuzione non dovuta. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 23 aprile 1990, n. 5843)

 

Secondo un insegnamento, molto lontano nel tempo, del giudice di legittimità: “Ad integrare il reato di corruzione non occorre una esplicita pattuizione e l’accordo fra i due soggetti può essere desunto dai fatti accertati. Il carattere bilaterale di tale figura di reato richiede l’indagine sull’elemento intenzionale dei partecipanti ai fini della loro colpevolezza, ma non esige che l’accettazione della richiesta di compenso, costituendo rapporto illecito, sia immune dai vizi della volontà previsti dal diritto privato”. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 25 marzo 1970, n. 759)

 

Il delitto di corruzione è reato di evento caratterizzato dalla particolarità di perfezionarsi alternativamente o con l’accettazione della promessa o con il ricevimento dell’utilità promessa: quando entrambi questi eventi si realizzano in logica successione temporale, il secondo non degrada a post factum irrilevante, giacché il reato si consuma in tal caso nel momento della dazione effettiva del compenso. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 26 luglio 1996, n. 7555)

 

In riferimento ai rapporti con altri reati, ai fini della individuazione degli elementi differenziali tra i reati di corruzione e di concussione, occorre avere riguardo al rapporto tra le volontà dei soggetti, che nella corruzione è paritario ed implica la libera convergenza delle medesime verso la realizzazione di un comune obiettivo illecito, mentre nella concussione è caratterizzato dalla presenza di una volontà costrittiva del pubblico ufficiale, condizionante la libera formazione di quella del privato. Infatti, quest’ultimo si determina alla dazione, ovvero alla promessa, soggiacendo all’ingiusta pretesa del primo solo per evitare un pregiudizio maggiore.

 

Sul concorso di persone nella corruzione per l’esercizio della funzione non sembrano porsi particolari problemi. Infatti, discende dai principi generali in materia di concorso, ex articolo 110 c.p., che risponde di concorso in corruzione passiva colui il quale collabori con il pubblico ufficiale perché questi accetti la retribuzione o altra utilità. Invece, risponde di concorso in corruzione attiva colui il quale collabora con il privato affinché questi dia o prometta la retribuzione al pubblico ufficiale.

Più in particolare, per concorrere alla corruzione occorre fornire un effettivo contributo, morale o materiale, al pactum sceleris tra il pubblico ufficiale ed l’extraneus.

 

Restano ancora da analizzare alcune note procedurali relative al reato di peculato. Dunque, si tratta di un reato procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) in cui è prevista l’udienza preliminare (art. 416 c.p.p., 418 c.p.p.). Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, come mezzo di ricerca della prova, art. 266 c.p.p., possono essere consentite ed l’Autorità Giudiziaria competente è il Tribunale collegiale (art. 33-bis c.p.p.). La misura pre-cautelare dell’arresto è facoltativa in flagranza di reato (art. 381 c.p.p.), il fermo di indiziato di delitto non è consentito. Le misure cautelari personali[3] (art. 280, 287 c.p.p.) possono essere consentite, così come la custodia cautelare in carcere.

In ultima analisi, si rileva che l’offensività del reato di corruzione è rappresentata dalla condotta antidoverosa del pubblico ufficiale, volta a compiere un vero e proprio mercimonio[4] del proprio ufficio e, pertanto, a recare danno ai principi ed alle finalità che ispirano la sua base ordinamentale. In sintesi, la corruzione consiste nell’accordo (cd. pactum sceleris) tra un soggetto pubblico (intraneus) ed il privato (extraneus) avente ad oggetto la “compravendita” di un atto conforme ai doveri d’ufficio. Infine, proprio sulla base di tutte le precedenti riflessioni e considerazioni, è difficile negare che il buon andamento della Pubblica Amministrazione dipenda dall’osservanza di un dovere di probità dei soggetti pubblici oppure contraddire che un certo decoro , prestigio della p.a. non sia a sua volta del tutto irrilevante per il perseguimento dei fini istituzionali della p.a. a servizio della collettività.

(a cura del Dott. Alessandro Amaolo – Specializzato nelle Professioni Legali con indirizzo Giudiziario Forense ed abilitato all’esercizio della professione di avvocato)

 

 

[1] In tema di reati a «concorso necessario» (nella specie: corruzione), a seguito di una sentenza di assoluzione l’omesso appello del P.M. nei confronti di uno dei due imputati (nella specie: il corruttore) non comporta l’implicita ammissione dell’insussistenza del fatto-reato, necessariamente attribuito ad entrambi, poiché il P.M. ha facoltà di chiedere un nuovo esame delle risultanze processuali anche soltanto nei confronti di un solo imputato (nella specie: il corrotto). (Cassazione penale, sezione II, sentenza 29 febbraio 2008, n. 9167)

[2] Il delitto di corruzione non si configura, nel caso di donativi, soltanto se questi, per la loro modicità, escludono la possibilità di influenza sul compimento dell’atto d’ufficio, in modo da non apparire quale corrispettivo di quest’ultimo, previo giudizio di proporzione tra il dono e l’atto stesso. (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 1 dicembre 1989, n. 16837)

[3] In materia di misure cautelari personali applicate per reati contro la pubblica amministrazione, la dismissione da parte dell’indagato dell’ufficio pubblico non esclude da sola la possibilità che lo stesso consumi reati della stessa specie, per tali intendendosi non fattispecie criminose analoghe, ma reati offensivi dello stesso bene giuridico; tale eventualità deve peraltro costituire oggetto di una specifica, sia pur sintetica motivazione. (Fattispecie in tema di corruzione).(Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 1221)

[4]

Il delitto di corruzione appartiene alla categoria dei reati «propri funzionali» perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto, nel senso che occorre che siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da quest’ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione passiva se l’intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell’accordo illecito non comporti l’attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale. (Cassazione penale, sez. VI, sentenza 5 ottobre 2006, n. 33435)