Di Alessandro Amaolo
Il delitto di estorsione è stato inserito dal legislatore penale del 1930 proprio all’interno del libro II , titolo XIII, capo I del codice penale che disciplina i delitti contro il patrimonio commessi mediante violenza alle cose o alle persone. Il patrimonio da un punto di vista giuridico può essere definito come l’insieme dei rapporti giuridici, dei beni e dei diritti che fanno capo ad una specificata persona e che abbiano o contenuto patrimoniale (valore di scambio, poiché suscettibili di valutazione economica) o un valore d’uso (almeno affettivo, si pensi ad una lettera, una cartolina oppure ad una fotografia).
Premetto che il legislatore del 1930 ha ritenuto opportuno di unificare all’interno di una sola fattispecie incriminatrice le due precedenti ipotesi di reato che erano previste dal codice penale Zanardelli del 1889. La prima era la c.d. estorsione propria, cioè della costrizione a mandare, depositare o mettere a disposizione del colpevole denaro, cose od atti (art. 409 c.p.) mentre, invece, l’altra era rappresentata dalla c.d. pseudoestorsione o rapina di atti, cioè della costrizione a consegnare, sottoscrivere o distruggere un atto (art. 407 c.p.).
Pertanto, in relazione all’articolo 629 c.p. si punisce la condotta di “chiunque, mediante violenza o minaccia1, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Per l’estorsione semplice la pena è quella della reclusione da 5 a 10 anni e della multa da euro 516 a eur 2.065. Invece, nell’estorsione aggravata prevista dal comma secondo del predetto articolo, la pena è quella della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da 1.032 euro a 3.098 euro, se concorrono delle circostanza indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.
In tema di aggravanti, è stata precisato dalla giurisprudenza di legittimità che sussiste la circostanza aggravante delle più persone riunite soltanto se si ha la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, non potendo dirsi sufficiente il fatto che la vittima percepisca che la minaccia o la violenza di un solo soggetto agente in realtà promanino da più persone (in tal senso Cassazione penale, sezione II, sentenza 25 giugno 2010, n. 24367).
Note:
1) La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita, essendo solo necessario che essa sia idonea a incutere timore e a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera. ( Cassazione penale, sezione V, sentenza 28 ottobre 2009, n. 41507)
L’estorsione è il tipico reato con la cooperazione della vittima , estorta con la forza. Inoltre, è un reato complesso in quanto è costituito dai reati di minaccia, violenza e dal quid pluris della induzione ad un certo comportamento dannoso per la vittima e vantaggioso per l’agente o altri.
In via preliminare, sottolineo e metto in evidenza che tra la forza e la costrizione deve sussistere un rapporto strumentale ed eziologico. Infatti, la prima deve essere lo strumento della seconda e quest’ultima l’effetto della prima.
La minaccia1 che può caratterizzare una fra le condotte del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita e determinata può essere manifestata in modi e forme differenti. In particolare, la minaccia può essere implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia adeguata ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. Ciò in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente , così come alle condizioni soggettive della vittima.
Il bene giuridico tutelato dalla sopraccitata norma è duplice; infatti, da un lato si protegge l’inviolabilità del patrimonio e dall’altra la libertà di determinazione individuale contro fatti di coercizione, posti in essere per costringere altri a fare od omettere qualche cosa al fine di procurare al soggetto agente oppure ad altre persone un ingiusto profitto con altrui danno. Il presupposto del reato di estorsione è la coartazione della vittima attraverso l’impiego di violenza o minaccia2 che, tuttavia, non deve annullare del tutto la libertà di autodeterminazione del o dei soggetti passivi del reato. Peraltro, l’ingiustizia del profitto, di cui al primo comma dell’art. 629 c.p., costituisce uno dei requisiti precipui dell’estorsione ed elemento specializzante nei confronti della violenza privata.
Trattasi di un reato comune e plurioffensivo che lede sia il patrimonio che la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo del reato. Inoltre, la natura giuridica dell’estorsione è anche quella di essere un reato di evento, a forma vincolata e di danno. In particolare, la norma penale tipizza un reato a forma vincolata, tanto da indicare con precisione le modalità
Note:
2) Integra la minaccia costitutiva del delitto di estorsione la prospettazione da parte del datore di lavoro ai dipendenti, in un contesto di grave crisi occupazionale, della perdita del posto di lavoro per il caso in cui non accettino un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle buste paga. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 11 gennaio 2010, n. 656).
3) E’ configurabile il delitto di estorsione qualora un soggetto, avendo esercitato attività di agente immobiliare senza essere iscritto nell’apposito ruolo e senza avere quindi titolo alcuno, ai sensi dell’art. 2231 codice civile, al pagamento delle relative provvigioni, abbia chiesto ed ottenuto tale pagamento mediante minaccia di adire altrimenti le vie legali. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 15 gennaio 2010, n. 1888)
con cui l’offesa dev’essere realizzata e la sequenza in cui lo stesso rapporto eziologico deve snodarsi. Infatti, il rapporto di causa – effetto deve legare la forza ( vis ) e la costrizione, giacché la costrizione senza la forza ( vis ) si traduce in una mera induzione che non da’ luogo al reato. Quanto al danno, esso prende su di sé un valore unicamente patrimoniale poiché deve arrecare una reale deminutio patrimonii, cioè una riduzione del patrimonio della persona offesa.
Inoltre, il tentativo è pienamente ammissibile non solo quando l’azione criminosa e antigiuridica sia rimasta interrotta per cause che prescindono dalla volontà dell’agente (cd. tentativo incompiuto), ma anche quando se, esaurita l’azione, il danno non si sia verificato (cd. tentativo compiuto). Tuttavia, non esclude la consumazione del delitto di estorsione la circostanza che la consegna del danaro all’estorsore da parte della vittima avvenga in presenza delle forze dell’ordine preventivamente allertate e appostate, ma intervenute dopo il conseguimento del possesso del danaro stesso, sia pure per una breve frazione temporale, da parte dell’estorsore, in quanto la consumazione del reato deve rapportarsi al momento e nel luogo in cui si è verificato l’ingiusto profitto con l’altrui danno. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 18 giugno 2009, n. 25666)
Inoltre, è opportuno sottolineare come la causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p. non si applica all’estorsione commessa con violenza verso i congiunti indicati in tale disposizione neanche se il delitto sia stato solo tentato (in tal senso Cassazione penale, sezione II, sentenza 21 luglio 2010, n. 28686).
L’elemento psicologico del delitto di estorsione è costituito dalla volontà e dalla consapevolezza di usare violenza o minaccia al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto. La individuazione dell’elemento psicologico del reato va effettuata esaminando le concrete circostanze in cui l’azione è stata attuata, ossia quel complesso di modalità esecutive dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva dell’agente. ( Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 1990, n. 15971 )
Il soggetto passivo nell’estorsione è il titolare del potere giuridico di disporre dei beni o dei diritti la cui cessione o rinuncia costituisce il profitto del soggetto attivo, ma può essere soggetto diverso da quello su cui incide la condotta violenta.
In estrema sintesi, il reato di estorsione è caratterizzato, quanto all’elemento soggettivo, dalla piena consapevolezza di usare la violenza fisica o morale, per potere procurare ad altri oppure a sé un profitto ingiusto. Pertanto, il dolo ovvero la coincidenza tra il voluto ed il realizzato deve estendersi ed abbracciare anche l’ingiustizia del profitto che rappresenta uno degli elementi materiali del reato. Proprio su questo specifico punto, gli ermellini, nella sentenza nr. 6524 del 11.06.1991, sezione II, hanno correttamente stabilito che : “ In tema di estorsione, occorre la prova rigorosa e certa che la minaccia usata, in qualsiasi forma, dal soggetto attivo sia effettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, perché si concretizzi il dolo specifico richiesto per il delitto di cui all’art. 629 c.p.”.
Nella fattispecie incriminatrice in oggetto è richiesto un doppio evento finale per stabilirne l’esatto momento consumativo. Pertanto, solo con la realizzazione dell’ingiusto profitto per l’agente o per un terzo e del danno patrimoniale per la vittima, il reato di estorsione sarà consumato. Ove i due eventi non siano simultanei il reato di estorsione sarà consumato alla realizzazione dell’ultimo dei due eventi.
Le modalità mediante le quali si manifesta la condotta estorsiva sono la violenza (che però, poiché è volta ad ottenere dalla vittima il comportamento imposto, non annulla in modo completo la libertà di autodeterminazione) e la minaccia, la cui forma e il cui modo, per consolidata giurisprudenza, deve essere idonea in relazione alla personalità dell’agente, alle circostanze concrete ed alle condizioni ambientali a coartare la volontà della vittima.
Nell’alveo di questo contesto normativo, dottrinario e giurisprudenziale si inserisce l’importante sentenza della Cassazione penale, sezione II, 9 novembre 2010 , n. 39336 che ha affermato quanto segue: “Integra il reato di estorsione non già l’esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma il ricorso a modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato”.
Altra importante peculiarità del reato in oggetto è che la giurisprudenza di legittimità, nella sentenza della Cassazione Penale, sezione II, 25 gennaio 2002 – 14 marzo 2002, n. 10778 ha affermato che: “sussiste il concorso di persone nel reato di estorsione anche quando il contributo del correo sia limitato alla fase iniziale dell’attività delittuosa dovendosi escludere la configurabilità del delitto di favoreggiamento personale, la cui condotta agevolatrice costituisce un posterius rispetto alla commissione del reato”.
Ai fini della consumazione del delitto di estorsione sono sufficienti, da un lato, il conseguimento del possesso della cosa o del denaro o del titolo, in cui si sostanzia il profitto ingiusto realizzato mediante violenza o minaccia e, dall’altro, il danno patrimoniale procurato alla parte danneggiata, essendosi, con il verificarsi di tali elementi costitutivi della fattispecie penale, il fatto illecito pienamente compiuto. Sull’argomento, peraltro, appare utile richiamare la sentenza della Cassazione penale, sezione II, 7 maggio 1988, n. 5646 che ha stabilito quanto segue : “ In tema di estorsione, va ritenuta la consumazione del reato allorchè l’estorsore, nonostante il servizio di appostamento predisposto dalla polizia, sia riuscito ad impossessarsi, anche per un breve lasso di tempo, della somma di danaro messa a sua disposizione dal soggetto passivo della violenza o della minaccia”.
Ben può concretarsi nella realtà empirica anche la cosiddetta estorsione di atti dove l’effetto della violenza o della minaccia può essere costituito dalla sottoscrizione di un atto, il quale comporti un effetto giuridico a favore dell’agente o di altri ed in danno del firmatario coartato. Si pensi, per fare degli esempi, alla sottoscrizione di una cambiale o di una scrittura privata contenente la ratifica di un precedente contratto di compravendita di un terreno agricolo.
Inoltre, l’estorsione è un reato che si riscontra anche nel mondo del lavoro. Infatti, proprio a tal proposito la Suprema Corte, sezione II, nella sentenza nr 28682 del 05 giugno 2008 ha riconosciuto il delitto di estorsione nel comportamento di un datore di lavoro che costringeva i propri lavoratori dipendenti ad accettare dei trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate ed, in genere, a delle condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi. Il tutto al fine di poter approfittare della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all’offerta. In breve, la condotta antigiuridica dell’estorsione era stata realizzata in quanto il datore di lavoro aveva posto i dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto di lavoro.
Ulteriori profili applicativi del reato in commento si riscontrano nei rapporti tra locatore e conduttore. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il locatore, in violazione delle norme sui contratti di locazione, si faccia dare o promettere ovvero tenti di farsi dare o consegnare denaro o altra utilità dal conduttore dell’immobile, ulteriori rispetto a quanto dovuto ex lege.
Sempre in quest’ultimo specifico contesto, la Cassazione penale, sezione II, sentenza 11 ottobre 1997, n. 9210 ha elaborato il seguente principio di diritto: “Nella fase iniziale del rapporto contrattuale la semplice richiesta da parte del locatore di prestazione non dovute non può sul piano ontologico costituire una minaccia idonea a coartare la volontà della controparte, che resta libera di non aderire alla pretesa. Solo in un momento successivo, quando si è creata nel conduttore una aspettativa all’adempimento delle obbligazioni del locatore secondo quanto scaturito dalle trattative in corso o addirittura concluse, può parlarsi, in relazione alle modalità del caso concreto, di possibile coazione psichica e quindi di estorsione”.
Per una migliore completezza espositiva relativa alla fattispecie penale presa in esame, ritengo opportuno analizzare brevemente il profilo del concorso di persone nell’estorsione nell’ipotesi del recesso di uno dei correi. Su questo specifico punto, gli ermellini hanno stabilito quanto segue: “ Nel caso di concorso di più persone nel reato, la desistenza di uno dei correi non ha rilevanza se non è riuscita ad impedire le conseguenze degli atti in precedenza compiuti e ad eliminare ogni apporto causale collegato alla sua condotta. Ne consegue che, in tema di estorsione tentata, il recesso di uno dei correi dal suo luogo di vigilanza a favore degli altri complici non produce alcun effetto idoneo ad eliminare le conseguenze della sua precedente condotta, allorchè questa ha raggiunto lo scopo di costringere la persona offesa a recarsi nella località prestabilita, deponendosi la somma pretesa e la mancata realizzazione della estorsione sia stata conseguenza solo dell’intervento delle forze dell’ordine in precedenza informate dalle vittime ”. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 27 Giugno 1986 nr 6481).
In riferimento ai rapporti con altri reati mentre nella rapina (art. 628 c.p.) nessun contributo essenziale al verificarsi dell’evento è prestato dalla vittima, nell’estorsione (art. 629 c.p.) è presente l’autonoma, seppur coatta, collaborazione della vittima, la cui volontà non è annullata, ma viziata, come in tutti i delitti patrimoniali commessi con la cooperazione della vittima.
Nella estorsione, a differenza che nella rapina, la violenza può estrinsecarsi anche contro cose e non solo contro persone. Inoltre, mentre la rapina ha per oggetto soltanto cose mobili, l’estorsione può avere per oggetto materiale anche immobili o diritti di qualsiasi specie della vittima. Tuttavia, ferma restando la comune aggressione al patrimonio, si deve ritenere che il grado di compressione del diritto di autodeterminarsi della vittima sia più intenso nel delitto di rapina, piuttosto che in quello di estorsione.
Inoltre, il criterio distintivo tra il reato di estorsione e quello di truffa, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima. Ricorre il reato di truffa (art. 640 c.p.) se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata. Pertanto, quest’ultima si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dall’esposizione di pericolo inesistente. Invece, si configura il reato di estorsione se il male viene indicato come certo ad opera del reo e di altre persone. È proprio in tale ultima ipotesi che la persona offesa è posta nella scelta di far conseguire al soggetto agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.
Con un’altra sentenza la Suprema Corte di Cassazione ha affermato un altro nuovo criterio distintivo fra il reato di estorsione e quello di violenza privata (art. 610 c.p.) affermando che: “ricorre il reato di estorsione, e non già quelli di violenza privata, nella condotta consistita nel costringere, mediante violenza o minacia, un imprenditore ad effettuare una assunzione non necessaria, essendo ingiusto, in quanto connesso ad azione intimidatoria, il profitto per la persona indebitamente assunta e sussistendo altresì il danno per la vittima, costretta a versare la relativa retribuzione”. (Cassazione Penale, sezione I, sentenza 14 febbraio 2006, n. 5639). Le circostanze aggravanti speciali per l’estorsione sono le medesime previste per il reato di rapina a cui l’ultimo comma dell’articolo 629 ne fa un esplicito rinvio.
Per completezza espositiva, restano da analizzare alcune note procedurali del reato de quo. L’autorità giudiziaria competente è il Tribunale in composizione monocratica (art. 33-ter c.p.p.) nell’ipotesi di cui al primo comma dell’articolo 629 c.p. ed, invece, il Tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.) nell’ipotesi di cui al secondo comma del medesimo articolo. Si tratta di un reato procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) dove viene prevista la celebrazione dell’udienza preliminare. Inoltre, l’arresto è obbligatorio in flagranza (art. 381 c.p.p.) ed il fermo di indiziato di delitto è anche consentito (art. 384 c.p.p.); le misure cautelari personali interdittive (art. 287 c.p.p.) e coercitive (art. 280 c.p.p.) possono essere consentite e, quindi, applicabili, ma con alcune eccezioni. Ad esempio, non può essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992 n. 356 in relazione al delitto di tentata estorsione, stante l’espressa previsione della sequestrabilità esclusivamente per il reato consumato e l’autonomia, rispetto ad esso, del tentativo che non consente estensioni in “malam partem” ( in tal senso Cassazione penale, sezione II, sentenza 7 ottobre 2010, n. 36001). Da ultimo, il termine di prescrizione è di 10 anni nell’ipotesi di cui al primo comma mentre, invece, è di 20 anni per l’ipotesi di cui al secondo comma.
In conclusione, va detto che : “ Integra il reato di estorsione non già l’esercizio di una generica pressione alla persuasione o la formulazione di proposte esose o ingiustificate, ma il ricorso a modalità tali da forzare la controparte a scelte in qualche modo obbligate, facendo sì che non le venga lasciata alcuna ragionevole alternativa tra il soggiacere alle altrui pretese o il subire, altrimenti, un pregiudizio diretto e immediato”. (Cassazione penale, sezione II, sentenza 9 novembre 2010, n. 39336)
In ultima analisi, considerazioni di politica criminale portano lo scrivente a ritenere che la condotta antigiuridica del reato di estorsione può costituire anche il presupposto, l’antefatto per la realizzazione di ulteriori più gravi reati (ad es. il sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p. ) e proprio per questo motivo il trattamento sanzionatorio sancito dal legislatore è piuttosto severo.