di Claudio Valerio Cogliandro

  1. Il diritto processuale dell’economia: premesse introduttive alla tutela giurisdizionale, con particolare riguardo alla materia degli aiuti pubblici

 

I riflessi del diritto europeo sull’ordinamento interno costituiscono un tema oramai classico del diritto pubblico. E’ noto che il confronto con la dimensione del diritto eurounitario segni un pilastro fondamentale nel tentativo di delimitare gli assi portanti del versante giuspubblicistico statuale, soprattutto con riguardo al diritto pubblico dell’economia.

La declinazione del diritto pubblico europeo è avvertita particolarmente nella materia sugli aiuti di Stato, non può sottacersi l’esigenza di segnare marcatamente l’auspicio del passaggio da una dimensione mercantile dell’Europa unita ad una ulteriore, più incline ai caratteri politico-sociali. Tale operazione è di estrema importanza e presenta risvolti di difficoltà proprio perché deve realizzarsi attraverso gli strumenti di democrazia diretta e partecipativa[1].

L’idea di diritto pubblico europeo dell’economia non può comunque manifestarsi, o meglio realizzarsi compiutamente, prescindendo dalla nozione di legalità e cioè da un principio di legalità europeo, in forza del quale ogni atto amministrativo possa dirsi produttivo di effetti giuridici in virtù di una norma generale posta a suo fondamento.

In tal modo il primato della legalità mostra l’evidenza nella disciplina degli aiuti di Stato che ha raggiunto recentemente livelli di marcata complessità in considerazione dei soggetti coinvolti (siano essi pubblici o privati) e del fondamentale apporto della giurisprudenza comunitaria[2].

Sotto questo profilo, lo scenario che si delinea è caratterizzato da una dicotomia tra principio di legalità in senso formale e principio di legalità in senso sostanziale all’interno del processo fondativo della legittimità comunitaria[3]. Tale legittimità, complesso di principi, regole e giurisprudenza, ha il primato sulla normativa interna con l’unica eccezione del principio di legalità costituzionale e delle garanzie che di esso sono espressione.

La delimitazione del principio di legalità di matrice comunitaria costituisce l’essenza di un processo evolutivo del diritto in oggetto, in cui l’interesse prevalente non può essere rivolto solamente ai mercati ed alla concorrenza, ma deve ineluttabilmente estendersi al principio di coesione economico-sociale che elevandosi a principio costituzionale europeo garantisca la realizzazione del governo europeo dei beni comuni[4].

Sotto il profilo della tutela dei beni comuni, il diritto pubblico dell’economia assume un ruolo diverso da quello tradizionale, in quanto legittimato da principi di ordine costituzionale europeo ed orientato verso le politiche pubbliche, i servizi pubblici ed i diritti sociali.

Invero, fondamenti giuridici di tale operazione sono stati già espressi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 12 gennaio 2011[5] dichiarando ammissibile il referendum abrogativo del decreto Ronchi (art. 23 bis l. n. 166 del 2009) ed aprendo innovativamente ad un concetto più definito di bene comune[6].

Quest’ultima categoria giuridica è il frutto di una nuova forma di democrazia partecipativa, nell’ambito della diversità del rapporto sovranità-proprietà alla luce di una lettura della tripartizione di soggetti, di beni e di diritti[7], con un impatto sulla democrazia sostanziale dominato dal rapporto bene-fasce di utilità e non più dal rapporto dominus-bene[8].

Detto ciò, la figura di bene comune è di estrema importanza ai fini della delimitazione del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo ed ancor di più al fine di mettere a fuoco esaustivamente il ruolo e la portata del diritto processuale dell’economia sotto la duplicità dei profili relativi al beneficiario dell’aiuto e del terzo estraneo che vanta un interesse contrastante con quello di chi ha ottenuto l’aiuto[9].

Proprio per rendere maggiormente controllabile il rapporto che si instaura con la concessione degli aiuti di Stato sarà compito della presente opera, tratteggiare compiutamente le situazioni soggettive che si delineano nell’ambito della rappresentazione degli interessi coinvolti, della garanzia di par condicio e della funzionalizzazione all’interesse pubblico predeterminato sotto il profilo processuale. Sarà, cioè, analizzata la particolare problematica degli aiuti di Stato sotto il versante dell’effettività della tutela giurisdizionale unitamente ai principi del giusto processo nell’ambito dell’impatto del diritto comunitario con il diritto amministrativo, in particolare processuale[10]. Nell’effettuazione di tale analisi, fondamentale appare l’approccio con il minimo comun denominatore che induce a ritenere la pubblica amministrazione come <potere> e non come <servizio>. In tal senso, sulla centralità del potere si è già espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004[11] come componente del <potere esecutivo> nell’ambito del principio della separazione dei poteri secondo la tesi del Montesquieu e dunque come potere amministrativo, cioè come componente essenziale dei poteri dello Stato[12]; senza per questo prescindere da una lettura oggettivo-contenutistica associata al potere discrezionale[13].

Sotto quest’ultimo profilo viene in rilievo la discrezionalità amministrativa come sinonimo di capacità giuridica speciale, in contrapposizione alla capacità giuridica generale dei cives, che ha comportato nell’ambito delle libertà e dei diritti la diversità della situazione giuridica soggettiva che, se messa in relazione con un altro soggetto giuridico dell’ordinamento, viene considerata diritto soggettivo e se relazionata alla pubblica amministrazione, determina invece interesse legittimo[14].

 

 

  1. Distinzione tra aiuti di Stato, aiuti pubblici e sovvenzioni. Limitazione della prima parte dell’indagine alla problematica del riparto di giurisdizione in materia di aiuti di Stato e decisioni amministrative sul loro recupero.

 

Tradizionalmente la dottrina ha esaminato il fenomeno delle sovvenzioni e degli aiuti di Stato in relazione alla capacità di direzione dell’economia[15].

Entrambi gli istituti vengono utilizzati al fine di disincentivare l’iniziativa economica privata per dirigerla verso finalità di carattere sociale. Gli aiuti, in particolare, costituiscono uno strumento per controllare e dirigere l’iniziativa economica privata verso obiettivi predeterminati; si tratta di uno strumento che è alternativo ed al tempo stesso complementare alle misure autoritative.

Alla luce di tale concetto taluni autori hanno ricondotto la nozione di aiuto ad «ogni beneficio che sia concesso dallo Stato o da altra persona giuridica pubblica, e (che) porti all’accrescimento del patrimonio di un soggetto estraneo»[16]. Tale definizione ha indotto poi la dottrina ad affrontare le numerose difficoltà che si sono riscontrate nel tentativo di attribuire a tale fenomeno una collocazione ben definita nell’ambito del complesso degli atti amministrativi. Infatti, non sono mancati autori che hanno evidenziato la difficoltà di inquadrare in senso giuridico l’esatta terminologia della sovvenzione, del contributo, del mezzo di ausilio finanziario, degli strumenti di incentivazione[17].

Le incertezze sull’inquadramento giuridico hanno offerto lo spunto per collegare la mancanza di una definizione univoca della realtà giuridica in esame al rilievo economico e sociale delle sovvenzioni. Ciò ha comportato la necessaria affermazione relativa alla riconduzione delle stesse ad un particolare rapporto tra soggetto pubblico e soggetto privato avente ad oggetto un beneficio economicamente valutabile[18].

La validità di una identificazione dell’istituto riconducibile ad una nozione ben precisa, è il fondamento di quella dottrina che evidenzia l’importanza di documentare il rilievo finanziario ed il significato sociale del fenomeno sotteso al concetto di contribuzione tout court.

La dicotomia che consegue a tale approccio ricostruttivo scinde la forte diffusione delle misure di aiuto dalla profonda incidenza della spesa pubblica, sempre più condizionata dal progressivo incremento degli strumenti di ausilio finanziario.

La dimensione finanziaria non può dirsi l’unica caratteristica degli aiuti di Stato e delle sovvenzioni, dovendo per tali figure giuridiche rilevarsi anche un significato sociale che permetta di indirizzare e guidare l’iniziativa economica privata verso fini solidaristici. Si realizza in tal senso la funzione di direzione statale della stessa iniziativa economica, senza dover necessariamente ricorrere a misure coercitive[19].

Infatti, l’imprenditore privato, al quale viene concessa una sovvenzione, mantiene inalterata la sua libertà di decisione, che nonostante tutto non è considerata un assioma ma un’interpretazione discutibile esposta a considerazioni, se non a contestazioni[20].

Non si può prescindere da chi ha affermato che la sovvenzione costituisca uno strumento di direzione alternativo al potere autoritativo, a fronte di quanti, invece, ne hanno sottolineato il valore coercitivo[21]. L’alternatività di tale nozione comporta inevitabilmente la contrapposizione tra l’uso del potere implicante ipotesi patologiche e lo scopo di tali istituti, con la conseguenza di indurre determinati comportamenti economici e non di imporli. Del resto, sovvenzioni e aiuti di Stato assolvono compiti assistenziali di sicurezza sociale propri del moderno Stato sociale: è attraverso tale fenomeno giuridico che si evita che i rischi e i danni vadano a gravare solo a carico di singoli, consentendo al contempo un’equa distribuzione degli effetti sull’intera collettività.

Tale passaggio di ordine eminentemente sociale può e deve avere conseguenze anche sotto un profilo di ordine giuridico. Secondo tale ordine di ragioni, è difficoltoso un inquadramento dottrinale del fenomeno sotto il profilo assiologico e giuridico, in quanto si sovrappone, da un lato, il potere amministrativo nella sua funzione di direzione dell’iniziativa economica e dall’altro, l’aspetto sociale, effettivo motore rispetto ai compiti assistenziali e di sicurezza sociale[22].

Nell’ambito di tali fenomeni giuridici può trovare certamente un ruolo importante, se non preponderante, anche il contributo pubblico[23], intenso come qualsiasi «beneficio pecuniario concesso dallo Stato (o da un’altra persona giuridica pubblica) e diretto all’accrescimento del patrimonio di una persona giuridica»[24].

Per quanto concerne quest’ultima figura, accomunata nella stessa sorte in ordine al riparto di giurisdizione dalla giurisprudenza, con l’altra già ricordata delle sovvenzioni, è degno di rilievo il rapporto tra il concetto di assistenza e di agevolazione allo scopo che non sembra essere di agevole risoluzione. Diversamente accede per gli aiuti di Stato che, pur avendo analoga funzione, soggiacciono in virtù delle novelle intervenute alla giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 49, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea) che modificando con il metodo della novellazione l’art. 119, comma 1, c.p.a. ha introdotto la lett. m-quinquies e la lett. z-sexies dell’art. 133, comma 1, c.p.a.

Quest’ultimo aspetto funzionale dei contributi pubblici, che per un verso richiama quello degli aiuti di Stato e delle sovvenzioni nella loro manifestazione economico-sociale, è stato risolto egregiamente proprio dall’autorevole dottrina che per prima si era occupata della questione, osservando che lo Stato non soltanto provvede al soddisfacimento dei fini pubblici con organi diretti ed indiretti (cioè persone giuridiche pubbliche), ma si preoccupa altresì di agevolare finalità che non sono propriamente pubbliche e che tuttavia possono porsi come mezzi per il raggiungimento di fini pubblici veri e propri[25].

Delineato adeguatamente il quadro definitorio degli istituti in argomento, desta interesse, a completamento dell’indagine, la difficoltà nella individuazione della disciplina del procedimento di erogazione delle sovvenzioni[26]. Le già ricordate ambiguità di questi istituti che, apparentemente si richiamano ora al momento dell’autorità ora a quello del consenso, in realtà sembrano essere pertinenti ad una sintomatica fascia grigia tra supremazia e patto consensuale. Con ciò è necessario rilevare una sostanziale problematicità circa la giuridicizzazione dei rapporti amministrativi, perché detti rapporti vengono a confrontarsi in primo luogo con i principi di parità concorrenziale e con il principio di eguaglianza. E’ di tutta evidenza la riflessione secondo la quale necessita l’assicurazione di un’equa distribuzione degli aiuti di Stato.

Tale ambiguità è inerente alla difficoltà di enucleare una disciplina giuridica dettagliata degli istituti in esame, in particolare quello relativo agli aiuti di Stato, anche se frutto di una interpretazione, o meglio di un uso, funzionale all’esercizio del potere. La tendenza ad interpretare l’incentivo, o l’aiuto, come forma di beneficenza o di graziosa concessione è sicuramente il fulcro di una deviazione sotto il profilo funzionale, che ha indotto addirittura parte della dottrina a considerare l’istituto come atto di liberalità. Da quest’ultimo punto di vista l’atto di liberalità è inconfutabilmente proiezione di una ampio potere discrezionale della pubblica amministrazione[27].

Con ciò non si può prescindere dalla soddisfazione di precise esigenze che sono intrinseche alla stessa attività di direzione dei privati, nonché alla sua funzione di attuazione della programmazione economica globale di intervento programmatico a carattere settoriale. Il potere discrezionale della pubblica amministrazione che ne consegue è, dunque, un potere vincolato al rispetto dell’attuazione di tale programmazione economica globale e ai già ricordati interventi programmatici[28].

La lacuna legislativa non può dirsi definitivamente risolta dalla precedente normativa comunitaria di cui all’art. 87 del Trattato istitutivo della Comunità Europea per il quale «salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»[29]. Si tratta di una disposizione generica che si dedica alla disciplina con parzialità, estromettendo talune tipologie di aiuti di Stato per induzione del dettato normativo comunitario che celebra eccessivamente le incompatibilità con il mercato comune.

Per altro verso, l’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) non disattende la precedente normativa comunitaria, disponendo che «salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

A fini identificativi, il criterio generale sul quale identificare l’istituto è quello dell’analisi caso per caso e dell’applicazione di criteri sufficientemente certi e di chiara applicazione in quanto fondati su parametri, giuridici ed economici, obiettivi che assicurino la certezza del diritto.

La caratteristica che comunque non va disattesa negli aiuti di Stato include anche le sovvenzioni. Essa è dettata dall’atto amministrativo che segna il momento di separazione e al tempo stesso l’anello di collegamento tra due diversi momenti[30]. La prima fase, che precede l’emanazione dell’atto di sovvenzione e che si contraddistingue per l’esistenza di pretese giuridicamente protette, con l’unico punto di riferimento dato dall’emanazione dell’atto stesso. Una fase in cui il rapporto giuridico che si delinea è quello di potere-interesse legittimo. Viceversa la seconda fase, successiva al provvedimento, si caratterizza per l’esistenza di un vincolo obbligatorio tra pubblica amministrazione erogante (debitrice) e beneficiato (creditore)[31].

La struttura argomentativa sopra riportata appare di estrema importanza all’interno di un panorama dottrinale in alcuni casi confuso e contraddistinto da una eccessiva schematizzazione degli istituti[32], e soprattutto svolge con estrema chiarezza rilievi alla luce della giurisprudenza di legittimità che si è espressa in ordine al riparto di giurisdizione.

E’ di tutta evidenza l’asperità dogmatica in tema di giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari soprattutto in ordine alla valenza dei normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate. In particolare le difficoltà interpretative aumentano, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, e ci si domanda se la giurisdizione spetterà al giudice ordinario ovvero al giudice amministrativo, anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione. Occorre, che tali atti si fondino sull’asserito inadempimento delle obbligazioni assunte del beneficiario a fronte della concessione del contributo.

La certezza sulle situazioni giuridiche soggettive ha un senso allorquando il privato vanti una situazione di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, e ciò accade di norma quando la controversia ha riguardo ad una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio o se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento è annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse[33].

Giova ricordare che il legislatore ha dimostrato argutamente di mettere un punto alla definizione giurisdizionale, estendendo, come già detto precedentemente, la competenza del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. z-sexies, c.p.a. a tutte «le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all’articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell’aiuto e dal soggetto che l’ha concesso». Tale cambiamento di rotta del legislatore, rispetto al consolidato orientamento delle Sezioni Unite[34] ed alla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[35], è stato consentito dall’ art. 49, comma 1 e 2 della legge 24 dicembre 2012 n. 234, in vigore dal 19 gennaio 2013, relativo alle norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea[36].

Spetta, altresì, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 119, comma 1, lett. m-quinquies c.p.a., la competenza a conoscere i ricorsi avverso provvedimenti che concedono aiuti alle imprese in violazione dell’obbligo di notifica alla Commissione e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di aiuti illegali adottata dalla Commissione europea.

In sostanza, il giudice amministrativo ha la competenza di determinare se una misura di sostegno, proveniente dallo Stato o da qualsiasi ente pubblico o che comunque utilizzi fondi pubblici, abbia la natura di aiuto di Stato, ai sensi degli artt. 107 e segg. TFUE. La giurisdizione amministrativa si estende nei casi in cui tale aiuto sia stato istituito in violazione dell’obbligo preventivo di notifica alla Commissione europea, stabilito dall’art. 108, par. 3, TFUE, che è poi competente per la sospensione dell’erogazione dell’aiuto illegale, per la disposizione di provvedimenti finalizzati alla restituzione dell’aiuto illegale e l’adozione di misure di risarcimento del danno.

Si tratta di un intervento normativo teso ad eliminare la frammentazione delle competenze giudiziarie e ad offrire la certezza giuridica agli interessati agli aiuti di Stato, soprattutto sotto il profilo processuale. In tale ottica, la corsia privilegiata del rito abbreviato, di cui all’art. 119 codice del processo amministrativo, oltre a garantire posizioni soggettive private, è tesa ad evitare inadempimenti a carico dello Stato per violazione delle norme sugli aiuti contenute nei Trattati istitutivi.

Com’è noto il giudice amministrativo aveva in precedenza la giurisdizione sulla validità di atti e provvedimenti amministrativi che conferivano aiuti di Stato non previamente autorizzati dalla Commissione, su ricorso proposto da concorrenti delle imprese cui gli aiuti erano diretti.

La recente normativa ha esteso sensibilmente tale giurisdizione ricomprendendo controversie relative agli atti e ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato, nonché a controversie relative ad atti e provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero degli aiuti adottata dalla Commissione.

Sulla base di una prima interpretazione la giurisdizione amministrativa ha una portata tale da comprendere le controversie di carattere civilistico per la cui definizione sia però necessario accertare l’illegalità di un aiuto di Stato non previamente autorizzato dalla Commissione; l’azione di accertamento e di un’azione inibitoria avviata da un concorrente al fine di precludere l’erogazione di aiuti istituiti in violazione degli obblighi di stand still derivanti dal diritto dell’Unione.

Certo è che la giurisdizione del giudice amministrativo dovrà presto o tardi confrontarsi con le azioni avviate da un privato al fine di ottenere gli aiuti istituiti e mai adottati e le controversie di carattere privato avviate da un concorrente nei confronti di un altro il quale abbia beneficiato di un aiuto di Stato illegittimo. Gli strumenti messi a disposizione del giudice amministrativo sono notevoli se si prende in considerazione l’ulteriore aspetto dell’effettività della giurisdizione amministrativa che si esplica in maniera decisamente efficace in sede cautelare; la singolarità della tutela giudiziaria in tema di aiuti di Stato è difatti legata, per propria natura, all’efficacia di provvedimenti di carattere cautelare: di qui l’estensione a provvedimenti cautelari diretti ad impedire l’erogazione dell’aiuto illegale ovvero a ordinarne la restituzione.

 

 

III.       Il ruolo del giudice amministrativo e del giudice ordinario

 

Lo studio sulla giurisdizione in materia di aiuti di Stato offre non pochi spunti di riflessione in ordine alla individuazione della giurisdizione, con riguardo al diritto pubblico dell’economia. Come già affermato precedentemente, il giudice amministrativo nell’ambito della ripartizione giurisdizionale si colloca in una posizione privilegiata, tanto da essere a giusto motivo qualificato come il giudice naturale del diritto pubblico dell’economia[37].

Nell’ambito della discussione già affrontata è emerso chiaramente che non sempre la individuazione del riparto di giurisdizione in base alla situazione giuridica soggettiva, di diritto soggettivo di interesse legittimo, è sufficiente ai fini dell’individuazione del giudice naturale di cui all’art. 25 Cost.

Il problema è legato all’interpretazione adeguata dei principi di cui all’art. 103 Cost., ai fini di una integrazione dei precetti di effettività della tutela giurisdizionale e di giusto processo così come affermati dagli artt. 1 e 2 c.p.a., soprattutto in relazione ai principi del diritto europeo ormai immanenti all’interno gli ordinamenti nazionali.

Se è vero, come afferma il giudice di Lussemburgo, che la normativa interna deve essere disapplicata in favore della normativa comunitaria qualora la prima si ponga in contrasto con il dettato comunitario, e che, per tali motivi, anche lo stesso provvedimento amministrativo segue la stessa sorte, allora è evidente che la trasformazione dell’ordinamento interno è già avvenuta. Siamo di fronte addirittura ad una fase avanzata, in nome del concetto ormai riconosciuto da tempo della pluralità degli ordinamenti giuridici[38].

Si crea pertanto un circolo virtuoso, attraverso il quale le disposizioni comunitarie dettano a priori le condizioni in relazione degli interessi di origine pubblicistica che andranno a condizionare l’attività amministrativa e successivamente saranno oggetto di verifica del giudice amministrativo.

Se tale è lo stato dell’arte, non ci si può non domandare se l’ordinario criterio di ripartizione della giurisdizione basato sulla dicotomia diritto soggettivo e interesse legittimo non sia superato, proprio in base a quel concetto comunitario di indifferenza per le dette posizioni giuridiche. Si è visto a proposito degli aiuti di Stato che la giurisdizione del giudice ordinario si radica allorquando si configuri in capo a colui che esperisce l’azione di tutela la titolarità di una situazione di diritto soggettivo, corrispondentemente si ravvisa la giurisdizione del giudice amministrativo in caso di titolarità di un interesse legittimo.

La chiave di volta per il superamento definitivo delle problematiche afferenti al riparto di giurisdizione, può individuarsi nell’intervento normativo che l’art. 25, comma 1, Cost. ritiene indispensabile ai fini della individuazione del giudice naturale. Per tal motivo, la riforma degli artt. 119 e 133 c.p.a. operata dall’art. 49, comma 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 inserisce correttamente il plesso giurisdizionale amministrativo, anche se il problema si pone per gli altri casi di sovvenzioni e ausili finanziari che non rientrano nella nozione di aiuti di Stato.

Il concetto di prevalenza dell’ordinamento comunitario sull’ordinamento interno induce riflessioni sul ruolo innovatore del legislatore ed ancor di più della giurisprudenza, perché volto ad elaborare una ripartizione unitaria della giurisdizione che assicuri il principio di concentrazione della tutela.

Esiste certamente la consapevolezza che in passato la Corte costituzionale[39] si è pronunciata secondo il disegno voluto dal costituente. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo non può mai avvenire per il solo fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione, ma deve avvenire sulla base della concreta situazione giuridica dedotta in giudizio, sia di diritto soggettivo sia di interesse legittimo. Ma in realtà la soluzione esiste da molto tempo nel nostro ordinamento e discende dall’orientamento della Consulta allorquando afferma che la giurisdizione del giudice ordinario rientra nel limite dei comportamenti, ovverosia nella controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita, nemmeno mediatamente, il pubblico potere in quanto si avvale della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici. In termini positivi la sentenza della Consulta è stata tradotta normativamente dall’art. 7, comma 1, allorquando prevede la devoluzione al giudice amministrativo non solo per le controversie nelle quali si faccia una questione di interesse legittimo ma anche «nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni».

La normativa in questione sottintende la nozione stessa di amministrazione e conseguentemente i rapporti tra la stessa ed i privati, secondo la classificazione dei servizi compiuta all’ONU, recepita dalla direttiva europea 92/50 e successivamente dal regolamento comunitario sulla classificazione dei prodotti associati ai servizi. La nozione di amministrazione viene ricondotta ad un servizio, cioè ad una serie di prestazioni da fornire alla collettività secondo standard di qualità e di buona amministrazione quale controprestazione del prelievo tributario e di altri canoni, tariffe e corrispettivi[40].

Ne consegue l’affermazione del principio di attrazione dell’attività amministrativa, senza il ricorso a ripartizioni sulla giurisdizione per materia o ad affermazioni della giurisdizione amministrativa intesa come giudice dell’amministrazione o nell’amministrazione nel quale ciò che rileva è l’esercizio di un potere di natura pubblicistica anche se mediato.

Con ciò non si vuole proporre un modello che prescinda l’adozione di un criterio di riparto per situazioni giuridiche soggettive. Com’è noto l’art. 103 della Costituzione ha adottato un criterio per l’individuazione della giurisdizione. E’ vero però che si tratta di un modello indirizzato in primo luogo dallo stesso art. 103 della Costituzione, che rimanda alla legge il compito di individuare le materie nelle quali alla tutela degli interessi legittimi si affianca anche la tutela dei diritti soggettivi[41].

Costituisce conferma di tale indirizzo l’art. 100 della Costituzione secondo cui il Consiglio di Stato è organo di giustizia nell’amministrazione, e altresì l’art. 113 Cost. per il quale contro gli atti della pubblica amministrazione è ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo, nonché l’art. 125 Cost. riguardo la programmazione con un doppio grado di giurisdizione tra organi di giustizia regionali e Consiglio di Stato e in ultimo l’art. 111 Cost. sulla limitazione del controllo giurisdizionale della Corte di Cassazione ai motivi di giurisdizione nei confronti delle sentenze del Consiglio di Stato[42].

Pertanto, appare condivisibile l’orientamento che autorevole dottrina pone a fondamento dell’incremento dei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che trae ispirazione dall’enorme sviluppo economico sociale dell’Italia dopo la Costituzione, il quale ha portato al suo inserimento nel panorama internazionale delle più importanti potenze economiche e sociali[43].

I più recenti studi su tale argomento hanno correttamente illustrato la grossa resistenza culturale del giudice amministrativo, allorquando interpreta le nuove istanze del diritto pubblico dell’economia. E’ viepiù evidente tale tendenza, in quanto il processo amministrativo è fermo da un lato ad un giudizio di tipo impugnatorio contro provvedimenti della pubblica amministrazione e dall’altro condizionato alla mediazione tra la tutela dell’interesse legittimo e le esigenze di interesse pubblico[44].

Non può sottacersi che già a partire dagli anni sessanta dello scorso secolo, la problematica della tutela in sede di giurisdizione esclusiva sia diventata una situazione in fieri difficilmente sottovalutabile. Le cause di tale sviluppo sono dovute al fatto che l’ordinamento europeo non conosce la particolare figura dell’interesse legittimo, pur avendo dimestichezza con la distinzione tra diritti ed interessi ed anche per il radicamento della formalizzazione e della privatizzazione dell’attività amministrativa secondo moduli consensuali[45].

Il legislatore, cosciente di tale trasformazione, ha cercato un’impostazione di tipo diverso individuando la giurisdizione esclusiva per blocchi di materie con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ma tale sforzo non ebbe seguito, a causa dell’intervento della Corte costituzionale che dichiarò incostituzionale il provvedimento legislativo per eccesso di delega nei confronti della legge n. 127/1997.

Il tentativo di una classificazione della giurisdizione esclusiva secondo blocchi di materie, pur essendo fallito a seguito dell’intervento della Consulta, ha avuto il merito di sollevare la questione sulla giurisdizione esclusiva cercando di dare una risposta all’incertezza dei confini sulla giurisdizione.

In tale ottica l’art. 7 c.p.a. sembra rispettare quel meccanismo di induzione normativa che, espresso dal legislatore comunitario, successivamente viene raccolto anche dal legislatore interno. Nel caso specifico si concretizza nella principio di rapidità del processo, completato dai corollari delle misure cautelari e dal principio di concentrazione della tutela[46].

L’operazione di individuazione dei limiti giurisdizionali non è facile soprattutto perché l’oggetto del giudizio amministrativo non ha le caratteristiche di unitarietà presenti nel processo civile, per vari ordini di motivi, quali la circostanza secondo la quale una parte dell’oggetto sostanziale è molto simile al giudizio di costituzionalità e pertanto l’effetto della sentenza è sostanzialmente abrogativo della norma giuridica. Per altrettanto, riguardo l’esercizio del potere conformativo delle situazioni giuridiche soggettive e gli atti giuridici, attività, beni pubblici e privati, imprese e servizi, in cui è evidente la sovrapposizione tra interessi legittimi diritti soggettivi.

In tale assetto, non manca la componente consensuale dell’attività della pubblica amministrazione e cioè gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento di cui all’art. 11 della legge 241 del 1990 e l’attività di diritto privato della pubblica amministrazione riguardante in particolare l’attività contrattuale, nella quale vengono in rilievo posizioni di diritto alla concorrenza per le quali si configura l’interesse legittimo pretensivo all’attribuzione al contratto in base al diritto fondamentale di impresa di cui agli artt. 41 Cost. e 17 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea[47].

Sarebbe, pertanto, estremamente compromettente per la giurisdizione amministrativa ridurre l’oggetto del giudizio, soprattutto nell’ambito del diritto all’economia, ad una verifica sulla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, l’estrema difficoltà di individuare l’oggetto del processo amministrativo lo rende incline ad essere determinato a seconda della fattispecie concreta sottoposta a giudizio[48].

Nell’effettuare tale operazione, occorre superare le difficoltà che dottrina e giurisprudenza hanno affrontato nella confusione creatasi tra l’oggetto sostanziale del rapporto tra pubblica amministrazione, che è l’oggetto del giudizio, e l’oggetto del processo che riguarda il rapporto medesimo, fermo restando che la tutela processuale deve comunque conformarsi a quella sostanziale come affermato più volte dalla Corte di cassazione[49].

Il suddetto fenomeno può dirsi confortato dal fatto che la tutela sostanziale, e dunque l’oggetto del giudizio, indulge nell’accertamento del rapporto giuridico sostanziale, che è e rimane di diritto pubblico, e non in direzione della legittimità dell’azione amministrativa[50].

Le ragioni della trasformazione del giudizio sull’atto in giudizio sul rapporto sono dovute all’affermarsi del principio di sussidiarietà orizzontale anche in ambito costituzionale, alla politica comunitaria di liberalizzazione e semplificazione, alla formalizzazione e contrattualizzazione del procedimento amministrativo, alla possibilità di agire secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1 bis, della legge 241 del 1990.

Tutti indici che attenta dottrina ha identificato come formule attraverso le quali l’amministrazione assume i connotati del servizio pubblico e in tal senso, a testimonianza dell’ampliamento del campo di applicazione soggettivo della giurisdizione amministrativa, l’art. 7, comma 2, c.p.a. il quale prevede che «per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo». E’ l’apice del riconoscimento a livello normativo dell’orientamento giurisprudenziale che ha già qualificato le attività formalmente private ma sostanzialmente pubbliche[51].

Ai nostri fini, rilevante è anche l’art. 7, comma 5, c.p.a. secondo il quale «nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi». La coerenza della norma si riscontra nel comma primo dello stesso articolo nel quale non è necessariamente evidente un collegamento tra la tutela dei diritti soggettivi e quella degli interessi legittimi[52]. Tanto più che l’assetto delle pluralità delle giurisdizioni è già definito. Composto dalla giurisdizione ordinaria, amministrativa, tributaria, contabile – nonché dalle altre giurisdizioni di settore, ma sicuramente non secondarie per il diritto dell’economia (Tribunale delle acque, Commissario regionale agli Usi Civici, Commissione brevetti e altri) – è delineato nella ordinarietà dei settori giurisdizionali di competenza, nonostante l’obbligo di revisione entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione.

Il giudice amministrativo, in particolare, è divenuto il giudice del diritto dell’economia, anche se divide questa funzione con il giudice civile, il giudice tributario e la Corte dei conti[53].

Il predominio del giudice amministrativo nell’ambito del diritto dell’economia, è oggetto di contesa con quanti si interrogano sulla configurazione della giurisdizione esclusiva e della giurisdizione piena del giudice ordinario[54]. L’ammissibilità di tale tesi potrebbe concentrare la giurisdizione sul giudice ordinario, per la tutela di controversie conseguenti all’analisi economica che abbiano come scopo il perseguimento dell’interesse generale.

La giurisdizione esclusiva del giudice ordinario che estende la competenza su posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, in determinate materie stabilite dalla legge, si accompagna alla giurisdizione piena che si profila in tutti i casi in cui all’autorità giudiziaria ordinaria siano attribuiti poteri di intervento che vadano oltre quelli indicati dagli artt. 4 e 5 L.A.C. e non siano limitati quindi alla mera disapplicazione in via incidentale, ma investa la revoca e l’annullamento dell’atto stesso.

Le due nozioni, seppur diverse sotto il profilo strutturale, sono intimamente connesse in quanto la configurabilità della giurisdizione esclusiva che estende la cognizione anche per le situazioni giuridiche di interesse legittimo ha un senso se si conferisce al giudice ordinario la possibilità di conoscere il provvedimento amministrativo e di formulare una pronuncia caducatoria, anziché provvedere in merito alla disapplicazione.

Sono numerosi gli orientamenti giurisprudenziali riguardanti la configurabilità della giurisdizione esclusiva del giudice ordinario[55], al riguardo la Corte costituzionale ha affermato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 comma 8 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, censurato, in riferimento agli art. 3, 100 comma 1 e 103 comma 1 Cost.

La Consulta stabilisce che avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente ricorso al giudice di pace nel termine di sessanta giorni, anziché attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo. Prosegue il Giudice delle leggi che «la circostanza che il provvedimento di espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera può incidere sul suo diritto alla libertà personale non consente di ritenere irragionevole l’attribuzione a giudici diversi del sindacato sul decreto di espulsione e sul provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, giacché la denunciata irragionevolezza non potrebbe essere eliminata attraendo entrambi nell’ambito della giurisdizione amministrativa».

Argomentando a contrario, se ne deve dedurre che la scelta del legislatore operata con la riforma degli artt. 119 e 133 c.p.a. sia costituzionalmente orientata e de iure condendo debba anche profilarsi per tutte le questioni che richiamano le erogazioni di natura pubblica escluse da tale riforma.

 

  1. Conclusioni

 

L’intervento pubblico in economia ha sempre affascinato gli studiosi del diritto amministrativo. L’interesse che ne è sempre conseguito non riguarda più propriamente l’applicabilità dei principi economici, ma lo studio delle inerenze nell’azione amministrativa.

L’excursus affrontato nella trattazione ha cercato di mettere nel dovuto risalto l’azione amministrativa in diretto rapporto con i profili del riparto di giurisdizione, sottolineando la linea di confine che esiste tra il legittimo intervento pubblico in economia e l’aiuto di Stato illegittimo secondo la normativa comunitaria.

Ne consegue che la libertà degli Stati di scegliere se e come intervenire nel mercato, è fortemente limitata dalle disposizioni del Trattato in un tessuto nazionale nel quale gli Stati membri sono liberi di scegliere il regime proprietario pubblico per alcune imprese che operano sul mercato nazionale.

Tale scelta è alla base della discriminazione tra il regime di diritto pubblico e quello di diritto privato, nei suoi riflessi imprescindibili sotto il profilo giurisdizionale che come abbiamo già visto indulgono ora per la giurisdizione del giudice amministrativo nel primo caso, ora per la giurisdizione del giudice ordinario nel secondo caso.

La bipartizione che deriva dal rapporto tra diritto privato e diritto pubblico, deve indurre l’interprete a riflessioni sulla importanza di un delineamento così marcato tra i profili pubblicistici e privatistici. Tale interconnessione tra i sistemi tradisce l’origine proprietaria dello Stato titolare di beni e di diritti su beni ed in ciò si manifesta la sua capacità giuridica generale[56].

L’estrema difficoltà di individuare il regime giuridico di appartenenza se di diritto pubblico o di diritto privato, raggiunge l’apogeo nello studio degli enti privatizzati. E’ noto il contrasto giurisdizionale ai fini dell’individuazione del giudice naturale per la risoluzione delle controversie. Il panorama di fronte all’interprete è vario e si rileva al contempo impegnativo l’approccio con un sistema che per troppo tempo è stato impermeabile ad ogni innovazione e fortemente condizionato da schemi e preconcetti che ormai devono essere consegnati al passato.

La riforma operata dall’art. 49, comma 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (legge comunitaria 2013) è il trionfo del legislatore e deve segnare l’inizio di una nuova modalità nella definizione della giurisdizione amministrativa che tenga conto dell’interesse pubblico sotteso all’azione amministrativa.

Sarà un’operazione successiva, quella che è finalizzata a qualificare la tipologia dell’attività se di servizio pubblico o imprenditoriale, ma l’importante è che l’interesse emergente sia sintomatico di una rilevanza economica.

La recente crisi economico-finanziaria non può che accrescere la portata dell’interesse pubblico economico e spingerlo verso un assetto contraddistinto da un maggiore presenza dello Stato, soprattutto nelle sue garanzie, ma anche nell’attività gestionale. L’intervento dello Stato se anticrisi perché economicamente anticiclico, contiene in sé i crismi del coordinamento dell’azione pubblica nonché l’andamento dell’Amministrazione verso paradigmi di una maggiore oggettività[57].

Il giudice amministrativo è divenuto nel tempo il giudice del diritto dell’economia, lo dimostra l’esame dei criteri di riparto costituzionale della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, integrato con i principi di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo[58]. Tale riparto assurge a dignità costituzionale al fine di interrompere le contrapposizioni tra giudice ordinario e giudice amministrativo, favorendo l’adozione di un criterio di scelta del plesso giurisdizionale per situazioni giuridiche soggettive. La lungimiranza dei padri costituenti è evidente nella grundnorm che all’art. 103 Cost. prevede l’affidamento al potere discrezionale legislativo del compito di individuare le particolari materie riconducibili alla giurisdizione amministrativa, in cui la tutela degli interessi legittimi si affianca anche quella dei diritti soggettivi.

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo poi si è sempre occupata delle questioni inerenti il diritto pubblico dell’economia, la cui enorme diffusione ha avuto origine proprio dallo sviluppo economico del dopoguerra.

Il dibattito sul riparto di giurisdizione, che si è riacceso più recentemente con le sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, trae nuova linfa più recentemente proprio a proposito degli aiuti di Stato. Non può sottacersi che l’argomento sia abbastanza delicato visto che la problematica investe in senso estensivo tutti gli ausili di natura pubblica, non solo il caso specifico degli aiuti.

Dunque, il problema che dovrà affrontare prossimamente la giurisprudenza è abbastanza delicato, in quanto in tale impegno non può non cogliersi la necessità di disciplinare il riparto in maniera uniforme riguardo a tutta la problematica delle sovvenzioni.

La soluzione più coerente è sempre quella dell’interpositio legislatoris che fissi adeguatamente le sfere giurisdizionali, non limitandone gli spazi e agli ausili di natura comunitaria.

Se, invece, si vuole rimettere un’improba soluzione all’interpretazione giurisprudenziale, allora la soluzione più plausibile può fondarsi su una diversa interpretazione del rapporto tra amministrazione e beneficiario della sovvenzione finanziaria.

La discussione può incentrarsi proprio sulla natura giuridica del rapporto conseguente al provvedimento amministrativo concessorio del beneficio che non necessariamente è identificabile con un rapporto obbligatorio, ma bensì in un rapporto amministrativo.

In tal senso, può interpretarsi la ratio legislatoris che ha condotto al riconoscimento della giurisdizione amministrativa esclusiva per gli aiuti di Stato e che per via estensiva può applicarsi anche per gli altri ausili pubblici, valendo anche per questi l’esercizio del potere da parte dell’amministrazione sia nella fase della concessione, sia nella fase del recupero delle somme precedentemente concesse e soggette ad atto di ritiro.

Al riguardo, un formidabile grimaldello può essere offerto dall’art. 7 c.p.a. nella sua interpretazione più efficace in senso funzionale, secondo le istanze emerse in sede comunitaria nell’ambito dell’assecondamento del principio di concentrazione della tutela.

E’ comunque indubbio che l’incertezza della zona grigia tra la giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo può essere superata anche in considerazione del fatto che l’oggetto del giudizio amministrativo non è unitario, ma pluriforme in considerazione del ruolo della pubblica amministrazione[59].

 

 

[1] Cfr. A. Lucarelli, La democrazia dei beni comuni, Roma-Bari, 2013, 82 ss.

[2] La giurisprudenza comunitaria ha dato un contributo determinante nella materia degli aiuti di Stato, attraverso un costante sforzo interpretativo e una continua modernizzazione, si veda G. Tesauro, Introduzione, in La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato. Il nuovo approccio della Commissione europea e i recenti sviluppi in materia di public e private enforcement (a cura di C. Schepisi), Torino, 2011, XIII.

[3] Si pone nel diritto europeo un problema dibattuto sulla distinzione tra il principio di legalità in senso formale e sostanziale, a tal proposito si veda A. Lucarelli, op. cit., 83. Interessante sotto il profilo dell’indirizzo politico e della sovranità economico-finanziaria, con riflessi nel consolidamento dei vincoli europei e del governo dei conti pubblici G. Rivosecchi, L’indirizzo politico finanziario tra Costituzione italiana e vincoli europei, Padova, Cedam, 2007.

[4] Cfr. A. Lucarelli, op. cit., 84 e ss. Sul rapporto tra mercati e disuguaglianza cfr. J.E. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Torino, 2013, 126 e ss. Per una analisi di diritto comparato si veda M. Ruffert, Le droit administratif européen, in Traité de droit administratif (a cura di P. Gonod, F. Melleay, P. Yolka), Paris, 2011, 734 e ss.

[5] Cfr. Corte cost., 12 gennaio 2011, n. 24, in Giur. Cost. 2011, 1, 247. Si veda più recentemente Corte cost., 20 luglio 2012, n. 199, in Giur. Cost. 2012, 4, 2877.

[6] Cfr. A. Lucarelli, I servizi pubblici locali verso il diritto pubblico europeo dell’economia, in Giur.Cost. 2011, 1, 261 il quale afferma che “La sent. n. 24 del 2011 presenta tre punti decisamente innovativi, che consentono una riflessione più ampia sul diritto pubblico europeo dell’economia: 1) si smentisce che il diritto europeo imponga agli Stati membri di privatizzare i servizi pubblici locali; 2) si riconosce l’esistenza di un diritto pubblico europeo dell’economia, contraddicendo chi sostiene da anni la sola esistenza in ambito comunitario del diritto dei mercati e della concorrenza; 3) si riconosce ai comuni la possibilità, a seguito di referendum, di rifarsi direttamente al diritto dell’Unione Europea che prevede, tra l’altro, seppur in maniera non esplicita, la gestione pubblica e diretta dei servizi di interesse generale. Con riferimento a quest’ultimo punto, nel consentire alla normativa interna di trovare fondamento nel diritto dell’Unione Europea, la Corte sembrerebbe avallare l’applicazione di quello che si potrebbe definire «principio di legalità europeo», un principio che trova un suo naturale rafforzamento nel principio della preemption, in base al quale l’effetto preclusivo nei confronti della legislazione nazionale difforme alla normativa comunitaria è quello di vietare norme statuali sia più rigide, che più permissive”. Riguardo alle più recenti riflessioni sul diritto dell’economia si veda E. Picozza – S. Oggianu, Politiche dell’Unione Europea e diritto dell’economia, Torino, 2013.

[7] Così, A. Lucarelli, op. cit., IX.

[8] Cfr.A. Lucarelli, op. cit., IX. Quanto poi alla distinzione tra beni patrimoniali pubblici e proprietà collettive, fondamentale il richiamo a P. Grossi, Un altro modo di possedere, Milano, 1978; S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, 2012, 64 e ss.

[9] Il riferimento è doveroso in primo luogo all’opera fondamentale di G. Pericu, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, Milano 1971, 260 e ss. Più recentemente si veda E. Picozza , Processo amministrativo e diritto comunitario, Padova, 1997, 10 e ss.; V. Ricciuto, Nuove prospettive del diritto privato dell’economia, in Diritto dell’economia (a cura di E. Picozza e V. Ricciuto), Torino, 2013, 243 e ss.

[10] Sulla ricostruzione in una chiave di lettura diversa rispetto a quella tradizionale, secondo l’impatto globale del diritto comunitario sul diritto nazionale, visto sotto l’aspetto processuale, si veda: E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, cit, 2 e ss.

[11] Fondamentale l’orientamento della Consulta. Cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n.204, in Foro it. 2004, I,2594.

[12] Il richiamo ai più grandi giuspubblicisti, in E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, cit, 4-5. Sulla riconduzione del potere nell’ambito del fenomeno giuridico, cfr. G. Di Gaspare, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992. Sulla teoria della tripartizione del poteri come fenomeno volto ad assicurare l’equilibrio fra le istituzioni dello Stato, G. Bognetti, Poteri (divisione dei), in Digesto Diritto Pubblico, Torino, 1996.

[13] Cfr. E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, cit, 5, secondo il quale il potere amministrativo è associato al potere discrezionale ed è stato considerato come sinonimo di capacità giuridica speciale da contrapporre alla capacità giuridica generale dei cives.

[14] In tal senso la pregevole ricostruzione di E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, cit, 5. Sulla discrezionalità amministrativa si veda A. Piras, Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., XII, Milano, 1964. Per quanto riguarda la letteratura tradizionale sulle situazioni giuridiche soggettive cfr. F.G. Scoca, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, ed anche G. Correale, Struttura del processo amministrativo e situazione giuridica fatta valere, Caserta, s.d., passim; F.M. Nicosia, Interesse legittimo e tutela giurisdizionale, Napoli, 1991.

[15] B. Lubrano, Le sovvenzioni nel diritto amministrativo. Profili teorici ed evoluzione storica nel contesto del diritto europeo, Torino, 2008, 1.

[16] Per la ricostruzione, si veda B. Lubrano, ibidem.

[17] La difficoltà all’inquadramento giuridico delle sovvenzioni deriva dalla mancanza di una terminologia univoca, in tal senso: B. Lubrano, ibidem.

[18] Cfr. B. Lubrano, ibidem ed anche G. Pericu, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, Milano, 1971, II, 143 e ss., il quale riscostruisce l’istituto con particolare attenzione alle situazioni giuridiche soggettive presenti nella concessione di sovvenzioni.

[19] Del resto le sovvenzioni non hanno solo rilievo finanziario, ma anche significato sociale, B. Lubrano, op. cit., 2.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22]Ibidem.

[23] Fondamentale l’opera di A. Amorth, I contributi pecuniari concessi dallo Stato ad enti pubblici e privati, in Studi urbinati, 1931, 97, oggi in Scritti giuridici, Milano, 1999, 3 ss.

[24] Secondo l’illustre Autore gli enti sono pubblici, in quanto godono di sovvenzioni pubbliche, cfr. A. Amorth, op. cit., 8.

[25] Sempre, A. Amorth, op. cit., cit., 24. Per quanto riguarda l’aspetto del sindacato del giudice sulle obbligazioni pubbliche, si veda G.D. Comporti, Il sindacato del giudice delle obbligazioni pubbliche, in Dir. proc. amm., 2/2010, 379 e ss.

[26] Interessante poi l’inerenza dei rapporti giuridici nel procedimento di erogazione delle sovvenzioni in G. Pericu, op. cit., 7 ss.

[27] Cfr. G. Pericu, op. cit., 10 ss. che si sofferma anche sulle deviazioni degli incentivi, ancora visti come forma di beneficienza o di graziosa concessione.

[28] Ibidem.

[29] Sulla nozione di aiuti di Stato: M. Ebner-E. Gambaro, La nozione di aiuto di Stato, in Concorrenza e Aiuti di Stato. Un osservatorio sulla prassi comunitaria, Torino, 2006; G.L. Tosato, L’evoluzione della disciplina sugli aiuti di Stato, in La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato (a cura di C. Schepisi) , Torino, 2011, 3 e ss.. Per la completezza bibliografica si rinvia alle note 1 e 4 di C. Schepisi, Aiuti di Stato e tutela giurisdizionale. Completezza e coerenza del sistema giurisdizionale dell’Unione Europea ed effettività dei rimedi dinanzi al giudice nazionale, Torino, 2012, 1 e ss.

[30] L’individuazione delle situazioni giuridiche soggettive presenti nella concessione delle sovvenzioni presuppone un corretta ricostruzione dell’istituto. Tale vicenda si articola in due distinti momenti: il primo precedente l’emanazione dell’atto di sovvenzione contraddistinto dall’esistenza di pretese giuridicamente protette; il secondo, successivo all’atto di sovvenzione, in cui il dato più rilevante è dato dall’esistenza del rapporto obbligatorio tra la pubblica amministrazione erogante ed il privato beneficiario, cfr. G. Pericu, op. cit., 144 ss.

[31] Sempre, G. Pericu, op. cit., 145.

[32] Ibidem.

[33] Cfr. tra le tante Cass., Sez. Un., 10 maggio 2001 n. 183, in Giust. civ. Mass. 2001, 896; Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2011 n. 1875, in Foro amm. 2011, 3, 876; T.A.R. Torino Piemonte sez. I, 12 novembre 2012, n. 1217, in Foro amm. TAR 2012, 11, 3420.

[34] Ex plurimis si veda Cass. Sez. Un., 10 luglio 2006, n. 15618, in Foro amm. CDS 2006, 11, 3008.

[35] Cfr. Cons. Stato Ad. plen., 29 luglio 2013, n. 17 del 2013, in www.giustamm.it; sul punto, anche Cass. Sez. Un., 10 luglio 2006, n. 15618, in Foro amm. CDS 2006, 11, 3008.

[36] Per un primo commento sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di aiuti di Stato, si veda E. Altieri, Prime impressioni sulla giurisdizione del giudice amministrativo in materia di aiuti di Stato, in
Riv. dir. trib. 2013, 02, 197.

[37] Dall’esame sommario dei criteri di riparto costituzionale della giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, l’integrazione dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo confermano in pieno la tesi della dottrina e della giurisprudenza secondo cui il giudice amministrativo è il “giudice naturale” del diritto pubblico dell’economia, così in E. Picozza – L. Cappello, Diritto processuale dell’economia, in Diritto dell’economia (a cura di E. Picozza e V. Ricciuto), Torino, 2013, 367.

[38] Per un approfondimento si veda più di recente la sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017 che introduce una nuova stagione in tema di rapporti tra diritto interno e ordinamento sovranazionale dopo la sentenza della Consulta n. 170 del 1984.

[39] Cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, cit..

[40] Si vedano le opportune considerazioni in E. Picozza – L. Cappello, Diritto processuale dell’economia, cit., 368 nel quale testualmente sia afferma ancora “ ma come è noto la concezione della amministrazione come potere è presente nella stessa Costituzione nella parte seconda che ne fa una articolazione del governo e non un ordinamento neutrale”.

[41] In tal senso, sempre E. Picozza – L. Cappello, ult. op. cit., 367.

[42] Ibidem.

[43] Ibidem.

[44] Sul punto, E. Picozza – L. Cappello, ult. op. cit., 368.

[45] Ibidem.

[46] In tale passaggio logico si nasconde l’opportunità del riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo, cfr. E. Picozza – L. Cappello, ult. op. cit., 369.

[47] Ibidem.

[48] Ibidem.

[49] Ibidem.

[50] Ibidem.

[51] L’emersione del principio di sussidiarietà orizzontale anche a livello costituzionale, unito all’ampia politica comunitaria di liberalizzazione e semplificazione nonché alla implementazione della deformalizzazione e contrattualizzazione del procedimento amministrativo, spingono l’Amministrazione ad essere meno potere e più servizio. Cfr. E. Picozza – L. Cappello, ult. op. cit., 370.

[52] Ibidem.

[53] Efficacemente, si sostiene la formula del pluralismo giurisdizionale in E. Picozza – L. Cappello, cit., 371.

[54] Per un disamina più approfondita si veda R. Garofoli – G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, 2012, 1911 ss.

[55] Tra gli orientamenti favorevoli, anche se in tema di contenzioso tributario, si segnala la Cass., S. U., 27 marzo 2007, n. 7388, in Giur. it. 2007, 12, 2883 che configura la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell’atto impugnato, comportando la devoluzione alle commissioni tributarie anche delle controversie relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, poiché assume alcun rilievo la natura discrezionale di tali provvedimenti. L’art. 103 Cost. non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, ferma restando la necessità di una verifica da parte del giudice tributario in ordine alla riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che non attiene alla giurisdizione, ma alla proponibilità della domanda. Tra gli orientamenti contrari, cfr. ex plurimis la pronuncia che ha inciso maggiormente sul riparto di giurisdizione: Cons. Stato, Ad. plen., 30 marzo 2000, n. 1, in Foro it. 2000, III, 365.

[56] In tal senso, pregevole la ricostruzione in V. Cerulli Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 1 ss.

[57] Sulla amministrazione in senso oggettivo V. Cerulli Irelli, op. cit., 8.

[58] Così E. Picozza – L. Cappello,cit., 367.

[59] Infatti, l’oggetto sostanziale è simile a quello del giudizio di costituzionalità quando vengono impugnate fonti secondarie del diritto e l’effetto della sentenza è sostanzialmente abrogativo della norma giuridica: così E. Picozza – L. Cappello, cit., 369.