Abstract
Il presente contributo analizza una recente pronuncia della Corte di Giustizia, concernente l’efficacia diretta del principio europeo di proporzionalità della pena. L’autore riflette sulle possibili ripercussioni che la decisione del giudice europeo può avere sul versante della legalità della pena, nonché sugli esiti delle questioni sottoposte al sindacato della Corte costituzionale.
Con la pronuncia Ne dell’8 marzo 2022, C-205/20, la Grande Camera della Corte di Giustizia, ha mutato il proprio orientamento interpretativo circa l’efficacia diretta del principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 20 della direttiva 67 del 2014 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 1
La Corte di Giustizia ha asserito che il divieto di pene sproporzionate ha portata assoluta e incondizionata. Dal carattere sufficientemente preciso del precetto di cui all’art. 20 della direttiva 67 del 2014 inoltre, secondo il giudice europeo, discende la sua efficacia diretta nel nostro ordinamento. 2
Come ha avuto modo di chiarire anche la nostra Corte costituzionale, all’efficacia diretta di una regola europea consegue il potere dovere del giudice nazionale di disapplicare la norma che non sia conforme al parametro comunitario. 3
Appare evidente che una siffatta circostanza può comportare delle incertezze in merito al fondamento normativo della pena applicabile a seguito della disapplicazione della norma interna contrastante con quella europea e a delle disparità di trattamento nei singoli procedimenti penali.
La Corte di Giustizia, tuttavia, ha avuto cura di puntualizzare che nel caso di specie dette preoccupazioni debbono ritenersi infondate, poiché tutte le autorità nazionali e sovranazionali sono tenute a garantire il rispetto del principio di proporzionalità della pena. Su tale versante, peraltro, va rammentato che il principio di uguaglianza non solo consente ma anzi impone un trattamento differenziato per fatti connotati da un diverso disvalore.4
Sul principio di legalità e di certezza della pena, anche l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia nelle conclusioni presentate nella C -205/2020, ha effettuato due importanti precisazioni.
In primo luogo, ha osservato che l’obbligo di disapplicare pene sproporzionate rispetto alla gravità del fatto commesso non collide con il principio di legalità, in quanto al momento della consumazione del reato il reo è in grado di prevedere e calcolare tutte le conseguenze penali derivanti dalla sua azione.
Inoltre, secondo l’Avvocato Generale, non va trascutato di considerare che gli effetti della disapplicazione si verificherebbero solo in un momento successivo alla realizzazione del fatto e non sarebbero contra reum.5
Quanto alla certezza della pena, l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia rammenta che è insito al funzionamento del sistema giurisdizionale dell’Unione, che è differenziato e decentrato, la possibilità da parte dei giudici comuni di pervenire ad esiti interpretativi differenti circa la proporzionalità della pena prevista da una determinata fattispecie criminosa, salva la possibilità di uniformare l’applicazione di una norma attraverso l’intervento e l’esercizio del sindacato accentrato da parte della Corte costituzionale di uno Stato membro, le cui sentenze hanno portato retroattiva e valenza erga omnes.6
Prima di procedere alle osservazioni critiche sollecitate dalla sentenza della Corte di Giustizia, occorre segnalare tre punti fermi della nostra giurisprudenza costituzionale, rilevanti rispetto alla tematica in commento.
In primo luogo, le norme e i principi europei vengono in rilievo solo rispetto alle materie di competenza europea. Ad esempio, l’art. 49 della CDFUE non potrebbe essere richiamato con riferimento al delitto di rapina impropria di cui all’art. 628, comma II, c.p.7
In secondo luogo, nelle ipotesi di doppia pregiudizialità (a titolo esemplificativo, violazione del principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 27 Cost. e 49 CDFUE) la Corte costituzionale a partire dalle ordinanze n. 117 e 269 del 2017 ha invitato i giudici comuni a sollevare prioritariamente questione di costituzionalità, proprio al fine di garantire l’uniforme applicazione del diritto nazionale e sovranazionale, facendo salva la possibilità di rimettere la questione interpretativa alla Corte di Giustizia, cui, comunque, può sempre rivolgersi direttamente il giudice comune.8
Infine, i principi affermati dalla Corte di Giustizia e dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo si estendono a tutto il campo del diritto punitivo, cioè alle sanzioni amministrative e agli illeciti civili punitivi.9
La decisione della Corte di Giustizia sembra imporre un triplice ordine di considerazioni.
La sentenza della CGUE e i riflessi sulla certezza della pena
Il primo concerne il rispetto del principio di legalità.
Su tale versante, la sentenza della Corte di Giustizia presta il fianco ad un’obiezione insuperabile. Infatti, se non esiste un riferimento quantitativo e qualitativo preciso per valutare la proporzione del trattamento sanzionatorio, non è possibile comprendere come si possa valutare concretamente il rapporto tra reato e sanzione.
Ancor prima, un netto ostacolo all’esercizio di un giudizio di proporzionalità della pena inflitta in concreto dal giudice, sul piano europeo, è rappresentato dall’assenza di qualsivoglia dato da cui sia possibile desumere in modo inequivocabile l’adesione ad una concezione oggettivistica o soggettivistica del reato.
In proposito, le conclusioni dell’Avvocato Generale quanto le statuizioni della Corte di Giustizia si disvelano inconferenti e destano notevoli perplessità.
Dal suo canto, l’Avvocato Generale ha asserito che l’evenienza di trattamenti sanzionatori difformi è insita in un sistema giurisdizionale diffuso e decentrato come quello dell’Unione Europea e che il carattere chiaro e incondizionato del precetto di cui all’art 20 della direttiva 67 del 2014 non può non essere oggetto di un riscontro positivo se solo si rammenta che la Corte di Giustizia ha reputato sussistenti i predetti connotati con riferimento all’obbligo di comminare sanzioni efficaci e dissuasive al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione Europea ex art. 325 del TFUE. 10
Sul punto, si osserva che con la locuzione “proporzionalità della pena” s’intenda alludere alla circostanza che le sanzioni devono essere commisurate alla gravità dell’infrazione commessa e ciò basta a sgombrare il campo da qualsiasi incertezza.11
Le conclusioni argomentative raggiunte dall’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia non risultano condivisibili proprio ove si polarizzi l’attenzione sul caso Taricco.
La Corte di Appello di Milano e la Terza sezione penale della Corte di Cassazione nelle ordinanze di rimessione con cui hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, censuravano la violazione dell’art. 25 della Costituzione ed in particolare del principio di determinatezza.
Invero, la Corte costituzionale osservava che secondo l’opinione dei remittenti “mancherebbe, inoltre, una normativa adeguatamente determinata, perché non è chiarito, né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero così considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen, cosicché la relativa determinazione viene rimessa al giudice.” 12
La Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, in particolare, ha messo in luce tre aspetti critici evincibili dalla regola Taricco con precipuo riferimento alla sua capacità di fornire un’adeguata base legale al requisito della gravità delle frodi.
Innanzitutto, i giudici di legittimità affermavano che la nozione di frode grave era rimessa alla valutazione del giudice, in assenza di parametri normativi univoci e direttamente applicabili. 13
Inoltre, si segnalava anche una contraddizione di tale concetto con la normativa interna, di matrice comunitaria, in quanto il diritto penale tributario prevedeva (e prevede ancora) delle soglie di punibilità, introdotte sulla scorta della cd. Direttiva PIF, il cui mancato superamento esclude addirittura la punibilità di reati tributari commessi in esecuzione di operazioni fraudolente, quali l’omessa dichiarazione o l’omesso versamento IVA, da assoggettare necessariamente a pena secondo le regole europee. 14
In secondo luogo, veniva formulata un’ulteriore obiezione alla regola Taricco, consistente nella difficoltà, riscontrata in sede giurisdizionale, di procedere ad una corretta delimitazione dell’ambito di operatività dell’obbligo di disapplicazione.
L’art. 325 del TFUE dell’Unione Europea, infatti, è una regola sulla produzione delle norme, di natura programmatica, che per il suo grado di indeterminatezza non consente all’autorità giudiziaria di stabilire per quali norme incriminatrici vale l’obbligo di disapplicazione.15
Infine, la Corte di Cassazione polarizzava la propria attenzione su un altro profilo problematico.
Invero, secondo una parte della giurisprudenza, la nozione di frode grave postulava l’esistenza di due presupposti.
Da un lato si riteneva necessaria la realizzazione di un contegno connotato da fraudolenza, o comunque di una fattispecie criminosa che, pur non richiamando espressamente tale requisito della condotta, fosse diretta all’evasione dell’Iva; d’altro canto si asseriva che l’ineffettività delle complessiva disciplina sanzionatoria in un numero considerevole di casi di frode grave era da valutarsi in relazione alle fattispecie concrete oggetto del singolo giudizio, considerando il numero e la gravità dei diversi episodi di frode per i quali si procedeva, nonché il contesto complessivo e le ragioni di connessione fra gli stessi.16
I suddetti elementi costitutivi della nozione di frode grave, tuttavia, venivano mutuati da una norma di derivazione giudiziale, cioè dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiamata a pronunciarsi sul rinvio pregiudiziale ex art 267 del TFUE disposto dal Tribunale di Cuneo.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza 28346 del 2016 rimarcava che “una siffatta opzione ermeneutica, è sì imposta dall’obbligo di fedeltà comunitaria e dalla necessità di valutare la rilevanza della questione di costituzionalità, ma comunque comporta una totale inversione dei canoni costituzionali dell’interpretazione nel nostro ordinamento, fondati sulla astratta delimitazione del diritto, e sulla successiva operazione di ascrizione del fatto alla fattispecie astratta; al contrario, per delimitare l’ambito di operatività dell’obbligo di disapplicazione si dovrebbe procedere dal fatto oggetto del giudizio della Corte di Giustizia per giungere al diritto.”
Come sopra accennato, le osservazioni dell’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia si palesano tutt’altro che dirimenti al fine di diradare i dubbi e le perplessità che la pronuncia del giudice europeo desta quanto alla certezza della pena.
Il richiamo all’efficacia diretta delle sanzioni efficaci e dissuasive imposta dal diritto comunitario per la tutela di determinati interesse assume una connotazione paradossale.
Invero, dalla disamina della nostra giurisprudenza, sia sul piano costituzionale che su quello ordinario, si evince che quest’ultima ha censurato non solo la determinatezza del parametro in base al quale commisurare la gravità dell’infrazione lesiva degli interessi finanziari dell’Unione ma ha anche attribuito all’art. 325 del TFUE il carattere di regola sulla produzione delle norme, cioè avente natura programmatica.
Ciò posto, la Corte di Giustizia dal suo canto ha escluso la possibilità che si verifichino delle disparità di trattamento, in quanto tutte le autorità sono tenute ad applicare il principio di proporzionalità nell’irrogazione delle sanzioni di loro competenza, adeguando il trattamento sanzionatorio alla carica offensiva del fatto commesso dal soggetto agente.
In proposito, il giudice europeo ha cura di puntualizzare che il principio di eguaglianza impone l’inflizione di una pena differente per fatti diversi e per garantire il rispetto di siffatto canone, rilevante anche sul piano costituzionale, risulta sufficiente disapplicare quella parte della normativa interna da cui deriva l’applicazione di una restrizione che travalica i confini degli strumenti necessari a perseguire un determinato fine.
Sebbene ispirato da ragioni garantistiche e favorevoli al reo, l’apparato argomentativo della Corte di Giustizia asconde una pluralità di pericoli.
In primo luogo, non c’è un parametro normativo a partire dal quale determinare la pena risultante dalla disapplicazione della normativa interna. Sul punto, si potrebbe fare ricorso allo strumento delle rime adeguate utilizzato dalla Corte Costituzionale, ma appare evidente il rischio di difformità di vedute interpretative e di divergenze applicative qualora si ritenesse esercitabile un sindacato diffuso ed accentrato delle norme in base al canone della proporzionalità. 17
Giova rammentare sotto tale profilo che la Corte costituzionale a partire dalle ordinanze 117 e 269 del 2017 ha invitato i giudici comuni a sollevare prioritariamente questione di costituzionalità, proprio al fine di garantire l’uniforme applicazione del diritto nazionale e sovranazionale, facendo salva la possibilità di rimettere la questione interpretativa alla Corte di Giustizia, cui può comunque rivolgersi direttamente il giudice comune.
Tale evenienza, però, rappresenta sempre una facoltà dell’autorità giudiziaria e non un obbligo. Ciò sta a significare che l’intervento nomofilattico della Corte costituzionale, volto a restituire certezze sul versante ermeneutico in quanto libero dal plasmante e perenne influsso della specificità delle re-giudicande, potrebbe anche mancare.18
Una siffatta circostanza avrebbe delle notevoli ricadute negative circa il rispetto della legalità della pena e del principio di separazione dei poteri, potendo l’autorità giudiziaria irrogare discrezionalmente una sanzione punitiva senza alcun limite e libera dai vincoli di una cornice edittale definita a priori dal legislatore in via generale ed astratta.
In secondo luogo, la specificazione secondo la quale tutte le autorità nazionali sono tenute ad applicare il principio di proporzionalità non risolve il diverso problema della corretta delimitazione del suo ambito di operatività.
Su questo piano una premessa ed un punto fermo sono ricavabili dalla nostra giurisprudenza costituzionale, per la quale l’art. 49 della CDFUE non può venire in rilievo con riferimento alle materie che esorbitano dalla competenza europea.
Al di là di tale profilo, tuttavia, la discrezionalità attribuita alle autorità nazionali dalla Corte di Giustizia non permetterebbe agli interpreti di conoscere prima dell’applicazione in concreto del relativo trattamento sanzionatorio le fattispecie cui è applicabile il principio di proporzionalità di cui all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea.
Infine, va posto in evidenza che sebbene l’Avvocato Generale abbia chiarito che la proporzione della pena debba essere valutata in relazione alla gravità della infrazione commessa, il nodo problematico della vicenda in commento è rappresentato dalla mancanza di basi normative adeguati capaci di fondare e, al contempo, limitare la discrezionalità del giudice.
Autorevole dottrina ha osservato che il diritto dell’Unione Europea non prevede un proprio catalogo di reati e di pene, non è contrassegnato da una certa impostazione sistematica e dogmatica del reato, né assegna una specifica finalità alla pena da comminare.19
L’obiezione in commento sollecita due riflessioni.
Gli interpreti, invero, potrebbero ovviare ad una siffatta difficoltà in un duplice modo.
Aderendo ad una prima opzione esegetica, il giudice, ad esempio, nell’irrogazione del trattamento sanzionatorio potrà tenere conto delle indicazioni che la Corte di Giustizia ha fornito ad un’altra autorità giudiziaria su una questione analoga a quella sottoposta alla sua attenzione.
Come già chiarito dalla Cassazione, tuttavia, una siffatta operazione ermeneutica non si attaglia ad un sistema di civil law, nell’ambito del quale la regola applicabile al caso concreto deve essere desunta a partire dal diritto generale e astratto di produzione legislativa e non dal precedente giudiziario.
Secondo una diversa impostazione ricostruttiva, invece, le autorità italiane potrebbero procedere alla disapplicazione della norma facendo ricorso alla teoria della cd. proporzionalità cardinale. L’asserzione merita una puntualizzazione.
La locuzione pena proporzionata, come noto, può essere intesa in diverse accezioni. Il distinguo che viene in rilievo è quello tra proporzionalità ordinale e proporzionalità cardinale.20
La proporzionalità ordinale muove dall’esigenza che i reati e le pene siano classificati secondo la loro gravità e la loro severità e che tali valori, l’uno attinente alle fattispecie criminose e l’altro alle sanzioni penali, siano correlati tra di loro.
Tale accezione di pena proporzionata ha tre importanti corollari.
Innanzitutto, i reati di valore comparabile devono essere assoggettati a pene assimilabili quanto alla loro severità.
I reati più gravi, poi, devono essere puniti con pene più severe.
Infine, se una determinata fattispecie criminosa è più grave di un’altra in maniera significativa, anche la relativa pena deve essere significativamente più severa.
Risulta chiaro che, mancando un catalogo di reati e di pene a livello europeo, una siffatta idea di pena proporzionata non agevola in nessun modo il compito dell’interprete e non fornisce alcuna soluzione rispetto alle questioni critiche poste dalla sentenza della Corte di Giustizia.
Sennonché, la nozione di pena proporzionata può essere intesa in una diversa accezione. S’intende alludere al concetto di proporzionalità cardinale. Con tale idea si vuole permettere al giudice di valutare l’appropriatezza della pena prevista per un determinato reato a prescindere da qualsivoglia raffronto con le sanzioni previste per altre fattispecie criminose in un certo ordinamento.
L’attenzione dell’interprete dovrebbe polarizzarsi, piuttosto, intorno al rapporto tra l’entità del danno o del pericolo causato dal contegno criminoso agli interessi protetti dal legislatore e l’intensità del sacrificio imposto ai diritti fondamentali della persona.
Intesa in siffatta maniera la nozione di pena proporzionata costituisce uno strumento utile per valutare una sanzione sproporzionata per eccesso. Sul piano europeo essa non troverebbe ostacoli in quanto i Trattati dell’Unione Europea sono connotati da una gerarchia di valori, nel novero dei quali assumono un’importanza centrale la libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone. 21
Ne consegue che la proporzione della pena dovrebbe essere valutata con riferimento al ruolo accordato dalle regole europee al diritto del singolo sacrificato dalla sanzione statale.
Anche in questa ipotesi, però, la base normativa a partire dalla quale effettuare il bilanciamento tra interesse del reo e bene salvaguardato dal legislatore, per poi giungere ad un apprezzamento sulla sua proporzionalità, si rivela estremamente lacunosa.
Allorché si ponga attenzione all’interesse del singolo, l’ostacolo principale ad una tale valutazione è rappresentato dall’assenza di una finalità della pena comminata sulla scorta delle indicazioni provenienti dal diritto europeo, nonché dalla mancanza di qualsiasi dato da cui evincere l’adesione ad una concezione oggettivistica o soggettivistica del reato.
In difetto di precipui dati normativi, ad esempio, non è dato comprendere se l’autorità giudiziaria, nel valutare il disvalore di una determinata fattispecie criminosa, deve tenere conto della finalità rieducativa della pena o se è chiamata a fondare il proprio apprezzamento su logiche meramente retributive, peraltro incompatibili con la nostra Carta costituzionale.
Ancor prima, l’assenza di una precisa ricostruzione dogmatica del reato non lascerebbe l’interprete libero di parametrare la proporzione della sanzione solo alla gravità del fatto commesso, senza tenere conto della personalità del reo e della sua minore o maggiore pericolosità sociale.22
Sul punto, va compiuta una puntualizzazione.
L’art 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea statuisce che ove contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione.
In proposito, va considerato che la Corte di Strasburgo ha ribadito a più riprese che la CEDU è neutra rispetto alle finalità perseguite dalla pena minacciata dal legislatore. In una recente pronuncia, tuttavia, il giudice convenzionale sembra accordare preminenza al fine risocializzante della sanzione inflitta.23
L’affermazione della Corte EDU non deve generare equivoci e fraintendimenti. Come osservato da autorevole dottrina, l’affermazione del giudice convenzionale concerne uno specifico istituto, l’ergastolo, e la sua finalità rieducativa. La Corte di Strasburgo, viceversa, non si è ancora confrontata con il problema della proporzionalità della pena nei momenti della sua comminatoria edittale e della sua concreta inflizione. 24
In definitiva, la sentenza della Corte di Giustizia sotto tale profilo non è suscettibile di condivisione.
La possibile disapplicazione in malam partem della pena in virtù dell’art. 49 della Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea
Un secondo aspetto da non sottovalutare, poi, è quello dei possibili effetti in malam partem della pronuncia. Il bisogno di pena, infatti, potrebbe portare il giudice europeo e il giudice comune a non reputare adeguata la risposta punitiva approntata dall’ordinamento in ordine ad una determinata fattispecie criminosa.
La disapplicazione della norma nazionale potrebbe avvenire, appunto, sulla scorta dell’art. 49 della CDFUE, nonché dell’art. 83 del TFUE.
Su tale versante la Corte di Giustizia ritiene che il surriferito rischio è escluso dal fatto che il principio di proporzionalità della pena operi solo a favore del reo.
Quanto al piano interno, dopo il caso Taricco, la disapplicazione in malam partem della norma interna sproporzionata per difetto è chiaramente preclusa dalla nostra giurisprudenza costituzionale. Quest’ultima, infatti, ha chiarito che una siffatta operazione ermeneutica non è consentita dall’art. 25, II comma, della Costituzione. Per cui ove venisse sollevata questione di legittimità costituzionale, la Consulta potrebbe attivare nuovamente, sempre in forma dialogica, l’istituto dei controlimiti, oppure escludere la portata retroattiva della declaratoria di incostituzionalità. 25
La problematica de qua non rappresenta affatto una questione dal carattere meramente teorico ma è una probabilità molto elevata se e nella misura in cui si tiene conto delle asserzioni compiute dalla Corte di Giustizia nella C 205-20 e dell’evoluzione dei rapporti tra ordinamento interno ed europeo.
Quanto al primo aspetto, va segnalato che il giudice europeo ha dichiarato che la proporzionalità della pena di cui all’art. 49 della CDFUE è un principio di carattere generale che si applica a prescindere dall’armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili.26
Da quanto appena esposto consegue che nel caso in cui una direttiva non sia stata ancora recepita e il giudice ritenga sproporzionata la norma interna in ordine alle esigenze di tutela degli interessi dell’Unione, potrebbe procedere alla sua disapplicazione.
Si pensi, a titolo esemplificativo, all’introduzione del Decreto legislativo n. 75 del 2020 che ha comportato l’inasprimento delle pene per alcune fattispecie criminose, se lesive degli interessi finanziari dell’Unione Europea. 27
Nelle more della sua approvazione, l’autorità giudiziaria avrebbe potuto disapplicare le norme sproporzionate per difetto o sollevare questione di legittimità costituzionale con riferimento alle stesse.
L’affermazione surriferita della Corte di Giustizia secondo cui la disapplicazione potrebbe avvenire solo in bonam partem non tranquillizza affatto nella misura in cui nell’interpretazione dell’art. 49 della CDFUE si deve tenere conto di quanto previsto dalla CEDU, cosi come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Se, infatti, il principio di proporzionalità della pena ex art. 52 CDFUE è interpretabile alla stregua del significato attribuitogli dalla CEDU, non va dimenticato che in seno alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo si è consolidato il principio del divieto di infra- protezione minima dei diritti fondamentali.28
Il trattamento sanzionatorio previsto a fronte della lesione di una prerogativa essenziale dell’individuo dunque, se inadeguato rispetto alla gravità del fatto commesso, è da reputarsi convenzionalmente e comunitariamente illegittimo e pertanto disapplicabile.
I giudici italiani, per esempio, in ragione della diretta applicabilità dell’art.49 CDFUE si sarebbero potuti svincolare dalle cornici edittali previste per i reati che attualmente costituiscono elementi costitutivi del delitto di tortura.
L’introduzione dell’art. 613 bis nelle maglie dell’ordinamento penalistica è dovuta proprio alla condanna dell’Italia da parte della Corte EDU per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, determinata dall’assenza di una norma volta a punire in maniera adeguata gli autori di un trattamento inumano, degradante e lesivo della dignità umana.29
Orbene, qualora si dovesse consolidare un orientamento volto a disapplicare una norma nazionale in ossequio al principio del divieto di infra-protezione minima dei diritti fondamentali, come accennato, la giurisprudenza di contrario avviso potrebbe sollecitare la Corte costituzionale ad attivare l’istituto dei controlimiti. E la risposta della Consulta, alla luce del caso Taricco, sembra abbastanza scontata.
Onde evitare cortocircuiti istituzionali, l’auspicio è che la Corte di Giustizia torni sui propri passi, o, quantomeno, offra delle indicazioni più puntuali circa l’ambito di applicazione del principio di cui all’art. 49 della CDFUE e delle sue modalità operative.
Diritto europeo e sindacato della Corte costituzionale
Non è da escludere un’evoluzione della nostra giurisprudenza costituzionale a seguito della novità giurisprudenziale in commento.
L’art. 49 della CDFUE, infatti, forse potrà incidere soprattutto sul giudizio di costituzionalità delle norme.
La Corte costituzionale, sollecitata dai giudici comuni, dovrebbe effettuare il vaglio di costituzionalità alla luce del criterio di proporzionalità in senso stretto, cioè tenendo conto del rapporto tra sanzione inflitta, disvalore del contegno criminoso posto in essere dal reo e libertà fondamentali di quest’ultimo sacrificate dall’utilizzazione dello strumento punitivo.
Il giudizio sulle scelte incriminatrici operate dal legislatore in siffatta ipotesi ha quale suo parametro di riferimento l’idea di proporzionalità della pena in senso cardinale.
Nelle maglie del nostro ordinamento, la dottrina pone in discussione le scelte politico criminali realizzate dal legislatore perlopiù sulla scorta dei principi di offensività, extrema ratio e sussidiarietà del diritto penale.
Anche la Corte costituzionale, invero, dichiara costituzionalmente illegittime le norme penali qualora violino il canone dell’offensività, cioè qualora la disposizione incriminatrice non persegua un fine legittimo e non tuteli un bene giuridico meritevole di essere salvaguardato.30
Una volta accertata la sussistenza di tali presupposti, la Consulta accoglie le questioni poste dai giudici remittenti sul versante del trattamento sanzionatorio soltanto se quest’ultimo risulta manifestamente sproporzionato rispetto al disvalore del comportamento posto in essere dal reo.
L’intento della giurisprudenza costituzionale è quello “di salvaguardare gli spazi spettanti alle valutazioni di politica criminale del legislatore relative alla congruenza fra i reati e le pene, riservandosi di intervenire solo a fronte di determinazioni palesemente arbitrarie di quest’ultimo, cioè in caso di sperequazioni punitive di tale gravità da risultare radicalmente ingiustificate”. 31
L’apprezzamento circa la manifesta arbitrarietà delle sanzioni minacciate dal legislatore avviene perlopiù in ossequio alla nozione di proporzionalità cardinale della pena. La violazione del suddetto canone, infatti, viene accertata raffrontando il trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie criminosa tacciata d’incostituzionalità e quello previsto per reati di disvalore analogo, assunti quali tertia comparationis.
Qualora l’idea di proporzionalità cardinale, utilizzata dalla Corte di Giustizia, dovesse penetrare profondamente nel giudizio di costituzionalità, le sorti di molte questioni potrebbero cambiare radicalmente.
In proposito, va segnalato che il giudizio di proporzionalità della pena effettuata dal giudice comune ha una portata necessariamente retrospettiva, poiché guarda al passato e con precisione al fatto di reato consumato dal soggetto agente.
Sulla scorta dell’art. 49 della CDFUE l’autorità giudiziaria, invece, potrebbe compiere un apprezzamento sulla scelta di criminalizzazione operata dal legislatore. La valutazione formulabile dal giudice in questo caso ruota intorno ai benefici che la norma generale e astratta di genesi normativa intende conseguire e i sacrifici imposti alle libertà fondamentali del singolo.
Allorché la limitazione delle facoltà dei consociati sia sproporzionata in relazione al fine perseguito dal legislatore, la norma è suscettibile di diventare oggetto di una declaratoria di incostituzionalità. 32
Le differenze tra un sindacato di costituzionalità basato sui principi di offensività, sussidiarietà ed extrema ratio appare evidente.
Mentre nel primo caso il perseguimento di un fine legittimo e la tutela di un bene giuridico di rilevanza costituzionale costituiscono elementi sufficienti per rigettare la questione di legittimità sollevata, nella seconda ipotesi il vero elemento determinante è rappresentato dalla facoltà ascritta al legislatore di perseguire il medesimo scopo con mezzi meno limitativi delle libertà fondamentali dei consociati.
Sul punto, va rammentato che la dottrina italiana solleva costantemente due tipi di eccezioni in ordine al ricorso al criterio della proporzionalità cardinale.
In primo luogo, si osserva che ogni giudizio di proporzionalità ha un carattere necessariamente comparativo, per cui non può prescindere dal raffronto con le punizioni inflitte per fattispecie criminose contrassegnate dalla medesima carica offensiva.33
Inoltre, viene segnalato che una siffatta accezione della nozione di proporzionalità dilata in maniera eccessiva la discrezionalità giudiziaria.34
I surriferiti aspetti critici, per quanto meritevoli di attenzione, possono essere superati per due ordini di ragioni.
Pur non volendo mettere in discussione il carattere relativo proprio di ogni valutazione concernente la proporzione tra reato e pena, sembra sufficiente ricordare che i termini di comparazione del giudizio possono essere rappresentati anche da elementi diversi da un catalogo di reati e di pene.35
Quanto a diritto europeo, si è già avuto cura di precisare che non manca una scala gerarchica di interessi, sulla cui base si lascia apprezzare la legittima intensità o meno di un sacrificio imposto ad una libertà fondamentale per conseguire la realizzazione di un determinato scopo.
Al di là di tale profilo, si è posto in evidenza che l’idea di proporzionalità in senso cardinale della pena consente di valutare gli squilibri sanzionatori predisposti dal legislatore a prescindere da qualsiasi comparazione. Ciò, per la verità, non desta perplessità.
Su tale versante s’intende aderire pienamente alle osservazioni formulate da autorevole dottrina secondo cui in taluni casi la privazione della libertà personale per un lungo arco temporale quale conseguenza di un fatto di lieve entità e determinato da motivi moralmente e socialmente apprezzabili è percepito in maniera evidente dalla maggioranza dei consociati come ingiusta. Insomma, “il carattere eccessivo della pena può essere apprezzato a prescindere da qualsiasi confronto, allorché si ponga all’osservatore come qualcosa di evidente”.36
Con riferimento alla discrezionalità di cui potrebbe essere tacciata la Corte costituzionale, è stato giustamente notato che ogni sistema costituzionale fissa dei limiti sostanziali alle scelte effettuabili dal legislatore.
Detti argini alla discrezionalità legislativa sono rappresentati perlopiù dai diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta costituzionale di ogni Stato di diritto e dalle loro esigenze di tutela, di cui la è la stessa Corte costituzionale ad essere custode.
Il perno intorno al quale ruoto il giudizio di costituzionalità in quest’ottica muta radicalmente, poiché il parametro di riferimento del giudizio della Consulta non è più rappresentato dalla coerenza interna delle scelte politico criminali ascrivibili al legislatore, bensì dal necessario rispetto della persona umana, della sua dignità e della sua libertà.37
Due notazioni finali.
Una simile evoluzione del sindacato di costituzionalità è auspicabile poiché potrebbe determinare una sensibile contrazione dell’area del penalmente rilevanti. Ma non solo.
Il principio di proporzionalità non è affatto sconosciuto alla Corte costituzionale, neppure nella sua accezione più restrittiva. Anzi, si può affermare, senza timore di incorrere in alcun errore, che esso viene sempre più spesso utilizzato dalla giurisprudenza costituzionale. Da ciò si potrebbe evincere l’irrilevanza di qualsiasi mutamento terminologico nel quadro delle decisioni assunte dalla Consulta.
Eppure è stato osservato con grande acutezza che spogliarsi di ambiguità semantiche e procedere ad una definizione precisa degli standards del giudizio di proporzionalità non è affatto un’operazione esegetica di carattere meramente teorico. Infatti, “la predeterminazione dei paradigmi di giudizio ha un rilievo, anzitutto, sul piano della valutazione e della deliberazione, perché esso agevola il lavoro della Corte e le imprime una maggiore coerenza; incide altresì sul piano dell’argomentazione, favorendo una motivazione
ordinata e persuasiva; e agisce, infine, sul piano della legittimazione della Corte, spesso sospettata – specialmente, nell’ambito dei giudizi di ragionevolezza e proporzionalità – di travalicare i confini delle scelte giurisdizionali per sconfinare nell’ambito del merito politico, tanto che la Corte costituzionale italiana in più di un’occasione ha ritenuto di dover affrontare esplicitamente il problema, sottolineando la differenza tra giudizio di ragionevolezza e scelte di opportunità politica del legislatore. L’elaborazione di canoni di giudizio chiari e chiaramente esplicitati alimenta la coerenza, la prevedibilità e la controllabilità delle decisioni, attraverso la motivazione, consolidando l’autorevolezza del giudice delle leggi e ponendolo al riparo dalla sovraesposizione politica”. 38
1CGUE, sentenza dell’8 marzo 2022 (C‑205/20, NE c. Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld). La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’articolo 20 della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI»). Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra NE e la Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (autorità amministrativa distrettuale di Hartberg-Fürstenfeld, Austria) in meritoalla sanzione pecuniaria inflittagli da quest’ultima per diverse violazioni di disposizioni austriache in materia di diritto del lavoro.
2“Il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto da detta disposizione è di carattere incondizionato. Infatti, per un verso, il tenore letterale dell’articolo 20 della direttiva 2014/67 sancisce tale requisito in termini assoluti. Per altro verso, il divieto di adottare sanzioni sproporzionate, che è la conseguenza di detto requisito,
non richiede l’emanazione di alcun atto delle istituzioni dell’Unione e tale disposizione non attribuisce
affatto agli Stati membri la facoltà di condizionare o di restringere la portata di tale divieto. Il fatto che l’articolo
20 di tale direttiva debba essere oggetto di trasposizione non è tale da mettere in discussione il carattere incondizionato del requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto dall’articolo stesso. È inoltre giocoforza aggiungere, al riguardo, che un’interpretazione secondo cui la necessità di trasposizione del requisito di proporzionalità delle sanzioni sancito all’articolo 20 della citata direttiva sarebbe tale da privarlo del suo carattere incondizionato equivarrebbe ad impedire ai singoli interessati di invocare, se del caso, il divieto di adottare sanzioni sproporzionate imposto da tale requisito. Orbene, sarebbe incompatibile con il carattere vincolante che l’articolo 288 TFUE riconosce alla direttiva di
escludere, in linea di principio, che un siffatto divieto possa essere invocato dalle persone interessate Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se l’articolo 20 della direttiva 2014/67 presenti un carattere sufficientemente preciso, laddove prevede il requisito di proporzionalità delle sanzioni, occorre constatare che, se è vero che tale disposizione concede agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nel definire il regime sanzionatorio applicabile in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della citata direttiva, un siffatto margine di discrezionalità trova i propri limiti nel divieto, enunciato in termini generali e inequivocabili da detta disposizione, di prevedere sanzioni sproporzionate. (Paragrafi 22-26, CGUE, sentenza dell’8 marzo 2022 (C‑205/20, NE c. Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld)
3 Ex multis cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 288 del 2010.
4“Orbene, poiché il requisito di proporzionalità previsto all’articolo 20 della direttiva 2014/67 implica una limitazione delle sanzioni, che deve essere rispettata da tutte le autorità nazionali incaricate di applicare tale requisito nell’ambito delle loro competenze, consentendo nel contempo a dette autorità di irrogare sanzioni diverse in funzione della gravità dell’illecito sulla base della normativa nazionale applicabile, non può ritenersi che un siffatto requisito violi il principio della parità di trattamento. (Paragrafo 56, CGUE, C-205/20)
5“A mio avviso, la possibilità di disapplicare in parte disposizioni nazionali nei limiti in cui esse violano il diritto dell’Unione, nonché di completarle o integrarle mediante l’applicazione diretta del principio di proporzionalità, non viola il principio di legalità quale sancito all’articolo 49 della Carta. In primo luogo, le infrazioni e le sanzioni sono state definite nel momento in cui l’atto punibile è stato commesso. Di conseguenza, i singoli erano in grado di conoscere le conseguenze del loro comportamento. n secondo luogo, il requisito di proporzionalità sancito dall’articolo 20 della direttiva 2014/67 costituisce il fondamento per attenuare e correggere le disposizioni nazionali, attraverso l’effetto diretto del requisito di proporzionalità. In altri termini, il requisito di proporzionalità non è il fondamento dell’imposizione o dell’aggravamento delle sanzioni, bensì il fondamento sul quale le sanzioni legittimamente inflitte sono ridotte al fine di essere rese conformi al diritto dell’Unione.” (Conclusioni dell’Avvocato Generale, Michal Bobek, presentate il 23 settembre 2021 Causa C‑205/20, paragrafi 97-99)
6“Un certo grado di incertezza temporale quanto alla corretta applicazione di norme nazionali a seguito della dichiarazione della loro incompatibilità con il diritto dell’Unione è infatti connaturato al funzionamento del sistema giurisdizionale dell’Unione, che è differito e decentralizzato. A differenza, ad esempio, di vari ordinamenti giuridici nazionali, nei quali una dichiarazione di incostituzionalità di (un) giudice costituzionale nazionale comporta l’annullamento di norme nazionali con effetto erga omnes, la disapplicazione da parte di un (qualsiasi) giudice nazionale per incompatibilità con il diritto dell’Unione può essere subordinata, per un certo periodo, alle ordinarie norme di procedura e ai gradi di giudizio previsti dal diritto nazionale. Pertanto, nei limiti in cui la questione non venga risolta autoritativamente dalla Corte quale interprete ultima del diritto dell’Unione, i vari giudici nazionali potrebbero avere, prima che i rispettivi giudici supremi a livello nazionale le uniformino, anche opinioni contrastanti sulla medesima questione. (Conclusioni dell’Avvocato Generale, Michal Bobek, presentate il 23 settembre 2021 Causa C‑205/20, paragrafo 102)
7“La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito, in coerenza con un costante orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea, che le norme sovranazionali in questione possono essere invocate nel giudizio di legittimità costituzionale solo a condizione che «la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo […] e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto» (Corte costituzionale, sentenza n.190/2020, punto 3.2)
8 “Questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE.”(Cosi Corte costituzionale, sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2)
9 Sul punto v. Grazia Vitale, I recenti approdi della Consulta sui rapporti tra Carte e Corti. Brevi considerazioni sulle sentenze nn. 20 e 63 del 2019 della Corte costituzionale, per g.c. di Federalismi.it. Per quanto concerne l’istituto dei danni puntivi in tal senso si sono espresse le Sezioni Unite con la sentenza 16601 del 2017. I giudici di legittimità, in particolare, hanno asserito che” non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi.”
10 “La Corte ha implicitamente dichiarato che la disposizione del TFUE secondo la quale gli Stati membri devono adottare sanzioni efficaci al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione, ossia l’articolo 325 TFUE, ha effetto diretto. La Corte ha anche espressamente riconosciuto il dovere degli Stati membri di disapplicare le disposizioni di diritto nazionale contrarie a tale obbligo (50). Nella giurisprudenza relativa a tale disposizione, l’accento è stato posto, tuttavia, non sul requisito di proporzionalità, bensì su quello di effettività. Tuttavia, è difficile sostenere che il requisito di effettività contenuto in tale disposizione sia davvero sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato, ma che il requisito di proporzionalità non lo sia” (Conclusioni dell’Avvocato Generale, Michal Bobek, presentate il 23 settembre 2021 Causa C‑205/20, paragrafi 53-54)
11 “In secondo luogo, è inoltre abbastanza chiaro riguardo a che cosa le sanzioni debbano essere proporzionate: devono essere commisurate alla gravità dell’infrazione commessa, tenendo conto, se del caso, delle particolari circostanze di ciascuna ipotesi concreta.” Occorre precisare che il chiarimento è stato fornito dall’Avvocato Generale Michal Bobek nelle conclusioni presentate il 26 giugno 2018, C 384/2017, paragrafo 75)
12Così Corte costituzionale, ordinanza n.24 del 2017, punto 1) Per un approfondimento della questione v. A. Natale, Questione Giustizia, Osservatorio Internazionale, Le tappe della cd. saga Taricco e alcune riflessioni in ordine sparso
13Così Cass. pen. Sez. III, ord, n. 28346/2016, punto 4.5.)
14 Invero i giudici di legittimità segnalavano che “la stessa individuazione della soglia di Euro 50.000,00 quale indice di “gravità” della frode, in quanto indicata dalla Convenzione PIF, è incompatibile con le soglie di rilevanza penale (non di gravità) indicate in alcuni reati tributari – comunemente commessi in esecuzione delle operazioni fraudolente -, quali l’omessa dichiarazione (il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 indica la soglia di rilevanza penale in Euro 50.000,00), l’omesso versamento di IVA (l’art. 10 ter indica la soglia in Euro 250.000,00).” (punto 4.5 della summenzionata sentenza)
15“L’art. 325 TFUE non è una regola suscettibile di applicazione giudiziale automatica, ma, al più, una regola sulla produzione di norme, diretta all’UE e agli Stati membri; in ambito giurisdizionale, invece, può essere assunta non già come regola, che risponde alla logica del “tutto o niente”, bensì come principio, che risponde alle diverse logiche del bilanciamento di interessi” (Cass. pen. Sez. III, ord, n. 28346/2016)
16La tematica è stata affrontata in modo sintetico ma chiaro da Cass. pen. Sez. III, sent. n. 31265/2017)
17 La possibilità di ricorrere allo strumento delle rime adeguate è stata segnalata in uno dei primi contributi sulla sentenza della Corte di Giustizia da F. Viganò, Sistema Penale, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia
Il tema viene affrontato con precisione in R. Giovagnoli, Rapporti tra diritto interno e diritto sovranazionale: è ancora attuale la teoria dei controlimiti?, in www. giustiziamministrativa.it. L’autore osserva che nell’ordinanza 269 del 2017 della Corte costituzionale viene espressamente richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui il giudice nazionale investito di una controversia concernente il diritto dell’Unione, il quale ritenga che una norma nazionale non solo è contraria al diritto dell’unione, ma è anche inficiata da vizi di costituzionalità, non deve essere privato della facoltà né dispensato dall’obbligo, di cui all’art. 267 TFUE, di sottoporre alla Corte di giustizia questioni relative all’interpretazione o validità del diritto dell’unione per il solo fatto che la constatazione dell’incostituzionalità nel diritto interno sia soggetto a ricorso obbligatorio davanti alla Corte costituzionale. In tal senso v. anche Corte di giustizia, Grande Sezione, 22 giugno 2002, C-188/10 e C189/10, Melki e Abdeli)
19 Carlo Sotis, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, Diritto penale contemporaneo, Rivista Trimestrale, pag. 118 e ss.
20 La distinzione e i corollari di tale distinguo sono ascrivibili al penalista Von Hirsch. Per un suo approfondimento v. Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani- F. Palazzo – F. Sgubbi, Sezione Saggi, F. Viganò, La proporzionalità della pena, Profili di diritto penale e costituzionale, pag. 162-167
21 Sul punto cfr. Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani-
F. Palazzo – F. Sgubbi, Sezione Saggi, N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale, Scelte di Criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, pag. 169. Lo studioso da un lato rimarca che la costruzione europea si è a lungo e tuttora continua a basarsi sulle quattro libertà fondamentali di circolazione; dall’altro precisa che se ci accosta ad analizzare tali libertà dalla prospettiva soggettiva e ci si spinge a qualificarle come diritti fondamentali del cittadino europeo, lo schema del giudizio offerto dal test di proporzionalità in senso stretto risulta fruibili senza particolari problemi.
22 Tale aspetto critico è messo in luce da Carlo Sotis in I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, Diritto penale contemporaneo, Rivista Trimestrale, pag 119, che solleva i seguenti quesiti: Quale è il principale metro europeo di misurazione della gravità dei reati? La modalità di offesa ad un determinato bene giuridico? La riprovevolezza del comportamento? La pericolosità sociale del reo? Si ripropone insomma il dilemma che ripercorre da duecento anni il processo di secolarizzazione del diritto penale: quale è il volto costituzionale del diritto penale dell’Unione europea? Quello oggettivista che si basa sul bene giuridico o quello soggettivista che si basa sulla personalità del delinquente e la sua pericolosità?
23Così Corte EDU, Quarta Sezione, Vinter e a. v United Kingdom, sentenza 17 gennaio 2012, pag. pag. 111- 113
24 Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani- F. Palazzo –
F. Sgubbi, Sezione Saggi, F. Viganò, La proporzionalità della pena, Profili di diritto penale e costituzionale, pag.93
25 Sul punto occorre rammentare che l’istituto dei controlimiti può essere attivato solo in forma dialogica. Secondo una recente pronuncia della Corte di Giustizia. Il giudice europeo, in particolare, ha affermato che “la Corte può, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, essere chiamata a verificare che un obbligo del diritto dell’Unione non attenti all’identità nazionale di uno Stato membro Per contro, tale disposizione non ha né lo scopo né l’effetto di autorizzare la Corte costituzionale di uno Stato membro, in violazione degli obblighi ad essa incombenti in forza, in particolare, dell’articolo 4, paragrafi 2 e 3, nonché dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, a disapplicare una norma del diritto dell’Unione, con la motivazione che tale norma non rispetti l’identità nazionale dello Stato membro interessato come definita dalla Corte costituzionale nazionale. Qualora la Corte costituzionale di uno Stato membro ritenga che una disposizione del diritto derivato dell’Unione, come interpretata dalla Corte di giustizia, violi l’obbligo di rispettare l’identità nazionale di detto Stato membro, tale Corte costituzionale deve sospendere la decisione e investire la Corte di giustizia di una domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, al fine di accertare la validità di tale disposizione alla luce dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, essendo la Corte di giustizia la sola competente a dichiarare l’invalidità di un atto dell’Unione”. Corte di Giustizia, Grande Camera, C‑430/21, paragrafi 69-71
26 CGUE, sentenza dell’8 marzo 2022 C‑205/20, paragrafo 31.
27 Per un approfondimento della tematica v. Bianca Ballini, Le novità introdotte dal D. lgs 14 luglio 2020, n.75 in attuazione della cd. Direttiva PIF.
28L’affermazione dell’esistenza di tale principio è stata compiuto in maniera piuttosto netta dalla Corte EDU nel caso Gafgen c Germania, sentenza 1 giugno 2010. Il significato del suddetto canone convenzionale è ben messo in luce da C. Paonessa, Gli obblighi di tutela penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli costituzionali e comunitari, Pisa, ETS, 2009, pag. 178 e ss. L’autrice osserva che “Nelle valutazioni della Corte di Strasburgo, gli obblighi di penalizzazione collegati a prescrizioni della Convenzione europea mirano ad ovviare non soltanto a situazioni di omessa tutela, per la mancata predisposizione di misure atte a punire effettivamente comportamenti criminosi potenzialmente lesivi delle garanzie riconosciute in tale testo normativo, ma altresì ad ipotesi di protezione insufficiente, come nel caso della previsione da parte del legislatore interno di ampie cause di non punibilità, nonché dell’apposizione di condizioni di procedibilità in grado di paralizzare l’operatività di fattispecie incriminatrici poste nell’ordinamento a presidio di fondamentali diritti della persona” CA”
29 Le cause e l’iter che hanno portato all’introduzione nel nostro ordinamento del delitto di tortura sono oggetto di una ricostruzione puntuale e approfondita in Valentina LA Spada, Obblighi sovranazionali di criminalizzazione della tortura e profili di criticità della fattispecie penale, in ratioiuris.it
30 In Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani- F. Palazzo
– F. Sgubbi, Sezione Saggi, F. Viganò, La proporzionalità della pena, Profili di diritto penale e costituzionale, pag.239 segnala che il giudizio di proporzionalità in senso stretto suscita interesse in quanto di più agevole giustiziabilità , perché, per l’appunto, risulta imperniato sulla considerazione delle scelte di incriminazione sui diritti fondamentali del destinatario del precetto e poi dell’imputato e del condannato.
31 Così Corte costituzionale, sentenza n.179 del 2017, punto 4.2 della motivazione in diritto)
32 Sul punto cfr. Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani-
F. Palazzo – F. Sgubbi, Sezione Saggi, N. Recchia, pag. 123. L’autore osserva che, in base alla struttura del giudizio di proporzionalità sulle scelte di criminalizzazione, occorrerebbe vagliare innanzitutto la proporzionalità del divieto o dell’obbligo previsto dalla norma di condotta alla luce dei possibili diritti fondamentali configgenti; in un secondo momenti, sarebbe invece esaminata la proporzionalità della scelta di
tabuizzazione del comportamento per il tramite di una sanzione specificamente penale; infine, verrebbe analizzata la proporzionalità della misura della sanzione prevista dalla fattispecie incriminatrice e, dunque, la dosimetria sanzionatoria dedotta nella precipua cornice edittale,
33 E facilmente comprensibile come nel giudizio sulla misura della pena l’utilizzazione del tertium comparationis discenda tanto dall’esigenza di cercare di razionalizzare una verifica che sconta l’incertezza insita nella conversione in termini quantitativi di valutazione qualitative, quanto dalla impossibilità di accertare la proporzione tra i disvalori del reato e della pena se non mediante un giudizio relativo. Ciò significa […] che il giudizio di proporzione sulla misura della pena trova un punto di rifermento obbligato nel tertium comparationis costituito dalla previsione edittale di altra fattispecie: col che viene assicurato il carattere “endo-normativo”, addirittura“endo-ordinamentale” del giudizi”.(Così, F. PALAZZO, Offensività e ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p. 375) V anche R. Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via, in Dir. pen. Contemporaneo, Fascicolo 2/2019, pag. 146 e ss.)
34 L’obiezione è sollevata in R. Bartoli, Offensività e ragionevolezza, Rivista italiana Diritto e Procedura Penale, 2018 p. 1557 ss.
35 In Itinerari di Diritto Penale, Collana diretta da E. Dolcini- G. Fiandaca -E. Musco – T. Padovani- F. Palazzo – F. Sgubbi, Sezione Saggi, N. Recchia, pag. 169 rileva addirittura che “ il giudizio di necessità delle limitazioni statali, improntato su dati empirici e fattuali di efficacia dei mezzi alternativi e quindi spesso sottratto al controllo del giudice costituzionale, in omaggio ad un’esigenza di discrezionalità del legislatore nel reperimento e nella valutazione di dati, è reso più facilmente utilizzabile da parte della Corte di Giustizia per la possibilità ad essa rimessa di fare riferimento , attraverso confronti comparativi con altri Stati membri , all’efficacia di altri Stati membri. E da questo punto di vista la giurisprudenza della Corte di Giustizia mostra l’importanza che il dato comparatistico può avere nel giudizio -altrimenti ipotetico e controfattuale- sull’efficacia dei mezzi alternativi di tutela.” Peraltro una simile tecnica di tutela è utilizzabile anche dalla Corte Costituzionale attraverso l’esercizio dei propri poteri istruttori. Ad esempio, di recente la rilevata inadeguatezza della disciplina delle R.E.M.S. è stata accertata dalla Corte costituzionale solo a seguito di una proficua istruttoria con il Ministero della Giustizia e con il Ministero della Salute, nonché dell’acquisizione di una ingente mole di documenti necessari per vagliare l’effettivo status delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Per leggere il contenuto dell’ordinanza istruttoria n.131 del 2021 della Corte costituzionale vedi Rems: con ordinanza n.131/2021 la Corte costituzionale dispone un’istruttoria sulle difficoltà di applicazione delle misure di sicurezza, in Giurisprudenza Penale, nota della redazione del 24 giugno 2021.
36 Cosi F. Viganò, op.cit., pag. 273. L’Autore nota quanto segue: ”E’ ben possibile cogliere l’intrinseca ed evidente ingiustizia , ad esempio, una pena di cinque anni di reclusione , e delle sofferenze connesse a una simile pena, a carico di un uomo che abbia dichiarato falsamente all’ufficiale civile di essere il padre di un bimbo della sorte cui intendeva farsi carico, per amore della donna che lo aveva partorito. E ciò anche a prescindere dal confronto con le pene previste per altri specifici reati, nonché dalla severità complessiva del sistema sanzionatorio: giacché- ecco il punto- in qualsiasi ordinamento la privazione della libertà per un tempo così lungo, in conseguenza di un reato non di somma gravità come quello esemplificato, non potrebbe essere ragionevolmente difesa come una risposta “giusta”, o almeno “non ingiusta”, a quel reato, e apparirebbe piuttosto come un abuso dello ius puniendi. Il carattere eccessivo della pena può essere apprezzato a prescindere da qualsiasi confronto allorché si imponga all’osservatore come qualcosa di evidente”.
37 In tal senso F. Viganò., op. citata, pag. 273
38Così Marta Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013 Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, pag.7
A cura di Virginio Visone