A cura di Francesco Gisotti

Corte dei Conti – Sez. Puglia Sentenza n. 185 del 5 marzo 2018

La Procura Regionale di riferimento ha pronunciato la sentenza in esame per l’essere stata notiziata dall’ispettorato del Dipartimento della Funzione Pubblica degli esiti di attività ispettiva presso un Comune, attività finalizzata alla verifica dell’osservanza delle norme in materia di pubblicità degli incarichi a seguito della quale è emersa la mancata pubblicazione di tutti gli incarichi (esterni ed interni) nella specifica sezione del sito web dell’amministrazione denominato “ Trasparenza, valutazione e merito”. Tale comportamento, come è noto, si pone in contrasto con le vigenti disposizioni in materia di trasparenza ed in particolare dell’art. 11 d.lgs. 150/2009 il quale statuisce che, in caso di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione, è vietata l’erogazione dell’indennità di risultato ai Dirigenti preposti agli uffici coinvolti. Le indennità di risultato furono però regolarmente erogate anche con i positivi apprezzamenti del Nucleo di Valutazione prodromici ai provvedimenti sindacali con i quali esse sono state riconosciute.

Il collegio pone l’accento sulla ratio del d.lgs. richiamato che si sostanzia nella volontà di riformare in maniera organica il rapporto di lavoro al fine di incrementare produttività, efficienza e trasparenza delle PP.AA.

Già la L. 240/1990 individuava tra i principi guida dell’agire amministrativo quelli di trasparenza e pubblicità. Essa è stata considerata per anni l’unica fonte normativa della regola generale della trasparenza amministrativa. L’evoluzione normativa degli ultimi anni, anche sulla spinta della disciplina comunitaria, ha visto un progressivo ampliamento del principio. Con il d.lgs. 150/2009 l’accessibilità ha assunto un ruolo tale da dover essere intesa come accessibilità totale di tutte le informazioni circa ogni aspetto dell’attività delle PP.AA.

Il Collegio sottolinea l’obbligo della P.A. di dotarsi di una organizzazione effettivamente efficace e trasparente e come ciò costituisca un predicato necessario dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Carta Costituzionale.

I componenti del Nucleo di Valutazione del Comune interessato hanno agito secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti ed in particolare il dlgs. 286/1999 ed il regolamento comunale di riferimento, regolamento che, tra le attività dell’organo, prevedeva la valutazione delle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale. L’attività del Nucleo che ometteva i necessari controlli prodromici alla corresponsione dell’indennità di risultato ai dirigenti si configura come caratterizzata da colpa grave.

Il Collegio sottolinea anche come il ricorso a collaborazioni esterne integri un parametro utile ai fini dell’attività di valutazione in quanto esprime la capacità del Dirigente di raggiungere in autonomia gli obiettivi assegnati.

La pronuncia mette in luce, tra gli altri aspetti, la sussistenza, in capo all’organo di valutazione, dello specifico obbligo di effettuare le verifiche sul rispetto degli obblighi di trasparenza. ( di Barbara Bellettini)

 

LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE PUGLIA

composta dai seguenti magistrati:

dott. Mauro OREFICE                             Presidente

dott. Aurelio LAINO                               Consigliere

dott. Marcello IACUBINO                      I referendario, relatore

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio di responsabilità amministrativa, iscritto al n. G33418 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di:

–   … omissis… ;

Uditi, all’udienza pubblica del 24.11.2017, il giudice relatore Marcello Iacubino, il P.M. nella persona del V.P.G. Pierpaolo Grasso e gli avvocati presenti per le parti costituite.

Con l’assistenza del Segretario dott. Caterina Agrusti.

Visti l’atto introduttivo del giudizio e tutti gli atti di causa;

Ritenuto in

FATTO

  1. – La Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti, con atto dell’11.4.2017, notificato tra il 19.4 e il 9.5.2017 a tutti i convenuti, ha citato i sopra indicati soggetti avanti a questa Corte, per ivi sentirli condannare al pagamento, in favore del comune di Lucera, della somma complessiva pari a € 92.983,47, ripartita come di seguito meglio indicata, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

A tal riguardo, premette di essere stata notiziata in data 8 febbraio 2013 dall’Ispettorato del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri degli esiti dell’attività ispettiva effettuata presso il comune Lucera per la verifica dell’osservanza delle norme in materia di pubblicità degli incarichi, la quale ha evidenziato la mancata pubblicazione di tutti gli incarichi – esterni ed interni – sulla specifica sezione del sito web della stessa, denominato “Trasparenza, valutazione e merito”, conferiti dal comune di Lucera negli anni 2010-2011, in evidente violazione delle disposizioni in materia di trasparenza vigenti, in particolare dell’art. 11, comma 9 del D.lgs.150 del 2009 (in vigore dal 15 novembre 2009). Il quale prevedeva espressamente che, nel caso di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione, fosse vietata l’erogazione dell’indennità di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti.

  1. – L’Organo requirente evidenzia che dagli atti istruttori è emerso che nessun dirigente comunale, nei due sopra indicati anni di riferimento, abbia mai proceduto a trasmettere i dati degli incarichi affidati all’ufficio competente per la relativa pubblicazione ovvero a sollevare il problema dell’obbligo in parola, atteso che la specifica sezione del sito internet denominata “Trasparenza, valutazione e merito”, è stata istituita solo nel mese di dicembre 2013.

Non essendo stato pubblicato sul sito internet del comune di Lucera alcun incarico, come rilevato dalla Guardia di Finanza, ad avviso del pubblico attore la violazione della prefata disciplina in materia di trasparenza avrebbe dovuto condurre l’Ente a non erogare, ai dirigenti competenti, l’indennità di risultato, stante l’esplicito divieto sopra indicato.

Al contrario, con distinti provvedimenti sindacali emessi a seguito di positivi apprezzamenti effettuati dal Nucleo di Valutazione per gli anni 2010 e 2011, sono state regolarmente riconosciute le indennità di risultato ai dirigenti dell’ente, vale a dire Cardillo Raffaele, Franchino Domenica, Cinquia Giuseppe, e Lucera Antonio, pur avendo i medesimi nel corso del riferito biennio, proceduto all’affidamento di incarichi soggetti all’obbligo di pubblicazione in argomento.

Tali indennità sono successivamente state liquidate con i provvedimenti del Segretario Generale p.t., appresso indicati:

– con determina dirigenziale n. 151 del 20 giugno 2011, a firma del Segretario Generale p.t. Filippo Re è stata erogata la complessiva somma pari ad € 43.491,07 a seguito di tre differenti decreti sindacali aventi prot. n. 24672 del 9 giugno 2011, nei quali si attestava che “nulla osta alla materiale corresponsione della retribuzione di risultato” ai dirigenti predetti per l’anno 2010;

– con determina dirigenziale n. 149 del 6 luglio 2012, a firma del Segretario Generale p.t. Raffaele Mario Maccarone, è stata erogata la complessiva somma pari ad € 49.492,40 a seguito di tre differenti decreti sindacali aventi prot. n. 28530 del 5 luglio 2012, nei quali si attestava che “nulla osta alla materiale corresponsione della retribuzione di risultato” ai dirigenti predetti per l’anno 2011;

Al riguardo, il P.M. ritiene che la predetta somma, pari a complessivi € 92.983,47, costituisca un danno ingiusto e risarcibile patito dal comune di Lucera, stante la chiara e precisa prescrizione normativa sopra riportata, la quale nonostante fissasse un perentorio divieto, non ha impedito l’erogazione dell’indennità di risultato ai citati dirigenti, evidentemente condotta senza le previe e doverose verifiche circa il rispetto degli obblighi previsti dalla legge.

Sul piano delle imputazioni personali, ad avviso del P.M. non possono sussistere dubbi in ordine alla responsabilità:

  1. i) di coloro che hanno liquidato le somme in questione, vale a dire il Dott. Filippo Re ed il Dott. Raffaele Mario Maccarone, tenuto conto che gli stessi, nell’ambito delle loro competenze istituzionali e del ruolo apicale di segretario generale rivestito all’interno dell’Ente, da un lato erano tenuti a verificare l’esistenza di motivi ostativi al pagamento dell’indennità di risultato ai dirigenti in questione;  dall’altro non potevano non essere a conoscenza della mancata pubblicazione sul sito web del Comune degli incarichi in questione nella specifica forma richiesta dalla normativa di settore;
  2. ii) dei componenti del Nucleo di valutazione, Vecchiarino, Papparella e Petito, i quali hanno effettuato le valutazioni dei dirigenti proprio ai fini dell’erogazione dell’indennità di risultato e, pertanto, avrebbero dovuto previamente valutare i risultati conseguiti anche con riferimento al rispetto dei vincoli previsti in materia di trasparenza, e più in generale, richiamare e analizzare la ricorrenza di tutti gli elementi di fatto e diritto necessari ai fini della erogazione dell’indennità di risultato, non basandosi esclusivamente sulle autorelazioni dei dirigenti. Ciò emerge dall’esame dei verbali del nucleo di valutazione (vedasi verbali 3/2011, 5/2011, 6/2011, 6/2012), nei quali, peraltro, si fa un riferimento generico alla percentuale di raggiungimento degli obiettivi, e alla necessità di presentare obiettivi non ordinari e “valutabili attraverso diversi indicatori”.

La Procura rammenta, in punto di responsabilità dei componenti del Nucleo di valutazione, che rientrava nei suoi specifici compiti anche quello, previsto dall’art. 14 del d. lgs 150/2009, di controllo e monitoraggio del sistema della trasparenza nell’ente pubblico. Richiama, al riguardo, le Linee guida elaborate dall’ANCI ex art.13, comma 2 del D. lgs. n. 150/09, dalle quali chiaramente si intendeva che i compiti intestati all’Organismo Indipendente di Valutazione previsti dalla legge di settore dovessero intendersi estesi ai Nuclei di valutazione, laddove gli Enti avessero mantenuto tale denominazione adeguandone solo la struttura, le competenze e le funzioni ai principi del D. lgs. 150/2009. Compiti di verifica (del rispetto delle norme in materia di trasparenza e, per i fini che qui occupano, della pubblicazione dei dati relativi agli incarichi conferiti) che, pertanto, sono stati omessi anche nell’esercizio di tale ulteriore ruolo;

iii) del Sindaco Dotoli Pasquale, che ha espressamente attestato l’assenza di alcun impedimento alla materiale corresponsione dell’indennità di risultato ai dirigenti, in assenza, fra l’altro, di alcuna nomina formale del responsabile della trasparenza (nomina che deve essere effettuata dall’organo politico), avvenuta solo nell’anno 2014.

  1. – Secondo il Requirente, sotto il profilo psicologico la condotta tenuta dagli odierni convenuti non può che essere qualificata come gravemente colposa, “in ragione della evidente violazione della norma, volta, fra l’altro, a tutelare la trasparenza e la legalità dell’azione amministrativa. Essi, infatti, non hanno in alcun modo preso in considerazione l’impossibilità giuridica, per mancato rispetto delle tassative norme in materia di trasparenza, di erogare l’indennità di risultato a fronte, fra l’altro, dell’inerzia tenuta dai dirigenti che hanno conferito gli incarichi esterni ed interni”.
  2. – I rilievi in parola sono stati contestati dalla Procura Regionale con l’informativa ante causamprevista dalla legge, con la quale si procedeva a richiedere, a vario titolo e in relazione al contributo causale di ciascuno, la predetta somma a titolo di danno erariale, ai seguenti soggetti: Cardillo Raffaele, Cinquia Giuseppe, Franchino Domenica e Lucera Antonio nella loro qualità di Dirigenti pp.tt del Comune di Lucera; Vecchiarino Giuseppe, Papparella Marianna e Petito Andrea nelle loro qualità di componenti del Nucleo di Valutazione;  Re Filippo nella qualità di Segretario comunale p.t., che ha liquidato la predetta indennità; Dotoli Pasquale, Sindaco che ha proceduto ad autorizzare la liquidazione delle somme a titolo di indennità di risultato.

A seguito dell’istruttoria preprocessuale, che ha determinato la Procura a richiedere alla Sezione Giurisdizionale la proroga di 120 giorni del termine per il deposito dell’atto di citazione – concesso con ordinanza n. 3 del 7 dicembre 2016, la quale ha fissato la nuova scadenza al giorno 12 aprile 2017 –, veniva archiviata la posizione dei dirigenti comunali percipienti, e contestata al Dott. Maccarone la responsabilità (inizialmente imputata al dott. Re) derivante dall’erogazione dell’indennità di risultato ai dirigenti per l’anno 2011.

Le controdeduzioni ricevute e le audizioni esperite nei confronti di tutti gli incolpati non sono state reputate sufficienti dalla Procura per archiviare la posizione dei rimanenti soggetti, i quali sono stati convenuti nel presente giudizio con atto di citazione loro ritualmente notificato in modo da rispettare altresì il termine di legge di cui all’art. 88, comma 3 del c.g.c.

In particolare, in tale atto il P.M. ha conclusivamente ritenuto che del danno complessivo, pari ad € 92.983,47 gli odierni convenuti dovessero risponderne in parti uguali, relativamente alle fattispecie alle quali hanno concorso.

Nel precisare che il Vecchiarino ed il Re debbono rispondere esclusivamente del danno cagionato per l’erogazione dell’indennità di risultato relativa all’anno 2010 in concorso con il Dotoli, il Petito e Papparella, e il Maccarone deve rispondere per la sola parte di danno relativa all’erogazione dell’indennità di risultato per l’anno 2011 in concorso con Dotoli, Petito e Papparella, ha di conseguenza così ripartito tra di essi la predetta somma:

– € 8.691,28 a carico di Filippo Re;

– € 8.691,28 a carico di Vecchiarino Giuseppe;

– € 12.373,10 a carico di Maccarone Raffale Mario;

– € 21.071,31 a carico di Dotoli Pasquale;

– € 21.071,31 a carico di Papparella Marianna;

– € 21.071,31 a carico di Petito Andrea,

oltre interessi e rivalutazione monetaria, fatta salva una diversa ripartizione del danno da parte della Sezione adita.

  1. – Con separati e tempestivi atti di costituzione e di risposta, si sono costituiti tutti i convenuti, i quali, in sintesi, hanno contestato, in rito:

– il dott. Maccarone e il dott. Re, come l’avv. Papparella, la nullità della citazione per mancata disamina e confutazione delle proprie controdeduzioni spiegate in fase preprocessuale. Secondo il primo (Maccarone) il vizio de quo sarebbe reso ancor più evidente dall’erroneità dell’importo contestatatogli, pari a € 49.492,40, atteso che il deducente aveva fatto rilevare in tale fase di aver liquidato solo la somma di € 37.409,23, con determinazione n. 149 del 6 luglio 2012, poiché era stata stralciata la quota spettante al dott. Cinquia. Secondo alcuni dei convenuti, poi, l’atto introduttivo del giudizio sarebbe anche nullo per genericità e indeterminatezza della domanda, avendo omesso l’attore pubblico di identificare ed indicare dettagliatamente tutta la documentazione oggetto della presunta, mancata pubblicazione da parte del comune di Lucera, in ordine alla quale dovrebbe ravvisarsi la loro responsabilità, non potendo di conseguenza apprestare una adeguata difesa. Secondo la sig.ra Papparella, inoltre, non sarebbe stato affatto controreplicato sulla dedotta inapplicabilità agli enti locali, all’epoca dei fatti contestati, del decreto legislativo n. 150/2009.

5.1. – Nel merito, hanno dedotto: i) l’inapplicabilità della disciplina indicata agli enti locali, in mancanza del necessario ed indispensabile adeguamento regolamentare; ii) la mancata costituzione della specifica sezione sul sito web del Comune, che avrebbe impedito ai dirigenti la pubblicazione degli incarichi; iii) la comunicazione della mancata ricezione, da parte dei responsabili della comunicazione all’anagrafe delle prestazioni (che quindi sarebbero a loro volta responsabili o corresponsabili del presunto danno), dei dati necessari per la pubblicazione, con conseguente impossibilità di verificare il rispetto degli obblighi di pubblicazione ex art. 11, comma 8 del d. lgs. n. 150/2009; iv) l’esistenza di altre forme di pubblicità legale degli atti comunali previste dalla legge che supplirebbero alla contestata lacuna, perché in grado di soddisfare le esigenze di trasparenza derivanti dall’applicazione della norma che si assume violata; v) la funzione svolta dai componenti del Nucleo di valutazione nella determinazione dell’indennità di risultato da corrispondere ai dirigenti sarebbe meramente istruttoria e non deliberativa, di conseguenza dovrebbe escludersi la loro responsabilità in ordine al contestato danno; inoltre nelle relazioni autocertificate dei dirigenti non vi era alcun accenno all’affidamento di incarichi interni ed esterni (deduzioni svolte dai componenti del Nucleo di valutazione); vi) la concorrente responsabilità del Dirigente della Ragioneria, il quale ha vistato favorevolmente le determinazioni dirigenziale di liquidazione rimettendo il parere di regolarità contabile, che implicherebbe un compito ulteriore di verifica della correttezza degli atti adottandi; vii) il difetto dell’elemento soggettivo della colpa grave; viii) il recente insediamento, da parte del dott. Re e del dott. Maccarone, nella carica di segretario generale presso il Comune (avvenuto il primo in data 11.11.10, il secondo in data 7.11.2011), rispetto alla data dei provvedimenti di liquidazione di cui trattasi, non ha consentito loro di verificare il mancato rispetto degli obblighi previsti dalla normativa in oggetto, anche considerando che nessun soggetto all’interno gli aveva comunicato l’affidamento degli incarichi in questione; ix) infine, il convenuto Re, in via subordinata la prescrizione del credito erariale, perché l’invito a dedurre notificatogli, stante la sua estrema genericità, sarebbe inidoneo ad interrompere il corso della prescrizione.

È stato poi anche eccepito, in particolare dalla difesa dell’allora sindaco Dotoli (ma anche da altri convenuti):

  1. I) l’insussistenza del danno erariale per intervenuta pubblicazione degli atti di incarico affidati dal comune di Lucera per gli anni 2010 e 2011, come da attestazione del Comune prot. n. 41001 del 4.9.2017 (versata in atti) che ha certificato che sono stati tutti pubblicati sul sito web del comune di Lucera – sezione “Trasparenza, valutazione e merito” – gli atti elencati nella nota trasmessa via pec il 30.8.2017 dallo stesso sig. Dotoli e che riguardano proprio gli atti amministrativi di cui, con l’atto di citazione, se ne lamenta la mancata pubblicazione. Adduce al riguardo che la normativa vigente all’epoca non stabiliva alcun termine entro il quale eseguire tale pubblicazione e che questa, anche se effettuata a distanza di tempo, consentirebbe comunque quel controllo generalizzato, sotteso alla normativa in materia di trasparenza, che è da intendersi comunque successivo al conferimento dell’incarico. Ragion per cui, l’intervenuta pubblicazione eliderebbe in radice il presupposto del divieto di erogazione della retribuzione di risultato e, di conseguenza, la sussistenza del danno erariale;
  2. II) la mancanza di ogni e qualsiasi violazione da parte dei convenuti, e in specie del Sindaco p.t., a cagione della intervenuta abrogazione dell’art. 11 d.lgs. n. 150/2009 e, quindi, anche del divieto posto dal nono comma, per effetto dell’art. 53, comma 1, lett. i), D. lgs. 14.3.2013 n. 33. Di conseguenza, “La condotta non è più illecita e, pertanto, non può fondarsi alcun giudizio di responsabilità che richiede l’attualità della violazione”;

III) il divieto di erogazione della retribuzione di risultato non può che riguardare, i “dirigenti preposti agli uffici coinvolti”, e cioè coloro che dovevano eseguire la pubblicazione nell’apposito sito web, ma non anche i dirigenti conferenti l’incarico, che non avevano il compito di procedere alla pubblicazione; ragion per cui questi, avendo raggiunto il risultato nella loro attività, avevano pieno titolo a ricevere l’erogazione in parola. Tanto è vero che il D. Lgs. 14.3.2013 n. 33, che ha abrogato il comma 9 dell’art. 11 detto, ha introdotto una sanzione amministrativa a carico del dirigente che non dispone la pubblicazione nell’apposito sito web;

  1. IV) ancora, non può essere esclusa la responsabilità dei soggetti che hanno percepito la retribuzione di risultato, perché anch’essi, proprio come dirigenti, non potevano ignorare tale adempimento e avrebbero dovuto segnalarlo, invece di incassare la retribuzione di risultato. Di conseguenza, tali elementi devono essere valutati dal Collegio per “mandare assolti i convenuti o, quantomeno, ridurre sensibilmente la quota della loro responsabilità, e invitare la Procura ad agire nei confronti dei dirigenti per il recupero totale del danno causato al Comune” (così la difesa del Dotoli);
  2. V) non si può far coincidere la colpa grave del Dotoli con la violazione della norma, considerando che questi non era in possesso di una specifica preparazione tecnico-giuridica ed amministrativa e che per tale motivo si è affidato agli organi tecnici dell’amministrazione, e che la norma di cui si discute è stata modificata più volte, come è testimoniato dalla circostanza che l’Anci è dovuta intervenire con linee guida ed altri atti e precisazioni continue;
  3. VI) in subordine, sempre la difesa dell’ex Sindaco sostiene che, pur volendo seguire “la sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Puglia del 20.10.2016 n. 384, richiamata nell’atto di citazione, l’obbligo per i Comuni sarebbe successivo al 31.12.2010 e, quindi, andrebbero pubblicati nell’apposito sito web gli atti di incarico per l’anno 2011”. Di conseguenza, non costituirebbe danno erariale la liquidazione dell’indennità di risultato liquidata nel 2011, relativa all’anno 2010 e agli incarichi conferiti nel medesimo anno, vale a dire l’importo di € 43.491,07.

Tutti i convenuti invocano, infine, in via gradata l’esercizio del potere riduttivo da parte del Collegio, e nel merito, di rigettare la domanda siccome infondata.

  1. – All’odierna udienza, il rappresentante della Procura, in una breve replica alle eccezioni di parte, ha osservato, quanto alla mancata indicazione degli atti di cui sarebbe stata omessa la pubblicazione, che i medesimi sono puntualmente indicati nel rapporto informativo della G.d.F., donde non sono stati pedissequamente ripetuti nella citazione in ossequio al principio di sinteticità degli atti processuali. Per lo stesso motivo non si è proceduto a controdedurre analiticamente alle deduzioni preprocessuali, le quali trovano comunque smentita nel contesto dell’atto, è tanto è sufficiente per la costante giurisprudenza della Corte. In ordine all’asserita pubblicazione postuma dei dati inerenti a tali incarichi, il P.M. ha evidenziato che l’indennità di risultato è erogata in riferimento alla gestione dell’anno precedente: di conseguenza reputa che l’onere di pubblicazione debba essere assolto nello stesso anno. Ha ritenuto, quindi, che l’asserita abrogazione successiva della norma in questione non possa avere effetto retroattivo e, quanto alla condotta dei vari soggetti coinvolti, ha rammentato che vi era una precisa norma di legge che prevedeva il divieto di erogazione dell’indennità di risultato. Ha aggiunto, ancora, sulla dedotta responsabilità del soggetto responsabile delle pubblicazioni, che egli non potesse autonomamente venire a conoscenza degli atti da pubblicare se non gli venivano comunicati e, in ordine ai componenti del Nucleo di valutazione, ha ricordato che la precedente sentenza di questa Sezione, n. 384/2016, ha ridotto l’addebito al soggetto condannato sulla base di una ritenuta e concorrente responsabilità anche dei membri di tale organo. Infine, ha concordato con la difesa del dott. Maccarone circa la riduzione del quantumdel danno poiché sembrerebbe che egli abbia liquidato solo la somma di € 37.409,23. Ha insistito e concluso affinché la domanda fosse accolta.

6.1. – L’avvocato Lepore, per il convenuto RE, ha rammentato che il suo assistito ha svolto la funzione di Segretario generale dell’Ente per poco tempo e che in ogni caso vi era un soggetto formalmente nominato quale responsabile delle pubblicazioni, ossia il dott. Grasso, il quale era tenuto, unitamente al responsabile di ragioneria, a segnalare al dott. Re la mancata pubblicazione di tali dati. Ha insistito sulla nullità della citazione per genericità e per mancata indicazione degli atti non pubblicati; ha rinviato, quindi, alle Linee Guida ANCI richiamate a pag. 7 della memoria di costituzione, circa la mancata applicazione della norma in questione agli enti locali e, infine, ha ribadito l’eccezione di prescrizione del credito erariale.

6.2. – L’avv. Ricucci per il dott. Maccarone, ha sottolinea che questi è entrato in carica presso il comune di Lucera nel mese di dicembre 2011, e che l’indennità di risultato per tale esercizio è stata erogata qualche mese dopo, e che gli atti sono stati comunque pubblicati sul sito dell’Amministrazione. Nel sottolineare che il P.M. ha accolto la richiesta di riduzione del danno per il suo assistito, ha insistito e ribadito l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nella memoria di costituzione.

6.3. – L’avvocata Cassatella per i convenuti Petito e Papparella, nel condividere le argomentazioni svolte dai colleghi che l’hanno preceduta, si è rimessa agli atti depositati.

6.4. – Il prof. avv. Follieri, in difesa dell’ex Sindaco Dotoli, in via preliminare ha osservato che la pubblicazione dei dati inerenti agli incarichi in argomento vi è stata, anche se postuma, e a tal riguardo ha sostenuto che la norma non prevedeva un termine per svolgere tale incombente: ragion per cui il controllo di trasparenza ivi previsto può essere esercitato anche a distanza di tempo. Sulla abrogazione postuma della norma ad opera del d. lgs. n. 33 del 2013, anche se il P.M. afferma il principio del tempus regit actum, tuttavia ha rilevato che il codice di giustizia contabile non ha chiarito la natura – risarcitoria o sanzionatoria – della responsabilità amministrativa. Di conseguenza, se la fattispecie in parola ha natura sanzionatoria, la successiva abrogazione dovrebbe avere effetto retroattivo, come previsto nel diritto penale e dalla l. 689/1981 in materia di illeciti amministrativi. Diversamente da quanto accadrebbe se si dovesse optare per la natura risarcitoria, applicandosi in tal caso il surrichiamato principio invocato dal P.M. Ha ritenuto, ancora, che i dirigenti che hanno percepito l’indennità non possano essere tenuti fuori dal processo, perché sono i primi a dover conoscere la normativa che regola la loro azione. Ha aggiunto che l’art. 11, comma 9 del d. lgs. n. 150 pone un divieto ma non indica chi ne debba rispondere. Infine, circa l’elemento soggettivo, ha opinato che il Sindaco compie, per i fini di cui trattasi, una verifica che non è di tipo amministrativo o contabile, ma di carattere fiduciario sull’attività svolta dai dirigenti, e che il Dotoli, in quanto dottore in agraria, non era tenuto a conoscere la normativa de qua.

6.5. – In una breve replica, il P.M. ha ricordato che la precedente sentenza di questa Sezione, n. 384/2016, ha affermato che la norma contestata si applica anche agli enti locali dal 2010. Circa la natura e la ratio di tale previsione, ha sostenuto che essa configuri una fattispecie di responsabilità di tipo risarcitorio, perché il suo mancato rispetto incide sulla valutazione della performance. Quanto alla responsabilità del Sindaco, ha dedotto che questi, con il suo nulla osta, ha dato il via libera definitivo alla liquidazione delle indennità per cui è questione. In ordine alla mancata evocazione in giudizio anche dei dirigenti che hanno percepito le indennità, ha reputato che i medesimi non abbiano concorso alla realizzazione del danno perché altri erano i soggetti interessati dal procedimento e perché quasi mai gli stessi percettori di somme indebite vengono evocati in giudizio davanti alla Corte dei conti. Ha precisato quindi, correggendo la precedente affermazione, che la somma di cui si contesta la liquidazione al dott. Maccarone – vale a dire € 49.492,40 – è corretta perché l’importo di € 37.409,23 da questi indicato in realtà è al netto degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, che aggiunti al predetto importo determinano l’ammontare di € 49.492,40. In relazione, infine, alla asserita imputabilità al dirigente di ragioneria di parte del danno, ha richiamato una recente decisione di questa Sezione che ne ha escluso la concorrente responsabilità.

6.6. – In una succinta controreplica, il prof. avv. Follieri ha affermato che dal successivo art. 15 del d. lgs. n. 33 del 2015 emerge la natura sanzionatoria di tale fattispecie.

  1. – La causa è stata, quindi, trattenuta per la decisione.

Considerato in

DIRITTO

  1. – In via preliminare, va esaminata la eccezione di nullità dell’atto di citazione – sollevata da più convenuti – per genericità della medesima e per mancata puntuale confutazione delle deduzioni preprocessuali degli incolpati.

Sul punto, la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. SS.RR., sent. n. 7/98/Q.M.; id., Sez. giur. Lombardia, n. 324/2009; Sez. giur. Puglia, sent. n. 1547/2013 e n. 203/2015; Sezione giur. Lazio, sent. n. 330/2015), da cui il collegio non ha motivo di discostarsi, ritiene che nell’atto di citazione il P.M. non abbia l’obbligo di motivare puntualmente le ragioni in base alle quali egli disattende le deduzioni presentate, né tanto meno risulta che tale obbligo sia stato introdotto dal decreto legislativo n. 174 del 26 agosto 2016, recante il codice della giustizia contabile (“c.g.c.”) il quale negli artt. 86 e 87 non lo contempla tra le cause di nullità della citazione; ragion per cui l’esame valutativo delle deduzioni dell’invitato ben può essere espresso dal P.M. in modo sintetico o generico, o essere persino implicito nel fatto stesso che viene emesso l’atto di contestazione della responsabilità amministrativa, il quale poi, nel caso di specie ha anche richiamato, in punto di applicabilità agli enti locali del decreto legislativo n. 150/2009, il precedente di questa Sezione, reso con sentenza n. 384/2016 su un analogo caso.

La suddetta eccezione si palesa, pertanto, infondata, così come quella con cui talune difese contestano la indeterminatezza della citazione, il cui contenuto, al contrario di quanto dedotto, descrive in modo chiaramente percepibile la fattispecie di responsabilità amministrativa portata all’attenzione di questo giudice, la quale trae origine dalla violazione di un preciso obbligo di legge, contenuto nell’articolo 11, commi 8 e 9 del nominato decreto. Così come parimenti definiti sono il comportamento contestato ai convenuti e gli altri elementi soggettivi ed oggettivi dell’illecito loro addebitato, tra i quali ultimi peraltro ben emergono, sia pure de relato, gli atti di incarico per i quali è stata omessa la pubblicazione, trovando essi puntuale indicazione nei prospetti dal n. 5) al n. 7) contenuti negli allegati da sub 9) a sub 11B) alla denuncia della G.d.F. (la quale costituisce notizia specifica e concreta di danno erariale).

  1. – Nel merito, respinta preliminarmente l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto Re (per genericità della citazione) per le medesime ragioni espresse nel superiore paragrafo, ad avviso del collegio la domanda attorea merita accoglimento.

Ai fini del decisum, è bene svolgere una breve ricostruzione normativa per meglio comprendere il significato e la portata delle disposizioni violate, posta alla base dell’azione di responsabilità di cui al presente giudizio, e costituite dall’art. 11, commi 8 e 9, del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, che recitano per la parte che qui occupa:

«8. Ogni amministrazione ha l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale in apposita sezione di facile accesso e consultazione, e denominata: “Trasparenza, valutazione e merito”: lettera a) omissis; lettera i) gli incarichi, retribuiti e non retribuiti, conferiti ai dipendenti pubblici e a soggetti privati.

  1. In caso di… mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui ai commi 5 e 8 è fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti» (la disposizione in esame è rimasta in vigore sino alla sua abrogazione, intervenuta per effetto dell’art. 53, comma 1, lett. B, del D. lgs. 14.03.2013, n. 33, contestualmente sostituita, con modificazioni, dall’art. 15 dello stesso decreto).

Va premesso, sul punto, che già la L. 7 agosto 1990, n. 241, al comma 1 (vigente ratione temporis) aveva stabilito che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge – principio di legalità-indirizzo, in attuazione dell’art. 1 Cost. – ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla stessa legge e dai principi dell’ordinamento comunitario.

La legge sul procedimento amministrativo dunque già postulava – all’epoca dei fatti contestati – che tra i principi guida dell’azione amministrativa vi fossero quelli di trasparenza e di pubblicità, quali corollari della regola costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., in quanto tali finalizzati a consentire il controllo sulla regolarità delle procedure amministrative da parte dei soggetti interessati e/o della collettività, e a garantire l’esercizio del diritto di difesa consacrato nell’articolo 113 della Costituzione.

Il decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150 (nel prosieguo, anche “decreto” o la “legge”), nell’operare una riforma organica del rapporto di lavoro pubblico nell’ottica dell’incremento della sua produttività, efficienza e trasparenza, ha particolarmente ampliato tali principi introducendo il concetto di trasparenza totale della prestazione delle funzioni e dei servizi erogati dalle amministrazioni pubbliche, al fine di consentire un controllo diffuso su di essi del cittadino, anche a garanzia della legalità dell’azione dei pubblici poteri.

In questa prospettiva, la trasparenza è divenuta talmente importante da essere intesa come «accessibilità totale di tutte le informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità».

Il comma 3 dell’art. 11 del decreto ha imposto, poi, a tutte le amministrazioni pubbliche di garantire «la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance» (ossia nell’ambito del percorso di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche), evidentemente allo scopo di consentire forme diffuse di verifica dell’operato di chi agisce in nome e per conto della P.A., aventi per oggetto, a mente del comma 8 sopra citato, anche il controllo dello svolgimento, da parte di tali soggetti, dell’attività di gestione direttamente piuttosto che mediatamente, attraverso il ricorso a collaborazioni esterne (ciò che comporta, evidentemente, ulteriore dispendio di risorse economiche per la stessa P.A.).

È per tale ragione che questo comma ha imposto ad “ogni amministrazione” di pubblicare sul proprio sito istituzionale, nell’apposita sezione di facile accesso e consultazione denominata “Trasparenza, valutazione e merito” (tra gli altri) gli incarichi, retribuiti e non retribuiti, conferiti a soggetti estranei all’apparato amministrativo.

Di conseguenza, le nuove norme non potevano non applicarsi anche agli enti locali, perché da un lato costituivano diretta attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento postulati dall’art. 97 della Costituzione; dall’altro rientravano nel nucleo del livello essenziale delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, erogate dalle amministrazioni pubbliche che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale giusta l’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione (cfr. l’art. 11, comma 1 del citato d. lgs. n. 150 del 2009). Il quale ultimo consente allo Stato, in tale ambito materiale, di legiferare nell’esercizio della propria potestà esclusiva, imponendo obblighi di trasparenza a tutte le PP.AA., incluso quelle dotate di autonomia legislativa come le Regioni e le Province autonome (e perciò, a maggior ragione agli enti locali).

Detto in altri termini, l’obbligo della PA di dotarsi di una organizzazione effettivamente efficace e trasparente costituisce un predicato necessario e ineludibile dei predetti precetti di rango costituzionale, che deve essere garantito da parte di tutti i soggetti istituzionali e a qualsiasi livello di governo, per esigenze di uniformità e in un quadro di garanzia e di tutela del cittadino omogeneo ed unitario.

Tali previsioni (commi 1 e 3 dell’art. 11), di cui la stessa legge ne ha dichiarato esplicitamente l’applicazione immediata anche negli enti locali – cfr. al riguardo l’art. 16, comma 1 del medesimo decreto n. 150 –, sono state dunque integrate e attuate (ai fini del percorso di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche) non solo dal successivo comma 8 dello stesso art. 11, ma anche dal comma 9, il quale ha previsto un’automatica conseguenza di legge (il divieto di erogazione dell’indennità di risultato) in caso di inadempimento degli obblighi di pubblicazione di cui al precedente comma 8.

Ragion per cui, attesa la natura e la ratio dei principi di accessibilità totale e di trasparenza posti dai richiamati commi 1 e 3 dell’art. 11, non può revocarsi in dubbio, anche da un punto di vista sistematico, che la pubblicazione degli atti amministrativi appena indicati (nello speciale sito di ciascuna amministrazione) costituisse un obbligo attuativo di quegli stessi principi, in quanto funzionale a garantire quel controllo civile e sociale (che appartiene al nucleo essenziale delle prestazioni sopra detto) sull’imparzialità e sull’efficientamento del lavoro pubblico e del ciclo della performance, che costituivano gli obiettivi di fondo del predetto corpus normativo.

È per tale motivo che, probabilmente, l’ANCI con le Linee Guida del settembre 2010, e ancor prima il Dipartimento della Funzione pubblica, con la circolare esplicativa n. 1/2010 del 14.1.2010 (documentazione prodotta dalla pubblica accusa) si erano pronunciati (pur senza dare adeguata motivazione) nel senso che la normativa sopra richiamata: i) si applicasse anche agli enti locali; ii) che l’obbligo di pubblicità previsto dalla norma dell’articolo 11, comma 8, si aggiungesse a quelli preesistenti e previsti da specifiche normative e che costituisse strumento per garantire l’accessibilità totale in relazione alla valutazione dei dipendenti pubblici di cui al precedente comma 3; iii) che fosse diretta alla realizzazione del principio di trasparenza inteso come accessibilità totale delle informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività di tutte le Pubbliche Amministrazioni presenti sul territorio dello Stato: cfr., sul punto le predette Linee Guida, nel prospetto allegato sub “A”, nella parte afferente ai “Dati relativi ad incarichi e consulenze” dove, in riferimento all’art. 11, comma 8, rinvia alla predetta circolare del D.F.P., la quale a sua volta, nelle pagg. 2, 3 e 4 (specie nell’ultima), rammenta il divieto di erogazione della retribuzione di risultato e raccomanda a tutte le amministrazioni  – di cui all’art. 1, comma 2 del d. lgs. n. 165 del 2001, cui la circolare era rivolta – di curare con la massima attenzione tali adempimenti.

Ne consegue, sul piano sia logico che giuridico, che anche agli enti locali si applicasse il successivo comma 9 del ridetto art. 11 (che contemplava il divieto per cui è questione), in quanto intimamente correlato alla violazione dei precetti posti dai superiori commi 1, 3 e 8, che fissavano un puntuale e fondamentale obiettivo strategico, di primaria rilevanza nel sistema organizzativo della P.A. (ossia la trasparenza intesa in termini di accessibilità totale e di controllo sociale mirato sulle prestazioni dei pubblici dipendenti).

Svolta questa necessaria premessa, di carattere prioritario da un punto di vista logico e giuridico – la quale vale a confutare la principale obiezione sollevata dagli odierni convenuti in punto di inapplicabilità della riferita disciplina normativa alle autonomie locali e si muove nel solco (sia pure con le ulteriori argomentazioni e precisazioni appena svolte) della precedente decisione di questa Sezione n. 384 del 2016 e della Sez. Lazio n. 81 del 2015 e n. 323 del 2016 –, può ora passarsi alla disamina della presente fattispecie, in ordine alla quale la Sezione ritiene che la violazione dei chiari, precisi e superiori obblighi di legge citati facesse discendere altrettali obblighi di servizio in capo a tutti i convenuti nel presente giudizio, i quali, ciascuno per la propria parte, hanno concorso con le loro condotte alla causazione del danno per cui è questione, con atteggiamento soggettivo sicuramente caratterizzato dall’elemento della colpa grave.

  1. – A tale ultimo riguardo, deve reputarsi che proprio la presenza di atti interpretativi provenienti da organi sicuramente qualificati e di riferimento per l’orientamento dell’attività degli operatori politici e amministrativi degli enti locali, vale a dire il citato documento dell’ANCI (l’Associazione nazionale dei comuni italiani) e la Circolare del DFP (indirizzata a tutte le PP.AA., ivi inclusi gli enti locali) ed emanati i concomitanza ai fatti di causa, connota in termini di grave superficialità e inescusabile noncuranza e leggerezza le condotte tenute dagli odierni prevenuti in punto di mancata osservanza degli obblighi di trasparenza sopra individuati; i quali soggetti, reputa il giudicante, per la funzione ricoperta, dovevano essere in grado di conoscere, verificare e rettamente applicare tali precetti normativi.
  2. – Non possono essere condivise, al riguardo, le diverse eccezioni svolte dai convenuti.

4.1. – In primo luogo, come rilevato nel corso del dibattimento dal P.M., è corretta la somma contestata dalla Procura a titolo di retribuzione dell’indennità di risultato ai dirigenti per l’anno 2011, atteso che l’importo di € 37.409,23 indicato dal deducente dott. Maccarone è al netto degli oneri riflessi a carico del datore di lavoro, che assommati al precedente valore determinano l’importo complessivo lordo pari a € 49.492,40 (ciò si apprezza dall’allegato alla stessa determinazione n. 149/2012).

4.2. – Alle obiezioni relative alla mancata costituzione della specifica sezione sul sito web del Comune, che avrebbe impedito ai dirigenti la pubblicazione degli incarichi, e alla pubblicazione di tali atti attraverso altre forme di pubblicità legale tali da assicurare aliunde le esigenze di trasparenza richieste dalla norma de qua, è agevole opinare che, sotto il primo profilo, la istituzione della specifica sezione sul sito web di facile accesso e consultazione (denominata “Trasparenza, valutazione e merito”) costituiva un previo e ineludibile obbligo di legge per gli enti locali, della cui attuazione doveva farsi carico la stessa Amministrazione comunale, e per essa il Sindaco nella sua qualità di organo apicale della medesima, tenuto a sovrintendere al regolare funzionamento dei servizi dell’ente (ex art. 50, commi 1 e 2 del D. lgs. n. 267 del 18/8/2000, c.d. TUEL) e alla predisposizione, per quanto qui interessa, dei meccanismi atti a consentire l’attuazione delle misure in tema di trasparenza, che molteplici disposizioni di legge affidavano al Comune, ravvisandosi nella sua condotta estremo disinteresse per la programmazione delle relative attività. Tale obbligo non poteva essere ignorato se non con colpa grave dall’allora primo cittadino, cui è imputabile l’adozione di scelte di fondo quale quella che occupa, in grado di garantire il pieno coinvolgimento del medesimo Ente (e dei lavoratori ad esso assegnati) per assicurare la compiuta operatività delle misure organizzative imposte alle PP.AA. in attuazione della legge Brunetta.

Il secondo profilo è stato già preso in considerazione dalla richiamata precedente pronuncia n. 384/2016 di questa Sezione, la quale ha chiarito che l’istituzione della specifica sezione richiesta dal decreto n. 150 per la pubblicazione dei dati di cui trattasi ha una diversa funzione rispetto a quella cui assolve l’albo pretorio, anche se informatizzato (ex lege n. 69 del 18 giugno 2009, art. 32, comma 1), che è deputata a garantire la pubblicità legale degli atti e dei provvedimenti ivi posti, “mentre l’accessibilità totale (id est la trasparenza) presuppone, invece, l’accesso da parte dell’intera collettività a tutte le “informazioni pubbliche”, secondo il paradigma della “libertà di informazione” dell’open government di origine statunitense (vds. delibera C.I.V.I.T. n. 105/2010, cit.), con lo scopo di assicurare la costruzione di quella “casa di vetro” (Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, presentazione ai “vent’anni di trasparenza”), cui la pubblica amministrazione deve atteggiarsi nei rapporti con il cittadino”.

4.3. – Va respinta altresì la deduzione difensiva secondo cui non può obliterarsi il ruolo (almeno in via concausale) dei soggetti responsabili della comunicazione all’anagrafe delle prestazioni, i quali avrebbero omesso di comunicare ai dirigenti e agli altri attori dell’odierna vicenda, la mancata ricezione dei dati inerenti agli incarichi da pubblicare, per un duplice ordine di motivi.

In primo luogo, il dott. Grasso e il dott. Aquilano erano stati nominati, all’interno del comune di Lucera, “responsabili delle comunicazioni all’Anagrafe delle prestazioni ex art. 53, commi 12 e seguenti del D. L.vo n. 165/2001 e ss.mm.ii.” (cfr. il provvedimento prot. n. 2089 del 20.1.2010). Il citato art. 53, commi 12 e seguenti pone a carico delle pubbliche amministrazioni conferenti l’obbligo di comunicare semestralmente gli incarichi di consulenza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Funzione Pubblica (in difetto, vi è il divieto di conferimento di nuovi incarichi); dunque, i medesimi avevano un compito ben diverso da quello sotteso e previsto dalla norma in rassegna, vale a dire la pubblicazione in apposita sezione del sito web del Comune dei dati inerenti ai predetti incarichi per finalità di trasparenza. In secondo luogo, se pure si volesse ritenere loro attribuito tale compito (il che non è evincibile, come detto, dal prefato provvedimento) non sarebbe certamente ad essi imputabile l’omessa pubblicazione dei dati de quibus a causa della mancata previa trasmissione di tali informazioni da parte degli stessi soggetti conferenti gli incarichi.

4.4. – Al contrario di quanto dedotto dai componenti del Nucleo di valutazione, secondo cui la funzione da essi svolta nella determinazione dell’indennità di risultato sarebbe meramente istruttoria e non deliberativa, e che la loro responsabilità dovrebbe escludersi anche perché nelle relazioni autocertificate dei dirigenti mancava qualsivoglia riferimento all’affidamento di incarichi interni ed esterni, è appena il caso di osservare quanto segue.

I membri del predetto organo agivano, ai fini della corresponsione dell’indennità di risultato ai dirigenti e ai funzionari investiti delle posizioni organizzative, nell’ambito di una loro precipua competenza, ad essi intestata sia dalla legge(cfr. il D. Lgs. 30/7/1999 n. 286, vigente all’epoca dei fatti), che dal regolamento interno sul funzionamento del Nucleo di valutazione, il quale nella formulazione allora in vigore, all’art. 6 testualmente prevedeva “L’attività del Nucleo ha per oggetto: a)- La valutazione delle prestazioni del personale con qualifica dirigenziale; b)- La valutazione dell’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti. c)- Il supporto all’attività di programmazione strategica e di indirizzo politico amministrativo di competenza degli organi di governo; d)- Il supporto ai dirigenti per l’attivazione di azioni correttive in relazione alle criticità rilevate nell’attuazione degli obiettivi e nei comportamenti direzionali; e)- La consulenza al sindaco ed alla giunta su ogni questione che possa avere riflessi sulla valutazione del personale dirigenziale e sul controllo strategico di cui all’art.6 del D.Lgs. 30.07.1999, n.286”.

In questa prospettiva, la valutazione delle prestazioni svolte dal personale con qualifica dirigenziale non poteva prescindere dalla verifica del raggiungimento del fondamentale obiettivo di trasparenza normativamente imposto, che assumeva carattere assolutamente prioritario rispetto ad altri eventuali obiettivi strategici, attesa la natura e la ratio del decreto Brunetta (che prevedeva uno puntuale divieto in caso di mancato adempimento da parte dei dirigenti coinvolti). Si ribadisce, inoltre, che l’eventuale ricorso a collaborazioni esterne da parte dei dirigenti integra sicuramente un parametro utile ai fini dell’attività di valutazione, perché consente di verificare se il dirigente è stato in grado di raggiungere in autonomia gli obiettivi assegnati, piuttosto che avvalersi della collaborazione di soggetti esterni. Detto in altri termini, la verifica del raggiungimento di tale risultato di trasparenza costituiva un atto dovuto non solo ai fini della liquidazione in parola, ma anche ai fini della intrinseca valutazione dell’attività gestionale, che non poteva assolutamente essere obliterato dall’organo a tanto preposto, specie ove si consideri che, a termini di regolamento il Nucleo aveva anche il compito di supportare sia gli organi di governo che gestionali in merito alla programmazione strategica, alla valutazione del personale dirigenziale, all’attivazione delle azioni correttive ai fini dell’attuazione degli obiettivi e dei comportamenti direzionali, tra i quali assumono qui rilievo, come detto, quelli finalizzati ad attuare gli obblighi di trasparenza prescritti dai commi 1, 3, 8 e 9 dell’art. 11 del citato decreto.

In conclusione, la previa conoscenza della fonte normativa violata, e la verifica della ricorrenza di un antecedente normativo condizionante l’erogazione della retribuzione di risultato, costituivano comportamenti sicuramente e normalmente esigibili da parte dei componenti di un organo, quale il Nucleo di valutazione, cui la legge e il regolamento interno dell’Ente locale intestavano precipue funzioni non solo di valutazione dell’attività gestionale dei dirigenti, ma anche di impulso in ordine alla messa a sistema di misure e azioni finalizzate al rispetto di tale presupposto. E tanto a prescindere da eventuali omissioni dei dirigenti stessi conferenti gli incarichi o di altri soggetti: in tale ruolo, detto organo avrebbe perciò dovuto valutare tale presupposto, non essendo certo plausibile che in un Comune di dimensioni importanti come quello di Lucera (circa 30.000 abitanti) non fosse stato affidato alcun incarico in nessuno degli anni di riferimento.

Tali omissioni, dunque, viziano irrimediabilmente la loro condotta, in termini di colpa sicuramente grave.

4.5. – Quanto alla concorrente responsabilità del dirigente della Ragioneria, opina il collegio che non era certamente compito suo verificare se nelle relazioni del Nucleo di Valutazione e nelle determinazioni dei dirigenti che via via hanno disposto la liquidazione della indennità di cui trattasi, fossero stati rispettati tutti i presupposti normativi richiesti dalla legge ai fini di una valutazione positiva dei medesimi dipendenti, e se nulla ostasse alla erogazione di tale emolumento. Se davvero si accogliesse tale assunto, dovrebbe concludersi che allo stesso sia ascritta, in sede di apposizione del visto sulle determine di liquidazione (diverso è il caso dei pareri di regolarità contabile sulle proposte di deliberazione o del visto sui provvedimenti di impegno), una responsabilità oggettiva, perché diverrebbe il titolare di un controllo di legittimità di tutta l’azione amministrativa che è sfociata nella liquidazione di una spesa. Ma tale interpretazione contrasterebbe con il dettato normativo e risulterebbe sicuramente praeter legem, perché l’art. 184, commi 2 e ss. del citato TUEL testualmente assegnano all’ufficio che ha dato esecuzione al provvedimento di spesa il riscontro di legittimità della prestazione sottesa, rimettendo al servizio finanziario, cui l’atto di liquidazione deve essere trasmesso unitamente ai relativi documenti giustificativi ed ai riferimenti contabili, i conseguenti adempimenti. Il quale servizio finanziario effettua, secondo i princìpi e le procedure della contabilità pubblica, i controlli e riscontri amministrativi, contabili e fiscali sugli atti di liquidazione, ma non è certo tenuto a verificare la ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto fondanti il provvedimento di liquidazione, perché tale compito compete al dirigente che ha adottato la relativa determinazione (in senso conforme, anche il principio contabile n. 2, predisposto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, al par. 91, vigente ratione temporis, secondo cui in fase di liquidazione la verifica della completezza della documentazione prodotta e della idoneità della stessa a comprovare il diritto del creditore fosse appannaggio del dirigente che liquida la spesa).

4.6. – Vanno altresì confutati gli argomenti in forza dei quali le difese dei segretari generali Re e Maccarone deducono di non aver potuto avvedersi del mancato rispetto degli obblighi previsti dalla normativa in oggetto a causa del recente insediamento o della mancata comunicazione dell’affidamento degli incarichi in argomento da parte di qualsivoglia soggetto all’interno del Comune.

Sotto il profilo causale, ad avviso del collegio il danno è anche a loro direttamente imputabile, in quanto vi era una norma impeditiva dell’erogazione dell’indennità, e non può certo reputarsi che la verifica del rispetto di tale precetto esulasse dalle loro competenze nel momento in cui hanno liquidato la relativa spesa, specie in virtù del loro ruolo apicale all’interno dell’Ente locale, che a maggior ragione li richiamava alla verifica del rispetto di quanto richiesto dal testé citato art. 184, commi 2 e ss. del TUEL. Tale elemento rileva particolarmente sotto il profilo della colpa grave, perché essi erano nella posizione funzionale di dover conoscere il fatto che il sito di cui all’art. 11, comma 8, del D.lgs. n. 150 del 2009 non fosse stato istituito, e che gli incarichi di consulenza conferiti dai vari dirigenti non fossero stati pubblicati secondo legge, essendo loro preciso dovere quello di verificare la sussistenza di eventuali condizioni ostative ai fini della liquidazione delle indennità di risultato.

4.7. – Non colgono nel segno nemmeno le ulteriori eccezioni difensive presentate in massima parte dall’allora sindaco Dotoli.

  1. A) In primo luogo, l’avvenuta pubblicazione degli atti di incarico affidati dal comune di Lucera per gli anni 2010 e 2011, a distanza di ben sei-sette anni, nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito” del sito webdel comune di Lucera, non può certo valere ad escludere il danno erariale che occupa.

Se pure è vero che la normativa vigente all’epoca non stabilisse alcun termine entro il quale eseguire tale adempimento, è altrettanto vero (come correttamente osservato dal P.M. in udienza) che la pubblicazione di tali dati, essendo prevista quale fattore condizionante l’erogazione della retribuzione di risultato per la gestione svolta nell’esercizio precedente, non poteva che trovare quale preciso e concreto riferimento temporale proprio quello della conclusione del ciclo di gestione della performance, che coincide con la fine dell’anno, o al limite un termine breve successivo alla chiusura del periodo di svolgimento dell’attività gestionale. Tanto è vero che ora, l’art. 15, comma 4 del D. Lgs. 14.03.2013, n. 33 prevede il termine ultimo di tre mesi dal conferimento dell’incarico entro cui pubblicare le informazioni in parola. L’eventuale pubblicazione a distanza di molti anni, sicuramente vanifica le esigenze e snatura la ratio sottese al decreto n. 150, che sono quelle di consentire un controllo diffuso sull’attività gestionale dei pubblici apparati che, per essere effettivo e concreto, deve poter essere esercitato nell’immediatezza e non certo a distanza di tanti anni (al riguardo, il citato art. 15, comma 4 del D. lgs. n. 33/2013 ha stabilito che la pubblicazione di tali dati debba permanere per “tre anni successivi alla cessazione dell’incarico conferito”).

Va anche considerato, sul punto, che quando la legge o il regolamento interno dell’ente pubblico non prevedono il termine di conclusione di un dato procedimento, la citata L. 241 del 1990, che è legge “breve” sul procedimento amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 7.6.1999, n. 14; id., Cons. Stato, V, 18.6.2008 n. 2991), all’art. 2, comma 2, nella formulazione vigente ratione temporis (da leggere in combinato disposto con l’art. 29, comma 2-bis e 2-quater), ha stabilito il termine “ordinario” di trenta giorni per la definizione di qualunque procedimento. Ragion per cui tale termine, in difetto di diversa previsione normativa interna (nella specie non sussistente) costituiva un sicuro parametro di riferimento per adempiere anche all’obbligo di cui trattasi.

  1. B) Nemmeno può assumere rilievo la successiva, intervenuta abrogazione dell’art. 11 d.lgs. n. 150 del 2009 e, quindi, anche del divieto posto dal nono comma, da parte dell’art. 53, comma 1, lett. i), del ridetto D. lgs. n. 33 del 2013, così come la asserita natura “sanzionatoria” della disposizione de qua, che richiederebbe, perciò solo, l’attualità della violazione.

Osserva, sul punto, il collegio, che solo in ambito penale vale il principio dell’applicazione retroattiva della lex mitior (ex art. 2 c.p.), quale corollario del principio del favor rei, costituzionalmente garantito (secondo autorevole dottrina, sulla base dell’art. 3 e del principio di uguaglianza sostanziale e della parità di trattamento). In materia opera invece il principio del tempus regit actumprevisto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ. (c.d. preleggi), secondo cui la legge ordinariamente dispone solo per l’avvenire, non potendo avere efficacia retroattiva se non in base ad una espressa previsione. Ciò comporta che lo ius superveniens si applichi esclusivamente (salvo il caso in cui la legge stessa, come detto, non disponga anche per il passato) alle fattispecie sorte successivamente alla sua entrata in vigore. Ne consegue che la norma preesistente continua ad essere applicata ai rapporti sorti durante il tempo in cui era vigente, anche se successivamente intervenga una nuova norma che regoli diversamente la stessa fattispecie.

L’eccezione de qua non può dunque, valere ai fini della valutazione della responsabilità amministrativa, anche considerando che la condanna per danno erariale presuppone l’attualità del medesimo e non certo della violazione, come sostenuto dal convenuto. Danno che è certamente attuale, perché disceso dalla violazione gravemente colposa di un preciso e chiaro obbligo normativo, vigente all’epoca in cui la condotta è stata posta in essere, cui è conseguita una spesa indebita per l’ente locale.

L’affermazione della natura sanzionatoria della fattispecie di responsabilità amministrativa dedotta nell’odierno giudizio non è, inoltre, conferente, anche per le seguenti ragioni.

In primo luogo, la norma de qua sembra configurare piuttosto una fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa, che rientra nel solco della “consuetudine” piuttosto consolidata del Legislatore degli ultimi anni, di introdurre divieti, vincoli ed obblighi di condotta nella gestione della cosa pubblica, fondati su precisi indici rilevatori di patologia gestionale. Ma anche quando tali fattispecie siano direttamente correlate ad una conseguente sanzione (che può consistere sia nell’invalidità dei provvedimenti e degli atti viziati, che in una vera e propria sanzione pecuniaria), non può certo dirsi che la responsabilità amministrativa assuma una connotazione esclusivamente sanzionatoria in luogo di quella risarcitoria-riparatoria tradizionale, o che la prima prevalga sulla seconda.

Va osservato, al riguardo, non solo che – nella teoria generale del diritto – appartiene al concetto di sanzione anche la funzione riparatoria, la quale concerne i risultati del comportamento illecito, al fine di eliminarne gli effetti negativi. Ma anche che la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, di recente (Rigolio c. Italia, 13 maggio 2014), ha affermato che la condanna della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa è volta al risarcimento di un pregiudizio economico e non già alla comminatoria di una pena o di una sanzione amministrativa. In tale prospettiva, ad avviso del giudice comunitario, la responsabilità amministrativa, su cui giudica la Corte dei conti, ha natura essenzialmente risarcitoria (quindi non “sanzionatoria”, né tanto meno “punitiva”). In tal modo la CEDU ha nettamente distinto l’ambito della responsabilità erariale, non ammettendone una assimilazione, nemmeno ai fini dell’applicazione della Convenzione, ai giudizi penali o anche amministrativo-sanzionatori, come invece avvenuto, sempre con riferimento allo Stato italiano, con la sentenza Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014 [la sentenza Rigolio è inoltre stata menzionata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale nella sentenza sent. n. 28/2015/QM del 18 giugno 2015, che nel decidere una questione di massima relativa al diritto di accedere agli atti a seguito di “invito a dedurre” nelle istruttorie svolte dal pubblico ministero contabile, ha precisato che il rinvio dinamico contenuto nell’ art. 26 del R.D. 1038 del 1933 si fonda su un’essenziale esigenza sistematica, “legata principalmente alla natura dell’oggetto della cognizione che, con la sua struttura contrattuale-extracontrattuale si inserisce nell’archetipo della responsabilità patrimoniale, a prevalente funzione risarcitoria-recuperatoria (cfr. Corte EDU, sent. del 13 maggio 2014, Rigolio vs. Italia), in disparte alcune ipotesi di responsabilità sanzionatoria, anch’essa patrimoniale, che comunque non partecipano del carattere afflittivo della libertà personale”].

In secondo luogo, la stessa legge 24.11.1981, n. 689 (che peraltro, riguarda la depenalizzazione di precedenti fattispecie di rilevanza penale), citata dal convenuto, all’art. 1, in attuazione del principio di legalità, postula il medesimo principio del tempus regit actum anche nello specifico ambito dell’applicazione delle sanzioni amministrative (“Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”).

  1. C) Il divieto di erogazione della retribuzione di risultato non può riguardare anche il dirigente conferente l’incarico che abbia colpevolmente trascurato di tramettere le informazioni necessarie a garantire la pubblicazione nell’area dedicata del sito istituzionale, perché come correttamente affermato da questa Sezione nel precedente sopra richiamato, tale circostanza “rileva certamente ex se, in forza dell’art. 54 della legge n. 244 del 2007 che, modificando l’art. 1, comma 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha stabilito che le PA «sono tenute a pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto», ma non nel presente contesto. Infatti, tale previsione non elide ma integra la disposizione in predicato la quale, a fronte dell’omessa pubblicazione, intende responsabilizzare le strutture preposte alla valutazione della dirigenza in chiave legalistica, affinché si affermi un chiaro raccordo tra l’azione amministrativa, auspicatamente sempre più performante, e la trasparenza – in chiave di accessibilità – degli atti mediante cui si realizzano gli obiettivi perseguiti”. E rileva anche ai fini del successivo e sopra richiamato art. 15, comma 3 del D. Lgs. 14.03.2013, n. 33, il quale testualmente ed espressamente prevede la responsabilità disciplinare del dirigente che ha conferito l’incarico in caso di omessa pubblicazione dei dati inerenti all’affidamento del medesimo, e comporta il pagamento di una sanzione, da parte sua, pari alla somma corrisposta.

Di conseguenza, ai predetti dirigenti può imputarsi certamente il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione dei dati inerenti agli incarichi de quibus, e dunque del mancato raggiungimento di un fondamentale obiettivo strategico, normativamente imposto; ma tale comportamento non può porsi in causale dipendenza con l’erogazione percepita e dunque con il danno per cui è causa. Il quale può ricollegarsi solo alle condotte tenute dai soggetti preposti alla valutazione dei dirigenti e alla liquidazione della indennità de qua, i quali erano tenuti a rilevare, in sede di verifica della sussistenza dei presupposti per la corretta liquidazione della retribuzione di risultato, che tale obiettivo fosse stato raggiunto (e quindi adempiuto il sottostante obbligo di trasparenza); e tali soggetti sono stati – reputa la Sezione – correttamente evocati in giudizio dal pubblico attore.

  1. D) Quanto alla mancanza dell’elemento soggettivo della colpa grave nell’ex sindaco Dotoli, val la pena rammentare che tutto il sistema di valutazione della dirigenza, conseguente alle riforme della pubblica amministrazione degli anni ‘90 – che hanno introdotto il principio di separazione delle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo, appannaggio dell’organo politico, da quelle gestionali, di competenza della dirigenza (cfr. il D. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 e ss.mm.ii.; le leggi c.dd. Bassanini n. 59 e 127 del 1997 e n. 191 del 1998, che hanno portato a compimento tale processo negli enti locali; il D. Lgs. 30.7.1999 n. 286, relativo agli strumenti di valutazione dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, di cui, in particolare l’art. 5) – si basano sul principio secondo cui l’organo politico fissa le linee direttrici e gli indirizzi programmatici e strategici dell’Amministrazione, e assegna ai dirigenti le necessarie risorse umane, finanziarie e strumentali affinché questi possano realizzare tali obiettivi, il cui grado di raggiungimento rileva in termini di erogazione della retribuzione di risultato (la quale, com’è noto, costituisce una parte variabile del trattamento economico del dirigente, specificamente prevista quale incentivo per il raggiungimento dei programmi stabiliti).

A tal riguardo, l’art. 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. Testo unico del pubblico impiego, non solo nel testo vigente ratione temporis, ma anche prima e dopo i fatti di causa), assegna agli organi di governo il compito di definire “gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni”, e di verificare “la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: … b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione; c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale”.

A livello di fonte normativa degli enti locali, tali disposizioni hanno trovato riconoscimento negli artt. 50, 88, 89, 97, comma 4, 107, comma 1, 147 e 169, del citato TUEL.

Alla luce di tali previsioni, non è dunque revocabile in dubbio che il Dotoli, in qualità di capo dell’Amministrazione comunale e quindi come organo di governo dell’ente, fosse tenuto ad introdurre, a livello organizzativo generale, le pregnanti novità introdotte dal decreto n. 150 del 2009, e ad attribuire specificamente a monte, ai dirigenti, gli obiettivi di trasparenza ivi imposti; e di verificarne, a valle (anche per il tramite del Nucleo di valutazione), il conseguente raggiungimento, pena il divieto di erogazione dell’indennità di risultato. Così come era tenuto a provvedere ad individuare (giusta l’art. 50, comma 12, e 109, comma 1 del TUEL) il responsabile della trasparenza, la cui nomina (avvenuta solo nell’anno 2014) avrebbe probabilmente consentito di mettere in luce gli inadempimenti in questione.

E)Per quanto sopra detto, non può trovare favorevole riscontro l’ulteriore e subordinata eccezione, secondo cui l’obbligo per i Comuni di applicare la prefata normativa sarebbe entrato in vigore quanto meno dopo il 31.12.2010.

  1. –In conclusione si ravvisano in capo ai convenuti, pienamente sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa per il danno erariale arrecato alle finanze del comune di Lucera.

L’importo loro contestato, pari a complessivi € 92.983,47, ad essi addebitato in parti uguali in proporzione alle fattispecie alle quali hanno concorso, e così ripartito:

– € 8.691,28 a carico di Filippo Re;

– € 8.691,28 a carico di Vecchiarino Giuseppe;

– € 12.373,10 a carico di Maccarone Raffale Mario;

– € 21.071,31 a carico di Dotoli Pasquale;

– € 21.071,31 a carico di Papparella Marianna;

– € 21.071,31 a carico di Petito Andrea,

va, però, considerevolmente abbattuto, in misura pari al 50% dell’importo suddetto e con assorbimento della rivalutazione monetaria, in applicazione del potere riduttivo dell’addebito, ex art. 52, t.u. C.d.c., in relazione alle seguenti circostanze da valutarsi in favore dei condannati: a) la complessità del procedimento, che involgeva diversi attori, nessuno dei quali ha fatto rilevare all’altro l’omissione in parola; b) la recente introduzione della norma contestata, anche se tempestivamente chiarita con i sopra indicati orientamenti interpretativi di organi qualificati; c) il raggiungimento degli altri obiettivi assegnati da parte dei dirigenti valutati dal Nucleo di valutazione; d) il recente insediamento e avvicendamento dei segretari comunali convenuti; e) l’avvenuta pubblicazione, anche se a distanza di molti anni, dei dati in argomento.

In definitiva, concordando con la ripartizione proposta dal P.M. (come ridotta in virtù dell’applicazione del citato potere riduttivo), costoro dovranno rispondere come di seguito:

– Re Filippo per € 4.345,64;

– Vecchiarino Giuseppe per € 4.345,64;

– Maccarone Raffale Mario per € 6.186,55;

– Dotoli Pasquale per € 10.535,65;

– Papparella Marianna per € 10.535,65;

– Petito Andrea per € 10.535,65.

Per l’effetto, i convenuti vanno condannati a restituire alle finanze del comune di Lucera i predetti importi, pari all’ammontare complessivo di € 46.491,73, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.

  1. – La condanna alle spese del giudizio, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia, definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 33418 del registro di segreteria, così provvede:

1) accoglie la domanda risarcitoria proposta e, per l’effetto condanna i seguenti soggetti al risarcimento del danno, a favore del comune di Lucera, dell’importo complessivo di € 46.491,73, nelle misure di seguito indicate:

– Re Filippo, per € 4.345,64;

– Vecchiarino Giuseppe, per € 4.345,64;

– Maccarone Raffale Mario, per € 6.186,55;

– Dotoli Pasquale, per € 10.535,65;

– Papparella Marianna, per € 10.535,65;

– Petito Andrea, per € 10.535,65,

oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.

2) condanna altresì i predetti convenuti al pagamento, in parti uguali, delle spese del giudizio che, sino al deposito della presente sentenza, si liquidano in

1.528,78.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 24 novembre 2017.

Il relatore-estensore                                               Il Presidente

(f.to Marcello Iacubino)                                     (f.to Mauro Orefice)

 

 

Depositata in Segreteria nei modi di legge

Bari,  05/03/2018

Il Funzionario

(f.to Dott. Francesco Gisotti)