di Francesco Serra

  1. PREMESSA ILLUSTRATIVA

Il presente elaborato vuole fare un resoconto circa l’evoluzione teorica ancorché applicativa dell’interpello in sede tributaria, in luogo di un’attenta disamina dottrinale e giurisprudenziale, partendo dalle sue origini normative sino all’assetto legislativo attuale.

Come è ben noto, lo strumento dell’interpello nasce all’interno di un contesto nel quale il dialogo tra Amministrazione finanziaria e contribuente risultava illo tempore assente, e in determinate circostanze burocraticamente impari.

Ragion per cui si è tentato, per il tramite di esso, di rispondere ad una esigenza di carattere interlocutorio, pur emergendo, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo del contributo, quali e quante furono e sono le difficoltà per affinare l’efficacia del predetto, richiamando un intervento netto del Legislatore ad intervenire ed uniformare la disciplina nelle sue criticità di fondo.

Il contributo, pertanto, si pone come obiettivo quello di confutare le primarie caratteristiche e le sottese, molteplici criticità dell’interpello, partendo dalla nascita dello stesso proprio in forza della consulenza giuridica, esaminando poi il quadro ante riforma e le molteplici tipologie presenti nelle diverse disposizioni legislative e infine addentrandosi nel D. Lgs. n. 56/2015, attuativo della Legge Delega fiscale n. 23/2014, ultimo atto radicale di quella che è stata la riforma normativa coinvolgente lo strumento giuridico in rassegna.

  1. NATURA GIURIDICA DELL’INTERPELLO.

Nell’ambito del diritto tributario sono previsti specifici istituti volti a garantire in via preventiva un certo carattere di certezza. Questa esigenza è avvertita in tutti i casi in cui il cittadino entra in rapporto con la Pubblica Amministrazione, alla quale, come sappiamo, compete l’esercizio del potere amministrativo.

Il tema della natura giuridica dell’interpello ha suscitato e suscita ancora adesso sentimenti interrogativi da tanta parte del mondo accademico. Nel ridisegnare i contorni tanto teorici quanto applicativi, il Legislatore ha inteso “assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri andando a chiarire finalità, obiettivi perseguibili ed eventuali garanzie di tutela giurisdizionale per la platea tutta dei contribuenti”1.

Nel novero di quello che può essere lo schema della “consulenza giuridica2” in ogni suo antefatto dottrinale, è bene prendere in debita considerazione quanto sia necessario, oggi più che mai in un periodo storico drammatico – causa la pandemia da COVID-19 -, rafforzare la collaborazione/cooperazione tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, avendo cura di riconoscere come “la certezza dei rapporti giuridici tra cittadino e pubblica amministrazione abbia ruolo preminente nella vita sociale, produttiva e economica del nostro Paese3”.

Qualificabile nel quadro degli strumenti deflativi “preventivi4” del contenzioso, in tal modo il contribuente, prima di porre in essere uno specifico comportamento, avrebbe avuto contezza di quale sarebbe stato il comportamento dell’Amministrazione Finanziaria in caso di successivo controllo.

Per inciso, giova rammentare come la modifica della disciplina dell’interpello ex all’art. 11 della L. 212/2000 – Statuto dei diritti del contribuente -, che nella sua originaria formulazione prevedeva che tale istituto potesse essere suddiviso nelle seguenti tipologie: a) interpello ordinario; b) interpello speciale antielusivo; c) interpello disapplicativo; d) interpello per le imprese che operano in ambito internazionale, si è avuta ad opera del d. lgs. n. 156/20155, attuativo di alcuni principi contenuti nella L. 23/2014, c.d. “Riforma Fiscale”, il quale ha di molto modificato l’inquadramento nominale dell’istituto e, le cui novità intrinseche hanno prodotto i propri effetti a partire dal dal 1° gennaio 2016.

La ratio sottesa, sin dalla sua istituzione, si sostanzia nella conoscenza preventiva per il contribuente dell’orientamento dell’Amministrazione finanziaria con riguardo all’interpretazione/applicazione di una norma di carattere tributario che fa riferimento alla fattispecie concreta sottesa al soggetto proponente, in un’ottica di prevalente incertezza del diritto e di semplificazione chiaramente del predetto rapporto, nonché di un possibile contenimento del contenzioso, soprattutto di quest’ultimo6.

Con la riforma del sistema fiscale a cura del d. lgs. 156/2015 si sono perseguiti scientemente due obiettivi aggiunti a quelli in essere: promuovere le imprese da nazionali a internazionali e dare maggior risalto al tema della certezza del diritto, in maniera tale da apportare le dovute migliorie al rapporto tra Fisco e contribuente. Non è un caso che il D. lgs. 128/2015, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra contribuente e Fisco, vada ad introdurre, ad esempio, per i grandi contribuenti, il regime di adempimento collaborativo, all’uopo collocata quale forma di interpello abbreviata – la risposta deve pervenire entro 45 giorni. Il d. lgs. 147/2015 – meglio detto Decreto internazionalizzazione – invece, per favorire l’internazionalizzazione delle imprese e gli investimenti in Italia prevede due strumenti di tax compliance: il ruling internazionale (già presente, ma comunque riformulato) e l’interpello sui nuovi investimenti7.

Nonostante ciò, il D. lgs. n. 156/2015 trova anche la sua ragion d’essere nella esigenza di chiarificare e semplificare l’interpello tributario, considerata sia la sua complessità funzionale sia il catalogo e le troppe articolazioni procedurali8.

Nella predetta modifica alla disciplina dell’interpello risiede, soprattutto, la voglia di incidere nel precedente assetto normativo e di restituire la sua funzione primigenia: quella di strumento di dialogo privilegiato e qualificato dal contribuente con l’amministrazione finanziaria9.

Da ciò è in buona sostanza derivato “un correlato riflesso costituito dalla necessità di perseguire ed acquisire una effettiva dimensione di certezza del diritto, la certezza, cioè, che la portata della norma, quale in concreto individuata, consenta una resa prescrittiva realmente connessa alla volontà di legge, alle sue ragioni, alle sue finalità; una certezza il cui speciale rilievo, nella materia fiscale, è originato – per un verso – dalla universalità dell’obbligo tributario, e – per altro verso – da diffuse esigenze di semplificazione, trasparenza ed interpretabilità, funzioni la cui ricorrenza ed il cui esercizio favoriscono l’equità contributiva; una certezza, perciò, fondamentale, affinché il rispetto contributivo non si traduca in un ritorno, di fatto, sanzionatorio per chi adempie, in rapporto ad atteggiamenti trasgressivi. Una certezza del diritto che assurge, in definitiva, nel sistema impositivo, a parametro essenziale di funzionalità e di giustizia nell’applicazione della norma10”.

Nel riconoscerne funzionalità obbligatorie ed essenziali in ossequio al dettato costituzionale, si deve considerare validamente operante anche e soprattutto la natura assolutamente “generalista” del diritto di interpello, rivolgendosi così a tutti soggetti ed anche alle pluralità di tipologie impositive, peraltro in totale concordanza con l’andamento normativo di cui all’art. 11 L. 212/2000.

Ciò a significarne l’intento di responsabilizzazione del contribuente che in autonomia può verificare la sussistenza di quelle che sono le condizioni di legge per l’accesso a specifici regimi fiscali o richiederne la disapplicazione, anche di determinate disposizioni antielusive, con l’opportunità di dialogare e chiedere spiegazioni all’amministrazione, così da vincolare il suo operato alle disposizioni rese mediante parere.

  1. QUALIFICAZIONE DEI VARI TIPI DI INTERPELLO;

Per poter sviscerare i presupposti dell’istituto, non è possibile prescindere da un doveroso richiamo normativo dell’art 11, comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale enuclea “circostanziate e specifiche istanze di interpello, concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse”11.

Nel solco della Prassi più consolidata, l’art. 1 del decreto ha avuto modo di apportare significative modifiche alla disciplina contenuta nell’articolo 11 dello Statuto, essenzialmente dirette “a sostituire il riferimento all’interpello concernente “l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni medesime” (interpello cd. ordinario) con l’interpello in quanto tale nelle sue varie forme che lo stesso nuovo articolo 11, ai commi 1 e 2, declina e specifica12”.

Di tanto, il d. Lgs. n. 156/2015, ha fornito una valida disciplina comune a tutte le forme di interpelli catalogato dall’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, raggruppandoli in 4 grandi tipologie:

– L’interpello ordinario;

– L’interpello probatorio;

– L’interpello anti-abuso;

– L’interpello disapplicativo.

Detta prima tipologia di interpello, ex art. 11, lett. a dello Statuto dei diritti del contribuente, avente ad oggetto l’interpretazione di qualsiasi norma tributaria – sia primaria che secondaria – come è agevole ricordare, consente al contribuente di rivolgersi in via del tutto preventiva all’Amministrazione finanziaria per ricevere parere in relazione “alla portata delle disposizioni tributarie in riferimento a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse13”, mirando soprattutto ad incentivare la ragguardevole generalità e la correlata tempestiva applicabilità.

Essa ebbe a subire illo tempore pochissime modifiche in relazione a quella che fu la disciplina integrativa e modificatrice dello strumento. La novità più visibile si è andata a sostanziare nelle modifiche alla procedura di risposta del medesimo, ridottasi da centoventi a novanta giorni.

Quanto alla seconda categoria di interpello, quella “probatoria”, di cui all’art. 11, lett. b dello Statuto dei diritti del contribuente, costituisce una categoria molto più ampia, nella cui occasione applicativa vengono a ricondursi plurime tipologie di istanze attivate dal contribuente allorché intenda aderire a specifici regimi fiscali, ancorché tese ad ottenere dall’Amministrazione finanziaria motivato parere in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’accesso, sulla potenziale idoneità degli elementi probatori prodotti in tal fatta ed inoltrabile nel totale rispetto del principio di tassatività, solo nei casi espressamente previsti dalla legge14.

Il peculiare requisito della tassatività sta a manifestare come detta forma d’interpello non sia attivabile in relazione a qualsiasi fattispecie per la quale il contribuente ritenga utile una valutazione dell’amministrazione finanziaria in ordine alla idoneità degli elementi in suo possesso a più diversi fini, ma solo nelle ipotesi in cui detta facoltà sia esplicitamente prevista nelle disposizioni sostanziali di riferimento attraverso l’espresso richiamo dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto15.

La terza tipologia di interpello, nota ai più come interpello anti-abuso o “antielusivo16”, sostitutiva della vecchia istanza disapplicativa normata dall’art. 21 della L. 413/91, ora abrogata, è disciplina dalla lett. c) dell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, costituisce ultroneo strumento di dialogo tra contribuente e amministrazione con finalità per l’appunto antielusive e quindi in continuità con quella che fu la primigenia normativa antielusiva di cui al d. lgs. 128/2015, nel dichiarato intento di conferire maggiore certezza alla disciplina interna.

Partendo dalla formulazione codicistica dell’abuso del diritto ex art. 10-bis17 dello “Statuto dei diritti del contribuente”, al comma 5 si concede l’opportunità al contribuente di proporre interpello con l’obiettivo di comprendere se le operazioni che si andranno a compiere possano costituire “abuso del diritto”.

Il fondamento della disciplina dell’abuso del diritto e quindi di attivazione dell’istanza di interpello anti-abuso sta essenzialmente e concretamente nell’impedire l’elusione di specifiche prescrizioni fiscali per il tramite di azioni di aggiramento e/o strumentalizzazione, prevenendo in tal fatta erronee applicazioni delle prescrizioni impositive attraverso un preventivo orientamento del Fisco18.

Infine la quarta ed ultima tipologia d’interpello, ovvero quella correttiva o disapplicativa di norme elusive, venne introdotta, ab initio, con l’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, in seguito al D. Lgs. n. 358/1997. Il predetto, in attuazione della legge delega n. 662/1996, concede all’Amministrazione finanziaria di disconoscere i benefici tributari conseguiti attraverso “gli atti, i fatti e i negozi collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti a raggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ottenere riduzioni di imposte altrimenti indebite”.19

Conosciuto anche come interpello “negativo”, si concede un ambito applicativo obbligatorio in forza del quale si rimuovono gli effetti dannosi derivanti dalle norme tributarie antielusive, norme che per la loro natura, di per sé, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive, altrimenti ammesse nell’ordinamento tributario20.

Sebbene l’interpello disapplicativo sia l’unico a carattere obbligatorio, la sua eventuale omissione non comporta, tanto meno preclude al contribuente, la possibilità di far valere la sussistenza delle apposite circostanze esimenti in sede di accertamento o contenzioso.

Esso è disciplinato dal nuovo co. 2, dell’art. 11, L. n. 212/2000, ai sensi del quale il contribuente interpella l’Amministrazione finanziaria per ottenere la disapplicazione di norme tributarie anti-elusive, che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse.21 In tale contesto il contribuente deve provare che nella fattispecie in esame non possono realizzarsi gli effetti elusivi che la norma mira ad impedire22.

Quanto alla già citata obbligatorietà, si analizzeranno i collegati effetti soprattutto nella distinzione tra le altre tipologie di interpello da un punto di vista, tanto procedurale quanto operativo, richiamando giurisprudenza particolarmente precisa e rigorosa.

Alle tipologie di interpello accuratamente esposte in precedenza, ve ne sono delle altre disciplinate da differenti fonti normative che prevedono delle procedure speciali di presentazione delle istanze e che per opportunità non vengono analizzate, ossia:1) interpello sui nuovi investimenti; 2) ruling internazionale; 3) accesso all’adempimento collaborativo.

  1. INTERPELLO PROBATORIO, ANTIELUSIVO, DISAPPLICATIVO: DIFFERENZE A CONFRONTO.

Volente o nolente, avendo specifico riguardo alla fondamentale caratteristica dell’obbligatorietà, si da il caso che essa esplicita il primo punto in comune tra la precedente e l’attuale normativa: la continuità.

Continuità soprattutto per quel che riguarda il perseguimento della certezza del diritto, delle differenze ed opportunamente delle criticità circa la natura, i presupposti, gli effetti e le risposte alle varie forme di interpello.

L’omogeneizzazione della disciplina, per volontà del legislatore, ha reso possibile di individuazione di alcuni aspetti comuni, sul piano procedimentale a tutte le tipologie di interpello, prescindendo dunque dalle particolarità consacrate con riguardo alle diverse forme previste dall’articolo 11 della Legge n.212/200023.

Il d. lgs. 24 settembre 2015, n. 156, provvedendo ad un riordino complessivo del sistema, ha inteso dare un netto taglio fin dalla rubrica normativa a quella retrodatata.

Invero, la precedente formulazione della norma al fine di sostituire il riferimento all’interpello ordinario – esemplificativamente – col riferimento all’istituto dell’interpello in tutte le sue articolazioni: 1. declina espressamente i requisiti, estrinseci ed intrinseci, per la valida presentazione dell’istanza; 2. disciplina l’istruttoria ed i tempi di lavorazione delle istanze (in parte contenuti nel nuovo articolo 11 dello Statuto ed in parte disciplinati dalle nuove regole di “Istruttoria dell’interpello” di cui all’articolo 4); 3. codifica espressamente la casistica inerente le cause di inammissibilità delle istanze, nel segno di un approccio votato alla tipicità ed a garanzia del contribuente24.

Nell’approfondire quello che è il criterio direttivo della maggiore omogeneità della disciplina degli interpelli, salta subito all’occhio la comune visione, in particolare, ai presupposti ed ai soggetti legittimati alla presentazione delle istanze, nonché agli uffici competenti ed alle modalità di presentazione dell’istanza.

Difatti, da una prima lettura dell’art. 2, comma 1 del D. Lgs. 156/2015, si evince molto chiaramente chi possa presentare l’istanza, per come espresso dal comma in esame: “Possono presentare istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000 n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, i contribuenti, anche non residenti, e soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti insieme con questi o in loro luogo all’adempimento di obbligazioni tributarie”. Risulta chiaro come i soggetti legittimati siano i contribuenti, anche non residenti, nonché “coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti” e coloro che rivestono il ruolo di sostituti e responsabili d’imposta – Per converso, per questioni afferenti l’applicazione dell’IVA, non sono legittimati a presentare istanze d’interpello i cessionari o i committenti considerati “consumatori privati” ai fini di questo tributo – a condizioni, però, che l’istanza si riferisca a casi concreti e personali25.

Peraltro, per come sottolineato nella relazione illustrativa al decreto, la conditio sine qua non vera e propria dell’interpello è la conoscibilità, la pubblicità del trattamento tributario di atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera degli interessi del soggetto istante26.

Queste considerazioni generali – per prassi applicativa oramai consolidata – valgono per tutte quelle istanze di interpello caratterizzate da “difetto di personalità”.

Ebbene, salvo che l’istanza non venga regolarizzata attraverso la procedura tardiva, la stessa non produce gli effetti tipici dell’interpello e l’Amministrazione finanziaria comunicherà al contribuente l’impossibilità di acquisire le predette istanze, rappresentando eventualmente quale soggetto, nel caso concreto, è titolato alla presentazione di un’istanza di interpello.

Altro aspetto comune è la competenza degli uffici predisposti a ricevere le istanze di interpello, in considerazione di una migliore uniformità della disciplina applicativa.

Si è individuata, così, la regola generale per cui la competenza è attribuita alle Direzioni Regionali, salvo le deroghe contenute all’interno del Provvedimento; risulta in tal modo operativamente innovativa, atteso la stretta complementarietà sia al conseguimento di notevoli vantaggi in termini di economia della procedura, sia per quanto concerne lo snellimento della medesima, considerando il fatto che le istanze possono essere immediatamente istruite dal soggetto competente alla risposta.

Di fatto, per capire la volontà del Legislatore nell’attribuire detta competenza alla Direzione regionale non si può prescindere da un’analisi del Provvedimento, secondo cui: “Le istanze di interpello riguardanti i tributi erariali sono presentate alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto istante; le istanze concernenti l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché le istanze di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) della legge 27 luglio 2000, n. 212 aventi ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale sono presentate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello27”.

Quanto alla presentazione delle istanze, essa è rinvenibile in tre modalità distinte: 1) consegna a mano; 2) spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento; 3) telematica attraverso l’impiego della posta elettronica certificata, comprendo un invio di natura semplificata per tutte quelle istanze presentate dai contribuenti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, per i quali è data facoltà di trasmissione dell’istanza mediante Posta elettronica certificata28.

Nel concentrare, ora, l’attenzione su quelle che sono le caratteristiche operative, e stante la peculiarità consultiva, riconosciuta da autorevole dottrina, la logica porta a dover affrontare il tema sia potestativo, sia impugnatorio dell’interpello, e gli effetti recettizi che verrebbero a prodursi.

Chiaramente, risulterebbe fuori luogo in questa sede articolare debitamente ogni singola caratteristica, per cui di qui a breve si proporrà la rassegna giurisprudenziale più recente concernente l’interpello in forma disapplicativa ed una adeguata casistica, stante il rinnovato quadro normativo ed oggi vigente, ma soprattutto l’interpretazione estensiva accolta da tempo tanto dalla Dottrina, quanto dalla Giurisprudenza29.

  1. CASISTICA E RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE SUL DINIEGO ALL’INTERPELLO DISAPPLICATIVO.

Come già riportato sopra, dalle tipologie non obbligatorie d’interpello va distinta l’unica forma sostitutiva di quella prevista dall’art. 37-bis, co. 8, D.P.R. n. 600/1973 che è l’interpello disapplicativo30, il quale è l’unico a essere non facoltativo, sebbene la sua omissione non precluda al contribuente la possibilità di far valere la sussistenza delle apposite circostanze esimenti in sede di accertamento o contenzioso.

Nell’argomentare la natura e le caratteristiche, tra le questioni di maggior rilievo che discendono dal presupposto impugnatorio dell’interpello disapplicativo31, uno dei temi fondamentali riguarda l’individuazione degli atti impugnabili attraverso il ricorso e, in particolare, la tassatività o meno del catalogo degli atti impugnabili compresi nell’art. 19 del d.lgs n. 546/1992, quindi una legittima interpretazione estensiva della norma de qua32.

Esso è disciplinato dal nuovo co. 2, dell’art. 11, L. n. 212/2000, ai sensi del quale il contribuente interpella l’Amministrazione finanziaria per ottenere la disapplicazione di norme tributarie anti-elusive, che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse.33 In tale contesto il contribuente deve provare che nella fattispecie in esame non possono realizzarsi gli effetti elusivi che la norma mira ad impedire.

Il carattere dominante “dell’obbligatorietà” dell’interpello disapplicativo, ha determinato questa tendenza prudente della giurisprudenza di legittimità all’interpretazione estensiva del novero degli atti impugnabili, subendo in tempi più recenti una brusca accelerazione34, indotta da una serie di motivazioni, talora condivise da parte della dottrina.

Ad adiuvandum, l’eliminazione dell’obbligatorietà per talune forme d’interpello avvenuta illo tempore, ha conseguentemente accompagnato l’introduzione di nuovi doveri di informazione a carico dei privati ed alla correlata previsione di sanzioni per la loro omissione35.

Procedendo dal generale al particolare, con riguardo all’impugnazione del diniego di disapplicazione delle norme antielusive, la giurisprudenza ammise l’impugnabilità della risposta negativa senza precludere l’impugnazione del successivo atto di accertamento. Infatti, se la Corte di Cassazione, anziché prodigarsi nell’equiparare il diniego di disapplicazione della norma antielusiva a un diniego di agevolazione, lo avesse inteso come mero “atto facoltativamente impugnabile”, avrebbe, in tal fatta, soddisfatto l’interesse del contribuente ad una tutela immediata e salvaguardato il diritto/onere di impugnare il successivo atto tipico, cioè l’avviso di accertamento emesso in applicazione della disposizione antielusiva contestata36, a maggior ragione se esso “ha la capacità di incidere immediatamente sulla sfera giuridica del destinatario e quindi non può negarsi che il contribuente abbia l’interesse, ex articolo 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto in esame37”.

In specie, nella qualificazione del regime delle società di comodo, allorquando vengano identificate come non operative se non superino l’esame della “redditività”, ad esse viene attribuito un reddito minimo presunto. Orbene se da un lato la Dottrina38 vede nell’art. 30 L. n. 724/1994, un rimedio antievasivo e non uno strumento antielusivo, vero potrebbe essere che lo strumento disapplicativo porti a confondere rispetto le logiche perseguite, cosi come è vero che “per ravvisare nella disciplina delle società di comodo una matrice anti-elusiva, occorrerebbe ritenere che ad essere oggetto di abuso è la costituzione stessa della società, che intenderebbe raggiungere il risultato delle regole sulla comunione39”.

In sintesi, la questione dell’impugnabilità del diniego dell’interpello disapplicativo e, più in generale, dell’impugnabilità dei pareri e dei provvedimenti resi dall’Amministrazione nello svolgimento dell’attività consultiva, ripropone la questione del rapporto tra Amministrazione e Giurisdizione sotto la particolare lente della sindacabilità da parte del giudice tributario, non dimenticando la sua natura di parere, quindi consultiva che nell’atto d’impugnazione merito obbliga il contribuente a rifarsi giurisdizionalmente sempre sull’efficacia negativa dell’interpello stesso.

  1. LIMITI COSTITUZIONALI DELL’INTERPELLO.

Infine, sulla base del dato secondo cui la previsione di un numerus clausus di atti contestabili potrebbe confliggere con gli artt. 24 e 113 Cost., nonché con i corrispondenti principi sovranazionali – nello specifico con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e con l’art. 47 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali -, fa sorgere in capo all’amministrazione finanziaria il dovere di procedere, quindi di provvedere, in ragione dell’esercizio del diritto potestativo di interpello.

In altre parole, per il tramite dell’istanza – che costituisce come già ampiamente ribadito, l’atto attraverso il quale il diritto viene esercitato – prende avvio il procedimento che deve necessariamente concludersi con un provvedimento tacito o espresso, di rito o di merito.

Se si considerasse, in linea di massima, l’interpello come atto privo di reali effetti, nel ragionare in chiave sistematica, la tendenza a consentire l’impugnazione anche avverso atti privi di una vera efficacia provvedimentale finisce per introdurre surrettiziamente nel processo tributario un’azione di mero accertamento dell’inesistenza della pretesa fiscale, del tutto estranea alla struttura del processo tributario, ai poteri decisori delle Commissioni ed alla trama normativa complessiva prevista dal d.lgs. n. 546/199240.

In realtà, le distinzioni sottese ad ogni singola tipologia d’interpello dipende, spesso e volentieri dalle norme oggetto di interpretazione/applicazione, ma non certamente dal tipo di questioni sollevate e che s’intenderebbe risolvere.

Nel calcolare gli effetti reali che, ad esempio, potrebbe produrre l’istanza d’interpello probatorio, a fronte degli effetti prodotti dall’interpello disapplicativo, salta all’occhio la disparità di trattamento in termini giurisdizionali – si pensi all’idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale – fugando ogni dubbio circa il “primato” che la disapplicazione di norma detiene a cagione di quelli che, invero, non pregiudichino eventualmente l’integrità patrimoniale del destinatario.

Fermo restando i dubbi sugli istituti che hanno connotazione tipicamente processuale, l’interrogativo principale, non adeguatamente affrontato, concerne l’utilità pratica che una controversia giurisdizionale, con i suoi tempi minimi di durata41può avere in concordanza con l’ineludibile applicazione della norma antielusiva conformemente ai comportamenti che il diritto adduce e nella celerità del diritto.

Sembrerebbe, in buona sostanza, che l’applicazione mancata del riconoscimento della disapplicazione, così come la natura consultiva degli interpelli, distorcono quello che è il vero problema sul piano giurisdizionale.

Verrebbe meno il presupposto della consulenza giuridica, la quale sempre e comunque risulterà investita di quell’alea sanzionatoria presuntiva che dovrebbe “eludersi” proprio in chiave interlocutoria.

La via dell’interpello a tutti i livelli dovrebbe comportare, in caso di lesione, la possibilità per il contribuente di ricevere adeguata risposta o adeguata giustizia.

  1. CONCLUSIONI

Ad ogni buon conto si auspica un intervento riformatore sul punto, con l’obiettivo di garantire al contribuente un’adeguata tutela giurisdizionale, evitando inerzie nonché qualsivoglia indiscriminata attività impugnatoria priva di fondamento tanto in fatto quanto in diritto.

Occorre intervenire per non accontentarsi del silenzio assenso quale atto produttivo di effetti giuridici o considerarlo equivalente alla soluzione indicata come principale in seno all’istanza, dovendo intervenire in termini modificatori sia sulla disciplina dell’interpello, sia sul processo tributario, equilibrando il nostro già fragile e farraginoso sistema giudiziario.

1 Vedi ALFANO R. – VERRIGNI C., Gli interpelli: evoluzione sistematica e trend legislativo italiano, in Dir. e prat. Trib. int., Vol. XIII, n. 3, 2016, Wolters Kluwer – CEDAM, pagg. 842 e ss.,

2 Sul punto si veda ALFANO R. – VERRIGNI C., Gli interpelli: evoluzione sistematica e trend legislativo italiano, in Dir. e prat. Trib. int., Vol. XIII, n. 3, 2016, Wolters Kluwer – CEDAM, POLLARI N., Manuale di diritto tributario Teoria generale ed approfondimenti tecnico-professionali per le Università Professionisti ed Operatori del settore, Laurus Robuffo, 2020, pagg. 184 e ss.; si veda altresì Circ. n. 99/E, del 18 maggio 2000, del Ministero delle Finanze – Dipartimento delle Entrate, la quale trattando della consulenza giuridica ebbe modo di descriverne le caratteristiche più rilevanti classificandole in: a) attività interpretativa di carattere generale, che trova realizzazione principalmente per mezzo delle circolari, risoluzioni o note, predisposte dalle strutture centrali e rivolte alla generalità dei contribuenti e degli operatori di settore. Detta attività, come evidenziato, oltre infatti a chiarire la posizione dell’Amministrazione finanziaria circa il senso da attribuire alle disposizioni che formano oggetto dei documenti di prassi dianzi citati, consente alla medesima di impartire direttive per gli uffici e le articolazioni dipendenti; b) pareri relativi a specifiche fattispecie applicative, che vengono sollecitati da soggetti interessati a conoscere l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria.

3 FESTA G., L’interpello tributario, in ratio iuris, 04/2019 https://www.ratioiuris.it/linterpello-tributario/.

4 Cfr. fra tutti PISTOLESI F., Gli interpelli tributari, Milano, 2007; MARONGIU G., Riflessioni sul diritto d’interpello, in Corr. Trib., 2002, pagg. 1408 e ss; MELIS G., L’interpretazione nel diritto tributario, PADOVA, 2003, pagg. 566 e ss; BASILAVECCHIA M., Sull’interpello le entrate anticipano la norma in Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2009, 33, il quale, autorevolmente ha ritenuto che: “le risposte rese in sede di interpello, considerate come un genere di atti di indirizzo amministrativo, sono accomunate da un effetto giuridico unificante che può essere così empiricamente descritto: la risposta protegge, ma non vincola, interpreta, ma non impone”, confermando quindi quanto di più acclarata sia la circostanza per la quale le varie tipologie di interpello siano da sempre “attività di indirizzo e di interpretazione dell’Agenzia”.

5 Con il recente intervento normativo questa tipologia di interpello ha subìto un’estensione del suo ambito applicativo che l’ha portato a sdoppiarsi in: • interpello interpretativo, in cui l’oggetto dell’istanza è la norma tributaria (restano pertanto esclusi gli atti non aventi carattere normativo); • interpello qualificatorio, in cui l’oggetto dell’istanza è la corretta identificazione normativa del caso concreto.

6 Vedi ALFANO R. – VERRIGNI C., op. cit., pagg. 842.

7 NATALUCCI G., Interpello, in Il tributario, Giuffrè Lefebvre, https://iltributario.it/bussola/interpello; A corredo delle modifiche poste alla base del d. lgs. n. 156/2015 sono intervenuti in termini di prassi applicativa il Provvedimento del 04 gennaio 2016 e la Circolare n. 9/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate fornendo ulteriori chiarimenti in merito alle novità in premessa rassegnate.

8 Sul punto si veda, Gli istituti dell’interpello fiscale – Deliberazione 5 agosto 2015, n. 5/2015/G, in www.cortedeiconti.it.

9 Cfr. Vedi ALFANO R. – VERRIGNI C., op. cit., pagg. 846, che riproponeva le Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario in Senato della Repubblica, audizione, VI Commissione Finanze e Tesoro del 15.07.2015, corredata dalla Relazione illustrativa allo schema di Decreto, la quale descrive le prospettive della riforma laddove intende semplificare il rapporto tra contribuente e Fisco mediante “un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa “ex ante” di determinate fattispecie ad un sistema basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale viene riconosciuta la possibilità di verificare in autonomia la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’accesso a specifici regimi fiscali o per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive”. Ex plurimis CONTRINO A. – MARCHESELLI A., L’obbligo di motivazione “rinforzata” e il riassettto degli oneri probatori del “nuovo” abuso del diritto, in Corr. Trib. 2016, 1, pag. 15.

10 Gli istituti dell’interpello fiscale, op. cit., pagg. 21 e ss.; invero, si è assisiti con l’entrata in vigore della norma quanto meno ad un riordino in senso funzionale dell’esercizio dell’attività amministrativo-tributaria nel segno di una vera cooperazione fiscale tra gli attori protagonisti. In giurisprudenza si veda fra tutti: Cass. 24 febbraio 1994, n. 1815; Cass., Sez. Trib., 12 agosto 1996, n. 7443, 20 novembre 2001, n. 14579; Cass., Sez. Trib., 20 novembre 2001, n. 14588;

11 Cfr. FESTA G., L’interpello tributario, op.cit., il quale specifica come: “Il comma 1 dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212, ha subito notevoli modifiche in seguito alla riforma dell’istituto; oggi sulla questione in esame prevede che i presupposti di interpello sussistano “quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”.

12 Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli, pagg. 6 e ss, Circ. n. 9/E del 1Aprile 2016, la quale continuando insiste nel ritenere che: “Ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, infatti, il contribuente può interpellare l’amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere relativamente ad un caso concreto e personale con riferimento:

– all’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni (d’ora in avanti cd. interpello ordinario “puro”) ed alla corretta qualificazione (d’ora in avanti interpello qualificatorio) di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza (lettera a));

– alla sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti (interpello probatorio) (lettera b));

– all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una specifica fattispecie (interpello antiabuso) (lettera c)).

Ai sensi del comma 2, invece, il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento”.

13 Corte dei Conti, op. cit., pagg. 45 e ss.

14 In specie: “delle istanze di interpello cd. CFC ai sensi dell’articolo 167 del TUIR, attraverso la quale il soggetto residente dimostra, fornendo le informazioni necessarie e allegando idonea documentazione, la sussistenza dei presupposti per ottenere la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate, relativamente a ciascuna controllata estera; la presentazione di questo tipo di istanza, per le partecipazioni in Paesi a fiscalità privilegiata, è prevista anche in materia di: • interpello in materia di utili da partecipazione (articolo 47, comma 4, del Tuir) • interpello sulle plusvalenze da partecipazioni (articolo 68, comma 4, del Tuir) • interpello concernente la participation exemption (articolo 87 del Tuir) • interpello in materia di dividendi (articolo 89 del Tuir).  delle istanze per le partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari (113 TUIR); delle istanze di interpello per l’accesso o per la continuazione del consolidato; delle istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative” (art. 30 della L. 724 del 1994); delle istanze previste ai fini della spettanza del beneficio ACE (art. 1, comma 8, D.L. 201 del 2011). Vedi POLLARI N., op. cit., pagg. 187 e ss.

15 Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli, pagg. 6 e ss, Circ. n. 9/E del 1Aprile 2016, op. cit., pagg. 13 e ss. Nel novero delle tipologie di interpello probatorio tributario vanno ricondotte: a) le istanze di interpello ex art. 11, 13 comma, L. 30 dicembre 1190 n. 413, riferibile ad operazioni intercorse con imprese residenti o individuate in paesi cosiddetti black list, come obiettivo di verificare le esimenti di cui all’art. 110 T.u.i.r; b) le stanze riguardanti la normativa di CFC ex art. 167 T.u.i.r. per verificarne le condizioni ex comma 5; c) lei stanze di cui all’articolo 113 tu il re per gli enti creditizi, ai fini della non applicazione dama participation exemption et similia; d) l’istanza di interpello per la continuazione di cui all’art. 124 T.u.i.r., con riferimento al consolidato domestico e presentate in ragione di operazioni straordinarie generalmente interruttive, al fine di verificare che, una volta espletate dette operazioni, permangano le condizioni di cui all’artt. 117 e ss ai fini dell’accesso al regime; e) le istanze di interpello presentate nel ambito del consolidato mondiale di cui all’art. 132 T.u.i.r.; f) le istanze proposte da società non operative ai sensi e per gli effetti della disciplina di cui all’art. 30, L. 30 dicembre 1994, n. 724; g) lei stanze per il riconoscimento del beneficio ACE previsto dall’art. 1 d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, in forza di operazioni potenzialmente suscettibili di produrre, financo promuovere, indebite duplicazioni del beneficio ai sensi dell’art. 10 del d.m. 14 marzo 2012. Vedi altresì in tal senso Vedi ALFANO R. – VERRIGNI C., op. cit., pagg. 850 e ss.

16 Sulla complessità e farraginosità della fattispecie vedi pure ANELLO P., La rilevanza del concetto di obiettive condizioni di incertezza nell’interpello, in Corr. trib., 2001, pp. 2169 ss. in Giurisprudenza relativamente ad un’interpretazione equivoca delle norme, vedi Cass., sez. trib., 15 novembre 2007, n. 26142, in Fisco, 2007, p. 6990.

17 Si veda POLLARI N., op. cit., pagg. 187 e ss. Orbene “L’art.10-bis L. 212/2000 individua i connotati della fattispecie dell’abuso del diritto, specificando che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica (ossia fatti, atti e contratti, anche fra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali) che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti (ossia benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o, con i principi dell’ordinamento tributario) ”. La legge individua una fattispecie esimente costituita dalle “valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di ordine organizzativo o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente”, la cui presenza esclude la natura abusiva dell’operazione posta in essere”. Si veda anche Cass., Sent. n. 31772 del 5 dicembre 2019, la quale ha statuito che: “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale anti-elusivo che preclude, al contribuente, il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente”.

18 Si veda FESTA G., op. cit., il quale ha ritenuto sul punto, riportando Autorevole Giurisprudenza – Cass., Sent. n. 7393 dell’11.05.2012 – che: “la norma, trova fondamento nella disciplina dell’abuso di diritto, così come statuito anche dagli ermellini, i quali hanno stabilito che: “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di determinati vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustificano l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.

19 La Circ., 14 dicembre 1998, n. 7/993953 emanata dalla Direzione Regionale delle entrate del Piemonte afferma che, con l’ottavo comma, si assiste a un completamento della disciplina dell’interpello. La norma mira alla disapplicazione nel caso concreto di una norma antielusiva, pertanto appartiene alla disciplina del diritto di interpello. Tale concetto è stato ribadito anche dalla circ. min.,18 maggio 2000, n. 99/E dove si fa richiamo alla fattispecie di interpello prevista dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.

20 PISTOLESI F., Gli interpelli tributari, Giuffrè ed. 2007, pagg. 87 e ss.

21 Ex art. 11, co. 2, Statuto dei diritti del contribuente.

22 Detta circostanza determina, per le fattispecie previste, l’obbligo di presentazione dell’istanza, sanzionabile, in caso di omissione della stessa, dall’art. 11, co. 7-ter, D. Lgs. n. 471/1997, con una sanzione da euro duemila a euro ventunomila, raddoppiata nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria, al controllo successivo, disconosca la disapplicazione di norme che limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive del contribuente. Tuttavia, tale carattere di obbligatorietà può essere disatteso, nel senso che tutt’al più, si soggiace al pagamento della sanzione di cui sopra, riservandosi però l’opportunità di presentare l’istanza di interpello disapplicativo.

23 Si veda Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli, pagg. 6 e ss, Circ. n. 9/E del 1Aprile 2016, op. cit., pagg. 3 e ss., evidenziando come: “la legge 11 marzo 2014, n. 23 rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” (d’ora in avanti legge delega) nel contesto dell’articolo 6 dedicato anche alla gestione del rischio fiscale, governance aziendale ed al sistema del tutoraggio, ha dettato importanti linee guida per la revisione dell’istituto dell’interpello, essenzialmente incentrate su tre distinte esigenze: – garantire una maggiore omogeneità nel contesto della disciplina, sia per quanto attiene alla classificazione delle diverse tipologie sia, principalmente, per quanto riguarda la regolamentazione degli effetti e della procedura applicabile; – ridurre i tempi complessivi di lavorazione delle istanze per assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri; – procedere ad una razionalizzazione dell’istituto anche attraverso la tendenziale eliminazione delle forme di interpello “obbligatorio”, attraverso un bilanciamento del peso degli oneri posti a carico dei contribuenti rispetto ai benefici, valutabili essenzialmente in termini di monitoraggio preventivo, per l’amministrazione finanziaria”.

24 Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli, pagg. 6 e ss, Circ. n. 9/E del 1Aprile 2016, op. cit., pagg. 4 e ss.

25 FESTA G., op. cit.

26 Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli, pagg. 6 e ss, Circ. n. 9/E del 1Aprile 2016, op. cit., pagg. 23 e ss., a mente della quale: “ciò comporta che in caso di presentazione di istanze da parte di coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti e di coloro che rivestono il ruolo di sostituti e responsabili d’imposta, è sempre necessario che nell’istanza siano indicate le generalità delle parti cui si riferisce il rapporto oggetto dell’interpello, anche per consentire una corretta parametrazione, nelle diverse sedi, degli effetti della risposta”.

27 Vedi FESTA G., op. cit., il quale aggiunge che: “Secondo quanto disposto dal provvedimento, la competenza degli uffici è diversamente articolata a seconda che le istanze concernenti i tributi amministrati dall’Agenzia abbiano ad oggetto i tributi erariali o l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, nonché i casi in cui, più generalmente, le istanze hanno ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale. Per quanto attiene alle prime, infatti, l’interpello è presentato alla Direzione regionale competente in base al domicilio fiscale; per quanto riguarda le seconde queste sono validamente presentate alla Direzione regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello”; Cfr. Circolare n.9/E del 1° aprile 2016, p.25.

28 FESTA G., op. cit.; BALDASSARRE A., “L’interpello tributario”, in Diritto e pratica tributaria, 2008, pag. 1036, di diverso avviso secondo il quale: “la risposta dell’amministrazione, dovendo essere qualificata come mero parere, è priva di contenuti provvedimentali”.

29 MARINELLO A, Gli atti impugnabili nel prisma del processo tributario: lineamenti evolutivi e criticità del sistema, in Ianus diritto e finanza – Rivista di Studi Giuridici, n. 23, 06/2021, pagg. 38 e ss.

30 Ex multis BASILAVECCHIA M., Processo tributario, impugnabilità del provvedimento disapplicativo, in Enc Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/processo-tributario-impugnabilita-dell-interpello-disapplicativo_%28Il-Libro-dell’anno-del-Diritto%29/, il quale ritiene che: “L’idea che il diniego di disapplicazione neghi al contribuente la via d’uscita dal campo di applicazione della norma che gli impone una restrizione sproporzionata agli effetti della sua situazione, e pertanto confermi un vincolo giuridico che limita i vantaggi riconducibili a detrazioni, deduzioni, crediti e altri vantaggi, si imbatte però, dall’epoca in cui l’interpello disapplicativo veniva disciplinato e fino al 2005, in due ostacoli che costituiscono i lati di una stessa medaglia: la giurisdizione tributaria è concepita come limitata alle liti riconducibili all’an e al quantum dell’obbligazione tributaria, e dunque sembra escludere dalla tutela che offre, provvedimenti sostanzialmente discrezionali, quali quelli di “dispensa”, nello stesso scritto vedi VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, 72, il quale definisce tali provvedimenti discrezionali come quelli in grado, in base a una espressa previsione di legge, di esonerare il destinatario dall’adempimento di un obbligo o dalla osservanza di una prescrizione imposta dalla legge in via generale, apprezzando le particolari circostanze di fatto che rendano opportuno l’esonero.

31 FRANSONI G., il diritto potestativo d’interpello, Pacini Giuridica, pagg. 128 e ss., il quale nel perimetrare le differenze, ha riconosciuto come: “Da un lato, si hanno gli interpelli “probatori”, la cui risposta esige la soluzione di una questione consistente nella verifica dell’idoneità di alcune circostanze di fatto a integrare talune fattispecie normative specificamente individuate. Verifica, si noti bene, condotta in astratto, ossia avendo riguardo alla descrizione di tali circostanze fornita dall’istante e, come tale, espressa “allo stato degli atti” e, quindi, suscettibile di essere contraddetta se, in sede di accertamento, si dimostrasse l’esistenza di una divergenza fra i fatti rappresentati e quelli effettivamente realizzatisi, ovvero la sussistenza di altre circostanze fattuali, non rappresentate dall’istante, idonee a modificare l’apprezzamento che l’amministrazione ha fornito relativamente alle circostanze prese in esame nell’ambito del procedimento d’interpello.
Dall’altro lato, si hanno gli interpelli “ordinario”, “qualificatorio”, “antiabuso” e “disapplicativo” relativamente ai quali la risposta sollecitata dall’istanza esige la soluzione di una questione strutturalmente comune, ossia una questione di sussunzione della fattispecie rappresentata dall’istante rispetto a una determinata norma”.

32 MARINELLO A, Gli atti impugnabili nel prisma del processo tributario: lineamenti evolutivi e criticità del sistema, op. cit., pag. 38 e ss., ed invero lo stesso Autore ribadisce come: “Ebbene, questo filone interpretativo – ormai largamente prevalente in giurisprudenza – impone un’analisi che vada al di là della mera rassegna casistica degli atti che il giudice di legittimità ha ritenuto di volta in volta passibili di contestazione giudiziale. Vedi in Giurisprudenza Cass., Ord. del 16 Luglio 2021 n. 20430 nella quale si ribadisce che: “In tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass. n. 17010/12, secondo Cass. n. 8663/11, il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione). Tale principio regolatore (isolatamente disatteso da Cass. n. 5843/2012) si è consolidato nel diritto vivente (es. Cass. n. 20394/12, 335/14, 25281/15, 6200/15 e da ultimo, v. Cass. ord. n. 19962/17) sino ad essere stato ripreso anche in altri contesti fiscali (vedi, in motivazione, Sez. un. nn. 7665/16, 19704/15, 12760/15, 649/15, 13451/14; cfr. ex plurimis: Cass. nn. 11397/17, 5723/16, n. 2616/15, 11922/14, 25916/13).» (Cass. 6/10/2017, n. 23469, ulteriormente consolidata, tra le altre, da Cass. 15/12/2018, n. 3775; 11/07/2019, n. 18604; 03/10/2019, n. 24704; 04/03/2021, n. 5953);

33 Ex art. 11, co. 2, Statuto dei diritti del contribuente

34 MARINELLO A, Gli atti impugnabili nel prisma del processo tributario: lineamenti evolutivi e criticità del sistema, op. cit., pag. 38 e ss., il quale, nel ragionare sul tema meramente giurisdizionale della tipicità degli atti impugnabili riporta sia Giurisprudenza, Cass., Sez. Un., 10 agosto 2005, n. 16776; Cass., 13 ottobre 2006, n. 22015; Cass., Sez. Un., 26 luglio 2007, n. 16428; Cass., 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass., Sez., Un., ord., 11 maggio 2009, n. 10672; Cass., 26 maggio 2010, n. 15946; Cass., 17 dicembre 2010, n. 25591; Cass., 6 ottobre 2012, n. 17010; Cass., 6 novembre 2013, n. 24916; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773; Cass., 8 luglio 2015, n. 14243, sia dottrina autorevole vedi RANDAZZO, Alle Sezioni Unite la questione dell’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo, in Corr. trib., 2014, pagg. 3121 e ss.; PAPARELLA, Le indicazioni delle Sezioni Unite della Suprema Corte sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo e gli effetti sull’ammissione al passivo dei crediti tributari, in Riv. dir. trib., 2017, I, pagg. 1 e ss; RUSSO, L’ampliamento della giurisdizione tributaria e del novero degli atti impugnabili: riflessi sugli organi e sull’oggetto del processo, in Rass. trib., 2009, pagg. 1564 e ss.

35 PISTOLESI F., Il nuovo diritto di interpello nello statuto dei diritti del contribuente: il punto di vista dei professionisti,

17/2016, pagg. 8 e ss. Continuando l’Autore sostiene che: “Ciò che realizza l’occorrente contemperamento fra la soppressione dei ricordati interpelli “obbligatori”, da una parte, e la necessità che l’Amministrazione finanziaria venga a conoscenza delle circostanze che finora ne imponevano la presentazione e, più in generale, che possono consentirle lo svolgimento degli opportuni controlli in ordine alla correttezza dell’operato dei contribuenti, dall’altra parte”.

36 Sentenza Cass., sez. trib., Sent. 15 aprile 2011, n. 8663, vedi LUNELLI R., Diniego di disapplicazione delle norme antielusive: impugnazione facoltativa o obbligatoria?,in GT – Riv. giur. trib., 8/2011, pag. 685.

37 Cass., sez. V, Ord. n. 425 del 14.01.2020. La questione nasceva dacchè il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate della Toscana ebbe a dichiarare l’inammissibilità per intervenuta tardività dell’istanza di interpello per la disapplicazione delle norme antielusivecontenute nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 172, comma 7; La Suprema Corte, prendendo le mosse dalla Cass., Sent. n. 8663 del 2011, la quale elaborò una fondamentale massima giurisprudenziale afferente l’interpello disapplicativo, ribadì che “il contribuente ha la facoltà di impugnazione e che questa, come tale, non determina, in caso di mancato esercizio alcuna conseguenza sfavorevole sulla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento”.

38 Cfr. ex multis TASSANI T., Autonomia statutaria delle società di capitali e imposizione sui redditi, Milano, 2007, 154 ss.; MARCHESELLI A., Le presunzioni nel diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, Torino, 2008, 141 ss.; RENDA A., La disciplina delle società non operative e l’abuso del diritto un difficile connubio, in Dir. prat. trib., 2012, 6, pagg. 997 e ss.

39 Si veda RONCO S.M., Forma commerciale e impresa nell’imposizione sui redditi, Pisa, 2021, pagg. 131 e ss.

40 MARINELLO A, Gli atti impugnabili nel prisma del processo tributario: lineamenti evolutivi e criticità del sistema, op. cit., pag. 38 e ss;

41 BASILAVECCHIA M., Processo tributario, impugnabilità del provvedimento disapplicativo, op. cit.