di Simone Caponetti
Ricercatore in diritto del lavoro nell’Università di Padova
Breve premessa
La disciplina comunitaria esposta nella Direttiva 2003/88/CE ha avuto in Italia conferma ed applicazione con il D. Lgs. n. 66 del 2003 e le sue successive modifiche ed integrazioni.
Tuttavia, lo stesso legislatore italiano non mancava, nel periodo antecedente la Direttiva comunitaria, di un impianto costituzional-civilistico, nonché legale[1], che regolasse le ferie annuali retribuite attraverso binari ben inquadrati che anticipavano quanto stabilito nella direttiva stessa. Il sistema normativo, infatti, è stato per lungo tempo incardinato sul combinato disposto dell’art. 36, terzo comma, Cost.[2] e dell’art. 2109 c. c., oltre che sulle previsioni della contrattazione collettiva.
Una importante funzione interpretativa del dettame costituzionale è stata svolta dalla giurisprudenza, soprattutto costituzionale[3]. Essa ha sempre sostenuto in modo perentorio il carattere dell’irrinunciabilità del periodo feriale, al quale va riconosciuto valore di diritto della persona e non già del (solo) lavoratore, proprio perché la tutela costituzionale assicurata al riposo annuale persegue una duplice finalità: quella di protezione del bene salute (ovvero il ristoro delle energie psico fisiche) e quella della garanzia del tempo libero (per la cura di sé stesso). Sulla base di questo profilo teleologico la Consulta ha affermato la necessaria annualità del godimento alle ferie, codificando così un principio che, nello schema del D.Lgs. n. 66/03, fungeva da «necessaria premessa logica al conseguente riconoscimento del diritto alle ferie»[4], ed al quale deve essere riconosciuto il valore di regola di carattere generale ed immediatamente precettiva.
Malattia e ferie: un primo approccio
Nel nostro ordinamento, avuto riguardo dell’elaborazione giurisprudenziale susseguita nel tempo, ci si è posti il problema del rapporto ferie-malattia, materia questa che anima da sempre i commenti, ora anche a seguito di alcune pronunce della Corte di Giustizia[5].
A tal proposito, la nostra Corte costituzionale è stata antesignana rispetto al disposto della direttiva comunitaria n. 88 del 2003, con due pronunce che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2109 del c.c. nella parte in cui non prevedeva che la malattia insorta durante le ferie annuali retribuite, ne sospendesse il decorso[6].
La giurisprudenza di legittimità, consolidatasi successivamente, ha tuttavia temperato la portata generale di suddetto principio, ammettendone alcune eccezioni. In particolare, è stato affermato che lo status morboso non ha un valore sospensivo assoluto, poiché il datore di lavoro può provare l’eventuale carattere lieve dell’indisposizione, tale da non compromettere la funzione delle ferie[7] e tale da non commutare le stesse in periodo di malattia[8]. In tal caso, è il giudice di merito che dovrà valutare il sostanziale ed apprezzabile pregiudizio, anche temporaneo, che la malattia arreca alle ferie ed al beneficio che ne deriva, avuto riguardo della natura e dell’entità dello stato morboso[9]. Tuttavia, non sono mancate sentenze della stessa giurisprudenza di legittimità secondo cui la malattia sopraggiunta al lavoratore, qualunque entità essa abbia, sia in grado di sospendere le ferie[10], tale da fornire un valore sospensivo assoluto allo stato morboso.
Siffatto conflitto interno, creatosi tra le due correnti giurisprudenziali, è stato composto dalle Sezioni Unite con sentenza n. 1947 del 1998[11], la quale ha accolto l’indirizzo maggioritario e più restrittivo che limita la portata dell’effetto sospensivo delle ferie alle sole patologie che risultino incompatibili con il godimento delle stesse e a cui l’orientamento successivo s’è attenuto[12]. Detto in altri termini, la nozione di malattia ex art. 2110 c.c. (in quanto causa giustificatrice dell’assenza dal lavoro) appare normalmente idonea a provocare l’impedimento della fruizione delle ferie, ma vero è pure che tale presunzione ben può essere smentita di volta in volta dalla particolarità del caso di specie. Può accadere infatti, con riferimento anche alle statuizioni dei giudici comunitari, che l’alterazione fisiologica in sé preclusiva dello svolgimento della prestazione lavorativa sia in realtà compatibile con le finalità assolte dal diritto alle ferie[13]. Ne consegue che il richiamato effetto sospensivo di cui all’art. 2109 c.c., dev’essere collegato all’apprezzamento in concreto d’un evento morboso, comunque, incompatibile con il godimento delle ferie e qualsiasi limitazione a priori dell’efficacia e dell’operatività di tale principio realizzerebbe un vulnus dell’espressione di garanzie costituzionali.
Periodo di comporto e compatibilità col periodo feriale
Così inquadrato il rapporto che intercorre tra ferie e malattia, il discorso deve ampliarsi o, per meglio dire, rivoltarsi e porsi su un piano opposto, ovvero se il lavoratore possa usufruire delle ferie nel momento in cui si trova in congedo per malattia[14].
Esiste, anche in questo senso, un formante giurisprudenziale.
Premesso che nel diritto interno non esiste un principio di convertibilità automatica legale del titolo da assenza per malattia in assenza per ferie[15], c’è d’ausilio un costante orientamento giurisprudenziale[16], per il quale un lavoratore può ottenerne il mutamento se la fruizione del periodo di ferie valga ad impedire il superamento del periodo di comporto per malattia e teso quindi, ad evitare un possibile licenziamento[17].
Vero è però che questo concetto non può essere ammesso ad oltranza, la giurisprudenza ha trovato un limite proprio in quanto disposto dall’art. 2109 c.c., per il quale solo il datore di lavoro ha il potere di determinare l’epoca della fruizione delle ferie in considerazione delle esigenze dell’impresa e dell’interesse del lavoratore[18]. Tuttavia, la previsione di legge secondo la quale il datore di lavoro debba esercitare il suo potere contemperandolo con gli interessi del lavoratore e con principi di correttezza e buona fede, fa sì che, ove il lavoratore richieda la collocazione in ferie durante la malattia, esso è tenuto ad acconsentirvi, a meno che non si possa far valere un giustificato motivo di rifiuto[19].
È evidente qui che debba prevalere l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, tanto più quando a bilanciamento delle due opposte esigenze, non possa opporsi quella datoriale alla prestazione lavorativa inesigibile a causa di malattia, attesa la garanzia del diritto alle ferie ed il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare, con la fruizione delle stesse, la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto, nonché l’ulteriore conseguenza di perdere definitivamente il diritto di godere delle ferie annuali retribuite[20].
In realtà la fruizione di ferie come strumento per allungare il periodo di comporto, potrebbe apparire una violazione dell’irrinunciabilità tipica delle ferie, in contrasto con il disposto di cui all’art. 36, comma 3, Cost., sia pure nei limiti di condizioni fisiche idonee[21], ma ciò è sostenuto dall’altrettanto meritevole tutela alla conservazione del posto di lavoro[22], tale da risolvere il problema della fruibilità ed effettività delle ferie nella tutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, ritenuto ormai prevalente dalla nostra giurisprudenza rispetto al diritto, pur di rango costituzionale, di fruizione del riposo annuale[23].
In altre parole, il diritto inderogabile del lavoratore è ritenuto sacrificabile dalla legge[24] e dalla citata giurisprudenza che, sostanzialmente, valuta gli interessi del lavoratore e ne privilegia le priorità[25].
È così indubbio che vadano gradati gli interessi tutelati secondo un criterio di prevalenza che vede primeggiare quello generale alla conservazione del posto di lavoro, così come suffragato, nel nostro ordinamento, da costante giurisprudenza[26] e dottrina[27]. Elaborazioni queste ultime che danno la possibilità al lavoratore di godere delle ferie nel periodo di malattia se ciò è finalizzato alla conservazione del posto di lavoro e la Direttiva comunitaria n. 88 del 2003, devolvendo la questione a prassi o leggi nazionali – volontariamente – non impone al lavoratore di attendere la guarigione per fruirne (fatte salve le necessarie formalità da espletare con il datore di lavoro)[28], riconoscendo così ampia vis espansiva agli istituti coinvolti.
[1] Si fa riferimento alla legge n. 157 del 10 aprile 1981, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 116 (Suppl. Ord.) del 29 aprile 1981, con la quale è stata ratificata la Convenzione OIL n. 132/1970 e che prevedeva all’art. 3, comma 3, un periodo minimo di congedo annuale pari a tre settimane e agli artt. 8. comma 2, e 9, comma 1, che tale periodo minimo potesse essere goduto in maniera frazionata, e cioè per almeno due settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione, e, per il restante periodo, nel termine più ampio di diciotto mesi dalla scadenza dell’anno di riferimento.
[2] Gli interessi tutelati dall’art. 36 Cost., ultimo comma, sono, per unanime orientamento, il ristoro delle energie psico-fisiche del lavoratore e la realizzazione dell’individuo attraverso attività diverse da quella lavorativa, che gli consentano la cura della propria personalità nella dimensione sia individuale che sociale; si veda per tutti G. F. MANCINI, La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Milano, 1957, 155 e ss; C. SMURAGLIA, La persona del prestatore di lavoro, Milano, 1967, 376 e ss.; P. SANDULLI, Ferie, in Enc. Dir., vol. XVII, 1968, 179, in quale afferma che nelle ferie vi sia la prevalenza degli interessi etico-sociali rispetto a quelli fisiologici, cui sono essenzialmente preordinate le altre pause. Sulla stessa natura di tali interessi si registrano opinioni differenti. Nello specifico, si sostiene che essi siano interessi di ordine pubblico, ed a ciò si fa risalire l’irrinunciabilità del loro godimento da parte del lavoratore, così NOCOLINI, Note in tema di indennità sostitutiva delle ferie, in Dir. Ec., 1964, 313 e P. SANDULLI, Ferie, in Enc. Dir., op. cit.. Altri Autori hanno ritenuto più convincente la tesi opposta, per la quale essi si sarebbero dotati di natura privatistica. Quest’ultima, peraltro, appare fondata su condivisibili considerazioni che non sminuiscono affatto la tutela apprestata dal costituente al lavoratore tramite l’irrinunciabilità del diritto ed è avvalorata dall’assenza di indici normativi in senso contrario, tra cui la tutela penale, in questo senso si veda F. TESTA, Le ferie del lavoratore fra impresa, “persona”, contratto, in Dir. Lav., 2001, 659 e ss. Oltremodo, la qualificazione del diritto alle ferie come diritto irrinunciabile della persona è il risultato di un percorso interpretativo che parte dall’art. 36 Cost. e che trova le sue tappe essenziali nelle sentenze della Corte costituzionale n. 66 del 1963, in Mass. Giur. Lav., 1963, 286; Corte costituzionale n. 69 del 1986 e n. 543 del 1990, ivi, 1991, 1, con nota di SBROCCA, In tema di annualità delle ferie, nonché in Giur. Cost., 1990, 3120, con nota di COLAPIETRO, Corte costituzionale e razionalizzazione legislativa: ancora una pronuncia “audacemente sostitutiva”. Tale qualificazione è stata anche ribadita dalla sentenza della Corte di Cassazione, SS. UU., 14020 del 2001, con nota di SENATORI, Concorso tra cause sospensive della prestazione di lavoro: profili giurisprudenziali, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, 3 e ss.
[3] Per i cui approfondimenti si rimanda ad A. PESSI, Il diritto alle ferie tra vecchie e nuove problematiche, in Arg. Dir. Lav., 2006, III, 789 e ss.
[4] A. GRIECO, Le ferie annuali tra diritto all’autodeterminazione ed eccezionalità del rinvio, in Riv. Giur. Lav., 2008, II, 411 e ss.
[5] Si veda da ultimo, Corte di Giustizia UE nella sentenza 27 aprile 2023, causa n. C-192/22.
[6] Si fa riferimento alle pronunce del 30 dicembre 1987, n. 616, in Mass. Giur. Lav., 1987, 587, per la quale è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli art. 36, comma 3 e 3 Cost., l’art. 2109 c.c. nella parte in cui non prevede che la malattia, insorta durante il periodo feriale, ne sospenda il decorso. Secondo i giudici a quibus risulterebbero violati: l’art. 36 comma 3 cost. (poiché nell’ipotesi considerata non risulterebbe assicurato un idoneo periodo di riposo) e l’art. 3 cost. (per la disparità di trattamento rispetto ai lavoratori pubblici) e del 19 giugno 1990, n. 297, in Giur. Cost., 1990, 1846, per la quale spetta al legislatore o alla contrattazione collettiva stabilire se ed in quali casi la fruizione delle cure idrotermali, in relazione al processo morboso che le richiede, sia o no compatibile col diritto alle ferie, occorrendo contemperare i contrapposti interessi in gioco; pertanto, l’art. 13, comma 3, del D.L. 12 settembre 1983 n. 463 convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 1983 n. 638, non è in contrasto con gli art. 3 e 36 Cost., quando non prevede la generale sospensione delle ferie, nel caso di fruizione di cure idrotermali nel periodo feriale.
[7] Ex plurimis Cass. 6 aprile 2006, n. 8106, in Giust. Civ. Mass. 2006, 4.
[8] In dottrina si veda R. DEL PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro, in Il Codice civile commentato, diretto da P. SCLESINGHER, Milano, 1992, 89 e ss; A. MARESCA, Ferie e malattia, in Questioni attuali di diritto del lavoro, Roma, 1989, 112-114.
[9] Così Cass. 16 marzo 1994, n. 2515, in Giust. Civ. Mass., 1994, 326; Cass. 27 luglio 1994, n. 6982 in Dir. Lav. 1995, II, 123, con nota di MASELLI, la quale, rifacendosi all’elaborazione della Consulta affermava che in tema di malattia insorta durante il periodo di godimento delle ferie, l’esigenza di una disciplina di dettaglio enunciata dalla sentenza n. 61 del 1987 della Corte costituzionale deriva, come chiarito dalla stessa Corte con la sentenza n. 297 del 1990, dal fatto che il principio dell’effetto sospensivo delle ferie non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l’individuazione delle quali occorre aver riguardo, nella prospettiva di un adeguato bilanciamento degli interessi che muove dall’essenziale salvaguardia dei valori costituzionali in gioco, alla specificità degli stati morbosi delle cure di volta in volta considerate, al fine di valutare l’incompatibilità della malattia con la salvaguardia dell’essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psico-fisiche e ricreazione, propria delle ferie. L’onere di provare, o quanto meno di allegare, le caratteristiche della malattia che determinino la suddetta incompatibilità grava sul lavoratore, in applicazione dei principi generali in tema di ripartizione dell’onere della prova fissati dall’art. 2697 c.c… Sul tema pure Cass. 20 dicembre 1995, n. 12998, in Orient. Giur. Lav., 1996, 400 per la quale il principio dell’effetto sospensivo delle ferie non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l’individuazione delle quali occorre aver riguardo, nella prospettiva di un adeguato bilanciamento degli interessi che muova dall’essenziale salvaguardia dei valori costituzionali in giuoco, alla specificità degli stati morbosi e delle cure di volta in volta considerate, al fine di valutarne la compatibilità o meno con il recupero delle energie psico fisiche e ricreazione, propria delle ferie. Il principio in questione è destinato, quindi, ad operare ogni volta che la funzione tipica delle ferie risulti pregiudicata in concreto dalla malattia, indipendentemente dall’esistenza o meno di una disciplina che colleghi l’interruzione delle ferie a specifiche ipotesi di evento morboso, stabilendo in proposito particolari modalità di controllo da parte del datore di lavoro. È dunque evidente che una limitazione dell’efficacia del principio stesso, espressione di garanzia di valori costituzionali, non potrebbe derivare da una regolamentazione di fonte negoziale quali non meglio precisate “prassi aziendali”. Si veda pure Cass. 22 marzo 1996, n. 2515, in Not. Giur. Lav., 1996, 710; Cass. 10 aprile 1997, n. 3093, in Not. Giur. Lav. 1997, 382, che, nello stesso senso delle precedenti, statuisce che la malattia ha efficacia sospensiva del decorso delle ferie, salvo quando essa, secondo l’accertamento del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, risulti, per la sua natura, compatibile con la funzione delle ferie di consentire il recupero delle energie psicofisiche attraverso il riposo e la ricreazione, né il carattere collettivo delle ferie preclude, per il lavoratore interessato, tale efficacia sospensiva della malattia.
[10] Tra le più rilevanti si veda: Cass. 5 marzo 1993, n. 2704, in Lav. Prev. Oggi, 1994, 802 e ss.; Cass. 28 novembre 1994, n. 10110, in Mass. Giur. L, 1995; Cass. 27 luglio 1996, n. 6808, in Riv. It. Dir. Lav., 1997, 3, 532, con nota di A. ROSIELLO, Ancora sull’interruzione delle ferie per insorgenza di una malattia.
[11] La sentenza può essere letta in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, 743, con nota di P. TULLINI, Sulla sospensione del periodo feriale per malattia del lavoratore: l’intervento delle Sezioni Unite.
[12] Sulla scia di questo orientamento si veda, quindi, Cass. 3 agosto 1999, n. 8408, in Giust. Civ. Mass. 1999, 1773 e ss.; Cass. 14 dicembre 2000, n. 15768, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, 4, 723, con nota di C. MANCINI, Ancora sul concetto di malattia idonea a interrompere il decorso delle ferie. Si rileva in questa sede anche una giurisprudenza di merito, non isolata, per cui la malattia insorta durante le ferie non sospende automaticamente il decorso di esse, ma ciò avviene soltanto a seguito della comunicazione al datore di lavoro dell’insorta patologia, così Tribunale di Firenze del 4 febbraio 1991, in Orient. Giur. Lav., 1991, I, 344. La sospensione delle ferie per malattia e, quindi, la conversione del relativo titolo di assenza, decorre dalla data di conoscenza, da parte datoriale, della comunicazione dello stato di malattia effettuata dal lavoratore (con l’osservanza altresì, di tutte le disposizioni in vigore: documentazione dello stato di malattia, certificazione, comunicazione del recapito se diverso dal solito, rispetto delle fasce orarie e via dicendo). Di conseguenza, dato che l’effetto della conversione da ferie in malattia si produce solo successivamente alla data di ricezione da parte del datore di lavoro della comunicazione (mentre sarà imputabile a titolo di ferie il periodo di assenza anteriore alla comunicazione), sarà interesse specifico del dipendente attivarsi affinché la certificazione pervenga il prima possibile al datore di lavoro. In questo senso si è espressa anche l’INPS con Circolare del 17 maggio 1999, n. 109. La giurisprudenza di legittimità richiamata ha precisato altresì la nullità, per contrasto con l’art. 2109 del c.c. e con l’art. 36 Cost., delle clausole dei contratti collettivi che collegano l’effetto sospensivo o meno della malattia alla sua durata, trattandosi di un criterio inidoneo a stabilire se la malattia denunciata sia o meno compatibile con la reale fruizione delle ferie. Ex plurimis Cass. 14 dicembre 2000, n. 15768, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, 4, 723, con nota di C. MANCINI,Ancora sul concetto di malattia idonea a interrompere il decorso delle ferie, con riferimento all’art. 24 del CCNL “Industria e vetro”del 1990, il quale disponeva testualmente che “la malattia di durata superiore a quattordici giorni consecutivi, regolarmente certificata ai sensi dell’art. 53, sopravvenuta durante il periodo di godimento delle ferie, ne interrompe il decorso. Ugualmente illegittime sono pure quelle clausole contrattuali che consentono la sospensione delle ferie in caso di ricovero ospedaliero, così Cass. 19 febbraio 1998, n. 1741, in Giust. Civ. Mass., 1998, 372; Cass. 17 novembre 1997, n. 11401, in Not. Giur. Lav., 1997, 837 e Cass. 20 dicembre 1995, n. 12988, in Mass. Giur. Lav., 1996, 59. Il giudice di merito, nel valutare il sostanziale ed apprezzabile pregiudizio arrecato alle ferie dallo stato morboso, in relazione alla sua natura ed entità, non può presumere tale pregiudizio dal mero fatto che il lavoratore debba osservare l’obbligo di reperibilità nelle fasce orarie, con conseguente limitazione del godimento delle ferie, in questo senso si è espressa Cass. 8 novembre 1999, n. 12406, in Dir. Prat. Lav., 2000, 888 e ss. Appare infine, per completezza di trattazione, sottolineare che neanche in caso di godimento delle ferie collettive la malattia è idonea a sospendere le stesse, così Cass. 10 aprile 1997, n. 3093, in Not. Giur. Lav., 1997, 382 e ss.
[13] Cfr. Corte di giustizia europea del 20 gennaio 2009, in Mass. Giur. Lav., 2009, n. 11, 804; Corte giustizia europea, Grande Sez., 22 novembre 2011, n. 214 e Corte giustizia europea, Grande Sez., 24 gennaio 2012, n. 282, entrambe in Lav. Giur., 2012, 7, 675; Corte di giustizia europea del 21 febbraio 2013, causa C-194/12, in Dir. Rel. Ind., 2013, 4, 1193; Corte di giustizia europea del 19 novembre 2019, C-609/17 e C-610/17, in Riv. Giur. Lav., 2020, 2, 423 e Corte di giustizia europea del 27 aprile 2023, causa n. C-192/22, in wikilabour.it.
[14] Per approfondimenti sul punto, si veda anche R. VIANELLO, La sospensione della prestazione di lavoro e la tutela della salute, in Contratto di lavoro e organizzazione. Contratto e rapporto di lavoro, a cura di M. MARTONE, Padova, 2011, 1164 ss. e R. DEL PUNTA, Sub art. 2110 c.c., in Codice commentato del lavoro, diretto da R. DEL PUNTA – F. SCARPELLI,Milano, 2019, 529 ss.
[15] Alcuna giurisprudenza, ormai non più recente, ravvede invece nel nostro ordinamento un principio di convertibilità automatica delle cause di assenza dal lavoro. Così si sono espresse: Cass. 30 settembre 1990, n. 2608, in Giur. Civ., I, 1990, 2907, con nota di R. DEL PUNTA, Ferie e comporto per malattia; Cass. 11 marzo 1995, n. 2847, in Mass. Giur. Lav., 1995, 206; Cass. 5 marzo 1993, n. 2704, in RIv. It. Dir. Lav., 1993, II, 807, con nota di BIANCONCINI, Sulla malattia sopravvenuta durante le ferie “aggiuntive”, relativa però al diverso e “tradizionale”caso della sospensione delle ferie per malattia; Cass. 15 dicembre 1994, n. 10761, in Orient. Giur. Lav., 1995, 397. Attualmente l’orientamento è stato ampliamente superato non ammettendo un obbligo del datore alla conversione “d’ufficio” della malattia in ferie, né tantomeno un suo dovere di avvertire che il periodo di comporto è prossimo alla scadenza (così Cass. 22 aprile 2008, n. 10352,Mass. Giur. Lav., 2008, 789, con nota di A. Conti, Questioni sul licenziamento per scadenza del comporto di malattia e Trib. Ravenna 9 ottobre 2003, Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro, n. 1739). In dottrina si veda trina, E. Balletti, Decorrenza del periodo di comporto ed incidenza dei giorni di ferie maturati dal lavoratore, in Giust. Civ., 1992, I, 1885.
[16] Che in verità si è formato successivamente ad un altro rispetto al quale non veniva ammessa tale possibilità, anche laddove la richiesta di ferie fosse stata avanzata dal lavoratore in costanza di rapporto, non potendosi tradurre il mancato godimento delle ferie annuali, in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, nel diritto al prolungamento del rapporto per un periodo corrispondente alla loro durata (così Cass. 30 agosto 1983, n. 5504, Mass. Giur. Lav., 1983, 385).
[17] Cass. 22 aprile 2008, n. 10352, in Mass. Giur. Lav., 2008, 787; Cass. 9 aprile 2003, n. 5521, in Mass. Giur. Lav., 2003, 564; Cass. 30 marzo 1990, n. 2608, in Mass. Giur. Lav., 1990, 265; Cass. 10 novembre 2004, n. 21385, in Guida al Dir., 2005, III, 163; Cass. 8 novembre 2000, n. 14490, in Not. Giur. Lav., 2001, 80; Cass. 17 febbraio 2000, n. 1774, in Not. Giur. Lav., 2000, 462; Cass. 27 febbraio 2003, n. 3028, in Mass. Giur. Lav., 2003, 260; Cass. 11 maggio 2000, n. 6043, in Not. Giur. Lav., 2000, 735. Per un orientamento di merito si veda Tribunale di Ravenna del 9 ottobre 2003, in Lav. Giur., 2004, 372. In senso contrarios’attesta un orientamento che precisa l’incompatibilità tra godimento delle ferie e la malattia che ne frustra la funzione, così è stato precisato anche da Corte costituzionale del 30 dicembre 1987, n. 616, in Riv. It. Dir. Lav., 1988, II, 297, con nota di POSO ed osservazioni critiche di PERA. In questo senso si veda Cass. 28 gennaio 1997, n. 873, in Riv. It. Dir. Lav., 1997, III, 545, con nota di L. MARRA, Periodo di comporto e ferie maturate in costanza di malattia; Cass. 29 settembre 1988, n. 5294, in Impresa, 1989, 262; Cass. 30 ottobre 1983, n. 5504, in Mass. Giur. Lav., 1983. Per un orientamento di merito si veda, ad esempio, Tribunale di Milano del 31 marzo 1995 (est. Accardo) e Tribunale di Milano del 31 marzo 1995 (est. Siniscalchi), entrambe in Orient. Giur. Lav., 1995, 630 e ss., con nota di CINNATE, Ancora sul problema della sovrapposizione delle ferie alla malattia: slittato i termini per il superamento del periodo di comporto? ed ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali; Tribunale di Milano 31 marzo 1995, in Riv. It. Dir. Lav., 1996, 115, con nota di BANO e Pretura di Nola 19 settembre 1996, in Lav. Giur., 1997, 244, che hanno negato il prolungamento del periodo di comporto. Si rinvia per chiarimenti dottrinali sul tema, nonché per la ricostruzione dettagliata dell’argomento ad A. CONTI, Questioni sul licenziamento per scadenza del comporto per malattia, in Mass. Giur. Lav., 2008, 789.
[18] Sia concesso il rinvio a S. Caponetti, Il diritto alle ferie tra prassi nazionale e giurisprudenza comunitaria, in Mass. Giur. Lav., 2009, 11, 804. È restrittivo, da ultimo, quell’orientamento esposto da Cass. 27 marzo 2020, n. 7566, in Riv. It. Dir. Lav., 2020, 2, 529, secondo cui il licenziamento per giusta causa, motivato da assenze ingiustificate dal lavoro per più giorni consecutivi, è legittimo, laddove il lavoratore che si trovi in malattia, scaduto il periodo di comporto, si collochi autonomamente in ferie senza formulare alcuna richiesta al datore di lavoro, essendo venuto meno il titolo giustificativo dell’assenza.
[19] In questo senso si è orientata la già citata sentenza della Cass. del 9 aprile 2003, n. 5521, Riv. Giur. Lav., 2003, II, 738, con nota di D’AMORE, conforme a Cass. 27 febbraio 2003, n. 3028, in Orient. Giur. Lav., 2003, I, 109; Cass. 12 luglio 2002, n. 10622, in Giur. It., 2003, 670 e Cass. 26 ottobre 1999, n. 12031, in Mass. Giur. Lav., 2000, 61. Così pure l’orientamento di merito riscontrabile in Tribunale di Milano del 19 febbraio 2003, in Riv. Crit. Dir. Lav., 2003, 398.
[20] Al lavoratore è riconosciutala facoltà di rinunziare alla realizzazione della naturale funzione delle ferie, similmente a quanto si ritiene a proposito della modifica in pejus delle mansioni, nonostante le sanzioni di nullità di cui all’art. 2103, ultimo comma, del Codice civile. Si vedi così Cass. 20 maggio 1993, n. 5693, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 161, con nota di CONTE, Sul compenso del lavoratore alla dequalificazione delle mansioni in funzione di propri interessi, ed ivi ulteriori riferimenti. Sulla validità dei patti che stabiliscono una modifica in pejus delle mansioni vi è una notevole discordanza di opinioni. Solo alcuni autori hanno ritenuto validi tali atti perchè conclusi nell’esclusivo interesse del lavoratore alla conservazione del posto: F. LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982. A tal proposito è stato argomentato che la nullità disposta dall’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, debba essere circoscritta ai soli patti contrari diretti a soddisfare l’interesse del datore, sarebbero invece validi quelli funzionali all’interesse del lavoratore. V. ROMAGNOLI, Art. 13. Mansioni del lavoratore, in GHEZZI, MANCINI, MUNTUSCHI, ROMAGNOLI, Statuto dei lavoratori, in Commentario al Codice civile, a cura di SCALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, 1979, I, 253. Egualmente divisa è la giurisprudenza. Fino a qualche tempo fa la Cassazione si era costantemente pronunciata nel senso dell’illegittimità di tali patti (si veda per tutti Cass. 6 giugno 1985, n. 3372, in Not. Giur. Lav., 1985, 648; Cass. 23 gennaio 1988, n. 359, ibidem, 1988, 313). Recentemente sono sempre più numerose le sentenze di segno contrario (così si veda Cass. 5 agosto 2000, n. 10339, in Giust. Civ., 2000, 1730; Cass. 29 marzo 2000, n. 3827, in Not. Giur. Lav., 2000, 607; Cass. 18 ottobre 1999, n. 11727, in Mass. Giur. Lav., 1999, 1361 e ss. Per approfondimento critici sul problema si veda S. CASSAR, Divieto di demansionamento e patti derogatori, in Lav. Prev. Oggi, VI, 2009, 757 e ss. ma anche M. LANOTTE, Spunti ricostruttivi su mansioni e professionalità nel lavoro pubblico “privatizzato”, in Mass. Giur. Lav., V, 2008, 362 e ss. e C. PISANI, La modifica delle mansioni, Milano, 1996, 11 e ss. nonché A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Padova, 2021, 148, in cui l’autorevole Autore afferma la necessità di una “tutela dinamica del lavoratore”. Ma anche IDEST, Modificazione consensuale delle mansioni contrattuali e previsione di mansioni promiscue, in Giust. civ. 1981, n. 5.
[21] In questo senso si è espresso E. BALLETTI, Decorrenza del periodo di comporto ed incidenza dei giorni di ferie maturati dal lavoratore, in Giust. Civ., 1992, I, 1889 e ss. ma anche G. GRAMICCIA, in Mass. Giur. Lav., 1997, 231.
[22] A tale conclusione arriva un orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione di cui alla sentenza del 6 marzo 2007, n. 5112, in Guida al Lav., 2007, 19, 39 e ss, per la quale tale interpretazione avrebbe natura dal c.d. patto di dequalificazione, quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, essendo (tale circostanza) non già una deroga all’art. 2103 c.c., norma diretta alla regolamentazione dello jus variandi del datore di lavoro e come tale inderogabile secondo l’espresso disposto del comma 2 dello stesso articolo, bensì un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretta dal consenso e dall’interesse del lavoratore.
[23] R. DEL PUNTA, Ferie e comporto per malattia, in Giust. Civ., 1990, 2907 e N. DE ANGELIS, Computo e superamento del periodo di comporto per malattia ed infortunio sul lavoro, in Mass. Giur. Lav., 2005, 168.
[24] Ne è esempio la Legge 12 marzo 1999, n. 68, rubricata “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, la quale, all’art. 4, comma 4, prevede testualmente “I lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia non possono essere computati nella quota di riserva di cui all’articolo 3 se hanno subito una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60 per cento o, comunque, se sono divenuti inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. Per i già menzionati lavoratori l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all’articolo 6, comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all’articolo 8”. Ne dà conferma anche l’art. 42 del D.lgs. 81 del 9 aprile 2008, TU sulla sicurezza, così come risulta corretto e modificato dal D.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, per il quale “il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
[25] A. CONTI, Questioni sul licenziamento per scadenza del comporto di malattia, in Mass. Giur. Lav., 2008, X, 789 e ss.
[26] Ex plurimis Cass. 19 ottobre 2000, n. 13860, in Giust. Civ., 2000, I, 3120.
[27] P. SANDULLI, voce, Le ferie dei lavoratori, in Enc. Dir., XVII, 1968.
[28] Sul tema, l’orientamento attuale della Cassazione prevede che il lavoratore che si trovi in malattia e voglia godere delle ferie a ridosso della scadenza del periodo di comporto, non può collocarsi autonomamente in ferie senza formulare alcuna richiesta al datore di lavoro. L’orientamento da ultimo citato è espresso da Cass. 27 marzo 2020, n. 7566, in Riv. It. Dir. Lav., 2020, 2, 529.