di Danilo Granata
Sommario: 1. Premessa: globalizzazione e diritto – 2. L’evoluzione del Global Administrative Law – 3. Considerazioni conclusive
- Premessa: globalizzazione e diritto
La globalizzazione[1], intesa quale processo intersettoriale[2], ha messo le sue più profonde radici nel sistema dei mercati, dove ha raggiunto il suo massimo sviluppo. Invero, il risultato più evidente di questo susseguirsi incessante di cambiamenti è stato sicuramente, non tanto l’unificazione dei mercati, quanto più che altro un vero e proprio “sconfinamento nazionale”, o meglio una vera e propria de-territorializzazione generale: si tratta, ora, di fare i conti con nuovi modi e nuove fonti di normazione dei mercati, che in gran parte non coincidono più con le sovranità nazionali né hanno necessariamente carattere “pubblico”[3]. I confini degli Stati non rappresentano più i confini dei mercati, anzi gli scambi avvengono senza più alcuno ostacolo di tipo geografico, culturale o giuridico.
Ebbene, a riguardo, si pensi come negli ultimi decenni il quadro istituzionale che attiene all’intervento pubblico nell’economia è significativamente mutato, soprattutto sotto la spinta dell’integrazione europea e della globalizzazione degli scambi. E’ lapalissiano, dunque, considerare come la globalizzazione dei mercati, quali luoghi di contrattazione, produca dei vistosi effetti anche e soprattutto sul piano giuridico[4].
A tal proposito, si è progressivamente registrato, nella normativa e nella prassi, un modello di azione pubblica nel mercato differente che, oltre a caratterizzare gli ambiti che interferiscono con l’iniziativa economica privata, sembra estendersi anche alle funzioni amministrative tradizionali. In particolare, soprattutto dopo gli anni ’80, alla classica “programmazione”[5] si è affiancata una nuova forma di intervento pubblicistico nell’economia, ossia la cd. “regolazione”.
Nello specifico, la programmazione, la quale è posta in essere dai principali attori politici, Governo e Parlamento, parte da un insieme di dati statistico-economici ed involge due sottofasi:
- previsione degli obbiettivi generali;
- predisposizione delle strategie per raggiungerli.
Dunque, la programmazione si configura quale intervento statale attivo di riequilibrio economico e sociale diretto alla cura degli interessi generali sulla base di quelle che sono precise evidenze economico-finanziarie, sia attraverso incentivi alle imprese, sia con la produzione di beni e servizi attraverso le imprese pubbliche a disposizione.
Diverso procedimento è quello, invece, del “novello” strumento della regolazione amministrativa. Invero, quest’ultima, è connotata da un carattere sussidiario rispetto all’autonomia privata, nel momento in cui, la stessa, non riesce a garantire pienamente alcuni interessi superindividuali, quali, ad esempio, la sicurezza, l’ambiente, la tutela del consumatore, diritto di informazione, ecc. La regolazione, tuttavia, ha l’obbiettivo non di eliminare l’autonomia privata, ma di migliorarne i risultati, senza, pertanto, che il suo esercizio si ponga in contrasto con il tracciato costituzionale di cui all’art. 41.
A fronte di tali definizioni, si può ben comprendere come sia la programmazione che la regolazione presuppongano entrambe la cura dell’interesse generale, con la differenza che la prima fissa gli obiettivi e predispone i mezzi, finanziari e non, per raggiungerli; mentre la seconda si limita ad intervenire su dinamiche spontanee dell’iniziativa economica privata, sulla base dell’assunto che il mercato, se adeguatamente “corretto”, nonostante animato da logiche utilitaristiche tipicamente imprenditoriali, possa comunque garantire determinate finalità generali, da considerarsi inerenti ed intrinseche alle stesse attività economiche[6].
Da quanto finora evidenziato discende come, ad oggi, il fenomeno globalizzazione abbia inciso profondamente sulla teoria delle fonti del diritto, erodendo quel potere riservato allo Stato di produzione normativistica inerente gli scambi sul mercato. In altre parole, per effetto della globalizzazione, la quale ha internazionalizzato i mercati, appare evidente come, oggi, la legge non sia sottoposta soltanto a costituzioni e trattati, ma che il nuovo diritto si presenti come un diritto non più esclusivamente legato alla dimensione puramente interna dello Stato, la cui fonte principale sono regole e princìpi in continuo divenire ad opera della prassi, della dottrina e della giurisprudenza[7], ma come, il medesimo, sia sensibile anche nei riguardi dei agenti esterni che la globalizzazione ha trascinato con sé, come, ad esempio, la normativa comunitaria in tema di concorrenza sul mercato.
Dal suddetto potere di indirizzo normativo di cui ormai godono i mercati ne è derivata, quale conseguenza automatica e diretto, una situazione nazionale e sovranazionale di incessante produzione normativa d’urgenza volta a salvaguardare in primis gli interessi di banche e imprese, ossia quelli degli attori forti del sistema economico-finanziario.
Rebus sic stantibus, sembrerebbe quasi che la globalizzazione abbia portato con sé un allarmante primato dell’economia sulla politica, con evidente eclissi dell’apparato statale e delle sue funzioni.
Da ciò il dovere del giurista di prendere una posizione su questo fenomeno.
Sul tema, degno di nota il monito di Natalino Irti, il quale ritiene che mai il diritto – a contraris di quanto affermato nella dottrina naturalistica – si debba fare interprete e specchio di un ordine preesistente e precostituito[8], ma che, anzi, sia sempre la legge, in dipendenza di decisioni politiche, a costituire l’ossatura del mercato[9].
Il mercato vive quindi di istituti giuridici e prende la fisionomia che così gli viene tracciata dalla legge. E, in uno Stato di diritto, non può, anzi non dovrebbe essere il contrario. E si badi bene che ciò non significa assumere un atteggiamento ostile nei confronti del procedimento inverso, ma semplicemente tenere a mente che lo ius, seppur vero non possa essere elemento statico ed immutabile incurante delle nuove necessità della società globale, d’altra parte, è opportuno che mantenga una propria “armatura” assiologica per non degradare a mera prassi mercantile.
- L’evoluzione del Global Administrative Law
Nell’ambito dello scenario globalizzato e a fronte della conseguente maggiore impronta internazionalistica degli scambi sul mercato, ha preso piede l’idea di una regolazione amministrativa globale, non più quindi territorialmente localizzata e domestica, ma tesa a perseguire l’obiettivo primario della soddisfazione dell’interesse universalmente inteso.
Va da sé come tale compito regolatorio spetti al diritto amministrativo, il quale, nella sua più intima essenza, è “narrazione dello Stato” in relazione alle posizioni giuridiche soggettive dei privati, in ragione del suo apprezzabile sforzo di aprirsi verso l’esterno[10]. Invero, è pacifico constatare che il medesimo storicamente, tra le branche tradizionali del diritto, è quello che maggiormente ha dovuto sopportare le ricadute sul territorio nazionale delle regolazioni ultrastatali che impattano sui poteri pubblici[11]. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle riforme in materie particolarmente sensibili, come quelle sulla concorrenza o sulla protezione ambientale.
Rileva come tale innesto, compreso tra gli effetti più giuridicamente rilevanti della globalizzazione, sia avvenuto “indolore”, e quindi senza snaturare le particolarità del diritto amministrativo, il quale, al contrario, ha mantenuto la propria identità, ampliando sic et simpliciter la propria sfera di disciplina con palesi benefici per la collettività internazionalmente considerata.
Per quanto concerne la possibilità di configurare un diritto amministrativo che varchi i confini dello Stato, e dunque globale, inizialmente tale idea fu criticata fortemente dalla Comunità europea e da attenta dottrina, tra cui si ricorda M. S. Giannini, il quale sosteneva che, essendo solo gli Stati i soggetti dell’ordinamento europeo, non era identificabile sul piano globale il nucleo fondamentale del diritto amministrativo, cioè il conflitto tra esercizio dell’autorità pubblica e tutela delle situazioni giuridiche dei cittadini[12].
Tuttavia, attualmente, avuto riguardo alla dottrina maggioritaria e alla giurisprudenza, l’esistenza di un diritto amministrativo europeo, invece, non risulta essere più in discussione, seppure non si è concordi sulla sua forma d’essere. D’altronde, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’ammettere la configurabilità di un diritto amministrativo transnazionale, ha accolto i privati tra soggetti dell’ordinamento europeo, sdradicando, per l’effetto, l’assunto di fondo delle teorie del dualismo giuridico, a mente delle quali il diritto amministrativo può trovare applicazione solo in quegli ordinamenti dove gli individui figurano quali destinatari diretti della produzione normativa.
Sotto il profilo storico, di diritto amministrativo internazionale, quale antenato del Global Administrative Law, ne cominciarono a parlare alcuni studiosi tra il XIX ed il XX secolo[13]. In particolare, il primo autore ad occuparsi del tema fu Lorenz Von Stein (1815 – 1890), il quale lo definì come quel diritto «che mediante un trattato internazionale è riconosciuto applicabile all’amministrazione di ogni Stato»[14].
Tesi ripresa in Italia da Fusinato, il quale, a sua volta, inquadrò il diritto amministrativo internazionale come quel ramo del diritto che è internazionale per la sua fonte, ma interno per quanto riguarda il “contenuto” [15], riferendosi alla disciplina di interessi che trascendono i confini nazionali.
Per effetto del successo di tali teorie, si cominciò a registrare una maggiore apertura internazionale in materie tipicamente amministrative (posta, telecomunicazioni, tutela della proprietà intellettuale) sotto un duplice binario: da un lato, con la maggiore circolazione esterna delle norme giuridiche nazionali, e, dall’altro, mediante l’armonizzazione internazionale delle medesime.
Nei confronti dei più scettici, ravvisanti una contraddizione in termini nell’espressione “diritto amministrativo internazionale”, arrivò la risposta a tono di Borsi, il quale sostenne come non vi fosse alcuna incompatibilità tra il concetto attività amministrativa ed il “concetto di diritto internazionale”[16]. Infatti, seppur vero che la prima rappresenta una attività puramente interna, ciò non priva una pluralità di Stati di esercitarla congiuntamente mediante, ad esempio, accordi di cooperazione.
In aggiunta, rileva che lo sviluppo di questa tipologia di diritto venne favorita anche da un altro effetto discendente dal processo di globalizzazione, ovverosia il cd. Decentramento amministrativo internazionale, inteso quale costituzione graduale di nuovi enti internazionali dotati di poteri pubblici, a cui corrispose storicamente una perdita proporzionata del ruolo di centralità degli apparati statali. Ed ancora, con la nascita, nel secondo dopoguerra, del modello Welfare State quando gli Stati cominciarono man mano ad affidare le funzioni regolatrici amministrative ad entità pubbliche substatali.
Decentramento funzionale che trovò, tuttavia, il suo apice soltanto con il sorgere delle cd. autorità amministrative indipendenti, con le quali, si ammise una vera e propria delegazione delle funzioni normative ed amministrative al di fuori di organi costituzionali di governo[17].
Ed ecco perché oggi accanto ad organizzazioni internazionali di tipo tradizionale, ovverosia costituite dai governi nazionali tramite trattati, troviamo una pluralità di organismi internazionali, di cui fanno parte non solo le organizzazioni internazionali stesse, ma anche organizzazioni non governative e soggetti privati come le grandi imprese multinazionali.
Nonostante questi incessanti mutamenti spingenti sempre di più verso una visione internazionale della legislazione amministrativa, soltanto nel XXI secolo, dal fronte statunitense, si cominciò a parlare effettivamente di Global Administrative Law, ove l’aggettivo “globale” è ovviamente collegato al concetto di globalizzazione economica. All’uopo, è lapalissiano constatare come, alla luce della nascita dei predetti organismi internazionali, sia stato proprio lo sviluppo degli scambi e dei mercati finanziari su scala mondiale a dar vita a sistemi regolatori dove gli Stati non sono più i “sovrani assoluti”.
Il fondamento di questo nuovo diritto trova causa nella circostanza secondo cui ogni qualvolta l’interesse da tutelare assuma un connotato globale potrebbe essere insufficiente una mera negoziazione tra Stati, risultando più efficiente l’invocazione di un sistema di regole giuridiche di livello ultrastatale, di cui gli attori principali sono le amministrazioni nazionali.
Per meglio comprendere tale concettualizzazione, si consideri che una delle più evidenti manifestazioni storiche del diritto amministrativo globale si è avuta in occasione dell’adozione del cd. Protocollo di Kyoto[18], recante l’aggiornamento dei precedenti protocolli in materia di tutela ambientale. Tale documento a carattere amministrativo – internazionale imponeva, per ognuno dei Paesi più industrialmente sviluppati, alcuni limiti di natura quantitativa all’emissione di gas serra.
Il modello introdotto dal Protocollo di Kyoto rappresenta la più classica esemplificazione di Global Administrative Law, dal momento che ne sono presenti i classici elementi costitutivi, ovverosia: 1) la componente dell’esigenza globale, ossia, nella specie, la necessità di prevenire il disastro ambientale attraverso la regolazione ed il commercio delle quote di emissione; 2) le transazioni di mercato tra Stati e imprese svolte nel rispetto di una pianificazione globale.
Orbene, secondo Cassese, i regimi regolatori, come quelli inaugurati con il Protocollo di Kyoto, «non possono essere inquadrati nell’ambito dello Stato o intesi come mera estensione degli Stati (come avveniva nel caso delle Unioni amministrative internazionali), perché vanno al di là di essi e perché si impongono ad essi», e, pertanto, gli stessi non possono che rappresentare la più viva testimonianza storica dell’esistenza effettiva del Global Administrative Law.
La scienza anglosassone si riferisce al fenomeno di “superamento dei confini”, il quale ha connotati più transnazionali che internazionali, con l’espressione “Global governance”[19], intesa, nello specifico, quale insieme di istituzioni, politiche ed iniziative congiunte. In particolare, secondo tale modello, gli ordinamenti pubblici globali non rappresentano la mera somma dei singoli ordinamenti nazionali portatori di particolari interessi interni, quanto, più che altro, l’aggregazione paritaria di organismi internazionali di settore, autonomi ed indipendenti, tra i quali non esiste alcun rapporto di gerarchia, e destinati alla cura di interessi di alto grado collettivo.
Sul punto, per quanto Qui di interesse, Cassese conferma che, in riferimento alla Global governance, un ruolo fondamentale lo gioca l’amministrazione piuttosto che la politica[20].
Ed è proprio al fine di risolvere i problemi di scienza giuridica[21], internazionali ed interni, scaturenti man mano dalla diffusione della Global governance, il Global Administrative Law ha suscitato l’interesse dei più, soprattutto durante l’ultimo decennio.
Nel 2005, tre ricercatori newyorkesi, Benedict Kingsbury, Nico Krisch e Richard B. Stewart pubblicarono un articolo dal titolo più che emblematico, “The Emergency of Global Administrative Law” sulla rivista scientifica Law and Contemporary Problems[22].
Ebbene, nella sua più moderna configurazione, il Global Administrative Law presuppone l’esistenza di un livello extrastatale dove, venendo meno la marcata dicotomia tra diritto interno e diritto internazionale, la funzione amministrativa è svolta da diverse istituzioni formali o de facto non organizzate gerarchicamente, e la funzione regolatoria trova applicazione mediante una serie di atti non direttamente vincolanti ma, in concreto, dotati di una grandissima capacità persuasiva.
La visione di fondo della di questa moderna configurazione, infatti, è quella di un nuovo ordine giuridico globale che difetta della base istituzionale caratterizzante gli ordinamenti interni, ove sussistono, invece, figure istituzionali particolari, quali legislatori, governi, amministrazioni e giudici.
Pertanto, il Global Administrative Law rappresenta un diritto amministrativo applicabile ai sistemi regolatori globali, che raccoglie e unisce i tipici principi generali dei classici diritti amministrativi domestici, come il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza, al fine di garantire al meglio la correttezza dell’operato dei pubblici poteri in chiave squisitamente globale.
E’ la legge della trasparenza, della partecipazione, della revisione e soprattutto della responsabilità nell’epoca della Global governance[23]. Per citare Cassese, si tratterebbe di «un sistema di principi di diritto amministrativo si è progressivamente formato nello spazio giuridico globale: diritto di essere informati e sentiti, diritto di difesa, obbligo di motivazione, diritto di accesso al giudice. Le forme tradizionali di giusto procedimento e di controllo giurisdizionale sono influenzate dal nuovo contesto in cui si trovano ad essere usate e, di conseguenza, si trasformano»[24].
E’ compito del giurista, quindi, quello di individuare, selezionare ed operare una sorta di reductio ad unum di quei caratteri appartenenti alle diverse discipline amministrative dei Paesi più industrializzati così da renderli propri del contenuto della disciplina globale.
- Considerazioni conclusive
Per quanto attiene all’utilità pratica del Global Administrative Law, illuminanti, ancora una volta, risultano le considerazioni di Cassese, il quale sostiene che studiare il fenomeno in esame è attualmente di estrema rilevanza, poiché al diritto amministrativo globale, nel tentativo di superare le “Colonne d’Ercole” tracciate dal diritto internazionale classico, spetta la difficile missione di compiere una attività di indagine su scala mondiale che sia in grado di cogliere le novità e le peculiarità introdotte nell’ordine legale dal fenomeno della globalizzazione, analizzando sia le relazioni transnazionali che quelle transgovernative, nonché il fenomeno dei privati che agiscono come regolatori globali, in base alla premessa fondamentale che gli Stati non costituiscano più un’unità unica ed indipendente, ma complessi sistemi frammentati in continua relazione reciproca[25].
Invero, essendo la Global governance attività puramente amministrativa, tale nuovo ambito emergente del diritto ha il compito di agevolare la penetrazione di alcuni principi tipici regolatori dei diritti amministrativi nazionali all’interno dello “spazio giuridico globale”. Ebbene, anche non possedendo la forma di un sistema di regole specifiche, la Global Administrative Law si presenta come un insieme di best practices intraprese spontaneamente da alcuni regimi regolatori globali in risposta alle esigenze provenienti dalla società civile. E tanto in ossequio ad una tra le argomentazioni più care ai sociologi del diritto, secondo cui ogni norma giuridica deve, attraverso l’interpretazione, essere adattata al caso concreto in quanto è, nei suoi contenuti, un’entità flessibile, considerato altresì che, la medesima, si evolve nel corso del tempo, mutando quindi la propria configurazione giuridica[26].
In conclusione, a parere di chi scrive, allo stato dell’arte, risulta particolarmente difficile ammettere, al netto delle singole e occasionali manifestazioni storiche, che esista effettivamente un sistema di diritto amministrativo globale, quanto più che altro, alla luce delle best practices anzidette, si può fare riferimento ad una sua forma elementare che attende di crescere.
Tuttavia, in segno di una maggiore cooperazione interstatale, non si può che auspicare che tali best practices, modellate sui principi sviluppatesi nei diritti amministrativi statali, diventino veri e propri principi generali vincolanti attraverso una più intensa e diffusa applicazione giudiziale delle stesse a livello globale: invero, solo le corti globali, supportate dallo studio compiuto dai giuristi che accettano “la sfida”, possono promuovere la portata di un simile cambiamento in termini di maggior democraticità e legittimazione degli organismi di regolamentazione globale, a patto che i diversi e numerosi regimi regolatori settoriali inizino a sviluppare una maggiore interazione reciproca, permettendo alle regole giurisprudenziali di trovare così una applicazione generale e non più particolare.
[1] Il termine “globalization” apparve per la prima volta nel Webster’s New International Dictionary nel 1961, anche se secondo l’Oxford Dictionary era già utilizzato dagli economisti alla fine degli anni ’30. La tradizione attribuisce però la coniazione ufficiale del termine a Theodore Levitt, un professore della Harvard Business School, che lo utilizzò nel suo saggio “Globalisation of Markets” del 1983. Sul tema della globalizzazione esiste una sterminata letteratura, inter alios, (S. Sassen, Una sociologia della globalizzazione, Torino, Einaudi, 2008).
[2] «Le forze della globalizzazione sono potenti dovunque» (R. Dahrendorf, Quadrare il cerchio, benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Roma – Bari, 2001).
[3] M. R. ferrarese, Mercati e globalizzazione. Gli incerti cammini del diritto, in Politica del diritto n. 3/1998, Il Mulino, Bologna, p. 411.
[4] Si pensi, ad esempio, ad una migliore pacifica convivenza che ne è derivata all’interno del medesimo perimetro europeo tra due culture giuridiche profondamente diverse, ovverosia quelle del civil law e del common law, le quali sembrano quasi di aver raggiunto un equilibrio attraverso una sorta di “compromesso” di coesistenza.
[5] M. Carabba, Programmazione, in Dig. disc. pubbl., vol. XII, 1997, par. 1: “la nozione di programmazione nasce sul terreno delle scienze economiche […] si contrappongono due forme di organizzazione dell’economia: economia collettivistica pianificata; economia capitalistica di mercato. Nella economia pura di mercato il sistema di allocazione delle risorse si basa sul libero movimento dei prezzi; nell’economia programmata il meccanismo di formazione dei prezzi relativi è definito dallo Stato sulla base di informazioni statistico-economiche ricondotte ad unità da modelli che collegano le principali variabili dell’economia”; R. Sacco, Programmazione economica, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. VIII agg., Torino, 2013, 533: “la mediazione sulla natura della direttiva economica, associata alla lettura delle disposizioni legali in materia di programma, ha condotto la dottrina più equilibrata alla conclusione che l’autonomia negoziale è insensibile alla programmazione”. Sulla nozione di “pianificazione”, M. S. Giannini, Pianificazione, in Enc. dir., vol. XXXIII, Milano, 1983, 629: “esistendo un’attività di durata proiettata nel futuro, è pianificazione la determinazione: a) dell’ordinata temporale o di quella spaziale o di ambedue; b) dell’oggetto; c) dell’obiettivo”.
[6] P. Lazzara, La regolazione amministrativa: contenuto e regime, in Diritto Amministrativo, fasc. 2 del 01.06.2018, p. 337.
[7] F. Carpi, Giustizia e processo. Una conversazione con Andrés De La Oliva Santos a cura di Vincenzo Varano, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.2 del 01.06.2019, p. 561.
[8] Nel naturalismo economico, infatti, il diritto appare come semplice immagine o riproduzione di un ordine che sta prima e fuori di esso, in quanto tale ricostruzione sottende tratti anti-politici e anti-giuridici, e quindi anti-democratici. Il naturalismo infatti, avendo dalla sua l’immutabilità delle leggi dell’economia, rifiuta la discordia della politica, il mutevole flusso delle opinioni e l’instabile divenire del diritto.
[9] N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2003, pp. 10 e ss.
[10] J. Caillosse, L’État du droit administratif, LGDJ, 2015, p. 380.
[11] F. Fracchia, Sovranismi, globalizzazioni e diritto amministrativo: sull’utilità di un approccio dialogante e a più dimensione, in Federalismi.it, Ed. n. 17, 12.09.2018, p. 3.
[12] Per approfondimenti: M. S. Giannini, Profili di un diritto amministrativo delle Comunità Europee, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2003, III.
[13] Secondo P. Kazansky, Théorie de l’administration internationale, in Revue générale de droit international public, 9, 1902, p. 355, l’amministrazione internazionale rappresentava, all’inizio del XX secolo, «un nouveau fait de la vie des nations et une nouvelle conception du droit des gens».
[14] L. Von Stein, Eine Bemerkungen über das internationale Verwaltungsrecht, in Schmoller’s Iahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirthschaft im deutschen Reich, 1882, pp. 395 e ss.
[15] G. Fusinato, Di una parte alquanto trascurata del diritto internazionale e della sua organizzazione scientifica e sistematica, in Studi giuridici per il XXXV anno d’insegnamento di Filippo Serafin, Barbera, Firenze, 1892, pp. 7 e ss.
[16] U. Borsi, Carattere ed oggetto del diritto amministrativo internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1912, pp. 12 e ss.
[17] S. Cassese, La crisi dello Stato, Laterza, Bari, 2002, p. 31.
[18] Il testo integrale, in lingua inglese, del Kyoto Protocol to the United Nations Framework Convention on Climate Change è consultabile online all’indirizzo http://unfccc.int/resource/docs/ convkp/kpeng.pdf.
[19] S. Cassese, Chi governa il mondo?, Il Mulino, Bologna, 2013.
[20] S. Cassese, La crisi dello Stato, op. cit., pag. 19.
[21] Quali, a titolo esemplificativo: erosione del concetto di eguale sovranità tra Stati, atteso che sempre in misura maggiore gli enti internazionali emano atti direttamente vincolanti non solo per gli Stati ma anche per i singoli individui senza, dunque, l’attivazione del filtro della normazione statale; meno netta distinzione tra diritto interno e diritto internazionale; forme di soft law prendono sempre più piede ed acquisiscono sempre maggior rilevanza de facto.
[22] consultabile anche online sulla pagina dedicata al Global Administraitve Law Project dell’Institute for International Law and Justice della New York University School of Law, all’indirizzo <http://www.iilj. org/gal/documents/10120502_KingsburyKrischStewart.pdf>
[23] Global Administrative Law: Concept and Working Definition, online all’indirizzo: <http://www.iilj. org/gal/GALworkingdefinition.asp>
[24] S. Cassese, Chi governa il mondo?, op. cit., p. 25.
[25]S. Cassese, What Is Administrative Law and Why Study It? The Challenge of Global regulation, In Global Administrative Law: An Italian Perspective, 06.11.2006, pp. 663 e ss.
[26] A. Catelani, L’effettività e la flessibilità della norma giuridica – L’interpretazione e le nuove figure del diritto positivo, in Società e Diritti – Rivista Elettronica, II, n. 3, 2017, II, p. 42.