di ANTONINO MARIA FESTA
Il danno erariale è la lesione all’interesse pubblico finanziario arrecata da un pubblico dipendente o da un soggetto collocato di fatto all’interno della fase decisionale del procedimento amministrativo, per la quale si radica la giurisdizione della Corte dei conti.
E’ tale la concezione data dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e dalla Corte dei conti soprattutto in ragione delle norme dell’inizio del secolo XX, dove all’art. 81 del R.D. 2440 del 1923 si delineava il danno erariale nel perimetro soggettivo, individuato nei funzionari amministrativi incaricati di assumere impegni e disporre pagamenti, e nell’aspetto psicologico del dolo e della colpa per la pacifica interferenza con la responsabilità extracontrattuale di origine civilistica che rimandano ai concetti di negligenza e di inosservanza degli obblighi.
Pur nell’atipicità che contraddistingue la responsabilità extracontrattuale, la giurisprudenza del giudice contabile è rimasta a lungo ancorata alla concezione statica di danno erariale, anche per le caratteristiche della responsabilità amministrativa, a quel tempo legata a stretto contatto con la responsabilità dei contabili ed in sostanza incline a dare rilievo giuridico alla perdita arrecata al bilancio pubblico.
Il periodo storico in esame, è stato fondamentale per la giurisprudenza del giudice contabile che ha declinato stricto sensu gli elementi strutturali della responsabilità amministrativa per danno erariale che in tal modo sono stati specificati nella condotta, nel nesso causale ed, infine, nell’elemento psicologico.
Ma più di recente, la riforma che ha riguardato la parte finanziaria della Costituzione, operata dalla legge costituzionale n.1 del 2012 e dalla legge rinforzata n. 243/2012 ha in maniera epocale mutato il concetto di danno erariale come istituto giuridico non più teso a tutelare la singola lesione dell’interesse pubblico economico, ma incline a proteggere il bilancio pubblico consolidato nella sua qualificazione di bene pubblico finalizzato al perseguimento della sana gestione finanziaria attraverso il coordinamento della finanza pubblica e la leale collaborazione tra gli enti pubblici.
Si tratta di un meccanismo avviato dall’Unione Europea, probabilmente a suggello di una composizione monistica dell’ordinamento giuridico a base europea che come noto si contrappone alla tesi sulla distinzione tra ordinamenti giuridici riconosciuta dalla Corte costituzionale e che prende atto dall’essenzialità dell’armonizzazione finanziaria in virtù del concetto di pubblica amministrazione allargata.
Tale fenomeno giuridico, originato dal Fiscal compact, ha dato vita alla assimilazione delle due anime della Corte dei conti che, distinte per i profili del giudizio di responsabilità e del procedimento del controllo, tendono ora a sovrapporsi e a completarsi attraverso il controllo giurisdizionalizzato che trova sintesi nelle Sezioni Riunite della Corte dei conti in speciale composizione di cui all’art. 11 d.lgs. 174/2016.
In punto di giurisdizione, vale rilevare l’art. 1 del d.lgs. 174/2016 che, unitamente al combinato disposto degli art. 100, comma 2 e 103, comma 2, Cost., radica la competenza della Corte dei conti in quanto organo terzo ed imparziale, garante dello Stato-comunità, della sana gestione finanziaria e della tutela dell’interesse pubblico finanziario.
A tale riguardo, giova ricordare la giurisprudenza della Corte costituzionale che non accede più all’indirizzo volto a individuare la giurisdizione attraverso l’interpositio legislatoris, ma suole rilevare il perimetro di azione del giudice contabile anche in favore di ipotesi prima residuali che involgono anche gli interessi adespoti, attraverso una lettura costituzionalmente orientata.
In tale delineata cornice si colloca la giurisprudenza della Corte dei conti finalizzata a configurare il danno erariale in una prospettiva di atipicità, soprattutto laddove l’antigiuridicità è mutata in ragione delle suesposte innovazioni legislative.
Giova ricordare che l’antigiuridicità è un istituto che, nascendo da studi civilistici, è stato in passato considerato in funzione della lesione del diritto soggettivo e secondo una visione prospettica di natura unilaterale che è successivamente mutata in favore di una concezione bifasica sancita dal non iure e dal contra ius; cioè dalla mancanza di un diritto da parte dell’agente o dall’assenza di cause di giustificazione.
La tesi più recente nel bilanciamento di interessi che si riferisce all’antigiuridicità è per certi versi più complessa in quanto richiede un maggiore sforzo di valutazione da parte del giudice ai fini della decisione, ma al contempo è strumento di ponderazione che garantisce l’equilibrio tra le posizioni giuridiche prese in considerazione, attraverso un meccanismo che è comune alla istruttoria procedimentale ed all’esercizio della discrezionalità amministrativa.
Posto che tali profili sono anche comuni al giudice contabile quando esercita il controllo finanziario; la verifica della struttura del danno erariale deve essere analizzata preliminarmente sotto il profilo storico attraverso il combinato disposto dell’art. 44 e ss. R.D. 1214/1934, dell’art. 81 e ss R.D. 2240/1923 e dell’art. 18 DPR n.3/1957 e secondo la più recente legge 20/1994, a sua volta modificata dalle riforme dell’anno 2012.
In disparte la natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità amministrativa, la condotta causativa di danno appare consolidata nella sua conformazione tradizionale di azione o di omissione ai sensi dell’art. 1, comma 1, l. 20/94 oltre che dal codice di giustizia contabile ed al più recente d.l. 76 del 2020.
Quest’ultima norma in quanto funzionalmente tesa a favorire l’effettività dell’azione amministrativa è stata interpretata dagli indirizzi giurisprudenziali della Corte dei conti attraverso l’esame dell’art. 21, comma 2, che come noto ha confermato l’elemento psicologico della colpa grave in capo al soggetto omittente l’azione amministrativa nel solco dell’aspetto processuale declinato dall’art. 52, comma 1, c.p.c., quando delega i dirigenti e i responsabili dei servizi alla denuncia al giudice contabile.
Orbene, l’aspetto più interessante delle pronunce della Corte dei conti è l’analisi sulla capillarità degli adempimenti previsti dal d.lgs. 149/2011 ovvero dal d.lgs. 267/2000 allorquando prevede, come vedremo in seguito, forme di sanzioni, sancendo la distinzione tra responsabilità per danno erariale a responsabilità sanzionatoria con le conseguenze processuali inerenti alla diversità tra il rito ordinario di cui all’art. 86 c.p.c e il rito speciale di cui all’art. 133 c.p.c.
Nell’ambito del complesso quadro normativo, la giurisprudenza della Corte dei conti trova però un più agevole approdo nella definizione del nesso di causalità in linea con il concetto di più probabile che non, ormai affermata dalla Corte di cassazione, che com’è noto, per le implicazioni della responsabilità civile, ha da tempo rigettato la tesi penalistica dell’al di là di ogni ragionevole dubbio.
Tale indirizzo è plausibile per l’evidente difficoltà di dimostrazione della causalità del danno, soprattutto laddove rilevi la responsabilità soggettiva ovvero presunta sancita dagli artt. 2049 e 2050 c.c., anche qualora sia necessaria la prova sulla causa ignota che è venuta più di recente in rilievo a proposito della responsabilità del medico.
L’aspetto maggiormente rilevante che ha condizionato più di recente la giurisprudenza della Corte dei conti è stato quello relativo all’elemento psicologico del dolo e della colpa grave previsto dall’art. 1, comma 1, l. 20/94.
Sul punto, infatti, si rilevano numerose pronunce del giudice contabile sulla colpa grave che viene qualificata in concreto, ossia in relazione alla specifica condotta antigiuridica posta in essere ed alla valutazione della perizia di cui al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c.
La lettura del panorama normativo più recente, soprattutto ai sensi dell’art. 21 del d.l. 76/2020 induce ad un apparente ridimensionamento della colpa grave, soprattutto nelle circostanze che inducono a considerare la culpa lata proxima dolo e quindi, assoggettata all’onere probatorio richiesto dall’art. 21, comma 1, d.l. 76/2020 della volontà finalizzata alla realizzazione dell’evento dannoso.
In tal modo si completa il quadro strutturale nel quale trova spazio la nuova tipicità del danno erariale, che, come in precedenza delineato, si distingue nella responsabilità amministrativa e nella responsabilità sanzionatoria.
Nel senso più specifico delle fattispecie, la figura giuridica di danno erariale che viene preliminarmente in emersione è il danno all’immagine della pubblica amministrazione.
Sebbene esso sia stato da molto tempo al centro delle pronunce della Corte dei conti, è solo con l’art. 17, comma 30 ter, d.l. 78/2009 che trova una prima disciplina caratterizzata dalla condizione di procedibilità consistente nel passaggio in giudicato di una sentenza per i reati contro la pubblica amministrazione.
A conforto della complessità del danno in questione, tale condizione di procedibilità è esclusa solo per le assenze dei pubblici dipendenti ex art. 55 quater, comma 3 quater, d.l.gs. 165/2001, il quale prevede la denuncia alla Corte dei conti entro 20 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare.
Vale ricordare che anche per un consolidato indirizzo giurisprudenziale sia della Cassazione sia della Corte dei conti a Sezioni Riunite il danno all’immagine è qualificato come danno evento di natura non patrimoniale, in tal modo riconoscendo per il danno in esame un più agevole onere probatorio a carico della Procura erariale, anche in virtù del già ricordato principio del più probabile che non.
Ma ciò che rileva maggiormente, e che si evince dalla quantificazione di tale danno prevista dall’art. 1, coma 1 octies, l. 20/90 è l’evidenza della lesione all’interesse pubblico economico connesso al bilancio pubblico.
Giova ricordare che è il danno all’interesse pubblico finanziario la nuova frontiera del danno erariale, soprattutto successivamente la riformulazione dell’art. 81, comma 1, Cost. che ha introdotto il principio dell’equilibrio di bilancio.
Tale tipologia di danno diviso nella mancata entrata ovvero nella inutile spesa, trova una sua individuazione nel danno alla concorrenza. Esso scaturisce dall’illegittimo svolgimento del procedimento ad evidenza pubblica e dalla scelta non aderente al rapporto qualità-prezzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa che impedisce l’esito della gara più congruo in base alle esigenze della pubblica amministrazione.
Sotto questo profilo l’evento dannoso in questione ha profili comuni con il danno da tangente, sebbene la giurisprudenza della Corte dei conti abbia colto somiglianze con il danno all’immagine della pubblica amministrazione.
Relativamente ai danni da mancata entrata erariale, si rileva il danno da omesso versamento dell’imposta di soggiorno che ha spinto la giurisprudenza della Corte dei conti a pronunciarsi in merito alla natura pubblicistica dell’esercente titolare di un albergo, anche per i notevoli riflessi sul fronte del diritto tributario. La più recente giurisprudenza della Corte dei conti tende a configurare il danno erariale in questione ponendo il titolare come un funzionario di fatto collocato all’interno del procedimento di esazione.
Il danno all’Unione Europea, poi, è sintomatico della già ricordata concezione monistica dell’ordinamento comunitario, soprattutto allorquando le fattispecie antigiuridiche ricalcano questioni riconducibili agli aiuti di stato secondo la definizione data dall’art. 107 TFUE, anche al fine di contrastare le operazioni finalizzate alla elusione della concorrenza.
In tal modo, il danno che costituisce il fondamento dell’azione del pubblico ministero contabile, esercitata ai sensi dell’art. 86 c.p.c., è funzionale alla tutela del bilancio eurounitario secondo i principi declinati dall’art. 97, comma1, Cost. e all’attività di recupero attribuita a tal fine dal giudice contabile. Non mancano i riflessi nell’ambito delle società a partecipazione pubblica, in particolare con riferimento alla responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo legati da un rapporto di servizio con l’ente controllante, oggi disciplinata dall’art. 12 d.lgs. 175/2016.
Tale norma ricalca l’approdo giurisprudenziale della Corte di cassazione a Sezioni Unite nel quale viene riconosciuto il radicamento della giurisdizione del giudice ordinario riguardo alle azioni esercitabili ex art. 2393 e ss c.c. con la motivazione fondata sulla qualificazione privatistica del patrimonio sociale e sulla parimenti natura privatistica del danno.
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione la giurisdizione della Corte dei conti si radica per l’accertamento della responsabilità dei rappresentanti dell’ente pubblico conferitario per il rapporto di servizio che lega tali amministratori con la pubblica amministrazione nonché per tutti gli organi delle società in house, in considerazione della totale partecipazione pubblica in tale fattispecie sociale.
In merito al dibattito tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità sanzionatoria ricade l’art. 53, commi 7 e 8, d.lgs. 165/2001 il quale prevede l’incompatibilità di incarichi retribuiti per i pubblici dipendenti i quali non sono stati precisamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.
Sul punto, in passato la Corte dei conti si era pronunciata affermando la natura sanzionatoria della responsabilità in virtù dell’obbligo sancito dalla norma di restituzione del compenso all’amministrazione e dell’eventuale applicazione di ulteriori sanzioni.
Tale opzione, che avrebbe comportato l’applicabilità del rito di cui all’art. 133 e ss. c.p.c., è stata successivamente esclusa dallo stesso giudice contabile che ha affermato la natura di responsabilità amministrativa con tutte le conseguenze di maggiore tutela del presunto responsabile, non ultima la fase preprocessuale di cui all’art. 67 e ss. c.p.c., per il quale viene garantita la possibilità di una preliminare difesa anche al fine di evitare la successiva fase dibattimentale introdotta, ai sensi del già ricordato art. 86 c.p.c., con l’atto di citazione.
Tra le più recenti figure di danno erariale viene in rilievo quella prevista dall’art. 9, comma 5, l. 24/2017, il quale prevede la responsabilità amministrativa per dolo o colpa grave del medico, stabilendo una particolare forma di quantificazione del danno in ragione della difficoltà in cui ha operato l’esercente la professione sanitaria e calcolando in “merce” l’importo complessivo pari ad una soma riconducibile al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale.
Nella presente esposizione si è fatto cenno a più riprese all’art. 133 c.p.c. il quale disciplina lo speciale rito relativo alle applicazioni di sanzioni pecuniarie che costituiscono un nuovo concetto di responsabilità più aderente alla prevenzione e alla repressione e distinto dalla ben nota responsabilità amministrativa più incline ad assicurare la riparazione quo ante della lesione agli interessi pubblici finanziari.
Anche in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 25 Cost. è fermo il concetto sul principio di tipicità che trova conforto nella normativa in vigore come nel caso di cui all’art. 248, commi 5 e 5 bis, d.lgs. 267/2000.
Si tratta di una disposizione che disciplina le conseguenze della dichiarazione di dissesto e che tende a prevedere le condotte dei revisori dei conti finalizzata ad escludere l’accertamento della situazione economica del comune ed a fronteggiare eventuali ritardi, nonché le condotte di assessori, sindaci e rappresentanti di enti locali.
Più di recente è venuta in emersione la questione sulla sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti riguardo alla fattispecie prevista dell’art. 4, comma 6, d.lgs. 149/2011 il quale prevede la trasmissione al tavolo tecnico interistituzionale della relazione tecnica di fine mandato del sindaco.
Si tratta di un istituto che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, è finalizzata a garantire il coordinamento della finanza pubblica e la trasparenza anche al fine dell’accertamento di una responsabilità politica dell’amministrazione uscente.
La questione ha riguardato la competenza all’adozione della sanzione che nel caso specifico ricade nell’ambito dell’amministrazione comunale, non sussistendo una norma specifica che preveda la giurisdizione della Corte dei conti.
Le Sezioni Riunite in speciale composizione hanno ulteriormente precisato che nel caso in cui l’inadempimento di cui all’art. 4, comma 6, d.lgs. 149/2011 sia stato accertato dalle sezioni di controllo della Corte dei conti, sussiste la giurisdizione del giudice contabile.
Tale radicamento anche in virtù dell’art. 11, comma 6, lett. A) c.p.c. che sancisce lo scrutinio delle Sezioni Riunite con riferimento alle materie di contabilità pubblica nel caso di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo.
Secondo tale indirizzo, non è plausibile una ratio tra la fase del controllo ed il successivo procedimento di impugnazione davanti le Sezioni Riunite. Anche in questo caso è vieppiù evidente il consolidato rapporto tra controllo e giurisdizione, confortato dalla composizione collegiale mista delle Sezioni Riunite di cui all’art. 11 c.p.c., che sancisce contemporaneamente il consolidamento di una articolazione istituzionale dettata dall’armonizzazione che vede tra i soggetti interessati lo Stato, le Regioni e gli enti territoriali.
E’ di palese evidenza una situazione magmatica del concetto di danno erariale che, sebbene consolidato negli elementi strutturali, muta aspetto e configurazione soprattutto a causa di interventi legislativi per lo più generici che richiedono una sempre maggiore attività interpretativa da parte del giudice contabile.