Di Vincenzo Santoro
Il concorso di persone nel codice penale militare: premesse. La maggior parte degli studiosi non ha alcuna esitazione nel rilevare che il codice penale militare dice qualcosa di innovativo sul concorso di persone soltanto con riguardo al settore delle circostanze attenuanti ed aggravanti e che per il resto non faccia altro, nell’eloquente linguaggio del silenzio e della assenza di previsioni specifiche, che rinviare alla normativa contenuta nella legislazione penale comune.
Nell’analisi dell’argomento si fa per solito riferimento all’articolo 14 C.p.m.p. (codice penale militare di pace) e si afferma che la norma in esso contenuta, secondo la quale “Sono soggette alla legge penale militare le persone estranee alle Forze Armate che concorrono a commettere un reato militare”, si limita ad una mera replica del principio stabilito dall’articolo 110 C.p.[1] e non contiene nessuna ulteriore regola che si proponga di rimuovere dubbi o possibili perplessità.[2]
In coerente sviluppo di tali premesse si rileva, in particolare, che nessuna norma regola il concorso di militari nel reato militare e che pertanto in relazione a tale vicenda trovano applicazione i principi generali delineati dal codice penale comune.
Il concorso di estranei nei reati militari. Il modo più semplice per affrontare la tematica del concorso dell’estraneo consiste nel dare a tale ultimo concetto il significato radicale di <<persona estranea all’ordinamento militare>>; di persona, cioè, che per ragioni di età, di infermità o di altra natura non ha alcun obbligo potenziale di servizio militare ed ha reciso ogni e qualsiasi legame con il consorzio militare oppure non ne ha mai avuto alcuno.
Sin dal primo momento venne evidenziato che <<quando gli estranei concorrono con militari a commettere reati militari, per i quali sia richiesta la qualità militare del colpevole, si applica la legge penale militare, anche se il concorso concerna un reato esclusivamente militare (es. diserzione), operandosi poi la sostituzione con la pena comune, a termini del secondo comma dell’articolo 65[3], senza che il giudice sia facultato a diminuirla, come accade invece per l’ipotesi prevista dal secondo comma dell’articolo in esame (art. 14)>>[4]. Si evidenziò che la norma non fa distinzioni di sorta e che essa è applicabile anche se gli estranei siano due o più ed il militare sia uno solo, in quanto essa <<intende tutelare un preciso interesse militare, che è in relazione ai doveri incombenti ai militari e che deve prevalere su qualsiasi altro interesse pubblico>>.[5]
Sempre in sede di inquadramento generale del problema si è da altri precisato che la locuzione <<estranei alle forze armate dello Stato>> ha, di regola, un contenuto negativo, in contrapposizione all’altra <<militari in servizio>> e si è aggiunto[6] che nel codice penale militare l’assoggettamento degli estranei alla legge penale militare avviene nei seguenti casi:
- quando commettono alcuno dei reati preveduti dagli articoli 94, 136, 140, 141, 142, 145, 182, e 184 c.p.m.p.;[7]
- quanto concorrono a commettere un reato preveduto dalla legge penale militare;
- quando commettono qualsiasi altro reato militare di cui soggetto può essere anche l’estraneo medesimo.
Con le previsioni di cui ai numeri 1 e 3 il legislatore ha ampliato la soggettività attiva dei reati militari ivi contemplati, includendovi anche le persone estranee alle forze armate ed attribuendo al giudice la facoltà di diminuire la pena per il caso che tali soggetti siano gli unici ad avere commesso, anche in concorso tra loro, lo specifico reato militare ivi contemplato (art. 14, comma 2, c.p.m.p.).
Di diverso tenore è, invece, la previsione (primo comma del citato articolo 14 C.p.m.p.) sulla realizzazione concorsuale di un reato militare, in buona parte imperniata sulla ipotesi che a commettere un reato militare abbiano concorso militari in servizio attivo – o considerati tali – ed estranei alle forze armate ed a prescindere dalla tipologia ed intensità dell’apporto causale di ciascuno di essi; con la conseguenza che la configurabilità del reato militare è ipotizzabile sia nel caso che il militare abbia svolto un ruolo di primo piano nell’illecito, sia nel caso in cui la parte preponderante appaia imputabile ai concorrenti estranei.
La norma non è collegata a specifiche fattispecie incriminatrici ed il suo spazio di efficacia coincide con l’intero universo delle fattispecie penali militari, comprensivo sia dei reati esclusivamente militari che di quelli oggettivamente militari[8].
A fronte del primo comma dell’articolo 14 e nella preliminare constatazione della sua efficacia generale, la maggior parte degli interpreti ha sin dal primo momento compreso che la lapidaria norma sul concorso degli estranei nel reato militare doveva essere coordinata con la duplice natura del reato militare e si è di conseguenza preoccupata di enunciare le precise condizione che sono necessarie affinché possa darsi una responsabilità concorsuale dell’estraneo in ciascuno di tali tipi di illecito.
Vi è unanimità di consensi nell’affermazione che il concorso di estranei nei reati esclusivamente militari non si discosti in alcun modo dal tipico schema concorsuale contemplato dal codice penale comune e quindi richiede che l’estraneo sia consapevole della qualifica di militare del soggetto con il quale commette il particolare reato militare.[9] Con la conseguenza che l’ignoranza di tale qualifica esclude il dolo e quindi la responsabilità penale del concorrente estraneo, il quale, per tale fondamentale stato di ignoranza, non si è reso conto dello specifico disvalore del fatto (per esempio, violata consegna).
La situazione è del tutto diversa nell’ipotesi di concorso di un estraneo in un reato oggettivamente militare, in considerazione del fatto che in questo caso il reato militare cui accede l’apporto dell’estraneo configura di per sé anche un illecito penale comune e quindi non è ineludibilmente condizionato, quanto alla sua oggettiva sussistenza, alla positiva consapevolezza della qualità militare del concorrente.
L’approccio della dottrina più recente[10] e della giurisprudenza combina il concetto di reato oggettivamente militare con lo schema di responsabilità di cui all’articolo 117 del codice penale comune e per tale via arriva alla conclusione che l’estraneo che ignori la qualifica militare del concorrente risponde pur sempre del reato militare commesso in concorso.
Ciò per la determinante ragione che lo status di militare di uno dei concorrenti configura, sia in sé che sul versante dei rapporti con l’offeso, quelle condizioni e qualità personali delineate dalla fattispecie di cui all’articolo 117 C.p., ed imprime al fatto posto in essere lo specifico titolo giuridico che verrebbe ad esistere nell’ipotesi in cui fosse stato commesso dal solo militare.
Si afferma, infatti, che <<la situazione non differisce sostanzialmente da quella del compartecipe che, concorrendo in un reato proprio previsto dal codice penale comune (ad es., peculato), ignori la particolare qualifica di pubblico ufficiale rivestita dal soggetto con cui egli concorre>> ed in coerente sviluppo di tale premessa si conclude che <<in base alle regole generali, egli dovrebbe rispondere semplicemente di appropriazione indebita; in forza dell’articolo 117 c.p. risponderà invece di peculato>>.[11]
Ciò consente di rilevare che l’articolo 117 C.p. è espressione di una norma generale[12] che opera nell’intero ordinamento penale, comune e speciale, e che assolve alla specifica funzione di assoggettare il concorrente estraneo, cioè privo della qualifica necessaria ai fini della integrazione del reato, al titolo di responsabilità espressamente previsto con riguardo al concorrente intraneo.
L’articolo 117 c.p. ed il concorso di estranei nei reati militari. Nelle esemplificazioni proposte, e nei non sempre adeguatamente sviluppati passaggi argomentativi, si coglie la tendenza ad attribuire rilevanza generale alla fattispecie prevista dall’articolo 117 C.p. e ad applicarla sia all’ipotesi in cui la qualifica posseduta coesista e si aggiunga a quella di militare (ad esempio il militare incaricato di funzioni di comando rispetto al semplice militare), sia alla diversa evenienza in cui la qualifica specializzante consista e si esaurisca nella sola qualità militare.
Sicchè ne deriva che l’istituto del 117 C.p. viene a svolgere una duplice funzione: in primo luogo si riversa nel quadro dell’intero diritto penale militare e discrimina tra reati militari a soggettività <<comune>>, dove comune sta per militare tout court, e reati militari a soggettività propria, cioè quei reati militari che postulano una qualifica ulteriore rispetto a quella di militare (militare-incaricato di servizio amministrativo; militare-superiore gerarchico); in secondo luogo, tale norma svolge una funzione di cerniera tra la normazione penale comune e quella militare, discriminando la qualifica di militare rispetto a quella di non militare ed assoggettando il concorrente estraneo, cioè privo della qualifica di militare, allo statuto penale (id est: reato militare) previsto per il concorrente dotato di detta qualifica.
Il che sta a significare che nel rapporto tra i due settori di normazione penale la qualifica di militare è di per sé bastevole per far assumere al fatto posto in essere, che integri un reato oggettivamente militare[13], la particolare natura giuridica di reato proprio ed a farlo prevalere rispetto alla corrispondente fattispecie comune; mentre nell’ambito dell’ordinamento militare la semplice qualifica di militare si converte nel quisque de populo dell’ordinamento penale comune e l’attivazione del diverso titolo di responsabilità di cui al 117 C.p. esige che il militare possieda una ulteriore qualifica, in relazione a quanto previsto dalla specifica fattispecie penale militare (reato militare proprio o reato proprio di secondo grado) ed allo stesso modo di quanto si verifica all’interno dei confini del codice penale comune.
In tale prospettiva esegetica si comprende quindi la ricorrente affermazione secondo cui l’articolo 117 produce <<il passaggio da un titolo all’altro di reato militare (ad es., l’estraneo sa di concorrere con un militare nella commissione di una appropriazione indebita militare, ma ignora l’esistenza di una qualifica personale del militare stesso, tale da spostare il reato militare sotto il titolo di peculato militare), oppure il passaggio da un titolo di reato comune a un titolo di reato militare (ad es., l’estraneo sa di concorrere con un pubblico ufficiale nella commissione di un peculato comune, ma ignora l’esistenza di una qualifica militare che sposta il reato sotto il titolo di peculato militare>>.[14]
Le conseguenze di siffatta impostazione sono di indubbio rilievo e sembrano consistere nell’assoggettamento dell’estraneo al complessivo statuto normativo previsto per la fattispecie penale militare, comprese le condizioni di procedibilità, le cause di giustificazione e le specifiche circostanze aggravanti ed attenuanti contemplate dagli articoli 47 e 48 del codice penale militare.
Ne deriva che in determinate evenienze il minor rigore delle conseguenze sanzionatorie (per esempio furto militare rispetto al furto comune o percosse tra militari rispetto alle percosse comune) verrà a coesistere con il più rigoroso regime di perseguibilità del fatto (di ufficio invece che condizionato, come nel furto militare, oppure a richiesta di procedimento invece che a querela, come nelle percosse); oppure con la sussistenza di circostanze aggravanti non ipotizzabili rispetto al corrispondente reato comune (per esempio, fatto commesso alla presenza di tre o più militari o in circostanze di pubblico scandalo).
Altre volte vi sarà soltanto una attenuazione delle conseguenze sanzionatorie, come nel caso della ricettazione militare rispetto alla ricettazione comune, senza alcun tipo di compensazione sul versante delle condizioni di procedibilità.[15]
- – L’articolo 14, primo comma, del codice penale militare di pace. Occorre a questo punto soffermarsi su quei contributi dottrinari che, soprattutto nel primo decennio di applicazione dell’attuale codice penale militare, hanno ridimensionato il ruolo dell’articolo 117 c.p. – a diretto ed immediato beneficio della disposizione di cui all’articolo 14, primo comma, c.p. m. p. – ed hanno contestato l’assunto che tale norma possa essere utilizzata nell’ipotesi di coesistenza di due codice penali ed al precipuo scopo di stabilire quale sia la norma applicabile nel caso i destinatari di due diversi sistemi codicistici concorrano nella commissione di un fatto e questo costituisca reato per entrambi.
Si è gia visto che per la dottrina più recente la norma contenuta nell’articolo 14 C.p.m.p. non assolve ad una reale funzione costitutiva e si limita a ribadire la disciplina prevista dall’articolo 110 e seguenti del codice penale comune.
Per alcuni essa è intesa ad rimuovere ogni dubbio circa la applicabilità della legge penale militare alle persone estranee alle forze armate [16] e la sua ragion d’essere è da rinvenire proprio nel fatto che per la suddetta legge è stato previsto un criterio di soggettività (criterio personale) apparentemente diverso da quello previsto dalla legge penale comune.
Per altri è invece pacifico che la legge penale militare, al di là della opzione formale del legislatore del 41, obbliga tutti, sia i cittadini che gli stranieri [17] e non è ipotizzabile per tale legge speciale una <<autonoma capacità penale militare>>[18]. Da qui la conclusione che l’espresso chiarimento fornito dall’articolo 14 del codice penale militare potrebbe anche essere superfluo, discendendo la regola dai principi generali in tema di concorso di persone nel reato.[19]
In passato, però, la dottrina era dell’opinione che la norma in esame svolgesse una più marcata funzione e che l’art. 117 c.p. non fosse applicabile nel caso di concorso di persone in un reato obiettivamente militare, non verificandosi un semplice cambiamento di titolo di reato, bensì il più radicale fenomeno dell’assoggettamento ad una legge speciale.[20].
In coerente sviluppo di tale premessa, si esprimeva il convincimento che quando il mutamento del titolo di reato sia conseguenza della sola qualità militare di uno dei soggetti, l’estensione del titolo di reato militare all’estraneo avviene in forza della norma speciale contenuta nell’articolo 14 c.p.m.p. e per tale ragione non trova applicazione la attenuante prevista dall’articolo 117 del codice penale comune.[21]
Si aggiungeva che la norma di cui all’articolo 14 c.p.m.p. “sarebbe priva di contenuto, ove non servisse a stabilire una perfetta condizione di equiparazione del militare e del non militare nel caso di concorso nel reato; essa, quindi limita implicitamente la portata dell’articolo 117 c.p., nel senso che, quando è la sola qualità militare che determina la esistenza del reato militare, a prescindere da altri specifici rapporti del soggetto nei riflessi della gerarchia o della organizzazione del servizio, non è consentita una diversa gradazione della responsabilità concreta, neppure sotto l’aspetto della diminuente facoltativa. Negli altri casi, e cioè quando il particolare titolo del reato militare sorga in dipendenza di una particolare condizione del soggetto, ovvero di specifici rapporti tra il colpevole e l’offeso, vale, sia nei confronti dei compartecipi militari ed estranei alle forze armate, il principio generale fissato nell’articolo 117 c.p.”.[22]
Come può agevolmente rilevarsi le posizioni dottrinali sopra indicate, pur radicandosi su una diversa interpretazione della norma contenuta nell’articolo 14 del codice penale militare, lasciano in ombra un passaggio fondamentale e non sembrano porre adeguatamente in rilievo la variegata conformazione che i reati militari assumono in rapporto ai reati comuni. Non sembra, cioè, che si metta nel dovuto risalto la circostanza che i reati militari, nella prospettiva comparativa con i reati comuni, si raggruppano in tre distinte categorie:
- reati esclusivamente militari, privi di riscontro nel diritto penale comune ed il cui disvalore è essenzialmente radicato sullo status di militare del soggetto attivo (per esempio, i reati di disobbedienza e diserzione).
- I reati oggettivamente militari di base, cioè quei reati che trovano riscontro in un reato comune e che presentano, tra l’altro, la essenziale caratteristica di prevedere come soggetto attivo il militare (per esempio, i reati di furto, truffa e ricettazione militari);
- I reati militari che, pur trovando un riscontro nei reati comuni e postulando la qualifica di militare nel soggetto attivo, richiedono il possesso di una ulteriore qualifica (per esempio, il peculato militare, per il quale non rileva la semplice condizione di militare ma occorre che il soggetto attivo rivesta la ulteriore qualifica di “incaricato di funzioni amministrative o di comando”).
La dottrina[23] che assegna all’articolo 14, primo comma, c.p.m.p. il ruolo di esclusiva fonte di disciplina di ogni ipotesi di concorso nei reati militari di base (cioè quelli che richiedono il possesso del solo status di militare in servizio attivo) sembra ipotizzare il pacifico scenario in cui l’estraneo sia perfettamente consapevole della qualifica di militare del concorrente e da qui trae la, certamente ragionevole, conclusione che tra i due soggetti non vi è differenza di statuto sanzionatorio, allo stesso modo in cui non ve ne sarebbe anche nel caso in cui il reato fosse esclusivamente militare.[24]
In questa ricostruzione, in altri termini, non sembra presa in considerazione l’ipotesi che l’estraneo che concorre in un reato oggettivamente militare ignori la qualifica di militare del complice e si determini al delitto nella pacifica consapevolezza di porre in essere un illecito comune.[25]
Viceversa questa particolare situazione è ben presente nell’altra interpretazione, nella quale, però, sull’implicito rilievo che la qualifica del soggetto agente costituisca un puntuale elemento costitutivo della fattispecie, si esamina il caso del concorrente ignaro di detta qualifica e si arriva ad una conclusione che contraddice in maniera radicale l’assunto della unicità del reato realizzato.[26]
Si afferma, infatti, che <<per l’articolo 14 c.p.m.p. sono soggette alla legge penale militare le persone estranee alle forze armate dello Stato che concorrono a commettere un reato militare. Così, ad esempio, l’estraneo che concorre con un militare in un furto a danno della amministrazione militare, non è condannato a termini della legge penale comune (art. 624 c.p.), ma in base al codice penale militare di pace>>; indi si prosegue che nel caso prospettato si deve muovere dalla premessa che <<la qualità militare di uno dei concorrenti porta non al semplice mutamento del titolo del reato in base ad una particolare disposizione di legge, ma all’assoggettamento di tutti i compartecipi ad una legge speciale, qual è la legge penale militare, in applicazione di una norma di carattere generale (art. 14 c. p. m. pace). Pertanto si rende in tal caso necessario l’esame del dolo e, se risulta che l’estraneo non conosceva la qualità militare del colpevole, la sua responsabilità deve essere esclusa o attenuata, per errore di fatto, rendendosi applicabile l’articolo 47 c.p.>>. Su tali premesse si arriva alla conclusione che <<nell’esempio surriferito, l’estraneo che ignora la qualità militare del compartecipe è punibile per un diverso titolo di reato, e cioè, per furto comune (secondo comma dell’articolo 47) e non per furto militare.>>.[27]
L’articolo 14 nel sistema originario del codice penale militare. Per tirare le fila di quanto si è sin qui esposto e nel contempo verificare se e quanto sia ancora attuale e valido l’indirizzo quasi esclusivamente imperniato sulla norma dell’articolo 14, primo comma c.p.m.p., occorre fissare due importanti punti.
In primo luogo va rilevato che la disposizione contenuta in tale articolo è stata concepita in contesto normativo del tutto diverso da quello attuale e caratterizzato da un’ampia applicazione delle legge penale militare sostanziale (vecchio articolo 264 del codice penale militare) e dal principio di assoluta coincidenza tra destinatari della legge penale militare e destinatari della giurisdizione penale militare.
In tale contesto d’origine la norma in esame contribuiva a delineare l’ambito di puntuale esercizio della giurisdizione penale militare e si collegava idealmente alla fondamentale disposizione di cui all’articolo 263 cpmp[28], per il tramite del comune e determinante riferimento testuale alle persone alle quali era applicabile la legge penale militare.
In secondo luogo va sottolineato, toccando un settore per vero poco esplorato, come accada raramente che un reato comune transiti nel sistema penale militare mantenendo immutata la propria fisionomia e senza subire variazioni nel proprio schema descrittivo.
Di solito accade esattamente il contrario, se non altro per il fatto che in molte fattispecie vi è una specificazione del soggetto attivo e passivo (che è un militare e non il generico chiunque) ed un ulteriore arricchimento del complesso delle note che qualificano la condotta tipica o il suo globale contesto di svolgimento (luogo militare, servizio militare, oggetto appartenente alla amministrazione militare, provenienza del bene da pregresso reato militare).
Siffatto mutamento di struttura, in generale, non si verifica soltanto nei reati espressamente inseriti nel codice penale militare, a guisa di un codice integrale, ma anche in quei reati comuni che vengoao trasformati in altrettanti reati militari per il tramite di una generale clausola di conversione, sul tipo di quella contenuta nell’abrogato articolo 264 c.p.m.p.. Ciò per la determinante ragione che anche in quest’ultima tipologia di reati militari vi sono pur sempre elementi e situazioni (soggetto attivo e passivo, luogo, appartenenza, specificazione del servizio etc.) che valgono a differenziarli dai corrispondenti reati comuni e che imprimono loro una fisionomia complessiva del tutto coincidente con quella dei reati militari espressamente rimodulati ed individualmente inseriti nel codice penale militare.
Dalle osservazioni sopra formulate deriva una prima immediata conclusione: tutti i reati militari, sia esclusivamente che oggettivamente militari, sottostanno alle ordinarie regole in tema di imputazione soggettiva dell’illecito, salvo le deroghe espressamente contemplate, ed ai fini della loro sussistenza occorre che nel soggetto agente, oggettivamente in possesso della prescritta qualifica, vi sia la piena rappresentazione di tutti gli elementi della fattispecie incriminatrice: della propria qualifica di militare[29], di quella dell’eventuale soggetto passivo e di tutte le eventuali connotazioni di <<militarità>> richieste dallo schema descrittivo (luogo, oggetto, determinate situazioni di fatto, provenienza ed appartenenza dell’oggetto etc).
Siffatta conclusione si impone per il determinante rilievo che l’autonomo e peculiare disvalore espresso dal reato militare, che ne condiziona la sussistenza e ne comporta, in alcuni casi, anche l’assoggettamento ad un peculiare regime di punibilità, è puntualmente iscritto negli elementi costituitivi di ogni singola norma incriminatrice e non può in alcun modo essere considerato come la meccanicistica conseguenza della qualifica “militare” del soggetto attivo.[30]
Ne deriva che è riduttivo ritenere che l’articolo 14, comma primo, assolva alla funzione di determinare l’assoggettamento ad un codice speciale e non interferisca in alcun modo, con riguardo ai reati militari <<di base>>, con la particolare fattispecie regolamentata dall’articolo 117 c.p..
Una oggettiva ricognizione del diritto positivo conduce, invece, alla opposta conclusione che tutte le fattispecie che configurano reati oggettivamente militari si collocano nei confronti dei corrispondenti reati comuni esattamente secondo quel puntuale schema relazionale previsto dalla disposizione dell’articolo 117 del codice penale.
Si tratta, infatti, di norme incriminatrici in cui si registra un mutamento del titolo di reato rispetto ai corrispondenti reati comuni e tale mutamente dipende dalle <<condizioni o qualità personali del colpevole o per i rapporti fra il colpevole e l’offeso>>[31], cioè di elementi che concorrono al fatto tipico e che nell’ipotesi di realizzazione monosoggettiva debbono di certo essere rappresentati dal soggetto agente affinché possa postularsene la penale responsabilità per quel particolare titolo di reato.
Allora diventa evidente la fondamentale funzione del dispositivo dell’articolo 117 c.p., che è espressione di un principio valido in tutto il sistema penale, che non necessita di espliciti richiami[32] e che, nello specifico ambito del mutamento del titolo del reato per uno dei concorrenti, pone una disciplina in deroga rispetto ai principi generali che governano l’elemento soggettivo nella generale compartecipazione criminosa.[33]
Mediante tale norma, infatti, <<il legislatore delinea l’oggetto del dolo in maniera tale che da esso scompaiono tutte le note che attribuiscono ad un dato fatto il requisito della tipicità rispetto ad una determinata figura di reato, ferma restando solo la esigenza che il fatto previsto e voluto corrisponda sempre ad una fattispecie penale. La correlazione tra rappresentato e reale non è, dunque eliminata, anche se si basa soltanto su un unico requisito: e, cioè, sulla natura di offesa penalmente rilevante che debbono presentare tanto il fatto voluto quanto il fatto posto in essere.>>.[34]
Rapporti tra l’articolo 14 C.p.m.p. e l’art. 117 C.p. A questo punto si deve verificare se davvero il primo comma dell’art. 14 sia norma del tutto inutile, venuto ormai meno l’antico raccordo con la norma sulla giurisdizione di cui all’articolo 263 dello stesso codice, oppure svolga un qualche ruolo nella specifica disciplina della compartecipazione nel reato militare.
Diciamo subito che ci sembra più fondata quest’ultima conclusione, da esplicitare nel senso che la disposizione in oggetto si innesta sulla particolare disciplina prevista dalla prima parte della disposizione di cui all’articolo 117 c.p. e ne completa la portata con specifico riguardo al settore dei reati militari di base.
In primo luogo essa enuncia, con funzione rafforzativa dell’art. 117 c.p., la piena assoggettabilità dell’estraneo al globale statuto normativo predisposto dalla norma incriminatrice penale militare e di conseguenza impedisce che nei suoi confronti possano trovare applicazione istituti previsti con esclusivo riferimento alla corrispondente ed assorbita fattispecie comune.
La preclusione sopra evidenziata, conseguenza dell’esclusiva configurabilità dello speciale reato militare, manifesta significativi effetti anche in ordine alla individuazione del giudice ordinario competente a conoscere, in separato processo, del fatto concorsuale dell’estraneo. Tale giudice, infatti, verrà individuato sulla base della sola considerazione del titolo del reato militare e della pena per esso prevista, senza alcun riferimento a quanto la legge comune, sia processuale che sostanziale, preveda con specifico riferimento al reato comune contenuto ed assorbito nel reato militare.
Per avere una efficace riprova di ciò basti pensare all’ipotesi che il concorso dell’estraneo riguardi reati militari che integrino altresì i particolari reati contro la persona attribuiti alla competenza del giudice di pace (individuati sulla base del testuale riferimento alle fattispecie previste dagli articoli 581, 582, 594, 595 e 612 c.p. – art. 4 del decreto legislativo n. 274 del 2000 -).
In un caso del genere, ci sembra indubbio che l’estraneo concorrente debba essere giudicato dal tribunale in composizione monocratica (competenza residuale) e non dal giudice di pace, la cui competenza non riguarda in alcun modo i reati militari contro la persona ed è circoscritta ad alcuni dei reati contro la persona e l’onore contemplati dal codice penale comune.
Ne deriva, per concludere sul punto, che gli estranei che concorrano in uno dei reati militari contro la persona non potranno mai beneficiare delle particolari e virtualmente più blande sanzioni (pene pecuniarie, obbligo di permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità) previste per la giurisdizione di pace.
La norma contenuta nel primo comma dell’articolo 14 c.p.m.p., inoltre, esclude, per la statuita equiparazione tra militare ed estraneo concorrente, che possa trovare applicazione la particolare diminuente facoltativa prevista dalla parte finale del citato articolo 117 per i compartecipi non <<qualificati>>.
A sorreggere siffatta ricostruzione sembrano concorrere tre ordini di argomenti.
In primo luogo va evidenziato che solo nel secondo comma dello stesso articolo 14 c.p.m.p., in sede di disciplina dei reati militari per i quali è prevista la soggettività attiva degli estranei, si prevede espressamente la possibilità per il giudice di diminuire la pena, mentre nel primo comma dello stesso articolo non si accenna minimamente a tale eventualità e si sottolinea, per contro, l’assoggettamento dell’estraneo concorrente all’indifferenziato regime della <<legge penale militare>>, con ciò imprimendo un maggior disvalore ai fatti posti in essere da militari e persone estranee alle forze armate e facendone rifluire i negativi effetti (inapplicabilità della attenuante facoltativa) anche sulla posizione del concorrente non militare.
In secondo luogo nel sistema di diritto positivo si rinviene una disposizione in parte analoga nell’articolo 1081 del codice della navigazione (approvato con R.D. 30 marzo 1942, n. 327) e qui non solo è espressamente contemplato il rinvio all’articolo 117 c.p., ma altresì si prevede, per apprezzabile coerenza di disciplina, che la pena possa essere ridotta anche nel caso in cui vi sia compartecipazione ad un reato che sussiste a causa esclusiva della particolare qualità dell’intraneo (corrispondente ai nostri reati esclusivamente militari). Sicchè si può sostenere che in questo ambito, per vero molto prossimo alla autonomia sostanziale e processuale della legislazione penale militare, il legislatore ha dettato una disciplina meno rigorosa ed ispirata all’intento di sanzionare con pena più lieve il minor disvalore ravvisabile nell’apporto del concorrente privo della speciale qualifica. E ciò sia nelle incriminazione che mutano titolo in dipendenza delle particolari qualità personali del soggetto agente (per esempio, offesa in danno di superiore, prevista dall’articolo 1104 cod. nav. ), sia nelle fattispecie in cui si incrimina ex novo un comportamento e la rilevanza penale del fatto dipende dalla particolare qualifica del soggetto agente (per esempio, la diserzione del componente dell’equipaggio, prevista dall’articolo 1091 del cod. nav., oppure l’ammutinamento previsto dal successivo articolo 1105).
Infine viene in rilievo l’argomento, speculare al primo ed al quale si è già accennato, che il comma 1 dell’articolo 14 c.p.m.p., non solo non menziona in alcun modo[35] la facoltà di diminuire la pena nel caso da esso regolamentato di compartecipazione di estranei in ogni reato militare, bensì afferma espressamente che in tale evenienza le persone estranee alle forze armate <<sono soggette alla legge penale militare>>, senza operare alcuna distinzione tra mutamento del titolo del reato ed incriminazione ex novo e ponendo per tutte le ipotesi riconducibili nella fattispecie regolamentata una disciplina unica ed indifferenziata. [36]
Va altresì precisato che i rilievi ed i risultati sopra esposti valgono solo con riguardo all’ipotesi che l’estraneo concorra con un militare nella realizzazione di un reato militare di base, per il quale, cioè, è richiesto il possesso della sola qualità militare.
A diverse conclusioni deve invece pervenirsi per il caso che l’apporto dell’estraneo concerna un reato militare proprio (o proprio di secondo grado), per esempio il reato di peculato militare e quindi un reato che presuppone, accanto ed oltre la qualifica di militare, anche quella di soggetto <<incaricato di funzioni amministrative o di comando>>.
È infatti evidente che la suddetta attenuante, in quanto pacificamente applicabile all’ipotesi in cui militari sforniti della necessaria qualifica soggettiva concorrano – ignorandone la particolare qualifica – con un militare <<intraneo>> in un reato militare proprio, entra a pieno titolo nel trattamento penale militare del fatto e quindi troverà applicazione, proprio per l’equiparazione fissata dal primo comma dell’articolo 14 c.p.m.p. tra estranei e militari, anche allorquando alla realizzazione del reato militare proprio concorreranno degli estranei alle forze armate.[37]
Concorso di un estraneo nei reati militari “propri” o a soggettività ristretta. In quanto sopra osservato, infine, si rinvengono indizi per una esauriente soluzione dell’ipotesi in cui il fatto realizzato in concorso con l’estraneo configuri, nel contempo ed in astratto, due distinti reati propri, l’uno previsto dal codice penale militare e l’altro dal codice penale comune: per esempio, il reato di peculato militare, in ragione della funzione di comando svolta dal militare; ed il reato di peculato comune a causa della qualifica di pubblico ufficiale rivestita dall’estraneo compossessore del bene oggetto di appropriazione.[38]
Analoga situazione si verificherà nella ipotesi in cui il militare e l’estraneo commettano un fatto che costituisce, nel contempo, il reato di insubordinazione con violenza (art. 186 C.p.m.p.) ed il reato di violenza o resistenza a pubblico ufficiale (336 e 337 c.p.). Evenienza che può registrare significative complicazioni per il caso che la violenza si sia materializzata in atti di lesione personali, posto che in tali contesti, a fronte dell’unitario reato militare di insubordinazione con violenza, fa da contraltare la duplice risposta punitiva del codice penale comune, per effetto della quale nel fatto si riscontrano, in concorso formale, i reati di resistenza o violenza a PU e l’ulteriore reato di lesioni personali.
Uno sguardo al trattamento sanzionatorio previsto per i rispettivi reati consente di comprendere quanto sia rilevante la questione. Il peculato comune è punito con la reclusione da anni 4 ad anni 10; quello militare, pur avendo il medesimo limite edittale massimo, ha una pena minima significativamente più lieve, pari a 2 anni. Il reato di insubordinazione con violenza, che tutela sia la persona che la funzione istituzionale, è punito con la reclusione militare da 1 a 3 anni; ad ipotizzare che la violenza sia consistita in una lesione personale non grave, il medesimo fatto assume nel codice comune la duplice qualifica di: a) violenza o resistenza a pubblico ufficiale (pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni); b) lesione personale (pena da 3 mesi a 3 anni di reclusione).
Si comprende subito come la questione, nella sua portata generale, si delinei su due essenziali fronti: in primo luogo si tratta di stabilire quale sia il reato concretamente riscontrabile in un fatto che costituisca, nel contempo, reato militare e reato comune; in secondo luogo occorre stabilire se la eventuale prevalenza del reato militare persista anche nelle ipotesi in cui il medesimo fatto sia stato commesso da un militare in concorso con un estraneo.
Si è già visto come il primo interrogativo (quale reato si ravvisi in concreto nel fatto del militare che integri contemporaneamente un reato militare ed uno comune) sia di facile soluzione allorquando il reato comune non abbia alcuna specificazione soggettiva e possa essere commesso da chiunque (per esempio, percosse, lesioni personali, furto, truffa). In tali casi, essendo la qualifica di militare un requisito aggiuntivo, è agevole risolvere il problema per il tramite del principio di specialità e ravvisare la prevalenza della legge penale militare. Ed ai nostri fini non importa, per il momento, soffermarsi a considerare se la prevalenza sia un effetto della natura speciale dell’intera legge penale militare o se discenda dal raffronto tra le due fattispecie incriminatrici che vengono in rilievo nella astratta qualificazione del fatto. La risposta è, per contro, meno agevole per le ipotesi in cui sia il reato militare che quello comune presentino elementi di specialità; ipotesi in cui occorre considerare quali siano gli elementi maggiormente specializzanti. Ed è proprio in questo ambito che si colloca, per citare i casi più significativi, la questione dei rapporti tra i reati di insubordinazione (o abuso di autorità) e quelli di violenza e resistenza a pubblico ufficiale; oppure tra il reato di peculato militare e quello di peculato comune.
Ipotizziamo, comunque, che questa prima questione vada risolta nel senso della prevalenza del reato militare tutte le volte che il fatto sia stato commesso esclusivamente da un militare in servizio. E quindi chiediamoci se tale prevalenza rimanga ferma anche nella ipotesi che il fatto sia commesso dal militare in concorso con un estraneo. Ipotizziamo, per esempio, un militare che, istigato da un estraneo, si appropri e consegni al predetto istigatore un oggetto appartenente alla amministrazione militare e di cui egli abbia il possesso per ragioni di ufficio. Oppure pensiamo al caso di due soggetti, uno militare e l’altro estraneo, compossessori per ragioni di ufficio di un bene appartenente alla amministrazione militare, che realizzino un concorsuale fatto di appropriazione di tale bene.
Valutato in una prospettiva “soggettiva”, il fatto configurerebbe un peculato ordinario per l’estraneo alle forze armate (art. 314 c.p.: pena da 4 a dieci anni) ed un peculato militare per il militare (articolo 215 c.p.m.p., pena da 2 a 4 anni). Ma è evidente come questa prospettiva debba cedere il passo a quella fondata sulla valutazione unitaria del fatto concorsuale, che impone di considerare i distinti apporti in relazione ad una precisa norma incriminatrice ed utilizzare questa puntuale norme per apprezzare la rilevanza e la tipicità dei singoli frammenti comportamentali.
E’ quindi necessario individuare una sola norma incriminatrice: o quella del peculato militare o quella del peculato comune. E ai fini della individuazione di tale norma non bisogna farsi condizionare da fattori processuali; in particolare dalle norme sulla connessione dei procedimenti, per effetto delle quali “la connessione tra procedimenti di competenza del giudice ordinario e procedimenti di competenza del giudice militare determina, ex art. 13, comma secondo, cod. proc. pen., l’attrazione di questi ultimi nella giurisdizione ordinaria solo se, trattandosi di procedimenti per reati diversi, il reato comune è più grave di quello militare; negli altri casi invece le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate e pertanto, se la connessione concerne procedimenti relativi ad uno stesso reato militare commesso da militari in concorso con civili, il giudice militare mantiene integra nei confronti dei militari la giurisdizione ed il giudice ordinario esercita la giurisdizione nei soli confronti dei concorrenti civili”. [39]
L’alternativa va quindi risolta sulla base delle norme di diritto sostanziale, con particolare riguardo a quelle disposizioni che disciplinino espressamente l’ipotesi di estranei che concorrano in un reato militare. Ed altresì, per evitare un circolo vizioso, dando per scontato che l’unico reato da ravvisare sia quello militare, sulla scorta dell’assunto, si ribadisce, che solo tale reato sia da ravvisare allorquando il fatto, integrante in astratto un reato comune ed un reato militare, sia commesso soltanto (realizzazione mono soggettiva) da un militare.[40]
Quindi i punti fermi sono i seguenti: a) il reato commesso, ove posto in essere solo da un militare, costituisce reato militare (peculato militare); nella concreta vicenda di vita quel reato risulta commesso da un militare in concorso con un estraneo alle forze armate; c) valutato dall’esclusivo punto di vista dell’estraneo, quel reato contiene tutti gli ingredienti di un reato comune (peculato comune).
Ad avviso dello scrivente, lo scenario che si delinea in tale ipotesi è del tutto equipollente a quello regolamentato dall’articolo 14, primo comma, del codice penale militare di pace, ai sensi del quale “sono soggette alla legge penale militare le persone estranee alle forze armate dello Stato che concorrono a commettere un reato militare”.
Si è già visto che tale situazione ricorre allorquando il fatto commesso in concorso integri nello stesso tempo un reato militare di base ed un reato comune di base, cioè reati non propri ed in relazione ai quali non sono richieste ulteriori qualifiche rispetto a quelle sufficienti per la applicazione delle rispettive leggi penali.
Non sembra, però, che vi siano ostacoli ad applicare il medesimo principio di diritto anche nelle situazioni in cui i reati in raffronto, militare e comune, costituiscano reati propri. Con la conseguenza che anche in tale ipotesi deve assegnarsi prevalenza al reato militare proprio, [41] sulla base del concorrente argomento che le qualifiche di incaricato di funzioni amministrative e di comando ed il rapporto con il soggetto offeso configurano situazioni di ulteriore specificazione dei già speciali requisiti richiesti dal reato proprio comune (Pubblico ufficiale ed altruità del bene) e quindi siano destinate a prevalere[42] nel raffronto con questi ultimi e conseguentemente a porsi come unica ed esclusiva causa di mutamento del titolo del reato.[43]
Aprile 2015 Vincenzo Santoro
[1] R. Venditti, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Milano, 1995,145; V. Garino, Manuale di diritto e procedura penale militare, CETIM Torino, 1985, p. 66; V. Veutro., Diritto penale militare, in G. Landi, V. Veutro, P. Stellacci, P. Verri, Manuale di diritto e di procedura penale militare, cit., p. 131; R. Messina, Elementi di diritto e procedura penale militare; 1985, Quaderno n. 1 della Rass. Giust. Mil. 1985, p. 82; Brunelli-Mazzi, Diritto penale militare, Milano, 1999, p. 17.
[2] Analogamente a quanto si riscontra nel codice della navigazione, che presenta alcune analogie con il sistema penale militare e che, come questo, ha una normazione penale sostanziale imperniata, in parte, su fatti che hanno rilevanza penale solo in ragione della particolare qualità del soggetto attivo (corrispondenti ai reati esclusivamente militari). L’articolo 1081 di tale codice, infatti, espressamente dispone: <<Fuori dal caso regolato nell’articolo 117 del codice penale, quando per l’esistenza di un reato previsto dal presente codice è richiesta una particolare qualità personale, coloro che, senza rivestire tale qualità, sono concorsi del reato, ne rispondono se hanno avuto conoscenza della qualità personale inerente al colpevole. Tuttavia il giudice può diminuire la pena rispetto a coloro per i quali non sussiste la predetta qualità>>. Sul punto, S. Ranieri, Il concorso di più persone in un reato, Milano, 1949, 127; Lefebre – Pescatore – Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 1990, p. 935.
[3] L’articolo 65 del codice penale militare disciplina le modalità di esecuzione delle pene miliari inflitte a persone che non hanno oppure hanno perduto la qualità militare.
[4] G. Ciardi, Istituzioni di diritto penale militare, parte generale, volume I, Roma, 1950, p. 122.
[5] G. Ciardi, Istituzioni, cit., p. 122
[6] G. Sucato, Istituzioni di diritto penale militare, vol. I, Parte generale, Roma, 1941, p. 74-78.
[7] I reati enunciati dal secondo comma dell’articolo 14 c.p.m.p., per i quali è prevista la soggettività attiva anche degli estranei, sono i seguenti: comunicazione all’estero di notizie non segrete né riservate (art. 94); abuso di lavoro nelle officine militari (136); forzata consegna (140); resistenza, minaccia a sentinella (141); violenza a sentinella (142); impedimento a portatori di ordini militari (145); attività sediziosa (182); raccolta di sottoscrizioni per rimostranza o protesta (184). Con riferimento a questi reati, commessi dai soli estranei ed anche in regime di concorso tra loro, si statuisce che le pene militari si convertono in pene comuni e si contempla una circostanza attenuante facoltativa.
[8] La distinzione tra reato esclusivamente militare e reato oggettivamente militare è contenuta nell’articolo 37 del codice penale militare ed il suo scopo essenziale è quello di distinguere tra fattispecie lesive di interessi esclusivamente militari (fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune) e fattispecie offensive di interessi militari e comuni e quindi varianti specifiche di norme incriminatrici già contenute nella legislazione penale comune.
[9] R. Venditti, Il diritto penale militare, cit., p. 145; V. Garino, Manuale di diritto e procedura penale, cit., p. 110; V. Veutro., Diritto penale militare, cit., p. 227; R. Messina, Elementi di diritto e procedura penale militare, cit, p. 82, per il quale alla medesima conclusione si perviene anche senza utilizzare il concetto di reato esclusivamente militare.
[10] Vedi nota precedente.
[11] In tali termini, Venditti, Il diritto penale militare, cit., p. 153
[12] In senso conforme, Cass., 10 dicembre 1993, Gissi, C.E.D., Cass., n. 197562, in Giust. Pen., 1995, II, 20 e Cass., 18 novembre 1996, Sassi, C.E.D., Cass. n. 207269, per le quali la previsione opera in tutto l’ambito del diritto penale e non soltanto in rapporto ai reati compresi nel codice penale, trattandosi di disposizione volta a disciplinare proprio quelle ipotesi di concorso di reati che postulano l’esistenza di una speciale qualifica o funzione da parte del soggetto attivo del reato; ne deriva che anche il contrabbando petrolifero, per il quale il privato è normalmente punito ai sensi degli art. 20 e ss. r.d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, qualora venga commesso in concorso tra il privato ed il militare della Guardia di Finanza, muta il titolo del reato, in relazione alla qualifica di quest’ultimo, in <violazione delle leggi finanziarie costituenti delitto>> di cui all’articolo 3, prima parte, legge 9 dicembre 1941, n. 1383 ed anche il privato risponde di tale violazione a norma dell’articolo 117. In merito al reato sopra indicato, si veda, anche per la rassegna dottrinaria e giurisprudenziale, V. Santoro, Il reato di collusione. Rapporti con le altre violazioni finanziarie, in Rivista della Guardia di Finanza, 1998, fasc. 3, p. 941 e ss., nonché V. Santoro I reati speciali del militare della Guardia di Finanza, in Rassegna della giustizia militare, 2002, (fascicolo n.1-2-3), pp.. 1- 48.
[13] Cioè un reato militare consistente in un fatto che, in tutto o in parte, costituisca anche reato comune (furto militare e truffa militare rispetto al furto ed alla truffa previsti dal codice penale comune).
[14] Così, Venditti, Il diritto penale militare, cit., p. 153. Il medesimo trattamento andrà riservato alle ipotesi di estranei che concorrano, ad esempio, in un furto militare ignorando la qualifica di militari in servizio degli altri concorrenti.
[15] In questo specifico caso (ricettazione militare) il dispositivo del 117 concreta un trattamento di indubbio favore per l’estraneo, che in luogo della severa sanzione della reclusione da due a otto anni (art. 648 c.p.), viene assoggettato alla pena della reclusione fino a due anni (art. 237 c.p.m.p.). Il tutto nel contesto di una norma incriminatrice (quella del 237 c.p.m.p. – ricettazione) che non richiede che gli oggetti vengano acquistati o ricevuti da un militare ed esige soltanto, oltre alla qualifica di militare del soggetto attivo, che gli oggetti ricettati provengano da un qualsiasi reato militare.
[16] V. Maggi, Limiti costituzionali al diritto e al processo penale militare, Jovene, 1981, 97.
[17] Veutro, Diritto penale militare, cit.,, 131.
[18] Brunelli-Mazzi, Diritto, cit. 17.
[19] Venditti, il diritto, cit.,145; Messina, Elementi, cit. 82; Garino, Manuale, cit. 66, il quale parla di <<pleonastico richiamo della disciplina sul concorso di persone contenuta nel C. pen., stante il principio di complementarietà fissato dall’art. 16 C. pen.>>.
[20] Ciardi, Istituzioni, cit., 453.
[21] Sucato, Istituzioni, I, cit. 229, il quale precisa che allorquando il mutamento del titolo del reato dipenda dalla qualifica del soggetto militare o dai suoi rapporti con il colpevole, nessuna deroga avrebbe registrato l’articolo 117 c.p.. Negli stessi termini, A. Ranieri, Lineamenti di diritto penale militare ,Bari, 1969, p. 204.
[22] Sucato, Istituzioni, I, cit. 229,
[23] Sucato, Istituzioni, cit, supra
[24] Va infatti considerato che per la giurisprudenza <<l’articolo 117 c.p. è una norma che, derogando all’articolo 110 c.p., prevede una forma di responsabilità oggettiva, perché estende la punibilità secondo il titolo di reato proprio anche all’extraneus che non abbia conoscenza della qualifica dell’intraneus da cui deriva il mutamento del titolo del reato. Per questa ragione limita la responsabilità al solo caso in cui il comportamento dell’extraneus costituisca di per sé reato; e consente al giudice di riconoscergli anche una riduzione di pena. Ma quando l’extraneus sia consapevole della qualità dell’intraneus, egli risponde comunque del reato proprio, anche se la sua condotta non costituirebbe di per sé reato; e non essendo applicabile l’art. 117 c.p., non ha diritto alla riduzione di pena ivi prevista.>> , così Cass., sez. V, 24 giugno 1996, n. 7718,. Si vedrà oltre come per la dottrina maggioritaria tale norma, pur dettando una disciplina derogatoria in materia di elemento soggettivo nei reati concorsuali, in realtà non integri una fattispecie di responsabilità oggettiva.
[25] In seguito tale posizione dottrinale è stata approfondita e sviluppata da Latagliata, il quale, nell’ambito di un orientamento che non ravvisa alcuna anomalia nelle disposizioni che disciplinano l’elemento soggettivo nella compartecipazione criminosa, contesta la ricorrente interpretazione dell’articolo 117 e sostiene “che per essere chiamati a rispondere del nuovo titolo di reato i concorrenti <<estranei>> devono avere dunque conoscenza dell’esistenza di <<un intraneo>>; altrimenti non rispondono che del corrispondente reato comune in applicazione di quanto dispone il comma 2 dell’art. 47”. In conclusione, secondo tale autore, “ tra l’ipotesi del <<mutamento del titolo di reato>> e quella dell’incriminazione ex novo del comportamento non passa alcuna differenza, almeno sotto il profilo dell’elemento psicologico” e la “posizione dell’articolo 117 tra le norme sul concorso ha il preciso significato di riaffermare la necessità che i concorrenti <<estranei>> conoscano la situazione di specialità che determina il mutamento del titolo del reato”. A. R. Latagliata, Concorso di persone nel reato (dir. pen), in Enc. del dir., Vol. VIII, Milano, 1961, p. 588-589.
[26] Ciardi Istituzioni, cit., 453, il quale, come si vedrà, afferma testualmente, con riguardo alla ipotesi di concorso di un estraneo in un furto militare, che “l’estraneo che ignora la qualifica di militare del compartecipe è punibile per un diverso titolo di reato e cioè per furto comune (secondo comma dell’articolo 47) e non per furto militare”.
E’ però da rilevare che per il Latagliata l’obiezione che in tal modo si viene ad infrangere l’unità del reato realizzato “sarebbe valida solo se si potesse parlare di <<reato>> nel concorso anche quando fa difetto l’elemento psicologico, vale a dire se il concorso fosse configurabile sul piano della sola parte materiale del fatto tipico”. Latagliata, op. cit., 588-589.
[27] Ciardi, Istituzioni, cit., 453-454. Lo stesso autore precisa che la soluzione è diversa, con applicazione dell’articolo 117 c.p., nel caso in cui l’estraneo sappia di concorrere con un militare nella commissione di un reato militare, “ma il titolo del reato muti per le condizioni o le qualità del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l’offeso. Così, ad esempio, se un militare incaricato di funzioni amministrative, sottrae da un magazzino militare, con il concorso di un estraneo, un certo quantitativo di benzina a lui in consegna, rispondono entrambi di compartecipazione in peculato militare (artt. 215 e 14 c.p.m.p.) tanto nel caso che l’estraneo sia a conoscenza della funzione di cui il militare è investito, quanto nel caso ch’egli la ignori, e quindi ritenga di concorrere in un reato di furto militare”. Lo stesso criterio si applicherà anche nella ipotesi in cui “un estraneo ed un militare inducono un soldato a prendere a schiaffi un suo pari grado, mentre, sulla pubblica via, si svolge una istruzione militare: il soldato offeso è, però, in quel momento superiore in comando dell’offensore, che, pertanto, non commette semplice reato di percosse (art.222 c.p.m.p.), ma insubordinazione (art. 186 c.p.m.p.). Tale condizione speciale del colpevole fa mutare il titolo del reato per tutti. Anche l’estraneo e il militare, che inducono a percuotere, rispondono , in ogni caso, di insubordinazione, salvo la facoltà del giudice di diminuire la pena.”
[28] Recitava infatti tale articolo, orami superato per effetto della legge 167 del 1956 e delle sentenze Corte costituzionale n. 78/89 (che ha determinato la esclusiva competenza del tribunale dei minorenni per i reati militari commessi da minori degli anni diciotto appartenenti alle forze armate) e 429/92 (che ha circoscritto la giurisdizione penale militare solo ai militari in servizio alle armi o considerati tali): <<Appartiene ai tribunali militari la cognizione dei reati militari commessi dalle persone alle quali è applicabile la legge penale militare>>.
[29] Non si può in questa sede soffermarsi adeguatamente sulla controversa questione se nell’oggetto del dolo rientrino le qualifiche soggettive dei reati propri. Ed è evidente che nel nostro specifico ambito la soluzione negativa rende in parte del tutto astratta la discussione sull’articolo 117 c.p., posto che non avrebbe senso richiedere per il concorrente estraneo un ambito di rappresentazione e consapevolezza più ampio di quello previsto per il concorrente dotato della particolare qualifica soggettiva postulata dalla norma incriminatrice penale. Riteniamo comunque che nella struttura dei reati militari la qualifica del soggetto agente faccia parte degli elementi essenziali del fatto e trasmigri nell’oggetto del dolo, discendendo anche dalla sua puntuale consapevolezza la completa realizzazione dell’offesa tipica e la piena congruità della particolare reazione sanzionatoria per essa prevista. In dottrina, nel senso che le qualifiche soggettive fanno parte degli elementi essenziali del fatto e quindi rilevano ai fini del dolo, G. flora, voce Errore, in Digesto delle discipline penalistiche, IV, Torino, 1990, pag. 225, in particolare 263-264; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 1995, 467;
[30] Una simile conclusione poteva, per contro, avere senso logico e giuridico solo in un ipotetico sistema che, sul tipo della giurisdizione per i minorenni, qualificasse come reati militari tutti i reati commessi da appartenenti alle forze armate e ne affidasse la cognizione alla giurisdizione penale militare (criterio rigorosamente soggettivo e di natura esclusivamente processuale)
[31]Alla luce di tale constatazione, non sembra più così importante la questione se i reati militari di base configurino o no dei reati propri. Di certo sono reati che, in rapporto ai corrispondenti reati comuni, subiscono un mutamento della propria denominazione a causa esclusiva di quei fattori tipizzati dall’articolo 117 c.p., che in tale più ampia prospettiva potrebbe semmai considerarsi come dotato di uno spazio di efficacia che non coincide e va oltre quello delimitato dai tipici reati propri.
[32] Sotto questo specifico profilo sembra superflua la già menzionata disposizione di cui all’articolo 1081 del codice della navigazione, almeno nella parte in cui avverte la necessità di fare espressamente salva la applicabilità dell’articolo 117 c.p. nel contesto della specifica regolamentazione del concorso di un estraneo in un reato per la cui esistenza, e quindi non per un mutamento di titolo, <<è richiesta una particolare qualità personale>>.
[33] Ci sembra che la suddetta disciplina in deroga non sia esclusivamente circoscritta all’ipotesi che il concorrente non possieda la qualifica soggettiva necessaria per il reato proprio (o similia) e vada invece estesa ad ogni evenienza in cui uno dei concorrenti non si rappresenti tutti gli estremi costitutivi dei reati in oggetto, cioè quelli che subiscono un mutamento di titolo per le ragioni indicate nell’articolo 117 C.p.. A tal fine si può utilmente considerare l’ipotesi di un militare in servizio attivo che concorra con altro militare in servizio attivo in un reato militare e sulla base della erronea convinzione di stare concorrendo ad un reato comune (per esempio erra sull’appartenenza del bene o sulle connotazioni militari di altri estremi della fattispecie incriminatrice).
[34] M. Gallo, voce dolo (diritto penale), in Enc. del dir., Vol. XIII, Milano, 1964, p. 800., il quale completa la sua ricostruzione affermando che nel caso di mutamento del titolo per le condizioni o qualità personali di uno dei partecipi, il dolo di chi era ignaro delle qualifiche soggettive del suo complice non può evidentemente fungere da requisito costitutivo dell’offesa realizzata, ma unicamente da criterio che permette l’imputazione al soggetto, che non se l’era rappresentata, di un’offesa compiuta in ciascuno dei suoi elementi essenziali. Tale ordine di idee sembra ormai costituire diritto vivente e vi è quasi unanimità di consensi nell’assunto che <<la disposizione dell’articolo 117 c.p., disciplinando un’ipotesi di partecipazione al reato proprio, peculiare sotto il profilo della determinazione dell’oggetto del dolo, comporta un effetto estensivo della partecipazione criminosa derogatorio, nel campo dei reati propri, rispetto ai principi generali che governano l’elemento soggettivo nel concorso>> e che alla disposizione dell’articolo 117 c.p. compete << il ruolo di norma che, in deroga ai principi governanti l’elemento soggettivo nel concorso, consente di attribuire unitariamente il diverso titolo di reato, determinato dalle condizioni o dalle qualità del colpevole o dai suoi rapporti con l’offeso, a tutti i compartecipi, cioè a prescindere dalla consapevolezza di quell’elemento qualificante il fatto>>. Si evidenzia, però, come la norma, che <<è influenzata dal dogma della unitarietà del reato in concorso e condivide il rigore politico criminale dell’articolo 116 c.p.>> debba essere modificata nel contesto di una riforma che adegui il <<nostro sistema al criterio costituzionale di personalità della responsabilità penale.>>, così G. Insolera, Concorso di persone nel reato, in Digesto discipline penalistiche, Torino, 2001, p. 491-492. Peraltro non si possono sottacere le controversie che ancora si agitano in merito alle condizioni di applicabilità della norma di cui all’articolo 117 C.p., che per la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza richiede la necessità che il concorrente intraneo realizzi l’azione tipica, allo stesso modo che se fosse autore esclusivo del reato; con la conseguenza che se tale soggetto rimane in posizione marginale, non si avrà alcun mutamento del titolo di reato. Cass., 19 marzo 1992, Merli, Cass. Pen. 1994, 1512; Cass., 11 novembre 1983, Esposito, C.E.D., Cass. N. 161102. In dottrina G. Bettiol, Sul reato proprio, in Scritti giuridici, Cedam, 1966, vol. I, 421; Seminara, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Giuffrè, 1987,416. Contra Cass., 5 febbraio 1991, C.E.D., Cass., n. 187202.
[35] Né direttamente, né per il tramite di un rinvio alla totalità dell’articolo 117 c.p..
[36] Contra, Garino, Manuale cit., p. 66., per il quale la tesi in esame “avrebbe un sia pur opinabile valore interpretativo qualora si constatasse il verificarsi, per l’estraneo, di un mutamento di titolo di reato in tutte le possibili ipotesi di un suo concorso con un militare nella commissione di un reato militare.. ma ciò non si verifica in quanto accanto ai reati militari <<propri>> ve ne sono altri sforniti di corrispondente o analoga figura criminosa comune, da classificarsi pertanto fra i reati a <<soggettività ristretta>>. In ordine a questi ultimi, infatti, la responsabilità del concorrente estraneo sussisterà solo se da parte sua si sarà realizzata la conoscenza della qualifica soggettiva del concorrente militare, con esclusione della possibilità di un mutamento di titolo e della conseguente applicabilità dell’attenuante ex art. 117 C. pen.”. A nostro giudizio la obiezione, peraltro radicata su condividibili assunti, non sembra così concludente. Se da un lato è indubbio che il primo comma dell’articolo 14 concerna sia i mutamenti di titolo di reato che le incriminazioni ex novo, è altrettanto pacifico che in tale disposizione non si accenna in alcun modo ad attenuanti facoltative, contrariamente a quanto disposto nella corrispondente norma del codice della navigazione, e si prevede un‘indifferenziata disciplina per tutte e due le ipotesi di compartecipazione criminosa (<<sono soggette alla legge penale militare..>>. Siffatta norma, messa in rapporto con la esplicita previsione di segno opposto di cui al comma successivo, rende plausibile, anche per le peculiari ragioni che sono alla base del mutamento del titolo di reato (esistenza di un autonomo e speciale sistema di normazione penale), che gli estranei che concorrano in un reato militare di base (cioè che postula la sola qualifica di militare, corrispondente a quella del chiunque del parallelo codice penale comune) non beneficino dell’attenuante facoltativa (i cui presupposti – maggiore gravità del reato proprio – sono per vero molto rari).
[37] Diversamente l’estraneo verrebbe ad essere assoggettato ad un trattamento penale diverso e più sfavorevole di quello del militare che si fosse venuto ad trovare nelle sue identiche condizioni di inconsapevolezza della ulteriore qualifica posseduta dal concorrente. La stessa conclusione si impone anche per l’ipotesi che l’estraneo ignori sia la qualifica di base che quella ulteriore. In tale evenienza, infatti, la qualifica di base perde la propria rilevanza autonoma e trasmigra nella più ampia e complessa qualifica di, per riprendere il già citato esempio, <<militare incaricato di funzioni amministrative e di comando>>.
[38] Gli esempi più emblematici vengono offerti dal settore dei reati contro la amministrazione pubblica e contro la amministrazione militare, che il codice penale militare contempla negli articoli 215-219 e che nel codice penale comune sono contenuti negli articoli 314 e seguenti. Si consideri l’ipotesi di un pubblico ufficiale che sia compossessore di un bene appartenente alla amministrazione militare (per esempio un civile addetto ad un ospedale militare) e di un militare che si trovi nella identica situazione rispetto al bene e che sia altresì investito di funzione di comando (per esempio il direttore dell’ospedale militare).
[39] Sez. U, Sentenza n. 5135 del 25/10/2005 Ud. (dep. 10/02/2006 ) Rv. 232661
[40] Non va però disconosciuto che in astratto si può profilare anche una diversa ricostruzione, che esalti i connotati di maggiore specialità del peculato comune (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) e ravvisi questo reato nelle ipotesi in cui il militare autore del fatto di appropriazione possieda anche tali qualifiche, che verrebbero quindi a prevalere su quelle, necessarie per la configurabilità del peculato militare, di soggetto investito di funzioni amministrative o di comando. Questo orientamento si riscontra in una non recente sentenza della Corte di cassazione, ove si afferma che “se il militare sia da qualificare pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, ex art. 357 e 358 c.p.p. potrà commettere solo peculato comune, laddove il peculato militare è concepibile esclusivamente nei confronti del militare che svolga funzioni interne all’amministrazione militare; ciò in quanto il concetto di militare “incaricato di funzioni amministrative o di comando” è più ristretto di quello di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio: i due concetti operano su piani diversi e alternativi tanto che, individuato quello di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, ne viene automaticamente escluso l’altro”( Sez. 6, Sentenza n. 352 del 2001). Per una critica a tale orientamento si veda, volendo, V. Santoro, voce Peculato e Malversazione militare, in Digesto, IV edizione, volume, IX Penale.
[41] Di conseguenza nel caso ipotizzato a titolo di esempio troverà applicazione la norma che prevede il reato di peculato militare e per tale ragione, oltre che per il concorso di una serie di fattori del tutto casuali, l’estraneo pubblico ufficiale beneficerà di una trattamento penale più favorevole. In applicazione dello stesso criterio potrà essere impostata e risolta anche l’ipotesi del militare che concorra con un estraneo nel realizzare un fatto di insubordinazione con violenza che nel contempo costituisca ed integri l’ulteriore reato di resistenza o violenza a pubblico ufficiale (ipotesi contrassegnata dal fatto che le qualifiche di minore o maggiore specialità riguardano entrambi i versanti, attivo e passivo, della soggettività giuridica).
Qui sono noti gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza in caso di realizzazione monosoggettiva del reato da parte di un militare, per i quali la norma che contempla il reato di insubordinazione con violenza è in rapporto di specialità con le norme che prevedono i corrispondenti reati comuni e di conseguenza trova esclusiva applicazione.
Il presente lavoro non consente di approfondire tale problema, che coinvolge corposi istituti di diritto sostanziale e che ha trovato la sua più significativa trattazione in un contesto normativo diverso da quello attuale e caratterizzato dal fatto che le norme incriminatrici dell’insubordinazione prevedevano sanzioni di gran lunga più severe di quelle congiuntamente previste dalle fattispecie di resistenza e violenza e dalle concorrenti norme che punivano le offese a pubblico agente di intensità superiore alle percosse.
Sta di fatto che nel sistema attuale il militare che usa violenza contro un superiore commette il reato di insubordinazione previsto dal primo comma dell’articolo 186 c.p.m.p, punito con la reclusione militare da uno a tre anni, nel caso la violenza sia rimasta al di qua della soglia delle lesioni gravi, nonché i progressivi reati contemplati nel secondo comma – puniti con le pene previste dai corrispondenti reati contro la persona ed integrati da una aggravante facoltativa – nel caso la violenza sia consistita in lesioni gravi o gravissime e nell’omicidio. Per contro e come si è già rilevato, il privato che commetta gli stessi fatti contro un pubblico ufficiale, nella ricorrenza degli ulteriori elementi di tipicità, commette due reati: il reato di resistenza o violenza a PU, punito con la reclusione sino a cinque anni, ed i distinti reati di lesione personale ed omicidio per l’ipotesi che la violenza sia consistita in un atto di manomissione fisica di intensità superiore alle percosse, reati di per sé puniti con una pena sostanzialmente pari a quella prevista per l’onnicomprensivo reato di insubordinazione, che ha carattere plurioffensivo e provvede alla tutela unitaria ed esclusiva della persona del superiore e del vincolo gerarchico-disciplinare. Per una sintetica rassegna su tale tematica, V. Santoro, Commento all’articolo 186 del codice penale militare, in Codici Penali Militari – rassegna di giurisprudenza e di dottrina, cit., , p. 675 e seguenti. In giurisprudenza di particolare interesse la sentenza numero 03928 pronunciata dalla Cass., sez. VI in data 31 maggio 1972, la quale, in relazione ad una vicenda in cui estranei e militari avevano concorso in atti di violenza e resistenza contro appartenenti all’Arma dei carabinieri, ha ritenuto la prevalenza e la esclusiva applicabilità della norma relativa al reato militare di insubordinazione (C.E.D., CASS., RV 121212).
[42] Sotto questo particolare profilo la norma in esame (art. 14 c.p.m.p.), in qualche modo ribadendo il principio di specializzazione contenuto nell’articolo 15 del codice penale (materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale), riafferma il carattere di prevalenza della fattispecie penale militare ed esprime un principio che va oltre lo specifico campo della compartecipazione criminosa ed abbraccia tutte quelle situazioni in cui un fatto configuri, nel contempo, sia un reato militare che un reato comune, facendo soccombere il reato comune racchiuso o implicato dal reato militare ed a prescindere se a commetterlo sia stato un militare o una persona, nei dati casi, non appartenente alle forze armate.
[43] Si intende senza difficoltà, e si ribadisce, che la questione è tutt’altro che accademica, in considerazione del fatto che il reato di peculato militare prevede un più basso limite edittale minimo (due anni di reclusione in luogo dei quattro comminati dal reato comune) e soprattutto in ragione del fatto che soltanto al reato di peculato comune sono agganciate le notevoli e pesanti conseguenze cautelari ed accessorie previste dalla recente legge 97/2001 (trasferimento ad altro ufficio in caso di rinvio a giudizio, sospensione dall’ufficio in caso di condanna anche a pena condizionalmente sospesa, pena accessoria della destituzione in caso di condanna a pena superiore ai tre anni di reclusione). Sicchè diventa di notevole rilevanza per il destino del concorrente estraneo la scelta del reato ravvisabile nel fatto commesso assieme al militare.